L'Eta dei Lumi: le scienze della vita. L'epidemiologia e la medicina di Stato
L'epidemiologia e la medicina di Stato
Come mostrano già le più remote testimonianze della storia della medicina, si è sempre tentato di spiegare le origini (cause) delle malattie, epidemiche ed episodiche, e la spiegazione fornita di volta in volta ha influito sull'approccio adottato dai medici nella loro duplice attività di prevenzione e di cura della malattia. Sin dai tempi di Ippocrate, si riteneva che l'insorgere di alcune malattie potesse essere favorito da determinate condizioni climatiche o geografiche. Nei secoli successivi, nessun medico degno di questo nome ignorò l'importanza del Corpus ippocratico e, in particolare, dei trattati Arie, acque e luoghi e Le epidemie; i medici del XVIII sec. non costituirono certo un'eccezione a questa regola, tanto più che già nel secolo precedente si era verificato un ritorno di interesse verso la medicina ippocratica.
L'interpretazione delle cause dell'insorgere delle malattie determinava l'adozione di particolari misure terapeutiche e preventive atte a proteggere sia la salute pubblica sia quella dei singoli. I governanti e i loro consiglieri erano consapevoli della necessità di proteggere la salute dei propri sudditi, ma l'importanza attribuita alla salvaguardia della salute pubblica e l'entità dei fondi destinati a tale scopo variavano a seconda delle condizioni e delle priorità politiche. Il grado di urgenza delle questioni sociosanitarie poteva essere quindi valutato in misura diversa, dal momento che le decisioni riguardanti le misure da adottare dipendevano da un insieme di informazioni relative a questioni diverse: (a) era già stato identificato un agente patogeno? (b) Erano disponibili validi strumenti di prevenzione e di cura? (c) Le misure previste erano giudicate applicabili e/o accettabili dal potere e dalla popolazione? (d) Quali erano i costi complessivi per la comunità, in termini di sofferenze individuali e di perdite economiche? I costi dovevano essere valutati tenendo conto, da una parte, delle perdite causate dalla gravità delle malattie considerate, dall'altra, delle misure di prevenzione. Inoltre, essi non gravavano in uguale misura su tutti gli strati della popolazione e gli interessi dei gruppi dotati di maggior potere finivano in genere per prevalere su quelli della società nel suo complesso.
Tuttavia, con l'avanzare del secolo, il diffondersi dell'idea che la 'bontà' (qualunque fosse il significato attribuito a questa parola) di un governo dovesse essere giudicata anche sulla base del numero e dello stato di salute dei suoi cittadini incoraggiò l'adozione di nuove iniziative. Le ricerche di medici, scienziati, filantropi e riformatori sociali si concentrarono sulla definizione di una nuova scienza della salute, fondata sull'osservazione e sui principî della medicina ippocratica. L'epidemiologia e la medicina di Stato o il sistema sanitario pubblico si trovarono così al centro di un rinnovato interesse.
Una conoscenza più approfondita delle conseguenze mediche e sociali relative alla salute pubblica costituiva il presupposto indispensabile per la messa a punto di strumenti necessari all'attuazione di qualunque programma di lotta alle epidemie. La ricerca di nuove spiegazioni riguardanti le cause delle malattie continuava a far parte dell'indagine medica, anche se a volte i medici si limitavano a conferire una nuova veste alle risposte tradizionali, per adattarle alle più recenti teorie fisiologiche. Il problema più urgente era quello di trovare e di applicare un metodo efficace per scongiurare, o almeno limitare, il ripetersi delle epidemie, oltre alla tradizionale quarantena imposta alle persone e ai prodotti provenienti dalle zone colpite dal contagio. Il controllo delle epidemie era necessario per garantire la sicurezza dei crescenti interessi economici della classe mercantile e la stabilità delle attività produttive. Un alto tasso di morbilità o di mortalità dei lavoratori e la conseguente diminuzione della produzione imponibile rappresentavano inoltre una minaccia alla stabilità finanziaria dello Stato. Nelle città colpite dalle epidemie, anche la vita degli appartenenti all'aristocrazia, al clero o alla pubblica amministrazione era in pericolo, con conseguenze a volte disastrose per la stabilità sociale. Il ricordo delle gravi disfunzioni registratesi nello svolgimento dell'attività politica e giudiziaria, dei riti religiosi, delle attività commerciali e/o di produzione dei generi di consumo, rappresentava un monito costante contro i rischi di un possibile ritorno delle epidemie. Benché temporaneamente invisibile, questa minaccia poteva tornare a presentarsi in qualsiasi momento, nei centri urbani, soprattutto, ma anche nei villaggi, a prescindere dal tipo particolare di malattia responsabile del contagio (la peste bubbonica, sempre più rara, o il vaiolo, sempre più comune).
Verso la fine del XVII sec. si era manifestato tra i medici un rinnovato interesse per l'osservazione della Natura e la raccolta di dati in seguito alla diffusione del metodo induttivo di Francis Bacon (1561-1626), all'esperienza di una serie di disastrose epidemie, delle quali la patologia umorale non riusciva a rendere ragione, e alla disponibilità di nuovi strumenti matematici, come i logaritmi, inventati da John Napier (1550-1617). Economisti, scienziati e riformatori sociali si impegnarono nella ricerca di nuove interpretazioni e soluzioni dei fenomeni naturali e politici. In Inghilterra, personaggi come John Graunt, William Petty, Edmond Halley, Thomas Sydenham e Robert Hooke dedicarono la loro attenzione allo studio degli archivi civili e delle condizioni climatiche; i loro sforzi congiunti portarono a un perfezionamento delle teorie del contagio e della 'costituzione epidemica', ossia dell'influenza delle condizioni miasmatiche e atmosferiche.
Anche sul Continente, grazie all'azione dei governi di ispirazione riformatrice, fu migliorata la raccolta di dati sulla popolazione e fu introdotto l'uso dell'aritmetica politica e del calcolo delle probabilità. Con l'applicazione di quest'ultimo all'aritmetica politica, la raccolta dei dati anagrafici si trasformò in statistica. In particolare, l'Ars conjectandi di Jakob I Bernoulli (1654-1705), pubblicata postuma nel 1713, permise un'analisi più efficace dei dati anagrafici, sviluppando i contenuti dell'opera pionieristica di Graunt, Natural and political observations made upon the bills of mortality (1662).
Nel territorio dell'attuale Germania, Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), filosofo, scienziato e consigliere politico di molti sovrani, favorì l'introduzione di un sistema di raccolta di dati sulla mortalità e l'istituzione di un organismo amministrativo incaricato di elaborare i risultati e stabilire le adeguate misure di salvaguardia della salute pubblica. Negli anni Ottanta del XVII sec., Leibniz produsse numerosi saggi su questo argomento, come, per esempio, le Quaestiones calculi politici circa hominum et cognatae.
Uno dei primi lavori di elaborazione statistica dei dati sulla mortalità fu pubblicato nel 1741 dal pastore prussiano Johann Peter Süssmilch. In Francia, i primi studi sulla popolazione furono effettuati sotto l'egida del maresciallo Sébastien de Vauban (1633-1707), che si dedicò allo studio dei mezzi per migliorare l'azione di governo dopo essersi occupato di ingegneria militare; egli iniziò le sue ricerche dalla valutazione delle condizioni di vita del popolo, e quindi dalla raccolta di dati demografici. Da questo momento, fino agli studi sulla salute di Marie-Jean-Antoine-Nicolas Caritat de Condorcet (1743-1794) e degli enciclopedisti, e all'Essai philosophique sur les probabilités di Pierre-Simon de Laplace (1749-1827), pubblicato nel 1814, aggiornato nel 1820 dall'autore e incluso nella Théorie analytique des probabilités, questo campo di studi rimase appannaggio dei matematici di lingua francese. Per esempio, Charles-Marie de La Condamine (1701-1774) raccolse dati sulla mortalità del vaiolo durante i suoi viaggi scientifici e applicò il calcolo delle probabilità al materiale raccolto per valutare l'efficacia di alcune misure di prevenzione, tra cui l'inoculazione. I risultati delle sue ricerche, presentati all'Académie Royale des Sciences, furono pubblicati nell'"Histoire de l'Académie Royale des Sciences" nel 1754, nel 1758 e nel 1765. Più tardi La Condamine scrisse una Histoire de l'inoculation (1773), in cui esponeva i risultati raggiunti in una vita interamente dedicata allo studio delle malattie e dei mezzi di prevenzione.
Daniel Bernoulli (1700-1782), proseguendo gli studi dello zio Jakob I sul calcolo delle probabilità, analizzò gli effetti dell'inoculazione sulle aspettative di vita in un articolo pubblicato nell'"Histoire de l'Académie Royale des Sciences" nel 1766 con il titolo: Essai d'une nouvelle analyse de la mortalité causée par la petite vérole, et des avantages de l'inoculation pour la prévenir. Jean-Baptiste Le Rond d'Alembert (1717-1773) attaccò le conclusioni di Daniel Bernoulli nell'Onzième mémoire dei suoi Opuscules mathématiques (1762). La sua critica si incentrava sull'opposizione tra i rischi di mortalità a breve e a lungo termine derivanti dal vaiolo indotto per inoculazione e da quello naturale, e sul diverso valore che l'inoculazione assumeva come strumento per allungare la durata media della vita a seconda che ci si collocasse dal punto di vista della società in generale, cioè dello Stato, che disponeva di molte vite da mettere in gioco, o da quello dell'individuo, che ne aveva al contrario una soltanto. Forse, sotto il pretesto della correttezza matematica (del resto piuttosto dubbio, in questo caso), l'intento di d'Alembert era quello di spezzare una lancia a favore dei diritti dell'individuo e di limitare le prerogative dello Stato nelle questioni riguardanti la salute. Circa trent'anni dopo, il medico Georges Cabanis (1757-1808) sostenne al contrario, in quanto portavoce degli Idéologues nel campo dell'igiene pubblica, la necessità di un intervento dello Stato nell'interesse della salute degli individui.
Tra i medici, il più citato per le sue ricerche pionieristiche nel campo dell'epidemiologia e delle osservazioni meteorologiche, raccomandate dalla medicina ippocratica, è Thomas Sydenham (1624-1689), definito nel XVIII sec. l'Ippocrate inglese e considerato il padre dell'epidemiologia dalla maggior parte degli storici della medicina. Sydenham svolse il tirocinio e la carriera in un modo insolito, che influì sulle sue concezioni mediche: a diciassette anni, dopo pochi mesi di studio a Oxford, si arruolò nell'esercito del Parlamento; quattro anni più tardi, dopo la conclusione della guerra civile, fece ritorno a Oxford. L'esperienza della guerra, delle ferite e delle malattie potrebbe aver influito sulla decisione di farsi assegnare nel 1648, dopo appena un anno di studio in un'università ancora nel caos, una laurea in medicina, frutto probabilmente della sua fedeltà alla causa puritana.
La sua concezione della medicina, che privilegiava l'osservazione rispetto alla speculazione teorica, favorì il diffondersi di voci persistenti su suoi presunti studi a Montpellier. In effetti, alcune delle idee di Sydenham sulle cause e la classificazione delle malattie erano contemporaneamente sviluppate a Montpellier dagli esponenti del vitalismo e della nosologia, ma senza dubbio egli le aveva elaborate in modo autonomo, attraverso la lettura delle opere di Bacon e di Ippocrate. Sydenham non dava molto peso alle nuove scoperte di Vesalio nel campo dell'anatomia o di Harvey in quello della fisiologia, ed espresse, forse con maggiore energia di altri medici, i suoi dubbi sull'utilità di questi recenti progressi che, in effetti, non avrebbero prodotto sostanziali modifiche nella pratica medica prima di alcuni decenni.
Contrario all'ipotesi di un abbandono radicale della patologia umorale, egli condusse sempre un'analisi dei processi patologici basata sull'osservazione diretta del paziente, corroborata da una precisa annotazione delle condizioni meteorologiche e climatiche. Sydenham fu anche un attento osservatore delle minime variazioni degli esantemi o di altri sintomi, oltre alla febbre, di cui si serviva per diagnosticare le diverse malattie febbrili. Durante il suo soggiorno a Londra, la città fu ripetutamente colpita da una serie di epidemie di influenza, di peste, di vaiolo, di morbillo e perfino di malaria; e le ricerche di Sydenham portarono all'elaborazione del concetto di 'costituzione epidemica', basato sull'idea che determinate condizioni atmosferiche potessero favorire il diffondersi di emanazioni nocive sprigionate dal terreno. Si pensava che, a loro volta, queste emanazioni potessero accentuare la morbilità e la mortalità dei principali agenti infettivi.
John Fothergill (1712-1780), un allievo di Alexander Monro (1697-1767) a Edimburgo, fu anche uno dei migliori discepoli di Sydenham. Nelle sue ricerche sui rapporti tra la propagazione delle malattie e le condizioni atmosferiche, ossia sulla costituzione epidemica, i cui risultati furono raccolti nelle Observations on the weather and the diseases of London (1751-1754), Fothergill riconobbe apertamente il proprio debito verso Sydenham. Le sue osservazioni meteorologiche dimostravano come certe malattie fossero più frequenti durante le primavere umide, gli inverni miti, le estati piovose o, in altre parole, in qualunque stagione caratterizzata da condizioni climatiche relativamente insolite.
Alcuni medici avanzarono l'ipotesi che le congiunzioni planetarie potessero influire sul verificarsi di una determinata costituzione epidemica, avendo osservato, in coincidenza con questi fenomeni, una maggiore diffusione di particolari malattie, come il vaiolo, la peste e la dissenteria, o un aumento della loro virulenza e mortalità. Secondo un'altra teoria molto diffusa, invece, i miasmi o gli odori nauseabondi erano ritenuti responsabili della diffusione del contagio. Il nome attribuito alla malaria (lett. 'aria cattiva') riflette questa convinzione assai diffusa. Si era osservato infatti che la malaria era molto comune nelle zone paludose, caratterizzate in genere dalla presenza di odori sgradevoli; il fetore era messo in relazione con l'infezione. Per prevenire la malattia, si decise allora di prosciugare gli acquitrini in modo da sopprimere i cattivi odori, si ottenne così un'effettiva diminuzione del contagio, dato che la bonifica delle paludi impediva anche la riproduzione delle zanzare portatrici della malaria. Il successo casuale di queste misure rafforzò la plausibilità della teoria miasmatica del contagio.
Quando le misure adottate miravano all'eliminazione della causa dei cattivi odori ‒ come la rimozione dei rifiuti in decomposizione e degli escrementi umani e animali, la proibizione delle sepolture nelle chiese, il prosciugamento delle acque stagnanti o il miglioramento della ventilazione degli edifici ‒ esse producevano risultati benefici. Le misure che avevano invece lo scopo di mascherare semplicemente i cattivi odori con l'uso di profumi o di fumigazioni gradevoli potevano forse migliorare l'ambiente di vita, ma non avevano alcun effetto sul piano sanitario, malgrado le pretese qualità antisettiche delle sostanze utilizzate. La responsabilità del propagarsi delle malattie epidemiche continuò a essere attribuita ai miasmi e alle costituzioni epidemiche fino alla seconda metà del XIX sec., quando prevalse la teoria dell'origine microbica delle malattie. Si riteneva pertanto che le condizioni atmosferiche potessero influire sulla diffusione del contagio, favorendo le emanazioni miasmatiche.
Le variazioni della mortalità delle malattie erano dunque spiegate con le interferenze tra le condizioni climatiche e i miasmi, e con il diverso temperamento individuale. Benché fosse impossibile modificare il clima, se ne potevano prevedere le conseguenze, come l'insorgere di una costituzione epidemica, con il suo lugubre corteo di peste, vaiolo o influenza. Furono così introdotte alcune misure preventive, volte ad attenuare la morbilità e la mortalità delle epidemie. In effetti, l'uso del termine 'influenza', al posto dei precedenti 'catarro febbrile', jolly rant o grippe, si impose nel corso del XVIII sec. con il diffondersi dell'idea che l'insorgere di questa malattia fosse 'influenzato' dalle condizioni atmosferiche. Il primo a utilizzare questo termine, prendendolo in prestito dall'italiano, sembra sia stato il medico della corte inglese John Pringle (1707-1782).
L'osservazione attenta e sistematica delle condizioni meteorologiche e dei corpi celesti divenne dunque di primaria importanza sia per i medici sia per le autorità politiche, allo scopo di prevedere tutte le possibili correlazioni tra la situazione meteorologica e astrologica e l'insorgere di una costituzione epidemica. Questo naturalmente richiedeva un impegno non indifferente, dal quale non ci si potevano attendere risultati immediati. Erano necessarie, da una parte, l'azione coordinata su tutto il territorio di una rete di scienziati naturalisti in grado di effettuare in modo scrupoloso e tempestivo le dovute osservazioni e di riferirle correttamente e, dall'altra parte, l'esistenza di un organismo centralizzato incaricato di analizzare il materiale raccolto in modo da renderlo utilizzabile. Data la scarsità dei mezzi finanziari e tecnologici a disposizione, si trattava di un'impresa veramente titanica. L'assenza di misure preventive appropriate, dovuta all'errata rappresentazione degli agenti patogeni, impedì in molti casi il raggiungimento di risultati apprezzabili; ma anche quando i reali responsabili del contagio venivano individuati, spesso la scienza medica del tempo non era in grado di indicare mezzi di prevenzione e di cura efficaci.
La Société Royale de Médecine di Parigi e la Royal Society di Londra, come altre organizzazioni scientifiche e mediche, esortavano i propri membri e corrispondenti a raccogliere dati sulle condizioni meteorologiche e sul verificarsi di fenomeni epidemici ed epizootici nelle loro zone di residenza, e a riferire periodicamente i risultati delle proprie osservazioni alle Società. I partecipanti alle indagini della Société Royale de Médecine erano anche tenuti a rilevare le variazioni stagionali dell'intensità e del fetore dei miasmi percepibili presso le rive dei fiumi, gli acquitrini, i pozzi neri e altri luoghi simili.
Naturalmente, l'assenza di rapporti diretti tra i fenomeni oggetto di osservazione e le cause reali delle epidemie impedì l'adozione di misure in grado di prevenire efficacemente il diffondersi delle malattie. Tuttavia, non si devono sottovalutare i benefici psicologici prodotti sulle popolazioni da questi provvedimenti, che dimostravano, se non altro, l'interesse dei governi nei loro confronti. La rimozione di escrementi e immondizie dalle strade, la fornitura di acqua potabile, i controlli sulla qualità del cibo, e perfino, a volte, l'introduzione di calmieri per adeguarne il prezzo alle paghe correnti, come altri interventi volti all'eliminazione delle fonti di fetore e di decomposizione, migliorarono in parte la salute della popolazione e ne accrebbero la capacità di resistenza alle malattie. Queste misure contribuirono anche a rafforzare nelle autorità sanitarie e politiche la sensazione che fosse possibile governare gli eventi, eliminando in parte le cause delle epidemie.
Oltre alla rimozione dei veicoli di contagio rappresentati dai depositi di immondizie, furono adottati, sia a livello pubblico che privato, alcuni provvedimenti per eliminare altri possibili focolai di infezione. Le condizioni igieniche delle caserme, degli accampamenti, delle chiese, degli ospedali, delle prigioni, delle navi, dei teatri e dei luoghi di lavoro attrassero l'attenzione di molti medici: ricordiamo l'azione svolta in Inghilterra da Sir John Pringle per l'esercito, e da James Lind (1716-1794) per la marina; nell'Impero asburgico, da Gerard van Swieten (1700-1772) per l'esercito e per l'intera popolazione e da Johann Peter Frank (1745-1821) in tutti i campi; nel Ducato di Mantova, da Bernardino Ramazzini (1633-1714) per l'igiene dei luoghi di lavoro; in Francia, da Jacques-René Tenon (1724-1816) per gli ospedali di Parigi; infine, non bisogna dimenticare l'opera di filantropi come l'inglese John Howard (1726-1790), autore di numerosi rapporti sulle prigioni e gli ospedali britannici ed europei.
Gli esperimenti condotti da Lind sulle origini e la cura dello scorbuto rappresentano un magnifico esempio del metodo osservativo applicato alla dietetica e all'igiene che il medico estese anche alle navi; il suo Treatise on the scurvy (1754), come quelli sulla Naval hygiene (1757) e la Tropical medicine (1768), testimoniano la sua dedizione alla salute pubblica nello svolgimento delle sue funzioni di ufficiale medico della marina britannica. Pringle (medico generale dell'esercito britannico) e van Swieten (consigliere sanitario dell'imperatrice Maria Teresa), due allievi di Herman Boerhaave (1668-1738) a Leida, si occuparono entrambi delle malattie dell'esercito: Pringle pubblicò le sue Observations on the diseases of the army nel 1752 e van Swieten completò nel 1758 il suo Kurze Beschreibung und Heilungsart der Krankheiten welche am öftesten in dem Feldlager beobachtet werden (Breve descrizione delle malattie osservate più comunemente negli accampamenti militari e del metodo di trattarle), mentre in Francia, Guillaume Mahieu de Meyserey, con La médecine des armées (1754), e Jean Colombier, con il suo Code de médecine militaire (1772), contribuirono a difendere la salute delle truppe di Luigi XV.
La preoccupazione di migliorare le condizioni igieniche delle truppe si spiega forse con l'interesse finanziario diretto degli Stati a mantenere in salute soldati e marinai, per utilizzarli a scopi bellici. Ciononostante, le malattie epidemiche mietevano tra i militari più vittime delle battaglie. Per ciò che riguarda invece la salute dei lavoratori, la denuncia dei rischi a cui essa veniva esposta nei luoghi di lavoro, contenuta nel trattato di Ramazzini De morbis artificium diatriba (1700), ebbe scarsa eco nell'Europa del tempo. Solo nel tardo XIX sec., con l'avvento dell'industrializzazione, questo problema iniziò ad assumere una rilevanza sociale. Le officine e le fabbriche erano imprese private e i governi erano poco propensi a intervenire, limitando i diritti dei proprietari, per proteggere la salute dei lavoratori. Tuttavia, per combattere gli odori nauseabondi provenienti dai mattatoi o dai cimiteri, ritenuti una minaccia alla salute pubblica, si effettuavano fumigazioni con sostanze che si ritenevano dotate di proprietà antisettiche.
La prospettiva mercantilista e cameralista era il riflesso di una mentalità non ancora consapevole del potere di trasformazione politica espresso in seguito dall'azione congiunta delle forze del socialismo rivoluzionario e del cristianesimo liberale, di cui sarebbe stato costretto a prendere atto più tardi nella Germania imperiale il cancelliere Otto von Bismarck. Il maggiore successo ottenuto dal System einer vollständigen medizinischen Polizey (Sistema compiuto di polizia medica, 1779-1819) di Johann Peter Frank (v. oltre) rispetto alle opere dei suoi predecessori, si spiega, forse, proprio con l'assolutismo illuminato caratteristico della corte degli Asburgo.
Nell'Ancien Régime, le persone erano raggruppate a seconda della loro occupazione ed è logico quindi che i problemi sanitari fossero affrontati per categorie professionali: marinai, soldati, lavoratori, come si è già detto. Tuttavia, l'attenzione ai problemi della salute di settori più ampi della popolazione indusse alcuni medici a comporre libri di medicina destinati ai comuni cittadini, dando così inizio a quel fenomeno definito dagli storici sociali come 'divulgazione della medicina'. Per esempio, il medico svizzero Samuel Auguste André Tissot (1728-1797) scrisse tre libri destinati a tre settori specifici della società: nel 1761, pubblicò un Avis au peuple sur sa santé, destinato alla popolazione rurale del Pays du Vaud, la sua regione di residenza (il libro ebbe un enorme successo, fu ristampato almeno quarantacinque volte in cinque differenti edizioni francesi e fu tradotto in sedici lingue); nel 1768 vide la luce De la santé des gens de lettres e nel 1770 fu pubblicato l'Essai sur les maladies des gens du monde.
Agli inizi della sua carriera, Tissot si era occupato anche della questione dell'inoculazione (v. oltre). Era particolarmente interessato a tutto ciò che riguardava la lotta alle malattie epidemiche ed ebbe più volte occasione di constatare personalmente gli effetti devastanti della febbre biliare (probabilmente la febbre tifoidea). Nei suoi scritti descrisse i metodi per riconoscere la malattia sulla base dei suoi sintomi esterni e delle modifiche degli organi interni, rilevabili mediante palpazione, e la dieta che i pazienti dovevano seguire. In qualità di 'medico dei poveri' di Losanna, invitò inoltre le autorità ad affiggere nei luoghi pubblici degli avvisi contenenti le istruzioni sulla condotta da seguire nel caso si fosse colpiti dalla febbre tifoidea.
La sua Dissertatio de febribus biliosis (1758) è spesso citata come uno dei primi programmi pubblici di lotta alle epidemie mediante il ricorso a strumenti medici avanzati. La sua difesa dell'inoculazione testimonia inoltre la fiducia che egli nutriva nella possibilità di giungere alla creazione di nuove misure profilattiche basate sulla pratica delle osservazioni mediche. Tuttavia, la fama di Tissot rimane legata soprattutto alle sue pubblicazioni di medicina domestica, in cui si forniscono alcuni preziosi consigli sulle misure preventive che dovevano essere adottate dagli abitanti delle zone più isolate. Tissot pubblicò inoltre alcune opere di argomento più specialistico, come il Traité de l'épilepsie (1770), i quattro volumi del Traité des nerfs et de leurs maladies (1778-1780) e il Traité de la catalepsie, de l'extase e de la migraine (1780), che lo resero noto negli ambienti accademici e politici internazionali. Nel 1781 fu nominato professore di clinica medica a Pavia.
Dal Regimen della Scuola di Salerno, composto nel XIII sec., fino al trattato Domestic medicine (1769) di William Buchan (1729-1805), i libri sulla prevenzione delle malattie e le semplici cure basate su una dieta appropriata hanno sempre riscosso un notevole successo tra i lettori interessati ai modi di difendersi dalle malattie, e in particolare da quelle contagiose. Il valore di questi libri era legato, se non altro, alla loro capacità di ispirare fiducia nell'interpretazione corrente del contagio.
Il vaiolo era una delle malattie più temute nel XVIII sec. ed era considerato un fatto comune e normale, una tappa ineludibile del processo di crescita e di invecchiamento. Nessuno sembrava poter sfuggire alle devastazioni che questa malattia produceva nel corso normale dell'esistenza e tutti vivevano nell'attesa terrorizzante di una sua visita. Non si disponeva di nessuna cura efficace contro il vaiolo, cura che non esiste neppure oggi, a parte la somministrazione di antibiotici per combattere le infezioni secondarie. La cura tradizionale, basata sulla patologia umorale elaborata dal medico arabo al-Rāzī (m. 925), al quale generalmente si attribuisce la prima descrizione accurata del morbillo e del vaiolo, era basata su un trattamento 'caldo' e 'rosso'. Essa consisteva infatti nella somministrazione di bevande speziate calde e di dosi segrete di triaca per favorire la traspirazione; il paziente veniva tenuto costantemente a letto, sotto una pesante coltre di coperte di lana e di imbottite, perfino d'estate, per produrre la massima sudorazione.
Malgrado la teoria dei miasmi, non si ventilava mai l'ambiente: il paziente non si allontanava mai dal letto, né si provvedeva al cambio delle lenzuola o delle camicie; le finestre erano tenute ermeticamente chiuse, nonostante l'odore della febbre e della suppurazione. La terapia rossa o eritroterapia era un residuo arabo di una cura orientale, in cui i malati di vaiolo venivano vestiti di abiti rossi o circondati da tendaggi dello stesso colore, e surriscaldati con coperte e bevande finché non divenivano paonazzi, il tutto allo scopo di ottenere la protezione della dea Shitala Mata, in India, o delle dee Tou Shen Niang Niang o Quan Xiang Hua Jie, in Cina. Il mito delle proprietà terapeutiche del colore rosso era così profondamente radicato nella cultura occidentale, che ancora nel 1893 il dermatologo danese Niels Finsen, che avrebbe ottenuto dieci anni più tardi il premio Nobel per la scoperta dell'efficacia delle radiazioni attiniche nella terapia del lupus, sperimentò l'uso della luce rossa per prevenire la formazione delle cicatrici nei malati di vaiolo. D'altra parte, l'eritroterapia continuò a essere utilizzata fino alla fine degli anni Trenta del XX sec. in Europa, ma anche negli Stati Uniti e in Canada, nei casi di vaiolo e come coadiuvante nelle vaccinazioni.
Fino al XIX sec. il tasso di mortalità del vaiolo rimase altissimo: circa il 90% nei bambini di età inferiore a cinque anni; fino al 90% nelle popolazioni in cui non era presente in forma endemica; dal 20% al 40% negli adulti (e tra le cause di questo tasso di mortalità così elevato vi era purtroppo l'eritroterapia). Quando, negli anni Cinquanta del XX sec., si giunse finalmente all'identificazione del virus del vaiolo, si scoprì che ne esistevano due varietà, variola maior e variola minor; una terza varietà, variola intermedius, fu scoperta nel 1963. La varietà variola maior prospera a temperature più alte del normale, produce terribili devastazioni fisiche ed è quasi sempre letale, mentre la varietà variola minor si riproduce a una temperatura più bassa, è molto meno devastante, provoca una quantità minore di pustole e soprattutto ha un tasso di mortalità di poco superiore all'1% dei casi. Il tasso di mortalità del variola intermedius è circa il 12%. Le persone che contraggono una qualunque varietà del virus, divengono permanentemente immuni anche alle altre due. Purtroppo la terapia del calore, impiegata per combattere il vaiolo, accresceva in effetti per i pazienti il rischio di restare profondamente sfregiati, in quanto favoriva la moltiplicazione del variola maior, inibendo al tempo stesso quella del variola minor.
Non è affatto sorprendente, quindi, che il vaiolo fosse temuto non tanto per la sua mortalità, quanto per la sua morbilità e le sue complicazioni. Un terzo di tutti i casi di cecità era dovuto al vaiolo, e anche il funzionamento degli organi interni era a volte danneggiato dalla malattia; inoltre, le profonde cicatrici e le chiazze sulla pelle lasciavano sui sopravvissuti un indelebile marchio fisico e psicologico. Le persone rese storpie o deformi dalla malattia perdevano la possibilità di intraprendere una carriera di ufficiale, di avvocato o di cortigiano, o più semplicemente di lavorare in un'officina o in una fattoria; i conventi si riempirono di giovani donne prive di vocazione religiosa, ma costrette a farsi monache dalla mancanza di alternative: nessuna dote, per quanto cospicua, sarebbe stata sufficiente a trovar loro un marito. Le famiglie ricche erano colpite ancora più duramente di quelle povere. Paradossalmente, il fatto di potersi permettere i servizi di un medico, che prescriveva ai pazienti l'eritroterapia, li esponeva infatti in misura maggiore al rischio di disastrose complicazioni. Intere dinastie di monarchi, ripetutamente colpite dal vaiolo, rischiarono di estinguersi e le guerre di successione del XVIII sec. in molti casi ebbero origine proprio dalla morte per vaiolo degli eredi al trono.
Recentemente è stato scoperto un altro motivo per cui le famiglie reali erano più esposte al rischio di morire a causa di questa malattia che non gli appartenenti alle classi benestanti, che pure si servivano degli stessi medici e seguivano lo stesso tipo di terapia. Francis L. Black, un epidemiologo di Yale, ha scoperto il legame tra l'alto tasso di mortalità del vaiolo e del morbillo in alcune popolazioni e la scarsa varietà del loro patrimonio genetico: diffondendosi tra persone geneticamente simili, i virus mutano e aumentano la propria efficacia, trasformandosi in killer specializzati nei confronti degli appartenenti alla stessa famiglia. L'alto grado di consanguineità esistente nelle famiglie reali, conseguenza dei frequenti matrimoni tra cugini, permetteva dunque al virus di adattarsi rapidamente alle loro caratteristiche genetiche, aumentando la percentuale di esiti letali. Questo spiega allo stesso tempo perché, fino a un recente passato, le epidemie di morbillo o di vaiolo mietessero un numero così alto di vittime nelle campagne: la tradizione endogamica di molti villaggi produceva una minore varietà del patrimonio genetico delle famiglie, facilitando così l'adattamento del virus.
Il primo medico a mettere in dubbio l'efficacia dell'eritroterapia fu Sydenham. Avendo constatato gli scarsi risultati della terapia sui pazienti a cui l'aveva applicata, egli decise infatti di provare con un metodo completamente opposto, che prevedeva la somministrazione di bevande fredde, la ventilazione degli ambienti e la riduzione al minimo della permanenza a letto dei pazienti. La percentuale di guarigioni aumentò rapidamente e soprattutto diminuì il numero di cicatrici deturpanti. Sydenham pubblicò i risultati del suo metodo in un capitolo delle Observationes medicae (1676), ma nei decenni successivi furono pochissimi, seppure ve ne furono, i medici disposti a seguire i suoi consigli.
Tuttavia, quando nei circoli europei di Costantinopoli cominciò a diffondersi la voce di un rimedio contro il terribile flagello, la tecnica dell'inoculazione o 'vaiolizzazione' come veniva chiamata nel XVIII sec., la notizia si diffuse rapidamente anche in Europa. Emanuele Timoni (m. 1718 ca.), nato a Costantinopoli da una famiglia di medici italiani, laureatosi a Padova e a Oxford, effettuò un'inchiesta sull'inoculazione come corrispondente della Royal Society e ne riferì i risultati a Londra. La sua ricerca fu pubblicata nelle "Philosophical Transactions" del 1714, e nel 1715 il suo articolo fu recensito nei "Mémoires de Trévoux" e fu notato dai gesuiti, che applicarono la nuova tecnica ai nativi nelle loro missioni dell'America Meridionale.
L'inoculazione attrasse anche l'attenzione di Cotton Mather (1663-1728), pastore congregazionalista del New England, che ne aveva sentito parlare per la prima volta da uno schiavo nel 1706. Mather, che era anche laureato in medicina, pubblicò in seguito Some account of what is said of inoculating or transplanting the smallpox by the learned Dr. Emanuel Timoni (1721), in cui proponeva ai suoi concittadini di sperimentare la nuova tecnica per tentare di arginare l'epidemia di vaiolo che aveva colpito Boston nel 1721. Tuttavia, l'unico che ebbe il coraggio di seguire i suoi consigli fu Zabdiel Boylston (1679-1766), che si fregiava del titolo di dottore senza aver seguito un regolare corso di studi e che osò inoculare il vaiolo al suo unico figlio e a Samuel, il figlio dello stesso Mather. Entrambi i ragazzi sopravvissero, ma i loro padri furono accusati dagli altri medici e dagli ecclesiastici di aver messo in pericolo la vita dei propri figli.
Malgrado ciò, il rapporto di Timoni fu in gran parte ignorato, e la sua potenziale importanza per il progresso della medicina si scontrò contro il muro dei pregiudizi suscitati, sia nel pubblico sia tra gli specialisti, dall'origine straniera della cura descritta. Furono poi la moda e la vanità a suscitare l'interesse delle classi facoltose e a indurle a seguire le indicazioni di Timoni. Il coraggio di quanti osarono sfidare il terribile flagello, inoculandolo ai propri figli, fu premiato: i bambini sopravvissero e divennero immuni alla malattia. Oggi si riconosce a Timoni, divenuto più tardi medico dell'ambasciatore britannico nella capitale ottomana, il merito di essere stato il primo medico occidentale a praticare l'inoculazione alla maniera turca, che consisteva nell'introdurre in un'incisione della pelle di un paziente sano il liquido prelevato con un ago da una pustola vaiolosa, per provocare l'insorgere della malattia. In Cina veniva utilizzato nello stesso periodo un metodo diverso, consistente nell'introduzione di croste pustolose polverizzate nel naso dei pazienti, ma né i mercanti occidentali né i missionari gesuiti ne comunicarono mai l'esistenza in Europa.
La pratica dell'inoculazione suscitò la curiosità di lady Mary Wortley Montagu (1689-1762), la moglie dell'ambasciatore britannico presso la Sublime Porta, subito dopo il suo arrivo a Costantinopoli nel 1717. Nel 1718, durante un'assenza del marito, lady Montagu incaricò il chirurgo scozzese Charles Maitland (1677-1748), il suo medico di famiglia, di procedere, con la supervisione di Timoni, all'inoculazione di suo figlio. Ella descrisse dettagliatamente l'intero episodio in una lettera inviata alla sua amica Caroline von Anspach, principessa del Galles. Nel 1721, al suo ritorno in Inghilterra, lady Montagu decise di far inoculare anche sua figlia, per proteggerla dal rischio di rimanere permanentemente sfregiata, com'era accaduto a lei, e chiese a Maitland, rientrato a sua volta in Inghilterra, di eseguire l'operazione. I membri della corte e dell'aristocrazia inglesi, dopo aver constatato i vantaggi dell'inoculazione, si rivolsero a Maitland per farla eseguire anche sui propri figli, sotto la supervisione del medico reale Hans Sloane (1660-1753).
Queste inoculazioni private furono precedute da una sperimentazione sui detenuti, che, acconsentendo a sottoporsi al rischio di un procedimento medico mai sperimentato fino a quel momento, ottenevano in cambio la libertà. Il successo di queste sperimentazioni e delle successive vaiolizzazioni dei rampolli dell'aristocrazia, accrebbe ulteriormente l'interesse verso questa pratica. Il medico James Jurin (1684-1750), segretario della Royal Society, fece ricorso all'aritmetica politica per dimostrare i vantaggi dell'inoculazione. Più tardi Jurin dimostrò che la vaiolizzazione, detta anche 'vaiolo artificiale', era molto meno pericolosa della malattia contratta in modo naturale.
Nello stesso anno dell'inoculazione del piccolo Montagu, seguita a ruota da quella dei figli di altre famiglie europee di Costantinopoli, uno studente di nome Boger discusse alla Facoltà di medicina dell'Università di Montpellier una tesi sull'inoculazione. Anche Antoine Dodart, primo medico di Luigi XV, era a conoscenza di questa pratica, grazie alla lettera inviatagli dal padre di uno dei fanciulli inoculati.
Nel 1723, Dodart pubblicò la lettera, rendendo così per la prima volta di dominio pubblico in Francia l'esistenza di questo metodo di prevenzione. Molti medici francesi, come Jean Astruc (1684-1766), Pierre Chirac (1650-1732) e Jean-Adrien Helvétius (1662-1732), erano favorevoli all'inoculazione, mentre altri, come Philippe Hecquet (1661-1737), si opponevano alla sua introduzione. Malgrado l'atteggiamento favorevole all'inoculazione del reggente (Filippo d'Orléans), il giudizio negativo della Sorbona incoraggiò però le polemiche contro la sua introduzione. Fu necessaria l'Onzième lettre philosophique sur l'insertion de la petite vérole (1733) di Voltaire per riaccendere l'interesse dei Francesi verso questa procedura.
La prima inoculazione praticata sul Continente europeo ebbe luogo ad Amsterdam nel 1748 e fu eseguita sul proprio figlio da Théodore Tronchin (1709-1781), un medico nato a Ginevra e formatosi a Leida, che più tardi divenne il medico personale di Voltaire. Tornato a Ginevra nel 1749, egli introdusse il nuovo metodo nella sua città natale. Sotto la guida di Tronchin, Tissot effettuò poi numerose inoculazioni nel Pays de Vaud durante le epidemie di vaiolo, sia per limitare il numero dei casi, sia per mitigare le conseguenze della malattia sui pazienti. Tissot ebbe così modo di accumulare una notevole esperienza professionale, a cui affiancò la lettura delle opere di medici e teologi sull'argomento, come il Traité de la petite vérole communiquée par l'inoculation (1754) di Jean-Antoine Butini (1723-1810), The analysis of inoculation (1754) di James Kirkpatrick (1696-1770) o il Discours apologétique sur la méthode de communiquer la petite vérole (1754) di Pierre Chais (1701-1788). Basandosi sull'esperienza personale e sulle sue letture, Tissot pubblicò a sua volta L'inoculation justifiée (1754), con la quale intendeva confutare tutti i pregiudizi di carattere medico o religioso diffusi nel pubblico colto di lingua francese. I suoi sforzi furono coronati dal successo, almeno in Svizzera; tuttavia, L'inoculation justifiée non mancò di attirare sul suo autore le ire dei medici contrari a questo metodo.
Nel 1755, Tronchin fu chiamato a Parigi dal duca di Orléans, che lo nominò suo medico personale e decise di sottoporre all'inoculazione i suoi figli, malgrado Luigi XV, suo cugino, lo avesse sconsigliato dal farlo. Queste inoculazioni riaprirono il dibattito sulla validità del nuovo metodo e, in particolare, sul rischio che esso potesse favorire la diffusione del contagio. Nel volume VIII dell'Encyclopédie (1765), Tronchin difese la causa dell'inoculazione, servendosi di argomenti molto simili a quelli usati da Tissot, ma invano, poiché nel 1766 la pratica dell'inoculazione fu bandita da tutte le città della Francia. Nonostante potesse contare sull'appoggio di alcuni re e di molti medici, il nuovo metodo incontrava infatti la rabbiosa opposizione dei rappresentanti della medicina tradizionale e della religione.
Le obiezioni provenienti dai medici erano basate per la maggior parte sul rispetto del giuramento di Ippocrate e del suo motto primum non nocere. Com'era possibile per un medico rispettoso del codice deontologico introdurre deliberatamente nel corpo di una persona sana il veleno del vaiolo, che avrebbe potuto causarne la morte o procurarle un'infermità permanente? Il vaiolo artificiale, come quello naturale, era inoltre altamente contagioso per circa quattro settimane. Durante questo periodo, qualunque allentamento della quarantena, che consentisse il contatto del paziente inoculato con il mondo esterno, rischiava di scatenare un'epidemia. Inoltre, non si disponeva ancora di alcuna teoria in grado di spiegare in modo soddisfacente il funzionamento dell'inoculazione e la sua capacità di proteggere i pazienti dal rischio di un successivo contagio, e questo alimentava l'incertezza nei riguardi della sua sicurezza. I diversi modi in cui era praticata fornirono poi un ulteriore spunto alle critiche: alcuni medici si limitavano a produrre un'abrasione superficiale sulla pelle del paziente per introdurvi il liquido infetto, mentre altri effettuavano tagli più profondi, nei quali inserivano alcuni fili imbevuti di pus. Esistevano inoltre diversi modi di preparare il candidato all'inoculazione, per aumentare le probabilità di un esito positivo: si andava da una preparazione molto semplice, consistente in un breve periodo di dieta, a metodi più elaborati, che comprendevano ripetute purghe e salassi e una strettissima dieta a base di siero di latte.
Queste misure rispecchiavano quanto era prescritto dalla tradizionale patologia umorale e avevano lo scopo di proteggere la salute del paziente ed evitare una reazione eccessiva all'inoculazione, con febbre molto alta e numerose pustole. L'idea su cui si fondavano era che la reazione del paziente sarebbe stata tanto più debole, quanto più fosse stato precedentemente indebolito il suo fisico. Lo scopo del periodo di preparazione consisteva nell'abbassare la febbre causata dalla suppurazione e diminuire il numero delle pustole, espellendo il veleno del vaiolo. Si era convinti inoltre che lo stile di vita consueto delle classi facoltose producesse un'accumulazione di umori irritanti, soprattutto nell'apparato digerente, che doveva essere ripulito con il ricorso a particolari misure, come la dieta e i clisteri, per evitare complicazioni. Infine, a Costantinopoli gli addetti all'esecuzione dell'inoculazione erano soliti recitare alcuni incantesimi durante l'operazione. Era facile dunque per i suoi avversari denunciare questo metodo come una superstizione o un ricorso a mezzi soprannaturali che contravveniva, almeno in questo, al giuramento di Ippocrate.
Alcuni medici, tra cui Anton de Haen (1704-1776), si opponevano all'inoculazione affermando che il vaiolo non era così pericoloso come in genere si riteneva; che la malattia era molto più facile da curare di quanto sosteneva la maggior parte degli autori che avevano scritto su questo argomento; e che, nei casi personalmente trattati, pochissimi pazienti erano morti a causa del vaiolo 'per sé'; tuttavia de Haen non affronta mai il problema delle deformità prodotte dalla malattia. La sua ostilità all'inoculazione era dovuta principalmente al fatto che questa pratica aveva avuto origine nel mondo musulmano e che non era mai stata approvata dal suo maestro, Herman Boerhaave. De Haen era un clinico brillante, ma il suo carattere litigioso lo spinse a comporre numerosi opuscoli contro l'inoculazione e i medici che la praticavano; per esempio, de Haen e Tissot si scambiarono una serie di scritti, infarciti di sottile ironia e pungente sarcasmo, dei quali i più significativi sono, per quanto riguarda de Haen, Quaestiones saepius motae super methodo inoculandi variolas (1757), Réfutations de l'inoculation (1758) e Lettre de Mr de Haen à un de ses amis au sujet de la lettre de Mr Tyssot [sic] à Mr Hirzel (1763); da parte di Tissot, L'inoculation justifiée, che scatenò le ire di de Haen, Lettre à de Haen en réponse à ses questions sur l'inoculation (1759) e Lettre à Hirzel sur quelques critiques de M. de Haen (1762).
Gli oppositori dell'inoculazione che basavano le proprie critiche su considerazioni di carattere religioso, vale a dire sul cristianesimo, quasi sempre nella sua versione cattolica, erano in sostanza pregiudizialmente ostili a un metodo sviluppato in un paese islamico, l'Impero ottomano, da terapeuti greco-ortodossi e introdotto per la prima volta in Europa in una nazione protestante, l'Inghilterra. Inoltre, l'inoculazione era accusata di interferire con i piani divini e con il destino che essi assegnavano a ciascun individuo. Matematici, medici e teologi si impegnarono così in una polemica destinata a durare decenni, durante i quali il vaiolo continuò a seminare morte e infermità in tutta l'Europa continentale. In Inghilterra, grazie all'opera di partigiani dell'inoculazione come Robert Sutton (1707-1788) e suo figlio Daniel (1735-1819), o Thomas Dimsdale (1712-1800), la pratica continuò a guadagnare silenziosamente terreno. Il metodo di Dimsdale è descritto in termini elogiativi nel Supplément III dell'Encyclopédie (1777), dove se ne auspica la diffusione. Dimsdale eseguiva l'inoculazione utilizzando una quantità molto piccola di liquido purulento, che provocava una reazione attenuata. Già a quell'epoca i medici inoculatori si servivano solamente del liquido prelevato ai portatori meno virulenti di vaiolo artificiale, ma, seguendo questo metodo pur dettato da un'attenta valutazione dei risultati della vaiolizzazione, essi stavano inconsapevolmente selezionando il variola minor.
Verso la fine degli anni Sessanta del secolo, il ripetersi delle epidemie di vaiolo, unito ai miglioramenti introdotti nei metodi di inoculazione, convinse molti sovrani illuminati a sottoporre sé stessi, i propri figli e alcuni dei propri sudditi alla pratica immunizzante. Nel 1768 Dimsdale, fatto giungere appositamente in Russia dall'Inghilterra, procedette all'inoculazione dell'imperatrice Caterina II e del granduca Paolo. Dopo il felice esito di queste inoculazioni, i nobili russi si affrettarono a imitare l'esempio della famiglia imperiale e chiesero a Dimsdale non solo di eseguire anche su di loro la pratica immunizzante, ma di insegnare ai loro medici come eseguirla. L'imperatrice Maria Teresa si decise a scrivere al re Giorgio III per avere notizie sull'inoculazione solo dopo il verificarsi tra i membri della sua famiglia di ripetuti decessi causati dal vaiolo, curato con la tradizionale terapia rossa prescritta da Gerard van Swieten, medico di corte. Le fu consigliato di rivolgersi al medico olandese Jan Ingen-Housz (1730-1799), che nel 1768 si recò alla corte degli Asburgo, non senza una certa trepidazione data la nota opposizione di van Swieten e de Haen al nuovo metodo. Ingen-Housz fu incaricato dell'inoculazione dei due figli di Maria Teresa e della figlia di Giuseppe II. Maria Teresa fondò in seguito un ospedale per il vaiolo a Vienna, allo scopo di garantire la corretta applicazione del metodo appena adottato.
Dopo un primo avvio disastroso, nel 1768 anche Federico II di Prussia decise di promuovere la diffusione dell'inoculazione nei suoi territori. In Francia, invece, per superare l'ostilità dei sovrani verso l'inoculazione fu necessaria la morte per vaiolo di Luigi XV, nell'aprile del 1774; un mese dopo, Luigi XVI e i suoi fratelli furono immunizzati e il successo dell'operazione segnò la fine delle polemiche. Del resto, i Francesi avrebbe avuto di lì a poco questioni più urgenti su cui confrontarsi.
Il progresso dell'inoculazione in Europa proseguì con alterne vicende nel corso del XVIII sec. fino a confondersi, negli ultimi anni del Settecento, con quello del vaccino di Jenner. A una prima fase di curiosità, ne era seguita una seconda di pausa, una terza di dibattito e infine una quarta di espansione. Il 14 maggio 1796 Edward Jenner (1749-1823), un medico di Gloucester, si assunse la responsabilità di provare a utilizzare una malattia animale, in grado, a quanto si diceva, di proteggere le addette alla mungitura dal contagio del vaiolo, per inoculare un suo paziente, James Phipps, che non aveva mai avuto il vaiolo, con il liquido prelevato da una pustola di vaiolo bovino comparsa su un braccio di Sarah Nelmes. Come previsto da Jenner, che all'epoca aveva alle spalle quasi venti anni di osservazioni sugli abitanti delle campagne inglesi e sulla capacità di resistenza al vaiolo umano dei soggetti precedentemente contagiati dal vaiolo bovino, Phipps non reagì in alcun modo a una successiva inoculazione di vaiolo umano, eseguita il 1° luglio. Nel 1797, Jenner inviò un rapporto sulla sua prima inoculazione di vaiolo bovino alla Royal Society; tuttavia la relazione, An inquiry into natural history disease known in Gloucestershire as the cowpox, fu restituita al suo autore senza che ne fosse stata data lettura ai membri della Società. Jenner non rimase eccessivamente turbato da questo rifiuto e perseverò nelle sue ricerche; nel 1798 pubblicò i risultati di altri ventitré casi di inoculazione di vaiolo bovino, chiamata in seguito vaccinazione, con un termine coniato nel 1800 dal medico svizzero Louis Odier (1748-1817), per distinguere la fonte da cui era prelevato il materiale infettante. L'opuscolo di settantacinque pagine, intitolato An inquiry into the causes and effects of the variolae vaccinae, fu pubblicato a spese dell'autore, che non riuscì a trovare un editore disposto a stamparlo; entro poche settimane dalla sua pubblicazione, però, il libro procurò a Jenner la protezione del re, provocando caute reazioni tra i medici e la gelosa ostilità degli inoculatori.
Contro la vaccinazione furono rivolte critiche analoghe a quelle sollevate dall'inoculazione, cui si aggiunse il timore che insieme al vaiolo gli individui vaccinati potessero assumere altre caratteristiche bovine. Tuttavia, il pericolo sempre incombente di epidemie finì per disperdere ogni opposizione e nel 1802 fu fondata a Londra la Royal Jennerian Society per la lotta contro il vaiolo. All'inizio del XIX sec. la vaccinazione iniziò a diffondersi, incontrando molto meno resistenze dell'inoculazione, e nel giro di pochi anni era ormai praticata in tutto il mondo.
Nella seconda metà del XVIII sec., l'influsso esercitato sia dal cosiddetto tournant des mentalités sia dall'assolutismo illuminato convinse le autorità politiche di alcuni Stati europei a fare un passo in avanti per migliorare il benessere della popolazione, adottando le misure necessarie a combattere le malattie epidemiche. Il problema più urgente era quello di favorire la creazione di condizioni di vita e di lavoro più salubri, in base al principio secondo cui il primo dovere di uno Stato era quello di assicurare ai sudditi il più alto livello di benessere e di sicurezza possibile. In concreto ciascun governante interpretava a modo suo questo programma e decideva, con l'aiuto dei suoi consiglieri, come raggiungere l'obiettivo. Gli obblighi del sovrano verso i propri sudditi erano rappresentati in modo analogo a quelli di un padre verso i suoi figli. Inoltre, dato che l'autorità dei monarchi era fondata sul diritto divino, essi erano tenuti a comportarsi con i sudditi con la stessa benevolenza dimostrata da Dio nei confronti dell'umanità. Perfino il più illuminato dei principi, tuttavia, si raffigurava il suo popolo come un soggetto passivo della benigna sollecitudine del governo, che si esprimeva nella consultazione degli esperti e nell'adozione delle misure ritenute più opportune. L'idea di domandare ai propri sudditi di cosa avessero bisogno, o quali aspetti della loro esistenza avrebbero voluto migliorare, era del tutto estranea alla filosofia dell'assolutismo illuminato.
Le normative volte a migliorare le condizioni di vita del popolo suscitarono in molti casi le proteste delle classi privilegiate, che scorgevano in esse una limitazione della propria libertà d'azione. Soltanto dopo il ripetersi di rivolte popolari l'idea della necessità di una consultazione delle parti interessate iniziò lentamente a farsi strada nella mente dei responsabili delle politiche governative. Sarebbe tuttavia sbagliato considerare i sovrani illuminati come freddi o gretti calcolatori, disposti a elargire concessioni solo in vista di un possibile accrescimento delle entrate dello Stato. In molti casi, il loro desiderio di migliorare le condizioni di vita dei propri sudditi era sincero. Il numero di persone prive di educazione, e pertanto incapaci di decidere da sole quali azioni intraprendere per migliorare la propria salute e il proprio benessere, era così elevato da rendere indispensabile l'intervento di una guida autorevole. È vero che le regole di igiene fondamentali, note sin dall'Antichità, erano state descritte in diversi articoli dell'Encyclopédie e divulgate dalle opere di medicina domestica, fornendo così a una minoranza istruita alcuni preziosi suggerimenti per proteggere la propria salute, ma perfino questa minoranza era quasi del tutto indifesa di fronte all'inquinamento dell'aria o dell'acqua o ad altre conseguenze nocive della civiltà. Solo lo Stato possedeva i mezzi per regolare lo svolgimento e l'ubicazione delle attività produttive e per vigilare sull'applicazione delle norme volte a migliorare le condizioni sanitarie dei luoghi di vita e di lavoro. Tra i fattori che contribuirono all'adozione di programmi di bonifica dell'ambiente urbano vi fu probabilmente anche la diffusione delle idee rousseauiane sugli effetti degradanti della vita sociale. L'intento principale dei fautori della medicina di Stato era quello di aumentare il numero e la forza dei sudditi, per favorire lo sviluppo economico e militare della nazione. Nell'approccio a tale problema si manifestarono due tendenze principali: la prima, puntava ad accrescere il numero dei nati vivi mediante misure come la creazione di incentivi finanziari per incoraggiare i matrimoni precoci, la protezione delle donne incinte, attraverso una specifica normativa del lavoro, e la formazione di levatrici più preparate, con l'istituzione di apposite scuole di ostetricia; l'altra tendenza mirava invece ad allungare la vita media attraverso il controllo della qualità dei cibi e delle bevande, l'aumento della fornitura di acqua potabile, la distribuzione gratuita di medicinali durante le epidemie e la rimozione dei rifiuti e degli escrementi dalle strade. In seguito, i fautori della politica di igiene pubblica preferirono migliorare le condizioni di vita individuali attraverso l'adozione di misure generali di protezione ambientale. Anche lo Stato se ne sarebbe in ultima analisi avvantaggiato, in quanto si sperava in tal modo di diminuire il numero di persone afflitte da infermità fisiche e mentali e conseguentemente bisognose di assistenza pubblica.
A prescindere dalle sue motivazioni, la medicina di Stato nacque e si sviluppò in stretta connessione con l'avvento dell'assolutismo. In Francia, in concomitanza con la politica mercantilistica di Colbert, furono stabilite norme per combattere la mendicità, il pauperismo e il vagabondaggio. Furono fondate o sviluppate le istituzioni caritatevoli che, come gli Hôpitaux généraux o gli Hôtels-Dieu, avevano il compito di ospitare, curare e dare lavoro ai bisognosi; tuttavia, verso la fine del secolo queste misure si dimostrarono inadeguate di fronte al crescente malessere sociale causato dalla mancanza di cibo e di lavoro. Solamente una riforma integrale degli strumenti utilizzati fino a quel momento, o un drastico mutamento di politica economica, avrebbe potuto impedire l'ulteriore degrado delle condizioni di vita del popolo francese. L'appello a favore di una svolta riformista lanciato una prima volta dagli encyclopédistes e dai philosophes, che avevano sottolineato la necessità di adeguare le istituzioni del passato ai bisogni del presente, fu ripreso all'epoca della Rivoluzione dal gruppo degli idéologues, di cui faceva parte il medico Cabanis. A quel tempo, appariva ormai chiaro che l'unico modo di risolvere il problema della povertà, legato alle pessime condizioni sanitarie e alla mancanza di lavoro, era cambiare l'organizzazione sociale. Cabanis, partendo dal presupposto, allora generalmente condiviso, secondo cui gli individui erano vittime delle forze degenerative determinate dalle condizioni in cui vivevano, propose un programma di riforme volto a migliorare l'habitat materiale e spirituale degli abitanti delle città e delle campagne.
In un saggio intitolato Quelques principes et quelques vues sur les secours publics, scritto all'inizio degli anni Novanta e pubblicato nel 1803, Cabanis descrisse il suo progetto di riforma degli interventi assistenziali dello Stato. In primo luogo, l'assistenza pubblica avrebbe dovuto essere nettamente distinta dal vecchio sistema delle elemosine. L'aiuto fornito ai poveri avrebbe dovuto stimolarne lo spirito di iniziativa e la capacità di recuperare l'indipendenza economica, l'autosufficienza e la stima di sé. Inoltre era necessario il rispetto delle norme di igiene pubblica e privata, dato che per lavorare era indispensabile essere sani. Nel frattempo, Cabanis andava elaborando le sue teorie sui modi migliori per arrestare la 'degenerazione' della razza umana, attraverso la riforma della società. Nei Rapports du physique et du moral (1798 e 1802), egli combinò la nozione dei non-naturali (aria, cibi e bevande, moto e riposo, sonno e veglia, evacuazione e ritenzione, e le passioni dell'anima), ripresa dall'antica medicina greca, con il sensismo di John Locke (1632-1704) ed Étienne Bonnot de Condillac (1714-1780), per elaborare un sistema mirante alla realizzazione di un'umanità perfetta. Cabanis proponeva di modificare, correggere e migliorare gli strumenti forniti all'uomo dalla Natura e di sviluppare le facoltà umane mediante l'adozione di un costume di vita adeguato, allo scopo di ripristinare e addirittura rafforzare l'inclinazione alla socialità, aprendo in tal modo la strada a un progresso duraturo dell'umanità.
In un altro paese dell'area francofona, ma al di fuori della sfera di influenza politica della Francia, e all'incirca negli stessi anni in cui Cabanis scriveva le sue opere, Tissot, di cui abbiamo già parlato in riferimento ai suoi libri sulla salute degli individui appartenenti a gruppi specifici della popolazione, cominciò a interessarsi dei problemi relativi alla politica sanitaria. Nel 1787 fu fondato a Losanna un Collège de Médecine, di cui Tissot fu nominato vicepresidente, mentre presidente era il balivo di Berna. Il Collège aveva come compito principale quello di esaminare e abilitare il personale medico operante nel Cantone di Vaud, allo scopo di limitare l'attività dei ciarlatani e migliorare così la salute pubblica. Tuttavia, secondo Tissot non era sufficiente garantire la qualità dell'assistenza medica, ma era principalmente necessario migliorare le istituzioni incaricate della diffusione e dell'applicazione dei diversi metodi curativi.
Durante la sua esperienza di medico dei poveri, agli inizi della carriera, egli aveva infatti notato come in molti casi la gente si ammalasse perché era troppo povera per potersi procurare un nutrimento e un alloggio adeguati. Aveva inoltre osservato come anche la salute delle persone facoltose fosse danneggiata dall'inquinamento ambientale. Considerando che la società è un aggregato di individui e una città è composta dai suoi stessi abitanti, Tissot individuò una serie di misure preventive, volte a incrementare la salute pubblica e basate sui noti precetti di Ippocrate relativi all'igiene privata, tornati in voga durante l'Illuminismo a causa dell'ammirazione per l'Antichità tipica di questo periodo.
In un manoscritto trovato tra le sue carte private, attualmente conservato presso la Biblioteca cantonale e universitaria di Losanna e intitolato, significativamente, De la médecine civile, Tissot descrisse una serie di misure concepite per garantire la salute pubblica di una città e dei suoi abitanti. L'opera, come i Rapports di Cabanis, si proponeva di promuovere la creazione di un habitat in grado di favorire non solo la salute fisica, ma anche la sanità mentale dei suoi abitanti. Tissot si servì dell'esempio delle passioni dell'anima per sostenere la necessità di proibire i rumori e gli odori molesti, in nome del diritto di ciascuno di vivere e di godersi l'esistenza, esplicando al massimo le proprie abilità e capacità personali, in un ambiente amabile e raffinato, civile e civilizzato.
Il lavoro di Tissot era basato sui principî di un umanesimo sociale di origine calvinista, più che sull'anelito rivoluzionario di Cabanis e degli altri idéologues. Sotto la voce 'aria', erano elencati e illustrati i mezzi per migliorare la qualità dell'aria nelle strade ma anche nelle case private, nelle officine, nelle scuole, nelle chiese e in qualunque edificio, pubblico o privato. Nel capitolo dedicato a cibi e bevande si analizzavano non solo la qualità delle vettovaglie, ma anche i loro costi in rapporto alla paga media di un lavoratore. Era inoltre affrontato il problema dell'approvvigionamento idrico delle diverse comunità, tenendo presente sia la necessità di bere e di lavarsi, sia gli usi collettivi dell'acqua, come la pulizia delle strade o lo spegnimento degli incendi. Tissot sottolineava anche l'importanza della manutenzione e del miglioramento delle vie di comunicazione (ponti, strade), e dell'illuminazione stradale, allo scopo di alleviare le difficoltà dei cittadini e prevenire gli incidenti. Consapevole del processo di trasformazione delle prigioni da luoghi di pena a case di correzione dei condannati, l'autore affrontava anche il problema delle condizioni igieniche dei penitenziari, che era necessario risanare in primo luogo per la salute dei prigionieri, ma anche per quella della collettività, dato che le carceri costituivano spesso dei pericolosi focolai di infezione. Se la sua posizione di vicepresidente del Collège de Médecine consentì a Tissot d'introdurre alcune importanti riforme nel processo di selezione del personale medico, i suoi suggerimenti per il miglioramento della salute pubblica rimasero invece sepolti nei cassetti della sua scrivania, per essere riscoperti solo molti anni dopo come un brillante esempio del lato migliore dell'Illuminismo.
In Germania, nell'Impero asburgico e in Russia, gli esponenti del cameralismo non si limitarono a combattere i sintomi della povertà, ma estesero il proprio campo d'azione all'intero spettro delle attività umane, nel tentativo di estirpare le cause stesse dell'indigenza. Sfortunatamente, per descrivere il complesso di norme volte a favorire il progresso sanitario, ma anche industriale e finanziario, delle nazioni, i cameralisti si servirono del termine tedesco Polizey, che nel nostro secolo ha assunto il significato dell'italiano 'polizia', mentre inizialmente significava piuttosto 'politica'; il termine oggi fa pensare alla repressione, soprattutto se riferito a contesti quali la Germania nazista o la Russia stalinista, tuttavia non era così nel XVIII sec., quando non aveva ancora assunto un significato repressivo, ma era spesso usato per designare le norme volte a favorire il progresso, vincere l'inerzia o combattere i privilegi di alcuni gruppi, aumentare la produzione e il commercio e migliorare le condizioni sanitarie e ambientali della nazione. Isolati dal loro contesto storico, i termini 'polizia' e 'disciplina' (come nel caso delle case di lavoro per indigenti) divennero con il tempo gli emblemi stessi del dispotismo assoluto e il simbolo dell'aspetto peggiore dell'Illuminismo, sicché è spesso sfuggito che l'esigenza di un'efficiente polizia dello Stato si riferiva a una sua più attenta gestione, cioè a una tecnocrazia, o governo degli esperti, senza un immediato riferimento al momento repressivo.
In primo luogo, come si è detto, furono applicate agli eserciti e alle marine misure sanitarie volte a diminuire il tasso di mortalità o di morbilità delle malattie epidemiche; in seguito, tali misure furono estese allo scopo di migliorare lo stato di salute di soldati e marinai; disporre di uomini più sani, infatti, voleva dire disporre di migliori combattenti. Da qui all'adozione di misure di igiene pubblica volte a migliorare la salute e il benessere dell'intera popolazione c'era solo un passo da compiere, piccolo ma molto importante. In molte università furono istituiti corsi di 'igiene', che avevano lo scopo sia di istruire i medici sulla complessa materia della salvaguardia della salute privata, per renderli in grado di fornire le giuste indicazioni ai propri pazienti, sia di preparare i funzionari pubblici al compito di proteggere con adeguate misure la popolazione di fronte a calamità o avversità di ogni genere.
Durante gli anni Cinquanta del XVIII sec., Heinrich Gottlob von Justi (1717-1771) insegnò Polizeywissenschaften, ossia scienza dell'amministrazione, al Collegium Theresianum di Vienna, una scuola che aveva lo scopo di formare i funzionari pubblici. Un corso analogo era tenuto all'Università di Vienna da Joseph von Sonnenfels (1732-1817), che pubblicò Grundsätze der Polizey, Handlung und Finanz (Principî fondamentali della politica, azione e finanze, 1765), il cui quinto capitolo è dedicato a specifiche questioni di politica sanitaria. Il System einer vollständigen medizinischen Polizey, un'opera in sei volumi con l'aggiunta di tre supplementi, che fu pubblicata dal 1779 al 1819 da Johann Peter Frank (1745-1821), costituì un compendio di tutta la letteratura sulla scienza dell'amministrazione pubblicata fino ad allora in Germania.
Frank, che svolse una brillante carriera come consigliere sanitario di molti sovrani e professore di clinica medica, condivideva con Jean-Jacques Rousseau l'aspirazione a curare i mali della civiltà; come Rousseau, tuttavia, oggi frequentemente accusato di aver favorito il sorgere del totalitarismo con le sue opinioni politiche, anche Frank è spesso criticato per i sottintesi autoritari o repressivi che affiorano nei suoi scritti di politica sanitaria. La sua opera maggiore si apre con un'analisi del pauperismo e dei suoi legami con le implicazioni sociali della salute e della malattia, cui segue la proposta di correggere i rapporti sociali mediante una serie di provvedimenti sanitari che miravano ad alleviare i disagi della povertà. Anche se Frank si mostra perfettamente in sintonia con l'assolutismo illuminato dei sovrani che lo avevano interpellato, si rimane affascinati dalla sua capacità di servirsi del sistema per denunciare i frequenti abusi e suggerire la condanna dei responsabili. Ma il suo intento riformatore, espresso spesso in modo sottilmente velato per sfuggire alle maglie della censura, fu mal interpretato e in seguito Frank fu accusato di aver avuto a cuore il rafforzamento dello Stato, piuttosto che la salute dei cittadini.
È sufficiente tuttavia consultare l'indice della sua opera maggiore per rendersi conto del fatto che il suo scopo era quello di proteggere la popolazione dagli abusi dell'economia di mercato, incrementando al tempo stesso la produttività generale. Frank inizia infatti affrontando i problemi della gravidanza e della protezione del feto, perché ‒ sostiene ‒ la salute di cui una persona godrà nel corso della vita dipende in gran parte dalle circostanze nelle quali essa è venuta al mondo. Passa poi a trattare del sostentamento, analizzando i danni causati alla salute dalla scarsità o dall'eccesso di nutrimento; affronta i problemi del vestiario, dell'alloggio, della pianificazione urbanistica, del tempo libero e dell'igiene dei luoghi in cui le persone lavorano, si divertono o riposano. Una particolare attenzione è dedicata alle cause di morte e ai modi in cui è possibile diminuirle o eliminarle mediante l'adozione di un'adeguata normativa.
Frank si è occupato anche delle morti causate da omicidio o suicidio, e in particolare di quelle che avevano alla base motivi di onore, come nel caso di duelli celebrati per lavare un'offesa o di suicidi compiuti per cancellare un disonore. Un altro problema da lui affrontato è poi quello della formazione e dell'abilitazione del personale medico, aspetti ai quali fu particolarmente sensibile dato il suo profondo coinvolgimento nell'attività di promozione dell'insegnamento clinico. Per questa minuziosa analisi di tutti gli aspetti della vita di un individuo Frank fu accusato di voler regolare la vita delle persone dalla culla alla tomba, come se gli individui o le società non avessero altra scelta se non quella di uniformarsi ai suoi saggi e benintenzionati consigli. Egli aveva però validi motivi per farlo, poiché sapeva che qualsiasi proposta volta a migliorare l'azione di governo, per convincere le autorità della serietà del progetto, doveva essere esauriente e includere tutti gli aspetti della vita. L'opera di Frank può essere considerata un esempio di letteratura utopica volta alla riforma della società, attraverso un ragionamento ridotto infine all'assurdo, come nelle dimostrazioni matematiche.
I medici europei del XVIII sec. erano in genere molto interessati ai programmi di salute pubblica, e nelle facoltà di medicina si tenevano corsi regolari di igiene, basati sui testi dell'antica Grecia. L'adeguamento delle norme igieniche tradizionali alle necessità della politica sanitaria non fu opera di Frank o di Tissot, ma fu realizzato da altri: Andrew Duncan (1744-1828), per esempio, che teneva un corso sulla Medical police all'Università di Edimburgo, pubblicò nel 1801 un riassunto e una tavola dei contenuti delle sue lezioni, intitolati Heads of lectures on medical police. Il materiale era organizzato intorno ai non-naturali (aria, acqua, cibo, bevande, fuoco, luce, esercizio, educazione fisica, prevenzione dei contagi, prigioni, ospedali, ospizi e cimiteri) e vi si affermava che la 'polizia medica' era stata studiata particolarmente a fondo in Germania, dove ciò che è chiamato 'medicina di Stato', comprende tutti i tipi di assistenza che la Scienza della medicina può fornire, non solo per il bene degli individui, ma per quello dell'intera nazione.
Duncan si preoccupò inoltre di specificare chiaramente che la polizia medica era cosa ben diversa dalla medicina legale. All'inizio del XIX sec., infatti, la parola 'polizia' aveva già assunto un significato più giudiziario che medico ed egli si sforzava di separare le due cose, insistendo sul fatto che la polizia medica era forse la branca più importante della polizia generale, perché si estendeva all'intera popolazione e riguardava in particolare la felicità di coloro ai quali la fortuna aveva elargito i suoi doni con minore generosità. Di conseguenza, per la protezione e il benessere dei poveri, in ogni saggia legislatura molti dei suoi principî avevano assunto la forza di leggi. Agli occhi di Duncan, nel clima più liberale della Scozia, gli interventi dello Stato nel campo della medicina apparivano atti liberatori e la salute diveniva diritto naturale.
Passando dalla lotta alle epidemie e dalla prevenzione dei contagi alla protezione e al miglioramento della salute pubblica, la medicina di Stato indirizzò gradualmente i propri sforzi dall'individuazione dei sintomi a quella delle cause delle malattie. Le condizioni epidemiche e i miasmi si rivelarono sensibili alle misure adottate per combatterli. Con l'avvento dell'inoculazione e della vaccinazione antivaiolosa, divennero finalmente disponibili validi strumenti di prevenzione delle epidemie. Di conseguenza, questa possibilità di prevenzione stimolò la ricerca di altre; e con il ritorno dell'interesse per la medicina antica, crebbe anche l'attenzione per l'igiene, dapprima per quella privata, poi per quella pubblica. Nel complesso, il paternalismo illuminato degli Stati assolutisti incoraggiò l'adozione di specifiche normative, dettate dal desiderio di migliorare la salute dei cittadini e al tempo stesso di riempire i forzieri reali.