L'Eta dei Lumi: la fine della conoscenza naturale 1700-1770. Geografia e viaggi di esplorazione
Geografia e viaggi di esplorazione
All'inizio del XVIII sec. la geografia non era un'unica scienza ma era costituita da tre campi disciplinari distinti: (a) la geographia generalis, definita nel 1650 da Bernardo Varenio (1621/1622-1650 ca.) nella sua Geographia generalis come "una scienza matematica mista [cioè applicata], che studia i caratteri o qualità della Terra e le caratteristiche di quest'ultima che dipendono dalla quantità, vale a dire la forma, la posizione, le dimensioni e altre proprietà analoghe" (ed. 1693, p. 2), che applicava le tecniche dell'astronomia, della geodesia e della cartografia allo studio del globo terrestre; (b) la geographia specialis, che studiava "la configurazione e la posizione di ogni singolo paese" (ibidem), e che era una disciplina completamente empirica, spesso basata su collezioni di fatti non verificati circa le diverse regioni della Terra e le società in esse presenti; (c) infine, la parte che s'identificava con la tradizione letteraria a cui si richiamavano gli storici e gli studiosi delle forme di governo e che indagava sull'influenza esercitata dall'ambiente fisico sul comportamento umano.
Per molto tempo queste tre componenti rimasero nettamente separate; esse confluiranno in un insieme organico solamente dopo il 1770, in seguito ai viaggi di esplorazione del capitano James Cook (1728-1779) e di Alexander von Humboldt (1769-1859). Essi, infatti, per la prima volta, applicarono le tecniche matematiche alle misurazioni astronomiche e fisiche nelle regioni che visitarono, raccolsero informazioni empiriche in modo sistematico, arricchendole con indicazioni di carattere storico, politico e culturale. Inoltre, integrarono le loro scoperte in una geografia completa che teneva conto sia del mondo naturale sia della posizione degli uomini al suo interno, segnando così la nascita del pensiero geografico moderno.
Nel corso del XVIII sec. l'esplorazione geografica ricevette un impulso decisivo dall'espansione verso l'Oceano Pacifico ‒ chiamato allora Mare del Sud ‒ delle principali potenze imperiali europee: Francia, Inghilterra, Spagna e Russia. I Francesi cercavano un passaggio verso il Mare del Sud attraverso le selvagge distese della Nuova Francia e della Luisiana; gli Inglesi, che avevano acquisito una posizione di supremazia mondiale, desideravano consolidare la loro presenza in questo oceano; i Russi avanzavano attraverso la Siberia verso l'Oceano Pacifico e lo solcavano raggiungendo l'America del Nord, dove organizzarono un traffico transoceanico di pellicce; gli Spagnoli, infine, che temevano le ingerenze di queste potenze nei loro possedimenti, rafforzavano il loro controllo sulle coste della California. È uso comune ormai suddividere per regioni le esplorazioni europee di questo periodo, ma le nostre rigide divisioni mal si adattano al modo di pensare di quel tempo. Infatti, la sfera d'influenza delle principali potenze europee era globale e il confronto fra esse avveniva in un contesto complessivo.
L'esplorazione dell'America del Nord fu in gran parte motivata da esigenze commerciali e dalla competizione imperiale. Prima di essere 'scoperte' da celebri esploratori, molte strade verso l'Occidente ‒ tra le quali, per esempio, il famoso Cumberland Gap ‒ erano già state tracciate dagli sconosciuti mercanti amerindi, i quali avevano esplorato l'area orientale del bacino del fiume Mississippi. Infatti quando, dopo la guerra dei Sette anni, la popolazione di origine europea che viveva a oriente dei monti Appalachi irruppe in questa regione occupandola, la trovò solcata da piste ben battute, tracciate già da un secolo. L'esplorazione del bacino occidentale del Mississippi fu condizionata da antichi preconcetti relativi all'estensione del Continente nordamericano. I geografi dell'Età dei Lumi concepivano con difficoltà l'estensione, cioè il contenuto contrapposto al concetto di contorno o forma, e il fallimento dei tentativi di misurare la larghezza del Continente nordamericano, determinato dalle difficoltà incontrate da coloro che avevano cercato di attraversarlo, influì in modo decisivo sulla loro rappresentazione di questa regione. Sin dal momento in cui ci si rese conto che il nuovo mondo era veramente nuovo, i geografi avevano ipotizzato l'esistenza di un 'passaggio di nord-ovest', che avrebbe consentito di attraversare senza difficoltà il continente. Per citare le parole di Pietro Martire di Anghiera nel suo Decades de orbe novo (1515), si trattava di un "grande stretto che consente il passaggio delle acque che fluiscono da est a ovest, che ritengo siano mosse in circolo dall'attrazione dei cieli". L'allettante ipotesi dell'esistenza di questo Stretto di Anian, di cui Francis Drake era andato vanamente alla ricerca nella seconda metà del Cinquecento, fu considerata attendibile sino agli ultimi decenni del Settecento, e le congetture relative erano strettamente legate a quelle sull'esistenza del 'Mare Occidentale'. Si riteneva, infatti, che in un punto indeterminato delle coste dell'Oceano Pacifico dell'America Settentrionale si aprisse ‒ probabilmente nascosto da un'isola ‒ un grande golfo o mare interno analogo alla Baia di Hudson o al Golfo del Messico e che in questo Mare Occidentale sfociassero i fiumi occidentali, nati in una regione situata a una notevole altitudine e vicina ai corsi superiori dei fiumi che si dirigevano verso est. Dal momento che le diramazioni orientali del Mississippi scorrevano vicino ai fiumi navigabili che sfociavano nell'Oceano Atlantico, si presumeva ‒ in base ai principî della geografia simmetrica allora ampiamente diffusa ‒ che il bacino occidentale del grande fiume presentasse la stessa configurazione. Ogni corso d'acqua, ogni apertura, ogni lago di cui si aveva notizia avrebbe potuto essere l'agognato passaggio e per tre secoli l'esplorazione dell'America Settentrionale fu condizionata da queste aspettative. Lo stesso Mississippi, insieme al Missouri, al Red, all'Arkansas e agli altri affluenti occidentali del grande fiume, facevano presagire la possibilità di una strada più breve verso la Nuova Spagna, i suoi traffici e le sue miniere d'argento ‒ ritenute più ricche di quelle del Perù ‒ e quindi una rapida via di transito verso l'Oceano Pacifico.
Nel 1699 Pierre Le Moyne d'Iberville (1661-1705), sperando di impedire agli Inglesi l'ingresso nella valle del Mississippi, aveva fondato una colonia lungo la costa del golfo del fiume, a partire dalla quale, durante la prima metà del XVIII sec., i Francesi esplorarono i corsi dei suoi affluenti. Più a nord, dal 1730 al 1745 ca., Pierre-Gaultier de Varennes de La Vérendrye (1685-1749) esplorò l'area settentrionale delle regioni centro-occidentali, nel tentativo di proteggere il commercio di pellicce, che si svolgeva in questa zona, dalle ingerenze degli Inglesi stabilitisi lungo le rive della Baia di Hudson. L'insuccesso dei tentativi di questi esploratori, in particolare di La Vérendrye, di scoprire un mare o un fiume occidentali fornì prove sufficientemente decisive contro l'ipotesi della loro esistenza; tuttavia, nessuna di queste esplorazioni contribuì in modo significativo allo sviluppo della conoscenza geografica del tempo. Mercanti, avventurieri e soldati seguirono itinerari quantomeno vaghi, limitandosi a disegnare schizzi estremamente grossolani dei territori attraversati e spesso redigendo i resoconti dei loro viaggi soltanto dopo essere ritornati alla base. Non disponendo di alcuno degli strumenti necessari a localizzare con precisione i luoghi attraversati, essi non si preoccuparono di attribuire nomi ben definiti alle regioni e alle popolazioni in cui s'imbattevano; infatti, la pratica dell'identificazione sistematica, diffusasi negli ultimi trent'anni del secolo, era ancora sconosciuta. Inoltre, in Europa i seguaci della geografia sistematica (talvolta ironicamente definiti 'da poltrona') preferivano richiamarsi alle memorie di viaggio del periodo precedente, che confermavano le loro idee preconcette, piuttosto che ai poco allettanti resoconti delle scoperte degli esploratori contemporanei.
Sino al 1745 gli editori seguitarono a ristampare le grandi mappe dell'America Settentrionale (prima edizione 1700) e della Nuova Francia (prima edizione 1703) disegnate da Guillaume Delisle (1675-1726), nelle quali era indicato il Mare Occidentale. Cinque anni più tardi, in una celebre mappa pubblicata nei "Mémoires" indirizzati all'Académie Royale des Sciences di Parigi, il fratello minore di Guillaume, Joseph-Nicolas Delisle (1688-1768), raffigurò il Mare Occidentale unito alla Baia di Hudson da una serie di corsi d'acqua navigabili, che si presumeva fossero stati scoperti da un certo ammiraglio Fonte. Intorno al 1750 l'opinione scientifica francese era decisamente schierata a favore dell'ipotesi dell'esistenza del Mare Occidentale, e nel 1754 il Parlamento inglese stabilì di ricompensare con la somma di 20.000 sterline chi avesse scoperto un passaggio di nord-ovest. Dopo la sconfitta subita dalla Francia nel 1763, le poche informazioni note su questa regione caddero nell'oblio, anche se gli Spagnoli, dopo essere entrati in possesso della Luisiana, continuarono a cercare il passaggio a partire dal fiume Missouri e lungo le coste dell'Oceano Pacifico. Sino al 1795, la mappa di Aaron Arrowsmith, il migliore cartografo americano, mostrava il corso del Missouri orientato direttamente verso occidente, dai villaggi Mandan sino alle Montagne Rocciose, la cui altezza non superava 1100 m e che, attraverso una serie di bassi crinali, offrivano un agevole transito in direzione del versante rivolto verso l'Oceano Pacifico. Queste convinzioni tenaci ed erronee riguardo all'esistenza di un passaggio continentale diedero un impulso decisivo alle spedizioni intraprese da Meriwether Lewis (1774-1809) e William Clark (1770-1838) nel 1804.
Gli Spagnoli iniziarono a esplorare sistematicamente l'interno dell'Alta California soltanto verso il 1770, quando la minaccia di una possibile conquista da parte dei Russi e degli Inglesi la rese più appetibile. Sin dal 1767, anno della loro espulsione, le missioni dei gesuiti si erano diffuse nella Bassa California, screditando il mito dell'esistenza di un'isola che lungo la costa settentrionale nascondeva l'accesso allo Stretto di Anian. Dopo la guerra dei Sette anni, l'influenza congiunta di un energico sovrano della dinastia dei Borbone e delle iniziative delle altre nazioni europee indusse gli Spagnoli ad avanzare verso la California settentrionale; cinque spedizioni partite nel 1769, due delle quali terrestri e tre oceaniche, assicurarono agli Spagnoli il controllo di Monterey e di San Diego e condussero alla scoperta della Baia di San Francisco.
Nel XVIII sec. anche la Russia avanzò verso il Pacifico. Durante la prima metà del secolo, i Russi, dopo aver rafforzato il loro controllo sul versante orientale degli Urali, si spinsero verso est, attraversando la Siberia con una rapidità sino ad allora mai raggiunta dagli altri movimenti espansionistici europei. Il resoconto di quest'impresa fu redatto da J.-N. Delisle che nel 1726, invitato in Russia dalla zarina Caterina I, partecipò attivamente agli studi cartografici e geografici, offrendo, insieme al fratello, un importante contributo alla ricerca di un ipotetico ponte terrestre tra la Russia e l'America. In precedenza lo zar Pietro I il Grande aveva assegnato al danese Vitus Bering (1681-1741) e al russo Alexei Chirikov (1703-1748) il compito di risolvere tale questione. Partito nel 1725, Bering aveva esplorato la penisola della Camciatca e doppiato l'estrema punta nordorientale dell'Asia, navigando a 100 miglia di distanza dall'America, ma la nebbia non gli aveva consentito di scorgere le coste dell'Alaska. Per convincere gli scettici che Bering aveva scoperto lo Stretto di Anian, J.-N. Delisle persuase la zarina Anna Ivanovna a promuovere una nuova spedizione che organizzò personalmente. Compiuta tra il 1734 e il 1742, la 'Grande spedizione verso il nord' fu una vasta impresa internazionale, a cui parteciparono Bering e un terzo fratello dei Delisle, Louis Delisle de la Croyère (m. 1741). Mentre gli eruditi studiavano la geografia, l'etnografia e la storia naturale e politica della Siberia, nel 1741 Bering e Louis Delisle partirono dalla penisola della Camciatca, attraversarono l'Oceano Pacifico in prossimità del 56° parallelo sino alla costa americana e navigarono lungo le coste dell'Alaska sino all'attuale Isola di Bering. J.-N. Delisle rese noti i risultati di questi viaggi in uno studio pubblicato nel 1750. Grazie alla grande quantità di animali da pelliccia che vivevano in questa regione, l'area occidentale dell'America Settentrionale divenne la meta di ulteriori tentativi di sfruttamento, cosicché la Spagna, la Francia, l'Olanda e l'Inghilterra organizzarono dispendiose spedizioni marittime nell'Oceano Pacifico. Nel frattempo, però, la questione del ponte terrestre rimaneva ancora aperta.
Se la ricerca di un più agevole passaggio attraverso il continente aveva condizionato l'esplorazione dell'America Settentrionale, per molti secoli i tentativi di giungere alla scoperta del Continente meridionale guidarono l'esplorazione dell'Oceano Pacifico. Claudio Tolomeo aveva sostenuto che le grandi masse dell'emisfero settentrionale, ossia l'Europa e l'Asia, dovevano essere controbilanciate da un grande Continente meridionale o Terra australis. Nel Cinquecento Gerardo Mercatore aveva affermato che, in mancanza di un tale bilanciamento, la Terra sarebbe precipitata, distruggendosi, tra le stelle. Si riteneva che il grande calore del Sole, a cui si attribuivano i giacimenti d'oro e di pietre preziose rinvenuti ai tropici, avesse dotato di grandi ricchezze il Continente meridionale, certamente descritto da Marco Polo nei suoi racconti sul paese attualmente noto con il nome di Siam e probabilmente identificabile con il leggendario Ophir, da cui proveniva l'oro di re Salomone.
I primi viaggi ‒ il più celebre dei quali fu quello compiuto da Bartolomeo Diaz intorno all'Africa ‒ avevano dimostrato che la Terra australis non era unita, come aveva supposto Tolomeo, all'area più meridionale di questo continente; mentre Drake, spinto dalle tempeste molto a sud di Capo Horn, scoprì che il Continente meridionale non era unito neppure all'America Meridionale. Gli esploratori spagnoli del XVI e del XVII sec. avevano dimostrato che la Nuova Guinea era un'isola e non l'estremità settentrionale del tanto ricercato continente. Nel XVIII sec., esercitarono una profonda influenza i racconti dell'esploratore spagnolo Pedro Fernández de Quirós, che nel 1605 si era imbattuto nelle Nuove Ebridi, descritte in modo idilliaco "grandi come l'Europa e l'Asia considerate insieme". Nel corso della prima metà del Seicento, gli Olandesi avevano disegnato la carta idrografica della costa occidentale della Nuova Olanda (Australia) e avevano scoperto la Terra di van Diemen (Tasmania) e lo Staaten Land (Nuova Zelanda), ma rimanevano ignote l'Australia orientale, le sue relazioni con la Nuova Guinea e l'effettiva posizione del Golfo di Carpentaria, la cui funzione di separare la Nuova Olanda occidentale dall'Australia orientale non era stata messa in luce. Sino al 1770 i geografi ritennero che la Nuova Guinea, le aree già esplorate della Nuova Olanda, la Terra di van Diemen e le Isole Salomone costituissero un'unica massa di territorio, e che probabilmente ‒ assieme alla Nuova Zelanda ‒ fossero l'estremità settentrionale del Continente meridionale.
Alla fine della seconda metà del XVII sec. non si effettuò alcun viaggio di esplorazione nelle acque dell'Oceano Pacifico. A eccezione dei galeoni spagnoli che viaggiavano regolarmente lungo la rotta per Manila, nessuna nave attraversò questo oceano e soltanto quelle che assicuravano il commercio marittimo lungo le coste del Cile e del Perù solcarono le sue acque al di sotto della linea dell'equatore. Verso il 1700, con l'approssimarsi del crollo dell'Impero spagnolo, ebbe inizio una nuova era nell'esplorazione del Pacifico. Nonostante il declino della sua potenza, la Spagna possedeva ancora vasti territori nelle regioni che si affacciavano sull'Atlantico e sul Pacifico e controllava l'accesso a quest'ultimo attraverso i suoi possedimenti su entrambe le coste dell'America Meridionale. La Francia, estremamente indebolita dalle guerre intraprese da Luigi XIV, riacquistò a metà del secolo le forze necessarie alla ricerca di nuovi possedimenti. Gli Inglesi ‒ i più attivi esploratori del Pacifico nel corso del secolo ‒ si attennero alla politica seguita nel periodo elisabettiano, che si prefiggeva di spezzare il monopolio spagnolo nel Mare del Sud, individuare merci commerciabili nella Terra australis e organizzarne il traffico, infine scoprire il passaggio di nord-ovest.
Durante i primi sessant'anni del secolo, l'esplorazione dell'Oceano Pacifico dovette affrontare molti ostacoli, poiché, nonostante il nome impropriamente attribuitogli da Ferdinando Magellano, esso non soltanto era molto più ampio dell'Oceano Atlantico, ma era anche molto più procelloso e offriva ben pochi rifugi ai navigatori. Le navi, progettate per la navigazione estiva nell'Atlantico settentrionale, spesso rivestite di legname fradicio e rifornite con scarse provviste da appaltatori corrotti, non erano adatte ad affrontare i lunghi viaggi d'esplorazione nelle acque pericolose dell'Oceano Pacifico. Le tempeste al largo di Capo Horn potevano impedire l'accesso all'oceano per mesi e quando si raggiungevano le sue acque i marinai erano stanchi e malati e le navi impreparate ad affrontare le sue insidie. Nelle isole del Pacifico non era possibile reperire cordame né il legname necessario alle riparazioni e gli abitanti ‒ spesso ostili ‒ di frequente allontanavano gli equipaggi indeboliti dallo scorbuto e dalla fame. Le condizioni di vita a bordo delle navi erano tutt'altro che salubri e le malattie si diffondevano con grande rapidità tra i 500 o 600 membri dell'equipaggio, ammassati sottocoperta in ambienti privi di ventilazione. Soltanto individui disperati ‒ o reclutati da squadre autorizzate a effettuare arruolamenti forzati ‒ intraprendevano un lavoro così pericoloso. Gli ufficiali, che spesso dovevano la loro posizione al rango e all'influenza sociale più che all'esperienza e al merito professionali, si rivelavano inaffidabili nell'affrontare le pericolose avventure che li attendevano in queste acque ancora inesplorate; frequenti erano gli ammutinamenti tra i marinai. Lo scorbuto decimava gli equipaggi e spingeva i capitani a dirigersi in fretta verso l'isola conosciuta più vicina per rifornirsi di provviste; in tali condizioni, per questi ultimi, era impensabile condurre le proprie navi in aree non segnate sulle carte marittime. In ogni caso, le scoperte compiute risultavano perlopiù vane a causa della difficoltà di determinare precisamente la longitudine limitandosi alla stima della posizione; molte isole scoperte caddero di nuovo nell'oblio, a volte per più di un secolo, e soltanto le più grandi e le più visitate non correvano il rischio di essere dimenticate.
Tuttavia, l'esplorazione dell'Oceano Pacifico suscitò un vivo interesse tra il pubblico, grazie alle prospettive commerciali aperte dalla possibile scoperta di un nuovo continente e al fascino esercitato dai racconti sui 'nobili selvaggi'. La corsa verso la Terra australis iniziò nel 1697 con la pubblicazione del New voyage around the world di William Dampier (1652 ca.-1715), il quale riscosse un grande successo. Dampier, un bucaniere spinto ad abbandonare le Indie Occidentali dalla crescente efficienza con cui in quest'area era imposto il rispetto della legge, attraversò il Pacifico, visitò la costa orientale della Nuova Olanda e, infine, al ritorno da questo lungo viaggio pubblicò il primo libro in inglese su questa parte del mondo. Redatti nello stile scientifico a quel tempo popolare ‒ particolareggiato e ricco di osservazioni ‒ i libri di Dampier suscitarono un grande interesse tra il pubblico inglese.
All'inizio del XVIII sec. però l'entusiasmo per il nuovo continente iniziò a scemare nel corso dei numerosi viaggi. Intorno al 1710 il francese Amédée-François Frézier (1682-1773), navigando a sud di Capo Horn, dopo essersi imbattuto in un grande iceberg, giunse alla conclusione che quest'ultimo proveniva da un territorio freddo e che quindi il Continente meridionale non poteva essere che un mito. Anche l'esploratore olandese Jacob Roggeveen (1659-1729) giunse alla stessa conclusione. L'antica gloria della Repubblica olandese stava tramontando e la sua Compagnia delle Indie Orientali, divenuta ormai più cauta, aveva rifiutato la prospettiva di aprire una sede nella Nuova Olanda, anticipando così gli Inglesi e i Francesi. Roggeveen, quindi, decise di rivolgere alla più ambiziosa Compagnia delle Indie Occidentali la richiesta di promuovere un viaggio verso il Continente meridionale; egli aveva capito che per aprire la strada alle scoperte nel Pacifico bisognava attraversare l'oceano molto a sud del Tropico del Capricorno. La domenica di Pasqua del 1722 fu ricompensato dalla scoperta di un'isola a cui volle attribuire il nome della festività; in seguito, a causa dello scorbuto, si diresse a nord, verso latitudini più favorevoli. Roggeveen dimostrò la falsità dell'ipotesi dell'esistenza della Terra di Davis ‒ segnalata dal pirata inglese Edward Davis a occidente del Cile e ritenuta parte del Continente meridionale ‒; il suo viaggio peraltro rimase largamente sconosciuto ben oltre l'inizio del XX secolo. Nel 1739 l'incontro dell'esploratore Jean-Baptiste-Charles Bouvet de Lozier (1705-1788), nei pressi del 54° di latitudine sud, con una regione coperta di ghiaccio (l'attuale Isola di Bouvet), infranse le sue speranze di scoprire un Continente meridionale ricco di spezie, ma non quelle dei geografi francesi, i quali non credevano che alle latitudini indicate dal navigatore si trovassero distese permanenti di ghiaccio o che l'emisfero meridionale potesse essere tanto più freddo di quello settentrionale alle stesse latitudini. In seguito alle discussioni in merito a tale argomento, si affermò, verso la metà del secolo, la 'scuola polare' ‒ tra i cui rappresentanti figuravano Georges-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788), Pierre-Louis Moreau de Maupertuis (1698-1759), Philippe Buache (1700-1773) e Charles De Brosses (1709-1777) ‒ che esercitò una profonda influenza sui viaggi del periodo successivo.
Buffon sosteneva che gli iceberg, in quanto costituiti da acqua dolce ghiacciata, avevano origine da un'immensa massa di territorio e che dovevano distaccarsi dall'interno di un grande continente disabitato, grande come l'Europa, l'Asia e l'Africa. Maupertuis, che era un veterano dei viaggi nell'Oceano Artico, rimproverò agli esploratori di non aver atteso la fine della stagione fredda, evitando così il ghiaccio. Buache inserì la dizione Mer glaciale antarctique nelle sue mappe del Continente meridionale, anche se la sua distinzione tra il Continent austral (Australia) e le Terres antarctiques del polo ‒ il cui profilo assomiglia a quello della regione oggi nota con il nome di Antartide ‒ segnò una svolta decisiva verso il riconoscimento della complessità dei territori dell'emisfero meridionale. La Histoire des navigations aux Terres australes (1756) di De Brosses, un'immensa compilazione enciclopedica, formulò in termini più chiari vecchi problemi e ridestò l'ambizione coloniale e la curiosità scientifica. Questo libro ispirò il viaggio dell'ufficiale di marina francese Louis-Antoine de Bougainville (1729-1811) ed esercitò un'influenza ancora più profonda in Inghilterra, dove viveva un corrispondente di De Brosses, Alexander Dalrymple (1737-1808). Idrografo presso la British East India Company e massimo esperto britannico del Continente meridionale, Dalrymple fu per qualche tempo il principale candidato alla guida di un viaggio nel Mare del Sud, un incarico che alla fine fu affidato a Cook. La sua Historical collection of the several voyages and discoveries in the South Pacific Ocean (1770), che ridestò l'entusiasmo degli Inglesi per l'esplorazione del Mare del Sud, è largamente basata sull'opera di De Brosses.
Intensificatisi dopo la guerra dei Sette anni, i movimenti espansionistici verso il Continente meridionale si dovettero soprattutto alla rivoluzione nel campo della navigazione e a una nuova fase della competizione tra gli imperi. La rinascita dell'architettura navale portò alla costruzione di navi più grandi e resistenti, la cui maggiore funzionalità consentì a equipaggi relativamente poco numerosi di vivere in ambienti meno affollati. I criteri sempre più professionali in base ai quali questi erano reclutati determinarono un miglioramento del livello degli ufficiali e dei semplici marinai, mentre la maggiore attenzione riservata al morale e alla salute ‒ che indusse, per esempio, ad adottare misure efficaci contro lo scorbuto ‒ consentì agli equipaggi e alle imbarcazioni di affrontare in condizioni migliori le insidie dell'Oceano Pacifico. Le nuove navi attrassero uomini ricchi di talento; tra questi ricordiamo il già menzionato Cook, figlio di un agricoltore, che sotto il vecchio sistema aristocratico difficilmente avrebbe potuto emergere.
Dopo la guerra dei Sette anni, l'estromissione della Francia dall'America Settentrionale e dall'India rese ancora più allettante agli occhi degli Inglesi il Continente meridionale: il suo controllo avrebbe consentito all'Inghilterra di dominare le acque dell'Asia e i traffici dell'Oceano Indiano, e di assicurarsi così una posizione di supremazia mondiale. Con la progressiva perdita delle colonie americane, la prospettiva dei traffici con gli abitanti del nuovo continente divenne sempre più attraente per l'Inghilterra. Nel 1764, subito dopo la fine della guerra, l'Ammiragliato britannico inviò John Byron (1723-1786) a prendere possesso delle Isole Falkland, che sarebbero servite da base per eventuali operazioni e avrebbero aperto la strada all'esplorazione dell'Oceano Pacifico, alla ricerca del passaggio di nord-ovest, e, infine, consentito di tenere sotto controllo il Continente meridionale. Questo viaggio riaprì la controversia sui giganti della Patagonia, la cui altezza, secondo Byron, variava dai 7 agli 8 piedi (2,13-2,44 m ca.), ma diede scarsi risultati. Due anni più tardi, Samuel Wallis (1728-1795) partì di nuovo alla ricerca della Terra australis. Secondo le istruzioni segretissime che gli erano state comunicate, Wallis avrebbe dovuto navigare verso le acque dell'estremo sud, ma le raffiche occidentali dei 'quaranta ruggenti' (tratto di oceano tempestoso tra 40° e 50° di latitudine) glielo impedirono. Riscoprì invece Tahiti, che, avvistata da Quirós più di un secolo e mezzo prima, in questo periodo alimentò il mito del 'buon selvaggio', accentuò l'attrazione degli Europei per il Pacifico e servì da base operativa ai futuri viaggi in questo oceano.
Intanto i Francesi, nonostante la sconfitta subita nella guerra, pensarono di organizzare una sfida ai danni degli Inglesi e forse di fondare un impero che compensasse le perdite subite in Canada e in India. Nel 1766 Bougainville partì alla ricerca del Continente meridionale e verso altre scoperte nell'Oceano Pacifico; tuttavia, come Byron e Wallis, non riuscì ad attraversare le acque dell'estremo sud in cui, se esisteva, quel misterioso continente avrebbe dovuto trovarsi. Per gran parte del viaggio egli seguì lo stesso percorso compiuto da Wallis, spingendosi, però, a un centinaio di miglia di distanza dalla Nuova Olanda, prima di essere respinto dalla grande barriera corallina. Tra i navigatori francesi Bougainville fu il primo a compiere la circumnavigazione del globo ‒ una circostanza, questa, che dimostra sino a che punto i Francesi fossero rimasti indietro rispetto alle altre potenze imperiali europee. Nessuno di questi esploratori raggiunse regioni sconosciute; essi seguirono rotte quasi identiche verso nord-ovest che li portarono dallo Stretto di Magellano alla regione degli alisei e poi a ovest, verso le Isole Salomone.
Nel corso del XVIII sec. altre regioni del globo rimasero quasi del tutto inesplorate. I resoconti dei viaggiatori rinnovarono periodicamente agli Europei la conoscenza del Medio Oriente, ma non l'approfondirono. Benché fossero interessati al traffico di schiavi che si svolgeva lungo le coste occidentali dell'Africa, gli Europei mostrarono uno scarso interesse per la conoscenza di questo continente, anche perché i loro partner commerciali africani erano decisi a ostacolarne la penetrazione all'interno del paese, poiché ciò avrebbe consentito loro di giungere alle fonti di questo traffico. Anche il clima, le malattie e la natura del territorio contribuivano a respingere gli Europei dall'Africa. Riflettendo sulla scoperta della sorgente del Nilo Blu, compiuta nel 1774 dallo scozzese James Bruce (1730-1794), lo scrittore Horace Walpole scrisse che l'Africa iniziava a essere 'di moda'. Va comunque osservato che all'epoca della fondazione dell'African Association, avvenuta nel 1788, la conoscenza delle regioni interne dell'Africa non era molto progredita rispetto all'epoca dell'Impero romano.
Si potrebbe sostenere che il pensiero geografico moderno sia il risultato dei viaggi di esplorazione scientifica, che nel corso del XVIII sec. conobbero un grande sviluppo. Le prime spedizioni scientifiche si rivelarono utili soprattutto alla risoluzione di problemi relativi alla cartografia e alla geodesia. Alla fine del XVII sec. l'Académie Royale des Sciences di Parigi aveva già promosso molti viaggi, nell'intento di giungere alla determinazione della longitudine, e all'inizio del 1671 gli accademici reali stabilirono, attraverso l'osservazione astronomica, la posizione di 50 punti del territorio francese. Basandosi su questo studio e su altre ricerche, essi determinarono anche la posizione delle coste del Mediterraneo e dell'Atlantico, avvicinandole a Parigi rispettivamente di 50 e 30 leghe (195 e 117 km ca.); essi inoltre giunsero alla conclusione che l'Europa, l'Asia e l'Africa occupavano un'area del globo meno estesa di quanto si supponeva; che l'America era più vicina all'Europa e che, quindi, il minaccioso Oceano Pacifico doveva essere più vasto. I risultati di queste ricerche apparvero nel grande mappamondo disegnato da Guillaume Delisle poco prima dell'inizio del nuovo secolo. Nello stesso periodo Edmond Halley (1656-1742) ritornava da un viaggio attraverso l'Oceano Atlantico, nel corso del quale aveva rilevato i dati relativi alla declinazione del campo magnetico terrestre, necessari alla determinazione della longitudine durante la navigazione. Nella carta delle declinazioni magnetiche disegnata basandosi su questi dati, Halley usò per la prima volta le cosiddette 'isolinee' (in questo caso 'linee isogone') per connettere i punti che presentavano un uguale valore di declinazione; si tratta di un metodo noto soprattutto grazie a von Humboldt che lo impiegò, un secolo più tardi, nella rappresentazione cartografica della temperatura.
Il viaggio scientifico più controverso del XVIII sec. provocò una disputa sulla forma della Terra tra la scuola scientifica inglese, che si richiamava agli studi di Newton, e quella francese, fedele alle teorie cartesiane. Tale disputa risaliva alla fine del secolo precedente, quando nel 1672 l'astronomo francese Jean Richer nel corso di un viaggio per mare verso la Caienna aveva scoperto che il suo pendolo oscillava più lentamente che a Parigi. Newton tentò di sfruttare questa scoperta a favore della sua teoria della gravitazione, argomentando che la rotazione della Terra proiettava la materia che si trovava vicino all'equatore più lontano dal suo centro di quella che si trovava ai poli, per cui all'equatore, ossia nei punti più lontani dal centro della Terra, un pendolo avrebbe subito un'attrazione gravitazionale minore e avrebbe oscillato più lentamente che a Parigi. I Francesi replicarono richiamandosi alla tesi secondo cui la Terra presentava una depressione all'equatore e non ai poli; le misurazioni cartografiche dell'Académie Royale des Sciences di Parigi, precedentemente menzionate, sembravano confermare questa tesi. Per sottoporre a una verifica le teorie rivali, nel 1735 e nel 1736 furono organizzate due spedizioni, una diretta verso il Perù e l'altra verso la Lapponia, a cui fu affidato il compito di misurare la curvatura della Terra nei siti in cui le divergenze tra le due tesi avrebbero dovuto essere più profonde. Maupertuis grazie al sostegno del re, di cui era amico, e della popolazione locale, che si mostrò disponibile, nel 1737 poté proclamare al ritorno dalla Lapponia che la Terra era effettivamente schiacciata ai poli, e lo fece con tanto entusiasmo che Voltaire lo soprannominò "lo schiacciatore della Terra". La spedizione guidata da Charles-Marie de La Condamine (1701-1774) e Pierre Bouguer (1698-1758) sulle Ande operò invece in condizioni estremamente difficili, sotto il controllo di un governo diffidente e ostile. La Condamine ritornò dieci anni più tardi, dopo aver disceso il Rio delle Amazzoni sino dalla sorgente e confermato la sua confluenza con l'Orinoco. Grazie alle sue ricerche linguistiche ed etnologiche, alle sue misurazioni astronomiche e barometriche e all'esatta localizzazione del suo viaggio, La Condamine può essere considerato un precursore di von Humboldt. Questi viaggi rispecchiano l'importanza assunta dalla matematica e dall'insieme delle discipline matematiche ‒ astronomia, cartografia, geodesia e navigazione ‒ nell'ambito degli studi geografici. Come scriveva nel Voyage dans les mers de l'Inde (1779) Guillaume-Joseph Le Gentil de la Galaisière (1725-1792) "la geografia deve la sua attuale perfezione ai progressi dell'astronomia [...] e per questa ragione gli astronomi devono essere considerati veri geografi" (I, p. 13).
A partire dal 1770 l'impiego di nuovi strumenti, più leggeri e in grado di fornire dati più precisi, oltre che di procedure metodiche e rigorose di misurazione, consentì di stabilire con esattezza la posizione dei luoghi sulla Terra. La longitudine poteva ormai essere misurata piuttosto facilmente.
In via di principio, il cosiddetto 'problema della longitudine' (v. cap. III, Tav. II) era già stato risolto per via astronomica tre secoli prima, ma la scarsa precisione degli strumenti impiegati e la mancanza d'esperienza degli esploratori avevano comportato: errori nelle rappresentazioni cartografiche compresi tra 5° e 10° (a medie latitudini un grado di longitudine equivale a circa 111 km e a 4 minuti di tempo); l'impossibilità di ritrovare diversi siti già scoperti; la ripetuta localizzazione della stessa isola su un parallelo; il naufragio di navi che attraversavano aree di cui non si conosceva esattamente la longitudine. Il Parlamento inglese, allarmato dalla frequenza dei naufragi, offrì nel 1714 la somma ‒ veramente cospicua per l'epoca ‒ di 20.000 sterline a chi avesse messo a punto un metodo per determinare la longitudine con un'approssimazione di mezzo grado (circa 2 minuti di tempo e, in distanza, 30 miglia marine, cioè 56 km ca.) dopo 6 settimane di navigazione. La Francia replicò all'iniziativa degli Inglesi offrendo 100.000 sterline allo scopritore di questo metodo.
Un astronomo tedesco, Johann Tobias Mayer (1723-1762), elaborò alcune tavole del moto lunare che, grazie alla loro precisione, fornirono le indicazioni temporali indispensabili; infatti, per determinare la longitudine bisognava confrontare l'ora locale ‒ ottenuta, per esempio, attraverso l'osservazione del mezzogiorno astronomico locale quale istante della massima altezza del Sole sull'orizzonte ‒ con l'ora di una stazione convenzionale, per esempio Greenwich (ottenuta attraverso le tavole lunari che indicavano l'ora di Greenwich in riferimento a un evento lunare, come l'occultazione di alcune stelle). Cook, fautore ed esperto conoscitore del metodo lunare, esigeva che anche i suoi sottufficiali sapessero calcolare le distanze lunari. Tuttavia, dal momento che questo metodo richiedeva quattro ore di calcoli aritmetici e trigonometrici, per determinare la longitudine molti capitani preferivano ricorrere alla misurazione della distanza percorsa lungo la rotta seguita. L'ora di Greenwich, necessaria per determinare la longitudine, avrebbe potuto essere fornita anche da un orologio di precisione. All'inizio del secolo gli Inglesi e i Francesi tentarono ‒ in competizione tra loro ‒ di giungere alla fabbricazione di un tale orologio; nel 1764 l'inglese John Harrison (1693-1776) ne costruì uno che gli consentì di vincere il concorso indetto dal Parlamento inglese al quale s'è accennato (una parte della somma fu però devoluta alla vedova di Mayer). I cronometri furono collaudati durante i grandi viaggi di scoperta di Cook nel Pacifico, con risultati molto positivi, visto che essi erano capaci di conservare il tempo di riferimento entro margini assai più ristretti di quelli fissati per la gara dal Parlamento inglese, e precisamente entro 5 secondi in 5-6 mesi di navigazione, contro i 2 minuti in 6 settimane di navigazione fissati nel concorso bandito dal Parlamento.
Nel corso degli ultimi trent'anni del XVIII sec. i nuovi strumenti e le nuove tecniche di misurazione permisero di elaborare carte geografiche molto più accurate. Infatti, le mappe precedenti, benché non prive di qualità, si basavano su pochi punti di osservazione, vale a dire su osservazioni che non erano inserite in una rete di triangoli. A causa dell'assenza di misurazioni topografiche sistematiche, G. Delisle e i suoi colleghi erano stati costretti a desumere molte delle loro informazioni da un miscuglio di fonti, alcune delle quali piuttosto vecchie, di cui non potevano verificare l'attendibilità. Verso la metà del secolo la Francia e l'Inghilterra, seguite da altre nazioni europee, promossero progetti cartografici nazionali che portarono all'elaborazione di mappe topografiche moderne, basate su accurate triangolazioni eseguite su dati contemporanei. La misurazione idrografica adottò le nuove tecniche della misurazione topografica, e nel disegnare la carta idrografica delle coste di Terranova, oggetto dei trattati di pace successivi alla guerra dei Sette anni, Cook ricorse alla triangolazione. Le sue mappe delle diverse aree del Pacifico erano così accurate che furono utilizzate anche durante la Seconda guerra mondiale.
I viaggi intrapresi da Cook nel 1768, nel 1772 e nel 1776 inaugurarono una nuova era nel campo delle esplorazioni. I metodi di misurazione precisi e sistematici che Cook impiegò cominciarono a essere adottati nell'ingegneria e nelle scienze sperimentali del tempo e gli consentirono di risolvere molti degli enigmi geografici già menzionati. Durante il secondo viaggio, attraverso un'accurata esplorazione delle acque del Pacifico meridionale, egli dimostrò l'inesistenza del Continente meridionale, mentre il terzo viaggio gli consentì di emettere lo stesso giudizio per lo Stretto di Anian e per il ponte terrestre tra l'Asia e l'America. Inoltre, Cook scoprì l'Australia orientale, le Hawaii e altre isole del Pacifico, precisò la linea costiera della Nuova Zelanda, confermò i dati rilevati da Bering nell'Artico e formò il quadro di ufficiali della Royal Navy che nel secolo successivo avrebbe proseguito la sua accurata opera di misurazione idrografica.
Negli ultimi decenni del Settecento gli strumenti, le tecniche di misurazione e la caratteristica passione dell'Età dei Lumi per la raccolta dei dati resero disponibile una grande quantità d'informazioni sistematiche sul mondo, che i geografi iniziarono a integrare in una descrizione organica del globo terrestre. Nelle lezioni tenute all'Università di Königsberg tra il 1756 e la fine del secolo, Immanuel Kant sostenne che il concetto di 'luogo', così come è impiegato in geografia, poteva essere utilizzato per unificare in un insieme organico le multiformi osservazioni sul mondo naturale, da quelle più propriamente fisiche a quelle che avevano per oggetto gli esseri umani. Le lezioni pubbliche di Kant, che furono date alle stampe nel 1802 sulla base degli appunti presi dai suoi studenti, influenzarono probabilmente von Humboldt e Johann Gottfried Herder.
Un altro approccio in grado d'integrare più conoscenze fu quello della 'biogeografia', una scienza nata nel corso della seconda metà del XVIII sec. che spiegava la distribuzione geografica delle piante basandosi su fattori fisici, climatici e storici. Tra i rappresentanti di questa nuova scienza ricordiamo Buffon e Linneo, che indagarono sulle cause dell'attuale distribuzione delle piante nei diversi climi e sulle loro migrazioni storiche. Nei primi anni del XIX sec. tutti questi elementi sarebbero stati fusi in un insieme organico nell'opera di von Humboldt e in quelle di altri ricercatori.