L'Eta dei Lumi: le scienze della vita. I modelli epistemologici della morfogenesi, dell'organizzazione e della finalita
I modelli epistemologici della morfogenesi, dell'organizzazione e della finalità
La tesi per cui la vita è conseguenza dell'organizzazione funzionale del corpo fu avanzata e sviluppata da Descartes, il quale, in un trattato pubblicato postumo, affermò che le funzioni vitali "procedono dalla materia" e dipendono unicamente dalla disposizione degli organi corporei. Le facoltà di movimento autonomo degli esseri viventi dovevano essere spiegate, analogamente a quanto avveniva per fontane, mulini, orologi e altri dispositivi meccanici, senza invocare l'azione direttiva o regolativa delle tradizionali anime vegetativa e sensitiva (L'homme, 1664). Sebbene egli abbia descritto tanto la sostanza dei corpi vegetali quanto quella degli animali come composte da un intreccio di 'fibre' o 'filamenti', la sua attenzione fu rivolta principalmente alla sensazione e al 'comportamento' degli animali. È stato spesso osservato come l'influenza cartesiana abbia esercitato un effetto inibitorio sui successivi sviluppi teorici nell'ambito delle scienze della vita sia a causa della povertà delle risorse messe a disposizione dal concetto di meccanismo per comprendere lo sviluppo organico, la sensazione e la riproduzione, sia per la necessità, da parte degli automi meccanici, di una fonte esterna di energia. La crescente familiarità con l'anatomia microscopica, tanto quella vegetale quanto quella animale, spinse i successori di Descartes a considerare la vita come la somma e l'integrazione, nella totalità dell'organismo fisico, delle forze possedute dalle 'molecole' o 'fibre' individuali, che agiscono insieme, di concerto.
L'enfasi posta sulle caratteristiche comuni della vita animale e vegetale portò a talune conclusioni azzardate, soprattutto da parte di La Mettrie e di Herder, i quali si spinsero a un punto tale da attribuire sentimenti e comportamenti alle piante; tali conclusioni, tuttavia, correggevano la tendenza cartesiana a ignorare il mondo vegetale.
John Locke aveva in precedenza affermato che la differenza fra una quercia e una massa di materia inanimata, le cui parti sono tenute assieme da semplice coesione, consiste nella 'organizzazione' che permette alla pianta di ricevere e di distribuire il nutrimento, e di costruire le diverse parti ‒ legno, corteccia, foglie ‒ di cui è composta (Essay concerning human understanding, 1690). I riferimenti di Locke alla catena dell'essere, come anche l'ipotesi non ulteriormente ripresa che la materia possa 'pensare', aggiunta nella quarta edizione del suo Essay, e la convinzione da lui espressa che la sensazione sia la fonte di tutte le idee vere, furono portati a sostegno, in ambito di libero pensiero, della nozione di âme matérielle, che fece la sua comparsa nella letteratura clandestina degli inizi del Settecento. Il materialismo di Thomas Hobbes e di John Toland, assieme a quello di Locke, venne spiegato e divulgato da Voltaire nelle Lettres philosophiques (1734) e, congiuntamente all'epicureismo che aveva attecchito in Francia nel secolo precedente e alla concezione cartesiana dell'animale macchina, venne accolto da La Mettrie e dagli enciclopedisti francesi.
Dopo Pierre Gassendi (1592-1655) e Guillaume Lamy (1644-1682), esponente di spicco dell'epicureismo fu Julien Offroy de La Mettrie (1709-1751), medico e uomo di corte di Federico II di Prussia. L'Histoire naturelle de l'âme, pubblicata nel 1745 sotto lo pseudonimo di Monsieur Charp, fu condannata e data alle fiamme dalla polizia di Parigi nel 1746, ma fu seguita di lì a poco da un'edizione inglese (1747) e, in rapida successione, da L'homme machine (1747), da L'homme plante (1748) e dalle Réflexions philosophiques sur l'origine des animaux (1750), raccolte nelle Oeuvres philosophiques del 1751 sotto il titolo di Système d'Épicure. Tema comune di questi scritti è il rifiuto di un'anima pensante separata. L'ignoranza che avvolge la natura della materia, l'organizzazione del corpo e la sua relazione con il pensiero e la sensazione coesiste con una certa fiducia nelle indicazioni che è possibile ricavare da un insieme di osservazioni mediche, le quali fanno supporre che la vita mentale dipenda dalla salute fisica e che l'attività della materia organizzata si svolga senza l'azione dell'anima. Ne L'homme machine, La Mettrie estende all'uomo questa concezione, presa in prestito da Descartes, al quale rivolge l'accusa di aver dissimulato le sue reali opinioni, e da Herman Boerhaave (1668-1738), le cui Institutiones medicae egli aveva tradotto nel 1743. L'uomo macchina è come fatto vibrare, "suonato" dal mondo esterno non diversamente da un clavicembalo: tocchi diversi suscitano vibrazioni che corrispondono alle varie sensazioni, o che sono in grado di sollecitare risposte differenti. La Mettrie afferma, tuttavia, che l'ipotesi cartesiana secondo la quale gli animali sono "mere macchine" è assurda e, nella sua prima opera, fa appello alla nozione aristotelico-scolastica di 'forme sostanziali', le quali sono necessarie, in aggiunta all'estensione, per rendere la materia percepibile e reale, e che, comunque, sono da lui concepite come materiali. Egli attribuisce alla materia una "forza motrice" e una facoltà di sentire che potrebbe esistere a livello delle singole particelle, ma che si manifesta nei corpi organizzati. I minerali e le ossa sono privi di sensibilità in quanto mancano dell'organizzazione appropriata. La Mettrie ammette di non conoscere il modo in cui l'organizzazione conferisca sensibilità e pensiero alla materia, ma sostiene che i fenomeni ci dimostrano che ciò è possibile, e la potenza di Dio non può essere limitata dall'ignoranza umana. Immaginazione, sensazione, memoria e passione dipendono tutte interamente da stati del cervello.
Ne L'homme machine, le forme sostanziali sono abbandonate; l'uomo è una macchina così complessa che è impossibile definirla o descriverla con precisione; la macchina umana ricarica da sé i suoi meccanismi e offre un'immagine del moto perpetuo. La forza motrice del corpo è prodotta dall'oscillazione delle fibre di cui è composto. Attingendo alla teoria dell'irritabilità di Albrecht von Haller, qual era stata abbozzata negli Elementa physiologiae (1757-1766), La Mettrie afferma che ciascuna piccola fibra o sezione di un corpo organizzato è dotata di movimento autonomo e non richiede attivazione da parte dei nervi. Egli nota che molte funzioni vitali, quali il movimento peristaltico, le palpitazioni e la ritrazione dei muscoli quando vengono punti, persistono dopo la morte dell'organismo o la recisione delle parti interessate dal resto del corpo, come avviene nel caso del moto esibito dal cuore estirpato. I riflessi involontari, quali la contrazione della pupilla, il respiro, l'azione degli sfinteri e dei muscoli erettori, sono un esempio del modo in cui un insieme di movimenti coordinati può scaturire dalla somma di stimoli minuti e reazioni. Il cuore e i muscoli sono stimolati da spiriti, la cui filtrazione è assicurata da una specie di febbre che si produce con l'entrata del chilo nel sangue. La Mettrie sembra non sapere con certezza se la facoltà di sentire sia da considerarsi una proprietà di cui è dotata ciascuna particella di materia ‒ così com'è per l'estensione, l'impenetrabilità e la facoltà di movimento ‒ o se essa non sia piuttosto, alla stregua dell'elettricità, una proprietà che emerge in qualche modo sconosciuto dall'organizzazione stessa della materia.
La capacità della Natura di suscitare il pensiero a partire dalla materia è paragonata senza esitazione alla sua stessa capacità di produrre un feto dal liquido seminale. Il cervello è una macchina dentro la macchina del corpo umano, che trattiene le idee e ne genera di nuove, proprio come la donna produce una nuova macchina dentro il suo corpo a partire da "una goccia di liquido". Le differenze osservabili nel temperamento e nelle abitudini che caratterizzano i due sessi e gli individui di età differenti, come quelle esistenti fra l'uomo e gli altri animali, dipendono dalle dimensioni e dalla consistenza dei loro organi, le quali possono essere determinate, in parte, da fattori esterni come l'alimentazione e il clima. Il monismo di Spinoza riecheggia nelle affermazioni per cui nell'Universo esiste un'unica sostanza diversamente modificata, sicché la Natura impiega una sola pasta in ciò che fabbrica, limitandosi a cambiare solamente il lievito. Le interiora dell'uomo e degli animali presentano notevoli somiglianze, incluso il cervello che, a ogni modo, nell'uomo ha una dimensione più ampia e un maggior numero di circonvoluzioni. Le grandi scimmie, le quali, sotto il profilo anatomico, sono pressoché identiche all'uomo, potrebbero imparare a parlare anche se prive degli appropriati organi vocali, se si utilizzasse con esse il metodo adottato per i sordomuti. L'esistenza umana non ha scopo alcuno, giacché l'uomo può essere apparso sulla Terra allo stesso modo dei funghi, che spuntano da un giorno all'altro, o delle erbacce e dei fiori di campo diffusi ovunque. La Mettrie assume una posizione critica nei confronti della 'fisica teologica', alla quale rimprovera la produzione di tediose compilazioni.
Ne L'homme plante, l'anatomia e la fisiologia dell'uomo sono paragonate a quelle delle piante per quanto concerne la respirazione, la circolazione e, in special modo, la riproduzione sessuale. Benché argomento preteso dell'opera siano le impercettibili gradazioni della scala della Natura e la relazione fra bisogni animali e complessità strutturale, essa si conclude con l'osservazione secondo cui la Natura ha compensato l'infanzia prolungata e indifesa oltre ad altri svantaggi che caratterizzano l'uomo, dotandolo di organi capaci di maggiore mobilità e libertà. Discostandosi dalla posizione espressa ne L'homme machine, in cui gli esseri umani sono descritti come "macchine che si muovono stando in posizione verticale" (Oeuvres, III, p. 81), La Mettrie afferma la qualità superiore dell'anima umana. Dall'organizzazione di quest'ultima derivano il linguaggio, la società e la legge, e l'uomo è "il re degli animali".
Nella sua ultima opera, il Système d'Épicure, La Mettrie paragona l'abbondante e casuale produzione di forme propria della Natura a quella delle bolle di sapone, colorate ed effimere, che vengono soffiate dai bambini. La teologia fisica viene messa in ridicolo: l'occhio non è stato creato otticamente e l'orecchio matematicamente; al contrario, la Natura precede e l'arte umana segue. Un essere intelligente può provenire da una causa cieca con la stessa facilità con cui un figlio brillante può provenire da un genitore ottuso. La vita si originò sulla Terra mediante una combinazione di elementi, e le prime generazioni furono imperfette, in quanto prive di alcuni organi vitali o degli organi della riproduzione; coloro che erano dotati delle parti essenziali riuscirono a sopravvivere e a diffondersi, mentre gli altri morirono poco tempo dopo la nascita o prima di riprodursi. Le origini della specie umana non sono chiare. La Mettrie fa riferimento ad alcune tradizioni popolari secondo le quali è rintracciata l'ascendenza dell'uomo in determinati animali, ma non dà molto credito alla nozione di "strane unioni e bizzarri connubi". Egli avanza l'ipotesi che i primi esseri umani possano essere fuoriusciti da uova lasciate sulle spiagge dalla ritirata degli oceani, secondo quanto suggerito da Benoît de Maillet nel suo Telliamed (1748) e siano stati nutriti da madri adottive appartenenti ad altre specie.
L'adesione al preformismo animalculista non facilitò a La Mettrie la comprensione dei problemi dell'embriogenesi ed egli non affrontò affatto le questioni connesse con la fissità delle specie e la direzione dell'evoluzione. La Natura è piena di 'germi' che cadono nelle matrici e giungono a maturazione dapprima nei testicoli maschili, poi nell'utero femminile. L'orientamento edonistico della sua filosofia morale e il suo ateismo fecero sì che La Mettrie divenisse oggetto di sospetto e, talvolta, di ammirazione; benché gli enciclopedisti abbiano finito con lo schernirlo, egli esercitò comunque una considerevole influenza sul pensiero di Diderot e di Holbach.
Le Pensées philosophiques, pubblicate da Denis Diderot nel 1746, furono anch'esse condannate, insieme all'Histoire naturelle de l'âme di La Mettrie, dalla polizia di Parigi, e la Lettre sur les aveugles del primo, pubblicata anonima nel 1749, è da considerarsi tanto in debito nei confronti de L'homme machine, quanto ‒ come è stato sostenuto ‒ a sua volta ispiratrice nei confronti del Système d'Épicure. Dal 1746, data in cui i suoi editori gli affidarono la traduzione e la revisione della Cyclopaedia di Ephraim Chambers, Diderot dovette la sua sopravvivenza alla tolleranza della censura, e il suo ripudio definitivo dell'opera di La Mettrie nel 1782 rappresenta il tentativo finale di purificare il progetto enciclopedista, improntato a un materialismo umanistico e stoico-repubblicano, dalle connessioni libertine nelle quali sembrava che La Mettrie lo avesse coinvolto.
Nelle Pensées, deismo, preformismo, meccanicismo e un armonioso adattamento reciproco delle diverse tradizioni razionaliste vengono da Diderot messi in relazione, in modo per la verità poco convincente, con l'ipotesi epicurea. L'opera fu duramente condannata e suscitò la reazione, fra gli altri, di Jean-Louis Samuel Formey (1711-1774), membro della Königliche Preussische Akademie der Wissenschaften (Accademia Reale Prussiana delle Scienze) di Berlino, che replicò a essa con un commentario, le Pensées raisonnables. Nella Lettre sur les aveugles, Diderot rafforzò l'attacco contro la teologia fisica, sostenendo che i ciechi, benché dotati di ragione, moralità e senso del bello, sono indifferenti agli argomenti in favore dell'esistenza di Dio basati sullo spettacolo della Natura e, al tempo stesso, utilizzano la cecità come esempio di fortuita occorrenza di una 'mostruosità' naturale. Il personaggio principale del dialogo, concepito prendendo a modello il matematico inglese Nicholas Saunderson, spiega che la vita si è originata mediante processi di combinazione di tipo epicureo e attraverso l'eliminazione di quelle creature il cui meccanismo implicasse una qualche contraddizione e che non fossero quindi in grado di vivere né di riprodursi. C'è stato, forse, un tempo in cui le mostruosità, inclusa la cecità congenita, erano comuni, ma sono ormai divenute rare. Il mondo offre un fuggevole spettacolo di esseri transitori, periodicamente soggetti a rivoluzioni, i quali si trovano in uno stato costante di produzione e distruzione, e Saunderson anticipa l'ipotesi, accennata da David Hume nei suoi Dialogues concerning natural religion del 1759, dell'esistenza di universi deformi e mostruosi.
Nella voce Animal dell'Encyclopédie, composta attorno al 1754, Diderot descrive l'Universo come un'"unica macchina". Una scala ascendente conduce in modo progressivo dalla Natura inanimata ai vegetali, agli animali e all'uomo; in essa gli esseri superiori hanno una quantità maggiore di rapporti con il mondo esterno; la posizione di preminenza quale 'capolavoro' della Natura è assicurata all'uomo dal possesso della lingua e delle mani. La materia animata è dotata di sentimento, sensazione, coscienza, pensiero e facoltà d'azione, ma queste proprietà scompaiono in qualche punto situato tra il regno animale e quello vegetale, senza che vi siano nella Natura nette linee di separazione. Diderot sembra approvare la distinzione, introdotta da Georges-Louis Leclerc de Buffon, fra materia vivente e materia bruta. Il regno minerale è privo di sensibilità, soggetto alle leggi della meccanica, e il valore attribuibile alla Natura non vivente è puramente relativo e convenzionale, a differenza di quanto accade nel caso degli animali "che agiscono, si muovono, determinano sé stessi [… e] comunicano mediante i sensi con gli oggetti più lontani" (Diderot, Oeuvres, ed. Dieckman, p. 391). La conclusione cui giunge l'articolo è che la vita va considerata una proprietà fisica della materia, non un grado metafisico dell'essere. Una chiara ispirazione leibniziana si rileva nella proposta di considerare l'individuo come una sorta di punto centrale in cui si rispecchia, o è incapsulato, il mondo intero.
Le Pensées sur l'interprétation de la nature, pubblicate nel medesimo anno, esprimono, come il Système d'Épicure di La Mettrie, una generale insoddisfazione nei confronti della teologia fisica. Come Buffon, Diderot sostiene che la vera scienza non deve andare in cerca di cause finali e, come La Mettrie, pone in contrasto in maniera implicita la funzione del naturalista, che consiste nell'istruire, e quella del moralista-filosofo, che consiste invece nell'edificare; il primo non si preoccupa del perché le cose avvengano, ma unicamente del modo in cui esse avvengono. Diderot si mostra favorevole nei confronti dell'ipotesi di Buffon relativa al prototipo del quadrupede, come afferma nella voce Âne nel quarto volume dell'Histoire naturelle. La Natura sembra formare le diverse specie mediante l'allungamento, l'accorciamento, la trasposizione e la moltiplicazione degli organi. Diderot ritiene che tale congettura, benché non sostenuta da prove, svolga tuttavia un ruolo essenziale nella scienza sperimentale, nella filosofia razionale, nella scoperta e nella spiegazione di tutti i fenomeni che dipendono dall'organizzazione.
Diderot era insoddisfatto dell'ilozoismo che aveva trovato espresso nella Dissertatio metaphysica inauguralis pubblicata da Pierre-Louis Moreau de Maupertuis nel 1751, in seguito ristampata come Système de la nature, e alla quale il titolo dell'opera di Diderot intendeva rispondere. Nel dialogo Le rêve de d'Alembert, composto nel 1769 ma pubblicato soltanto nel 1780, egli prosegue nella ricerca di possibili alternative all'ipotesi secondo cui tutte le particelle di materia sono vive. L'emergenza non implica necessariamente ilozoismo; una pietra non pensa fino al momento in cui, ridottasi in briciole, non diviene nutrimento per piante e animali. Potrebbero esservi, viene suggerito in seguito, una sensibilité active causata dal processo di assorbimento e una animalisation a partire da una sensibilité inerte, che ineriscono a tutta la materia, allo stesso modo in cui le forze vive che si manifestano nel movimento sono causate dalle forze morte della compressione. La presenza nel dialogo del medico Théophile de Bordeu (1722-1776) sta a indicare un contatto con la Scuola di Montpellier, e i partecipanti discutono una concezione di animale visto come instrument sensible, il quale, a differenza del clavicembalo di La Mettrie, è al tempo stesso strumento e musicista. Vari modelli sono esplorati per dimostrare l'unità della coscienza e l'azione intenzionale propria dell'animale, inspiegabili in termini di mera giustapposizione di particelle, in particolare lo sciame d'api, precedentemente introdotto da Maupertuis; a ogni modo, si sottolinea come tale soluzione non spieghi l'unità della coscienza. Egli avanza l'ipotesi che il corpo sia costituito da una tela di fibre impercettibili, il cui movimento è registrato dal cervello allo stesso modo in cui il ragno percepisce gli eventi che avvengono alla periferia della sua tela, e che l'unità dell'animale dipenda dall'origine comune delle fibre che costituiscono il suo stesso corpo.
Diderot rifiuta creazionismo e preformismo così come, senza esitazione, aveva rinunciato alla nozione di anima immateriale. Le osservazioni di John Turberville Needham (1713-1781), secondo le quali specie successive di animalculi fanno la loro comparsa nelle infusioni, susseguendosi le une alle altre, sono utilizzate dal filosofo come modello della storia della Terra, per cui è possibile che episodi di popolamento siano intervallati da lunghi periodi in cui la Terra è ricoperta da un sedimento inerte, nel quale ha luogo una fermentazione che conduce, in ultimo, a nuove popolazioni di creature uguali o diverse dalle precedenti, sviluppatesi a partire da germi latenti. Altre specie di animali possono aver preceduto le nostre, e probabilmente altre ancora le seguiranno. Talvolta Diderot avanza l'ipotesi che una materia universale ed eterogenea possa aver dato origine ai vegetali e, successivamente, alle forme animali. La conformazione originaria di un animale è soggetta a cambiamenti e miglioramenti, in base a quelle che sono le sue funzioni abituali e i suoi bisogni.
Secondo Diderot, la preformazione è impossibile, perché la ragione è obbligata a porre un limite ultimo alla divisibilità della materia, e perché è assurdo pensare che un elefante contenga un atomo che contiene a sua volta un elefante e così via. L'esame accurato di un uovo di gallina demolisce, in linea di principio, tutte le scuole di teologia, poiché esso dimostra che, a partire da soli agenti materiali ‒ quali il calore ‒ e da una massa inerte ‒ come l'uovo ‒, si forma un corpo in grado di muoversi, pigolare, fuoriuscire dal suo guscio, camminare, volare, soffrire, amare, desiderare e così via. Il germe si costituisce a partire da molecole sparse nei fluidi corporei, che si raccolgono in un filamento e quindi in un fascio di filamenti, ciascuno dei quali corrisponde a un futuro organo. Disturbi apportati al filet (filo), o brin de faisceau (filo del fascio), che costituisce ciascun organo producono mostruosità quali il ciclopismo o quei gemelli che condividono gli organi interni. Questi difetti, tuttavia, possono essere corretti nelle generazioni successive, grazie alla mescolanza con il materiale proveniente dall'altro genitore. Diderot sostiene la tesi per cui l'uomo può essere considerato, dal punto di vista anatomico, il "mostro della donna" e viceversa, come risulta dal paragone fra i rispettivi organi sessuali, ciascuno dei quali è la modificazione dell'altro. Negli Élémens de physiologie, egli sottolinea che il mostro è definibile soltanto come "un essere la cui esistenza prolungata è incompatibile con l'ordine esistente" (Oeuvres, ed. Assezat, IX, p. 418); la transitorietà delle forme, dunque, implica che tutti gli animali, incluso l'uomo, siano stati mostri.
Diderot è critico nei confronti di un uso esplicativo del termine 'organizzazione' e definisce "assurdo" l'animale-macchina di tipo idraulico di Descartes. Gli Élémens de physiologie, rimasti inediti, rivelano il sorprendente livello di conoscenze anatomiche e fisiologiche raggiunto dall'autore. Composti probabilmente fra il 1765 e il 1782, gli Élémens forniscono una visione d'insieme dei principî di anatomia e fisiologia stabiliti da Haller e dalla Scuola di Montpellier, ma contengono anche alcune osservazioni di rilievo sulle mostruosità e sul modo in cui la forma animale è determinata da cause interne ed esterne, nonché sull'esistenza di un "glutine" che costituirebbe la base materiale comune a vegetali e animali, e la cui consistenza varierebbe a seconda dell'età e del temperamento. Diderot era convinto che l'individualità dipendesse da differenze immutabili a livello fisico e fisiologico, e rifiutò la tesi, sostenuta da Helvétius nel saggio De l'esprit (1758), secondo cui la mente umana può essere modellata a piacere con l'educazione.
Nell'Interprétation, e di nuovo nell'articolo Encyclopédie, Diderot passa in rassegna gli ostacoli alla conoscenza: i pregiudizi dell'intelletto, l'incertezza dei sensi, i limiti della memoria, gli inganni dell'immaginazione, l'imperfezione degli strumenti che, sul versante umano, affrontano l'infinità dei fenomeni, la natura nascosta delle cause e la transitorietà delle forme. La Natura non ci offre altro che un insieme infinito di entità individuali, prive di suddivisioni precise, le cui reciproche connessioni e modalità di successione dipendono da nuances insensibles. Descrivere una macchina significa descrivere le relazioni reciproche delle sue parti, ma la macchina infinita del mondo ammette un numero illimitato di descrizioni sotto un'immensa quantità di punti di vista. La scienza rischia di assumere la forma di un libro illeggibile, che riproduce la pienezza del mondo naturale senza ridurla ad alcun ordine. Tuttavia, la presenza di osservatori umani rende pathétique et sublime ciò che sarebbe altrimenti triste et muet. Se l'esistenza e la felicità di ciascun uomo vengono lasciate fuori dal quadro, il resto della Natura, secondo Diderot, non ha importanza alcuna.
Paul-Henri Thiry d'Holbach (1723-1789), benché maggiormente versato in chimica che non in anatomia e fisiologia e, di conseguenza, meno interessato ai fenomeni biologici, cercò di formulare le proprie affermazioni in modo assolutamente privo di ambiguità, e il suo Système de la nature, pubblicato per la prima volta nel 1770 sotto il nome del defunto 'discepolo di Locke' Jean-Baptiste Mirabaud (1675-1760), venne considerato il resoconto ufficiale della posizione degli enciclopedisti. Holbach tratteggia un quadro lucreziano di corpuscoli attivi e di infinite variazioni combinatorie e afferma che l'essenza della materia consiste nell'agire. Abile espositore, egli descrive il dominio universale della legge. Il mondo ci presenta un'immensa e ininterrotta catena di cause ed effetti, e 'ordine' e 'disordine' sono solamente nomi per indicare rapporti e corrispondenze soggettive; l'ordine, infatti, non è altro che una sequenza di azioni che noi giudichiamo convergere verso un fine comune. Al di fuori del nostro giudizio, non esistono né mostri, né prodigi, bensì soltanto combinazioni non familiari. Dalle proprietà comuni a ogni materia che ci sono note per i loro effetti sui nostri sensi ‒ estensione, divisibilità, impenetrabilità, figurabilità, solidità, gravità e mobilità ‒ ne derivano altre come la densità, la figura, il colore e il peso, e la materia diviene in grado di sottostare a dilatazioni, rarefazioni, penetrazioni e ricombinazioni. Una miscela di limatura di ferro, zolfo e acqua si surriscalderà e brucerà; in modo analogo, farina e acqua lasciate a fermentare producono, secondo la scoperta attribuita a Needham, organismi viventi microscopici, ed è in questo modo che la materia inanimata compie il passaggio alla vita. Come in un gigantesco laboratorio, le energie della Natura danno luogo a soli, pianeti, minerali, piante e animali, i quali dipendono dalle condizioni locali. La materia bruta e insensibile sottostà, nella creatura vivente, a un processo di animalisation, divenendo così sensibile; ciò implica la conversione della forza morta in forza viva. Il fuoco, dissimulato sotto un'infinita varietà di forme, penetra nell'organismo e causa una fermentazione vitale.
Facendo eco a La Mettrie, Holbach mette in evidenza il fatto che la Natura, pur non essendo essa stessa intelligente, possa produrre esseri intelligenti, proprio come il vino, pur non essendo sagace o coraggioso, può suscitare entrambe le qualità in uomini che riteniamo esserne privi: la materia è eterna, ma le combinazioni da essa costituite sono "passeggere e contingenti" e legate a luoghi prestabiliti; non è possibile dimostrare la simultaneità della Creazione, né l'impossibilità dell'estinzione; tanto l'uomo quanto il cavallo e il pesce possono esistere soltanto finché la loro vita è in armonia e contemperata a quella del globo, e le loro forme attuali sono il risultato di "combinazioni, dissoluzioni, metamorfosi, trasposizioni" di forme precedenti (Système de la nature, I, pp. 103-105). Contrariamente alla dottrina popolare circa la sua attuale sterilità, la Natura sta continuando ad assemblare materie per generare specie interamente nuove. Il mondo è colmo di "germi erranti", alcuni dei quali si stanno sviluppando, mentre altri attendono condizioni maggiormente favorevoli, e tutti gli esseri si adoperano per mantenersi in vita. Non vi è alcuna gerarchia delle forme basata su un fondamento oggettivo, e l'ostrica è tanto perfetta e cara alla Natura quanto il 'pretenzioso bipede' che la divora. L'uomo è un essere effimero che, nella sua follia, ha la pretesa di essere il signore della Natura, ma la sua intelligenza può essere distrutta dal movimento di un atomo del cervello. Holbach dedica poca attenzione al problema dell'unità e dell'azione coscienti, piuttosto fa uso dell'analogia del ragno al centro della sua tela. Motivazioni di carattere morale, politico e ideologico rivelano la loro presenza nell'ateismo e nell'epicureismo morale di Holbach, ma anche nei suoi attacchi contro l'orgoglio umano e nell'enfasi posta sulla natura effimera delle forme.
Johann Gottfried Herder (1744-1803), uomo di cultura eccezionale per quanto concerne i campi della storia naturale, dell'embriologia, dell'anatomia comparata, della fisiologia e della filosofia, con la sua opera principale, Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit (Idee per la filosofia della storia dell'umanità, 1784-1785), diede un impulso vitale all'antropologia e alla filosofia naturale tedesche, nonostante la reazione negativa di Kant. Dai Francesi ‒ egli cita in più luoghi Diderot ‒ Herder derivò l'idea che comportamento ed esperienza siano intimamente connessi con la particolare costituzione della creatura vivente. Attratto dalle dottrine del materialista tedesco August von Einsiedel (1754-1837) e dalla teoria della sostanza unica di Spinoza, egli respinse tuttavia il "sogno meccanicistico" sulle origini dell'anima umana, intrattenendo con il materialismo una relazione complessa. Herder, infatti, approva gli sforzi compiuti per comprendere la crescita e lo sviluppo embriologico in termini di azione di forze, soprattutto quelle opposte dell'espansione e della resistenza che ritiene operino in tutto l'Universo, e non traccia alcuna linea netta di demarcazione fra le forze operanti nella Natura animata e quelle operanti nella Natura inanimata. Tuttavia, l'appello a forze segrete e interne suggerisce una mancanza di trasparenza che è incompatibile con l'adozione di una posizione oggettiva nei confronti della Natura vivente.
Nelle Ideen, Herder dipinge la Natura visibile come la manifestazione superficiale di un soggiacente gioco di Kräfte (forze) che includono l'attrazione, l'espansione, la luce, il magnetismo e l'elettricità, nonché le facoltà della crescita, della nutrizione e dell'istinto animale. La Terra è un gigantesco laboratorio e l'abilità costruttiva della Natura al lavoro fa mostra di sé nei cristalli e nei fiocchi di neve, benché le sue operazioni debbano svolgersi a un livello ancor più profondo. Le piante rielaborano aria, acqua e luce solare, assieme ai minerali, entro la propria sostanza; trattengono il flogisto, che è mortale per gli animali, e forniscono loro cibo; gli animali, a loro volta, forniscono cibo alle piante mediante la decomposizione, creando riserve di flogisto. Il calore animale dipende da una sostanza stimolante o balsamica nascosta nell'elemento dell'aria. La caratteristica principale che distingue l'animale dalla pianta consiste nel possesso di una bocca separata e, man mano che si sale lungo la scala della Natura, gli animali fanno mostra di una crescente indipendenza dall'ambiente, di maggior versatilità e di una minore abilità nel rigenerare le parti perdute, in conseguenza del più alto grado di integrazione da essi acquisito.
Herder attribuisce a ciascuna creatura un tipo particolare di esperienza, dipendente dalla sua "organizzazione" (che comprende la sua anatomia e fisiologia, in quanto supporto delle sue facoltà, delle sue rappresentazioni e sensazioni), e suggerisce l'opportunità di un'impresa di dissezione filosofica consistente in uno studio di fisiologia comparata per stabilire la diversità delle forze in relazione all'organizzazione generale degli animali e alle loro facoltà. Maggiori sono il numero e la sottigliezza dei nervi, più estesi sono il cervello e la quantità di facoltà di cui dispone l'animale. L'ape non è una mera macchina ed è deplorevole, in generale, considerare tali gli animali. Essa non possiede alcuna "ragione matematico-politica", bensì "una sensibilità da ape, un sentimento da ape" (Sämtliche Werke, XIII, p. 101); ciascuna creatura fa esperienza del proprio mondo. Sebbene le piante siano a volte descritte come non appartenenti al mondo vivente, esse sono dotate di un 'analogo' della vita, di sentimento indistinto e di movimento volontario; esse godono, ciascuna a proprio modo, della luce e dell'aria, e mettono in atto il loro impulso a fiorire e riprodursi.
Haller aveva sostenuto che ogni individuo costituisce, sotto il profilo anatomico, un caso unico; Herder fa suo questo punto di vista osservando che il piano di costruzione di ciascuna creatura ha un nucleo comune, ma è al tempo stesso adattato all'ambiente circostante e alle sue abitudini; le deviazioni esibite dell'anatomia dell'uccello rispetto a quella del quadrupede si spiegano interamente con la vita che il primo conduce nell'aria. L'anatomia comparata è il filo che ci guida attraverso "il grande labirinto della creazione vivente" (ibidem, p. 69). Rifacendosi agli studi di Alexander Monro jr (1733-1817) sulla fisiologia comparata dei pesci e a Buffon, Herder avanza l'ipotesi che gli esseri viventi, nonostante le loro differenze, manifestino una certa uniformità di struttura, e che dietro alle loro variazioni sia possibile scorgere una determinata Hauptform (prototipo), specialmente negli animali terricoli. Un organo o un arto che in un dato animale è relativamente poco importante, in un altro viene ingrandito e reso prominente, e viceversa, nella ricerca che la Natura compie di forme particolari e armoniose. Si possono intravedere fasi più antiche, o tendenze verso fasi nuove, nelle creature esistenti: il leone marino ha quattro zampe, benché quelle posteriori siano inutili, e si può notare la presenza di cinque dita. Gli animali, secondo Herder, sono i "fratelli maggiori degli uomini" (ibidem, p. 60), ed egli considerò la scoperta dell'osso intermascellare, effettuata da Goethe nel 1784, come una conferma empirica di questa sua affermazione, allora appena pubblicata. Gli esseri umani sono una forma 'intermedia', non soltanto perché sono collocati a metà strada fra gli angeli e gli animali, ma anche perché in essi si combinano aspetti della fisiologia animale come sensibilità e forza muscolare; gli animali sono come gli uomini visti in uno specchio rotto e deformante. Ciò non va inteso nel senso comune per cui piante, rocce e arti od organi umani presentano rassomiglianze esterne a livello visivo: questi sono soltanto scherzi o giochi di fantasia di cui possono interessarsi i bambini, mentre una storia naturale che sia männliche und philosophische (virile e filosofica) guarderà piuttosto alla struttura interna.
Herder non fornisce una spiegazione su come conciliare adattamento ed estinzione, né diversità e uniformità. Egli presuppone fra le creature viventi una lotta e una competizione perenni, che ritiene derivino dal desiderio della Natura di avere il più ampio numero possibile di esseri viventi in uno spazio limitato, benché ciascun tipo lotti per conservare la propria esistenza a spese degli altri. Avendo dotato l'individuo di arti e organi, la Natura non se ne occupa oltre, e questo, una volta soddisfatto l'obiettivo di riprodursi, inizia gradualmente il suo declino. La Natura si adopera per conservare le specie mediante la riproduzione, ma non offre neppure a queste garanzie di permanenza, come dimostrano i reperti fossili e, d'altronde, l'esistenza di organi caduti in disuso è testimonianza di come essa sia costantemente al lavoro, mediante un lento processo di 'evoluzione' piuttosto che, come voleva Bonnet, di 'rivoluzione'. L'evoluzione risveglia forze sopite, stimola i semi a svilupparsi e trasforma ciò che appare morto in nuova vita. È noto, del resto, come il trapianto in un clima differente modifichi l'aspetto e le caratteristiche delle piante.
Vi è, nella filosofia di Herder, una persistente mancanza di chiarezza relativa al problema dell'azione. La totalità delle forze attive viene talvolta identificata con la divinità, ma più frequentemente, e in analogia con l'atteggiamento di La Mettrie e degli enciclopedisti, con una Natura materna, e Herder evita di pronunciarsi in favore o in difesa del creazionismo. L'intelligenza o lungimiranza posseduta da questa Natura e il grado di 'cecità' o di intenzionalità delle sue azioni non sono esplicitati, ma le viene attribuito uno scopo 'leibniziano': riempire lo spazio con la varietà e la diversità. Tale sforzo può ricadere sugli organismi individuali, i quali sono descritti come impegnati a raggiungere le proprie forme. Per quanto concerne la teoria della generazione, Herder oscilla tra una nozione, che richiama Jan Baptista van Helmont e William Harvey, relativa a un tipo o 'idea' interna, la cui realizzazione consiste nel dirigere la costruzione del corpo, e una concezione dello sviluppo embriologico come risultato di forze che agiscono indipendentemente le une dalle altre, e la cui somma produce la creatura.
Dopo aver aderito per breve tempo alla teoria della preformazione, Herder la respinse in quanto inadeguata, "dal momento che il seme stesso è già una conformazione, e ovunque ve ne sia una, deve esservi una forza organica che la forma" (ibidem, p. 87). Egli era al corrente della controversia tra Haller e Caspar Friedrich Wolff, lesse il trattato di quest'ultimo nel corso della composizione delle Ideen, ed ebbe il piacere di conoscere personalmente l'embriologo Johann Friedrich Blumenbach. L'embrione ai primi stadi di sviluppo, afferma Herder, ha una conformazione 'mostruosa' e ciò va attribuito all'azione di forze molteplici, che solamente allorché giungono a un equilibrio producono la forma tipica della specie.
L'occasione dell'intervento di Immanuel Kant (1724-1804) nell'ambito del problema del vivente sembra essere stata l'apparizione delle Ideen di Herder, nei confronti delle quali il filosofo di Königsberg fu estremamente critico. Sebbene i riferimenti diretti siano pochi, Kant mostra di avere una certa familiarità con gli enciclopedisti, moltissima con la storia naturale di Buffon e di essere informato della controversia Haller-Wolff sulla generazione. Egli aveva chiaramente presente la teologia fisica, rappresentata principalmente dai Vernünftige Gedanken von dem Gebrauche der Theile in Menschen, Thieren, und Pflantzen (Pensieri razionali sull'uso degli organi in uomini, animali, e piante, 1725) di Christian Wolff (1679-1754), dal popolare Le spectacle de la nature, in nove volumi, di Noël-Antoine Pluche (1688-1761) e dall'influente attacco che Hermann Samuel Reimarus (1694-1768) aveva condotto contro Lucrezio, Buffon, Maupertuis, Rousseau e La Mettrie in Die vornehmsten Wahrheiten der natürlichen Religion (Le principali verità della religione naturale, 1754). Benché, sorprendentemente, egli abbia simpatizzato con questo movimento, i contributi apportati da Kant ai problemi filosofici dell'intenzionalità e della finalità furono tuttavia tenuti in alta considerazione dai filosofi, e vi sono prove che essi abbiano fornito un sostegno teorico alle successive ricerche in embriologia. La sua Kritik der reinen Vernunft (Critica della ragion pura, 1781) può essere considerata anche come una risposta critica al materialismo enciclopedista e alla grande rilevanza data da Herder al mondo animale.
Kant considerò la meccanica newtoniana la scienza naturale paradigmatica; ammise la chimica nel regno della scienza quando venne a conoscenza del lavoro quantitativo svolto da Lavoisier, ma era incerto sul fatto che lo studio delle creature viventi potesse mai divenire, o essere considerato, propriamente scientifico. Seguendo Reimarus, Kant suppone che la formazione di piante e animali risulti incomprensibile alla mente umana. È facile immaginare che la mente possa indagare un Universo inanimato; a differenza della fisica, la scienza del vivente non ha alcun fondamento a priori. Allo stesso tempo, come aveva sostenuto Reimarus, vi è una 'armonia' o 'corrispondenza' fra esseri animati e Natura materiale. Kant spiega il successo della scienza newtoniana con la conformità esistente fra le sue leggi e le operazioni della mente umana, predisposta in modo innato a pensare in termini di ordine spaziale e temporale e di causalità meccanica, ma rifiuta i tentativi di sovrapporre direttamente una scienza delle entità viventi alla meccanica newtoniana, estendendo semplicemente le possibili modalità di 'attività' della materia; aggiungere forze e principî attivi non è la stessa cosa che determinare leggi. Mentre vi è un unico sistema meccanico che governa l'intero Universo, la generazione di forme è passibile di variazione locale, e la Natura avrebbe potuto strutturarsi in numerosi modi conformi alle leggi della meccanica senza produrre creature viventi.
Alla fine del saggio Über den Gebrauch der teleologischen Principien in der Philosophie (Intorno all'uso dei principî teleologici in filosofia, 1788), Kant formulò la definizione di "essere organizzato" in termini di "una materia, in cui tutto sta reciprocamente in rapporto con ogni sua parte come fine e mezzo, e questo può essere soltanto pensato come sistema di cause finali" (Gesammelte Schriften, VIII, p. 179). Un essere organizzato non è una mera macchina, poiché, a differenza di un orologio, è in grado di riparare da sé i propri difetti e di riprodursi; gli esseri organizzati sono dunque dotati di una facoltà di auto- ed eterorganizzazione che non è possibile spiegare in termini di meccanismo. Tale parere viene amplificato nella Kritik der Urteilskraft (Critica del giudizio) del 1790: "[È] umanamente assurdo […] sperare che un giorno possa sorgere un Newton, che faccia comprendere sia pure la produzione d'un filo d'erba per via di leggi naturali non ordinate da alcun intento: assolutamente bisogna negare agli uomini questa veduta" (ibidem, V, p. 400). A ogni modo, non è certo che non vi siano risorse sufficienti per produrre esseri viventi per mezzo delle sole leggi della meccanica, e "senza di esso [meccanismo]", dice Kant, "non si può affatto giungere a comprendere la natura delle cose" (ibidem, pp. 368-369). Il problema sta nel conciliare il bisogno conoscitivo di spiegazioni 'meccaniche' con l'esistenza di fenomeni che non sembrano al presente, e forse neanche per il futuro, riconducibili a questo tipo di spiegazione. La soluzione consiste nel comprendere che il sostrato soprasensibile e inaccessibile della Natura può contenere risorse sufficienti per produrre organismi viventi senza l'aiuto di una divinità. Gli uomini devono e possono pensare alle forme viventi come al prodotto di tali forze sconosciute, rese loro intelligibili dall'esperienza soggettiva delle operazioni del proprio intelletto e della propria volontà, che cooperano nella produzione di manufatti i quali, come le piante e gli animali, soddisfano uno scopo. La nozione di una Grundkraft (forza fondamentale) che si adoperi per il completamento e la conservazione di un organismo, ma che sia priva di intenzionalità, è "del tutto immaginaria e vuota" (ibidem, VIII, p. 181). Per quanto concerne la conciliazione di meccanica e teleologia, Kant ne intravede la possibilità remota nella nozione di Bildungstrieb (impulso formativo) avanzata da Johann Friedrich Blumenbach nello Handbuch der Naturgeschichte (Manuale di storia naturale, 1779-1780) e nel saggio Über den Bildungstrieb und das Zeugungsgeschäfte (Sull'impulso formativo e la funzione riproduttiva, 1781). A ogni modo, come Kant afferma nella Kritik der Urteilskraft, Blumenbach evita l''abuso' di principî epigenetici, assumendo che si applichino alla materia già in qualche modo organizzata.
Attenendosi alla sua definizione di essere organico quale essere in cui le parti sono subordinate al tutto e viceversa, Kant attenua il rifiuto espresso da Buffon nei confronti delle cause finali. Il mondo, egli afferma, appare agli occhi dell'osservatore come costituito da una "serie di relazioni subordinate l'una all'altra entro una catena di fini"; tale apparenza, tuttavia, non ci permette d'inferire alcunché circa l'origine e lo scopo del mondo, o circa il significato dell'esistenza umana: non siamo autorizzati a formulare alcun "giudizio teleologico assoluto", cioè a concludere che tutto ciò che esiste sia stato creato al fine di operare ciò che di fatto opera (Gesammelte Schriften, V, pp. 368-369). Tuttavia, la considerazione di condizioni preliminari d'esistenza ‒ i vegetali sono condizione preliminare per gli animali, e gli animali per gli uomini ‒ e dell'organizzazione funzionale del corpo ci fornisce alcuni indizi. Si tratta di una posizione cauta, in contrasto tanto con il suggerimento di Buffon per cui, se le creature viventi rappresentano modificazioni dei loro antenati, dovrebbero essere dotate di organi inutili o in eccesso (come afferma nella voce Cochon nel terzo volume dell'Histoire naturelle), quanto con l'osservazione di Diderot circa la possibilità che l'adattamento a un insieme di condizioni ambientali sia incompleto e temporaneo.
Nella Kritik der Urteilskraft, la teoria della creazione divina in sei giorni viene definita un "fantasticare poeticamente", e Kant nega che l'adattamento e la subordinazione degli organismi inferiori a quelli superiori costituisca una prova dell'esistenza di Dio. Ma nemmeno il caso cieco degli epicurei potrebbe aver dato origine al mondo, e il fatto che le forme viventi possano essere fatte oggetto di apprezzamento estetico suggerisce l'esistenza di un'armonia fra le nostre facoltà conoscitive e la Natura, spingendoci, come avevano già sostenuto Pluche e Reimarus, a considerare il soprasensibile. Kant nutriva una generale ostilità nei confronti dell'ipotesi, da lui attribuita a Charles Bonnet, per cui le forme viventi si sarebbero sviluppate l'una dopo l'altra a partire da un singolo antenato comune; ipotesi che egli respinse assieme ad altre proposte 'evoluzioniste', fra cui quella avanzata da Georg Forster (1754-1794) e quella di Herder. La teoria dell'evoluzione è descritta più volte come un'ipotesi inaccettabile, dalla quale ritrarsi con orrore, perché terreno fertile per uno studio della Natura che conduce verso gli sperduti deserti della metafisica; passaggi, questi, che non solo segnalano la condanna di Kant nei confronti della leggerezza con cui tale ipotesi era stata precedentemente propugnata, per esempio da La Mettrie, ma richiamano anche alla mente gli incubi descritti da Diderot nel dialogo Le rêve de d'Alembert, in cui il sognatore d'Alembert è tormentato dalla fluidità e dalla mancanza di delimitazioni precise esistenti in Natura fra animali e vegetali, fra vegetali e minerali e fra il normale e il mostruoso. Nel 1785, Kant appare convinto del fatto che "in tutta la Natura organica, attraverso qualsivoglia mutamento delle creature individuali, le specie si conservano inalterate" (Gesammelte Schriften, VIII, p. 97). L'immaginazione umana e l'arte degli allevatori non possono apportare altro che modificazioni limitate. Tuttavia, come osservò Arthur O. Lovejoy (1959), l'atteggiamento di Kant nei confronti della teoria dell'evoluzione divenne più conciliante negli anni immediatamente successivi.
Nella Kritik der Urteilskraft, egli osserva, come già Buffon e Herder, che molti generi appaiono condividere uno scheletro e un sistema interno comune, modificato soltanto dall'allungamento o dall'accorciamento degli arti, e concede che "l'archeologo della Natura" sia libero di pensare a un caos iniziale in cui "madre Terra (quasi come un grande animale)" abbia generato creature che erano dotate, in principio, di uno scarso grado di adattamento, le quali in seguito avrebbero a loro volta generato creature sempre più adattate l'una all'altra e all'ambiente circostante.
Tanto la Grundkraft postulata da Kant, quanto la sua teoria del preadattamento umano sono esplicitamente teleologiche. Nella Bestimmung des Begriffs der Menschenrasse (Determinazione del concetto di razza umana, 1785) e, successivamente, nel già citato saggio Über den Gebrauch der teleologischen Principien in der Philosophie, egli sostiene una teoria monogenetica in base alla quale tutti gli uomini hanno avuto origine da un unico ceppo ‒ una coppia o tribù ‒ e avversa tanto la teoria per cui ciascuna delle quattro razze distinguibili dal colore della pelle ha avuto un'origine differente, quanto la teoria di Buffon, secondo la quale le razze nera, rossa e gialla sarebbero nate per degenerazione, dovuta a condizioni sfavorevoli, a partire dalla razza bianca, come avviene per gli animali domestici. Come Bonnet, il quale aveva sostenuto che i corpi capaci di rigenerazione contenevano riserve di semi, così Kant affermò che il ceppo umano originario conteneva Keime und Anlagen, o 'propensioni seminali', un sottoinsieme delle quali si sarebbe manifestato, nei differenti ambienti, nella forma di tratti morfologici ereditari, di disposizioni comportamentali e delle facoltà mentali necessarie alla conservazione del gruppo e alla sua riproduzione. L'azione dell'ambiente è stata lenta, e la modificazione del colore della pelle ha richiesto, secondo Kant, svariate migliaia di anni. Ciò spiega sia la stabilità delle specie ‒ le quali, egli affermò, vennero a definirsi non in virtù della loro morfologia, bensì della loro capacità di interfecondazione ‒ sia la loro variazione locale. La Natura evita l'eccessiva mescolanza, poiché è sua intenzione conservare una diversità di caratteristiche. Keime und Anlagen costituivano dunque prove dell'esistenza di una finalità nella Natura, che aveva pianificato la distribuzione degli esseri umani sul pianeta e la loro prosperità in molteplici condizioni. Le Anlagen delle razze sono fisse e, dunque, immutabili, ma non si può dire altrettanto delle Anlagen che producono le varietà. Grazie a queste ultime, la Natura appare, per quanto ci è possibile stabilire, "inesauribilmente produttiva di nuovi caratteri, sia interni, sia esterni" (Gesammelte Schriften, VIII, p. 166).
Agli occhi di Kant, la transizione dalla meccanica alla vita organica appare problematica non solamente dal punto di vista concettuale, ma anche da quello morale. Egli respinge l'identità di uomo fisico e uomo morale postulata dagli enciclopedisti, e la sua filosofia morale scaturisce dal rifiuto dell'assunto, all'epoca predominante, che l'uomo fosse un animale fra gli altri, nonché delle allusioni di Herder alla possibilità che la ragione umana non fosse altro che una forma sviluppata, dunque generalizzata e non specifica, di istinto o tendenza animale, termini, questi ultimi, che erano stati resi popolari da Reimarus nelle sue Allgemeine Betrachtungen über die Triebe der Thiere (Riflessioni generali sugli istinti degli animali, 1762). A supporto di tale rifiuto, Kant opera una netta distinzione fra la speculazione e la scienza, e fra la conoscenza e le presupposizioni metodologiche, ovvero l'euristica. Benché fosse stato egli stesso entusiasta fautore di ipotesi speculative circa le origini naturali del Sistema solare e della pluralità dei mondi nella sua Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels (Storia universale della Natura e teoria del cielo, 1755), nella Kritik der reinen Vernunft Kant avversa le ipotesi materialistiche in ragione della loro natura speculativa, sostenendo che ogni questione relativa alle origini ultime del mondo è destinata a rimanere priva di risposta in quanto collocata al di fuori del terreno dell'esperienza possibile. Tale posizione difensiva è responsabile di persistenti ambiguità nell'opera kantiana, e di una controversia continua sulla misura in cui egli ritenne possibile l'inferenza o l'osservazione vera e propria dell'operare in Natura di principî teleologici.
Evidentemente, Kant rimase insoddisfatto della soluzione epistemologica da lui stesso avanzata, nella Kritik der Urteilskraft, riguardo al problema della forma organica, soluzione secondo la quale è ammissibile postulare le forze formatrici, benché non siano derivabili a priori e appartengano al sostrato soprasensibile e inconoscibile della Natura. Nell'Opus postumum (1801-1804), egli ritornò sul problema di tali forze e, sotto l'influenza dello scritto Über die Weltseele (Sull'anima del mondo, 1798) di Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, esplorò non senza esitazione la nozione di un'anima mundi, forse identificabile con l'etere o il calorico, che costruisce l'edificio del mondo nella forma di un sistema integrato. L'indecisione, tuttavia, persiste. L'anima mundi potrebbe essere semplicemente un caso di manifestazione della mente nella Natura non umana, ma potrebbe anche essere un termine generale per indicare forze prive di intelligenza che dobbiamo o che non possiamo fare a meno di concepire in analogia con l'intelligenza.
La crescente importanza attribuita alle concezioni fisiologiche dell'organizzazione è evidente nell'opera di Georges Cabanis (1757-1808), il quale trasformò l'ipotesi di La Mettrie che il cervello abbia muscoli per pensare, così come le gambe li hanno per camminare, nell'affermazione per cui il cervello elabora il pensiero allo stesso modo in cui il fegato secerne la bile. Collaboratore, dalla fondazione fino al 1795, dell'allora recentemente organizzato Muséum National d'Histoire Naturelle, Cabanis si occupò dei problemi sociali, morali e politici dell'epoca repubblicana, portando avanti al tempo stesso le sue ricerche di biologia. Dal punto di vista storiografico, i suoi Rapports du physique e du moral de l'homme (1802) offrono un giudizio ponderato ed equilibrato sull'opera di molti suoi predecessori, senza celare la sua ammirazione per Ippocrate, gli stoici e Stahl, al quale, in particolare, si sente vicino, ritenendo che abbia mascherato il proprio materialismo sotto le spoglie di un linguaggio spiritualista; Cabanis aveva letto con profitto il Système di Holbach e le Pensées di Diderot. A differenza dei suoi predecessori, egli non trova nell'essenza inconoscibile della materia né un aiuto né un ostacolo alla formulazione di un programma di spiegazione e, nel saggio Du degré de certitude de la médecine (1798), egli propone di ignorare tutte le cause. Circa il "recondito principio che vivifica la materia e determina tutti i fenomeni dell'Universo" non sappiamo nulla (Oeuvres, I, p. 57); ne osserviamo soltanto gli effetti ‒ o, piuttosto, facciamo esperienza di determinate sensazioni ‒ e, quando due eventi ci appaiono 'concatenati' in un ordine di successione, diciamo che vi è causalità. Non abbiamo bisogno, per navigare, di conoscere le modalità esatte secondo cui operano le maree, o le cause dell'affinità, della coesione e dell'elasticità per esercitare la chimica pratica, oppure i segreti della vita vegetale per praticare l'agricoltura, e benché i processi della digestione e della respirazione e le origini dei disturbi psico-comportamentali nel sistema nervoso siano poco compresi o addirittura sconosciuti, non per questo essi rendono inutile la medicina. Adottando un approccio largamente fenomenologico, i Rapports descrivono la relazione che intercorre tra carattere, temperamento e intelligenza, da un lato, e lo stato e la consistenza degli organi e tessuti interni, dall'altro lato, con le differenze 'accidentali' imputabili al sesso e all'età.
Sul piano ontologico, Cabanis rifiuta la distinzione immutabile, stabilita da Buffon, fra materia vivente, composta di molécules organiques, e materia inanimata, postulando invece l'esistenza di un principio intelligente che pervade l'Universo intero e che si manifesta nella tendenza della materia a organizzarsi nella forma di creature senzienti. Spiegare l'attrazione fisica e l'affinità chimica come forme deboli di sensibilità appare maggiormente plausibile che non spiegare la sensibilità come il prodotto di forze fisiche e chimiche. La sensibilità è distribuita nelle particelle di materia, ed è visibile nelle forze motrici che sostengono quest'ultima in una perpetua attività, a partire dalla quale producono livelli sempre più alti d'organizzazione, fino a culminare nell'organizzazione della mente umana. L'osservazione ci rivela che una catena ininterrotta collega la Natura morta con la Natura vivente e che, nelle condizioni appropriate, la materia inanimata è capace di autorganizzarsi, di vivere e di sentire. Idrogeno, ossigeno, azoto e luce costituiscono l'unica base per la vita dei vegetali; gli animali in decomposizione emettono gas favorevoli alla loro esistenza, e la generazione di microscopici 'animalculi' nelle infusioni animali o vegetali indica che determinati stati della materia vivente favoriscono nuove produzioni; i parassiti fanno la loro comparsa nelle piume degli uccelli e nell'intestino degli animali, in qualità di degradazioni della sostanza animale, e gli artifici umani possono dar origine a nuove forme animali che non si trovano in Natura, come le anguillule dell'aceto o i vermi che corrodono le rilegature dei libri. All'obiezione per cui tutte queste creature si sviluppano a partire da 'germi' preesistenti, la risposta di Cabanis, che riflette la scelta empirista di ripudiare la ricerca di meccanismi causali soggiacenti, è che non vi è molta differenza tra l'asserire che tali germi si trovano ovunque in Natura e l'asserire, invece, che tutte le particelle di materia sono soggette a ogni forma di organizzazione. La preformazione non fa le veci di un principio vitale, bensì lo presuppone, dal momento che l'organismo preformato deve, dopo tutto, essere mantenuto in vita e venire preservato dalla decomposizione. Allo stesso modo in cui ad acidi e alcali è sufficiente l'incontro reciproco per dar luogo a cristallizzazioni, così altre porzioni della materia si incontrano e si compenetrano, generando altri tipi di organizzazione. Tutti i possibili gradi di sviluppo trovano la loro realizzazione: dai molluschi più apatici, la cui esistenza sembra mirata alla sola conservazione della specie, fino agli esseri umani, la cui sensibilità si rivolge all'intero Universo.
Cabanis descrive la natura transitoria e il flusso costante delle combinazioni e ricombinazioni della materia, i cicli della nascita, della crescita, dell'invecchiamento e della morte cui sottostà la Natura animata sotto "mille fuggevoli forme", e osserva, in netto contrasto con Kant, che se potessimo giungere a comprendere le successioni delle forme naturali, avremmo risolto gran parte dell'énigme della loro esistenza. Egli considera le leggi di attrazione infinitamente più semplici di quelle di composizione e decomposizione chimica, e osserva che animali e vegetali sono soggetti a forze che non sono né chimiche, né meccaniche. Il tessuto vivente è composto, alla base, di glutine, che prende la forma di mucillagine o gomma nelle piante, e di gelatina, secrezione mucosa o "linfa fibrinosa" negli animali. Questa sostanza elementare si differenzia, nelle piante, in foglie, tessuti spugnosi e fibre legnose; nel corpo animale, essa dà luogo a vasi, tessuto cellulare, parti ossee e fibre viventi.
Cabanis contempla la possibilità che le forme superiori di vita siano emerse da un Universo inizialmente minerale; quando i campi ricoperti di lava e le barriere coralline divennero friabili sotto l'azione del sole, dell'acqua e dell'atmosfera, essi fecero da supporto a muschi e licheni, i quali spezzarono la roccia e permisero lo sviluppo di una ricca verzura di piante e di alberi, dando così il via al succedersi delle generazioni e delle razze. Sebbene gli uomini e gli animali più grandi non appaiano formarsi in questo modo, essi potrebbero aver avuto un'origine analoga e, una volta dotati di una puissance vitale, avrebbero iniziato a riprodursi per via generativa. Lo sviluppo è progressivo, e Cabanis, in un passaggio che richiama alla mente Leibniz, fa riferimento a recondite forze attive instancabilmente tese verso lo sviluppo e la perfezione dell'Universo. Georges Cuvier è citato a sostegno del fatto che grandi creature, rappresentative di specie ormai scomparse, abbiano un tempo abitato la Terra, e Cabanis osserva che l'estinzione potrebbe essere stata il risultato della sopraffazione da parte della specie umana, delle rivoluzioni della Terra, di cui sono rimaste tracce, o dell'organizzazione imperfetta di alcune creature, che impedì loro di conservare a lungo la propria esistenza. Egli, tuttavia, si spinge oltre l'ipotesi dell'estinzione per giungere a quella della modificazione: le creature attualmente esistenti sembrano essere senz'altro varianti di creature estinte. Le specie che sfuggirono all'estinzione in un ambiente modificato potrebbero essersi modificate a loro volta per conformarsi alle nuove circostanze, oppure queste ultime potrebbero aver favorito la nascita di specie nuove, e gli uomini, come anche altri animali, potrebbero essere stati soggetti a numerose modificazioni, o anche a notevoli trasformazioni, nel corso dei secoli, del cui lungo passaggio abbiamo prove irrefutabili; i cambiamenti nelle abitudini e nella ricerca del cibo potrebbero essersi fissati nelle specie attraverso modalità sconosciute. In questo modo, è stabilito un raccordo fra la produzione dei grandi animali e quella degli organismi microscopici e, se ciò non è sufficiente a sollevare il velo della Natura, la nostra comprensione di quest'ultima risulta nondimeno accresciuta.
Nella Lettre à M.F. [Fauriel] sur les causes premières composta nel 1806-1807 e pubblicata nel 1824, Cabanis affronta il problema dell'immortalità, e si pronuncia indeciso fra l'ipotesi che gli organismi contengano "centri parziali" in cui si trova concentrato il sé individuale, sicché quest'ultimo possa sopravvivere alla morte del corpo, e l'ipotesi che la vita sia una proprietà particolare che inerisce alla "combinazione animale" e che cessa di operare allorché gli organi corporei smettono di funzionare. Alcuni fenomeni fuori dell'ordinario, come la forza e la consapevolezza improvvisamente manifestateda moribondi pochi attimi prima della morte, sembrano indicare che la vita non sia semplicemente il risultato di un'azione concertata, o qualcosa di inerente a particolari combinazioni, bensì un essere vero e proprio che imprime il movimento agli organi, e il ritrarsi del quale conduce, come aveva sostenuto Stahl, alla decomposizione di questi ultimi.
Nel tardo XVIII sec., il concetto cartesiano di animale-macchina sembrava aver ormai esaurito la sua iniziale utilità nell'ambito delle scienze 'biologiche'. Al suo posto emerse una concezione decentralizzata della vita quale somma di reazioni fisiche e chimiche, di cui restava ignota la natura, localizzate all'interno dei tessuti sotto il controllo e lo stimolo di forze anch'esse sconosciute, delle quali si poteva solamente affermare che non presentassero rassomiglianza alcuna con le operazioni di un orologio o di un mulino. L'organizzazione del corpo, compresi la sua anatomia e fisiologia, il sistema senso-motorio, la costituzione degli arti e degli organi, fu considerata sempre più determinante nei confronti del comportamento e dell'esperienza, inclusi quegli aspetti ‒ volontà, razionalità ‒ che, in precedenza, erano stati ritenuti indipendenti da qualsivoglia sostrato materiale. Fu messo più volte in rilievo il contributo che la fisiologia e l'anatomia proprie di ciascun individuo apportano al suo temperamento, alle sue abitudini, alle sue capacità e al suo aspetto. Tale individualismo condusse, da un lato, ad apprezzamenti sull'abbondanza delle forme, dall'altro, facilitò il successivo sviluppo di teorie sull'inferiorità o superiorità razziale e sessuale.
L'appello a processi lucreziani di combinazione e selezione come mezzo mediante il quale sono generate nuove forme vitali rappresentava un'alternativa diffusa e accettata alla narrazione biblica della Creazione, e si citavano spesso gli esperimenti di Needham come prova della capacità di auto-organizzazione della materia. L'esistenza di piante e animali extraterrestri era ampiamente data per scontata. L'eclissi della teoria della preformazione si lasciò alle spalle l'ipotesi dell'esistenza, all'interno della Terra o degli organismi stessi, di germes o Keime latenti, in attesa di favorevoli condizioni di sviluppo, mentre la tendenza all'antropocentrismo rendeva difficile evitare di supporre l'esistenza di una progressione temporale verso una crescente perfezione, di cui la sensibilità e la facoltà conoscitiva umane rappresentavano l'apice. Allo stesso tempo, veniva osservata la rassomiglianza morfologica che caratterizza tutti i vertebrati, dai pesci all'uomo, per quanto concerne la struttura dello scheletro e gli organi interni, dando il via allo sviluppo di ipotesi sull'esistenza di un antenato comune.
Il comportamento specie-specifico ‒ l''istinto' ‒ e la sua supposta relazione con la morfologia e la fisiologia distintive dell'organismo non richiedevano più un approccio condotto nei termini della dicotomia cartesiana fra ciò che è meccanismo puro e privo di sensibilità e ciò che, al contrario, è conscio e deliberato. Come le pulsioni animali, le forze vitali erano concepite invariabilmente come quasi-coscienti o quasi-intenzionali, con grande insoddisfazione di Kant, che nutrì la speranza di apportare maggiore chiarezza in questo settore, offrendo terreno fertile all'immaginazione della successiva Naturphilosophie. A partire da Locke e da La Mettrie, furono riconosciuti i limiti della conoscenza umana, poi oggetto di un'ampia disamina da parte di Kant. La difficoltà nell'ottenere il controllo sperimentale dei processi viventi, a differenza di quanto accadeva con quelli meccanici e chimici, e la difficoltà nello stabilire legami causali che permettessero di formulare le leggi esatte che governano il regno vivente favorirono lo sviluppo di approcci filosofici di tipo positivista e sperimentale, i quali enfatizzavano una strategia graduale di contro all'elaborazione di modelli di ampio respiro. Infine, l'affinità naturale fra gli uomini e le forme viventi ‒ la 'biofilia', come è stata recentemente definita ‒ sarà vista come un fenomeno alquanto misterioso ma, al tempo stesso, altamente significativo.