L'Eta dei Lumi: le scienze della vita. Le specie, il tempo, la storia
Le specie, il tempo, la storia
Nel XVIII sec. i problemi di classificazione e di ordinamento di forme polarizzarono soltanto in parte la ricerca nelle scienze della vita; le questioni di forma, funzione, sviluppo, e le proprietà dinamiche degli esseri viventi, che erano state a lungo oggetto di studio della filosofia naturale e della medicina, assunsero un significato nuovo in quanto cominciarono a essere considerate in rapporto all'origine dei viventi e alla loro relazione con la storia generale della Terra. Fondamentale a tale proposito fu la sintesi che si raggiunse verso la metà del secolo e che rispecchiava gli sforzi teorici dei lavori, pubblicati postumi, di Gottfried Leibniz (1646-1716) e Benoît de Maillet (1656-1738), e dei principali trattati del naturalista francese Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon (1707-1788).
Queste prime riflessioni moderne su argomenti quali la funzione biologica generale, il concetto di specie, la storia della Terra e la storia della vita, nel corso del XVIII sec. furono unificate in modo da trasformare profondamente le discussioni scientifiche dei periodi successivi. Allo stesso tempo, esse posero i quesiti fondamentali con cui si confrontarono i naturalisti del XIX secolo. Alla luce della ricostruzione storiografica emergono diverse linee di continuità storica e si descrive come le indagini scientifiche relative alla classificazione e alla funzione, considerate come specifici campi di studio, nel Settecento ebbero uno sviluppo contemporaneo pur essendo portate avanti da gruppi e tradizioni di ricerca diversi che soltanto occasionalmente si sovrapposero.
Durante l'età dell'Illuminismo gli studiosi di storia naturale e i filosofi naturali indagarono le origini delle forme viventi in rapporto alla storia della Terra in un modo che era, in gran parte, una risposta alle tradizioni ereditate dal XVII sec.; tradizioni che erano ormai entrate in contatto con le nuove ricerche empiriche, gli studi sul campo, l'arricchimento delle collezioni di storia naturale e le nuove informazioni derivanti dalla continua esplorazione dell'Africa, del nuovo mondo e dei mari del Sud. Questo nuovo contesto di discussione, caratteristico del XVIII sec., offrì lo spunto per una rielaborazione di numerosi problemi scientifici da parte di accademici, medici, teologi e di chiunque fosse interessato alle questioni teoriche riguardanti le scienze della vita.
Un argomento teorico di grande importanza fu quello relativo alla generazione degli organismi: esso, oltre ad avere una evidente rilevanza medica, implicava anche una considerazione degli esseri viventi in relazione ai concetti di temporalità e di contingenza, ed era inoltre strettamente connesso alla questione di come le specie si fossero originate. Per spiegare la generazione del singolo organismo occorreva considerare le modalità secondo le quali la materia informe potesse acquisire, mediante un processo temporale, forma, struttura e funzione. Com'è noto, il problema era stato trattato fin dall'Antichità, a partire dall'analisi approfondita contenuta nel De generatione animalium di Aristotele (stampato nel 1513 nelle edizioni aldine di Venezia); erano state indicate e descritte perfino le modalità per uno studio empirico, basato sull'osservazione di uova di gallina fecondate ed esaminate in momenti successivi di sviluppo. Nella filosofia della Natura di Aristotele, la questione della generazione aveva anche valenze metafisiche importanti in quanto riguardava le origini della "sostanza sensibile", e il problema della riproduzione era analizzato secondo una concezione ilemorfica della sostanza, attribuendo ruoli separati al maschio e alla femmina nella trasmissione di materia e forma. La forma (eĩdos) agiva anche come causa formale, efficiente e finale di organizzazione; e quest'analisi si estendeva anche alle piante e agli organismi che si ritenevano originati per generazione spontanea (per opera del pneũma presente nel suolo: De generatione animalium, III, 762a 20-b25).
La stretta relazione tra forma (eĩdos) e materia (hile) nella teoria aristotelica della generazione rendeva ancora più complesso il dibattito sul concetto di 'specie' organica. Da una parte, eĩdos indica la forma sostanziale che, insieme alla materia, costituisce il singolo essere vivente, e che ‒ concepita come anima (psychḗ) nei trattati di biologia ‒ si trasmette di generazione in generazione formando una linea di discendenza che si perpetua in eterno (per es., De anima, II, 412a 20; 414b 1-10). D'altra parte, però, secondo quanto si legge nell'Organon, eĩdos può anche riferirsi a 'specie', intesa come l'elemento universale della predicazione che Aristotele chiama sostanza "seconda"; in questo senso rappresenta una suddivisione del génos nel tentativo di giungere a una definizione essenziale. In quanto universale, eĩdos è il predicato universale che ha minore estensione (Categoriae, V, 2a 10-2b 35).
Negli scritti di Aristotele, la relazione tra questi due significati del termine eĩdos è molto stretta ed è connessa al realismo aristotelico secondo il quale l'esperienza sensibile del particolare è altrettanto conoscibile quanto l'universale nel pensiero. In ogni caso, tuttavia, per analizzare il concetto di 'specie' nel contesto dell'Età moderna occorre distinguere con chiarezza i due significati del termine nella tradizione aristotelica. In riferimento alla seconda accezione, si potrebbe pensare di ordinare le forme in specie e generi, ma non di ipotizzare una 'genesi', 'origine' o 'immortalità' della specie. Secondo quanto si legge in alcuni passaggi del De anima, infatti, l'immortalità dell'eĩdos, resa possibile dal succedersi di generazioni, si riferisce alla specie intesa come forma, e non come categoria di classificazione.
La riforma sistematica della filosofia e della filosofia della Natura avviata da Descartes nel Discours de la méthode e negli Essais del 1637, cui seguirono a breve distanza le riflessioni metafisiche delle Meditationes, nel 1641, e la sintesi innovativa di filosofia della Natura, metafisica ed epistemologia, contenuta nei Principia philosophiae del 1644, offrirono ai filosofi naturali del XVII sec. il contesto per un nuovo sistema della Natura. A differenza delle concezioni atomistiche che si riallacciavano alla tradizione epicurea recentemente riscoperta, il metodo sistematico cartesiano si presentava come il filo di Arianna con cui districarsi nel dedalo di opinioni e concezioni tra loro contrastanti che dividevano il pensiero filosofico naturale del primo Settecento.
Nell'esposizione della filosofia della Natura contenuta nelle ultime due parti dei Principia (suddivisi in quattro parti), Descartes descrive in forma schematica l'origine del Sistema solare e la formazione della Terra a partire da una stella in via di raffreddamento "che all'inizio era […] come il Sole, costituita esclusivamente dalla materia del primo elemento" (IV, 2). Da questa origine stellare in un grande vortice celeste, la Terra poi si consolidò in una serie di strati costituiti da componenti di diversa densità delle tre forme cartesiane della materia. In seguito al successivo processo di riscaldamento del Sole e di rarefazione e condensazione dell'atmosfera, si generò un movimento di materiale dall'interno verso l'esterno della Terra che diede luogo alla formazione di voragini in profondità e di spaccature sulla superficie del globo. Le irregolarità della crosta terrestre prodotte da questi eventi, insieme a successivi spostamenti e sprofondamenti superficiali, portarono alla formazione di montagne, vallate, oceani e pianure. Esponendo queste ipotesi e ammettendo la possibilità che fossero false, Descartes introdusse un modo controfattuale di ragionamento nelle discussioni successive sulla storia del mondo che avrebbe permesso di evitare la censura qualora fossero state attaccate perché in disaccordo con le narrazioni della Bibbia.
Le speculazioni cartesiane, sebbene propriamente definite 'genetiche' piuttosto che 'storiche' nell'accezione moderna del termine (Oldroyd 1979), costituirono le basi per le spiegazioni storiche che in seguito furono sviluppate a partire da una lettura realistica della cosmologia cartesiana in accordo con le narrazioni bibliche della Genesi. A dare inizio a questa tradizione fu il filosofo naturale e fisiologo danese Niels Steensen (Stenone, 1638-1686), con l'opera intitolata De solido intra solidum naturaliter contento dissertationis prodromus del 1669, nella quale forniva una spiegazione naturalistica della formazione dei contorni della Toscana, se non addirittura della Terra stessa, in seguito all'azione di violente conflagrazioni, del diluvio universale e della frattura della crosta terrestre; in essa sosteneva inoltre che tale spiegazione si poteva conciliare con le Sacre Scritture e con le "Leggi della Natura". Gran parte del trattato è dedicata alla difesa dell'affermazione secondo la quale i fossili reperiti negli strati terrestri, anche molto lontano dagli oceani, altro non erano che gli autentici resti organici di creature di epoche precedenti che avrebbero potuto avere dimensioni molto maggiori rispetto ai loro discendenti moderni (Rudwick 1972).
Sviluppando l'interpretazione cartesiana dell'origine del mondo, l'opera di Thomas Burnet (1635-1715) segnò una tappa fondamentale nella storia del pensiero scientifico. Nel trattato Telluris theoria sacra (1681-1689, l'edizione inglese è datata 1684-1690), egli tentò infatti di creare un legame tra l'ipotesi sulla genesi della Terra di derivazione cartesiana (ritenendola però originata da un caos primordiale anziché da una stella in via di raffreddamento) e la teoria del creazionismo biblico, sostenendo che una formazione graduale del globo terrestre si potesse interpretare nei termini di un'autentica sequenza di eventi storici a partire da una Creazione originaria paradisiaca. Le discussioni generate dalla cosiddetta 'controversia di Burnet' diedero poi origine ad altre spiegazioni realistiche della storia terrestre, tra le quali ricordiamo quella di William Whiston (1667-1752) e quella di John Woodward (1665-1728). Tali interpretazioni fecero sì che le questioni dell'origine e della formazione storica della Terra, che nell'insieme costituirono in seguito la cosiddetta 'teoria della Terra', diventassero oggetto di studio per numerosi filosofi naturali di orientamento diverso (Rossi 1979).
Una lacuna evidente nell'opera di Descartes, di Steensen e di Burnet, è rappresentata dalla mancanza di qualsiasi spiegazione naturalistica riguardante l'origine degli esseri viventi. In assenza dei necessari esperimenti, Descartes accantonò il problema spostando la discussione dalle proprietà fisiche della materia al funzionamento dei sensi nell'uomo. Questo vuoto nel sistema cartesiano non fu colmato dalla pubblicazione postuma del suo principale trattato di fisiologia, L'homme, pubblicato in traduzione latina (De homine) nel 1662 e nell'originale francese nel 1664 con in più un'appendice sulla formazione del feto, secondo il quale la generazione sessuale si poteva spiegare in base alle leggi del moto e alla teoria dei vortici, che avrebbero agito su una mescolanza di semina maschili e femminili. Questa spiegazione fu in realtà accolta con scherno; tuttavia, essa contribuì a mettere in luce il problema dell'integrazione degli esseri viventi nella nuova concezione filosofica meccanicistica.
La lacuna nella filosofia meccanicistica cartesiana fu superata dalla formulazione della teoria della 'preesistenza dei germi', che risolveva il problema facendo risalire l'origine del singolo organismo al momento della Creazione originaria del mondo (preformismo) in forma sia di embrioni, contenuti nello sperma o nell'uovo e incapsulati gli uni negli altri (la teoria dell'emboîtement des germes o degli 'inviluppi'), sia di semi creati in origine da Dio e poi dispersi nel mondo (secondo la teoria della panspermia). L'ampio consenso con cui fu accolta questa teoria nella letteratura medica e filosofica del primo XVIII sec. ebbe numerose ripercussioni sulla rielaborazione successiva del problema dell'origine delle specie. La teoria della preesistenza, infatti, risolveva d'un tratto sia la questione della generazione individuale sia quella dell'origine delle specie: in entrambi i casi, l'origine era attribuita a un singolo atto di Creazione divina e, nelle diverse forme 'occasionaliste', tutta la causalità organica era rimessa in questo modo alla volontà divina.
Tale concezione, collocando i generi naturali in uno schema rigido determinato da un singolo atto di Creazione divina, conferiva alle specie come 'linee di discendenza' organiche un grado di fissità che era estraneo alla tradizione precedente. L'atto creativo, oltre alla forma di ciascuna specie, determinava una volta per sempre anche quella di tutti gli individui che l'avrebbero costituita nel corso della storia. In tal modo la specie come forma era veramente dissociata da qualunque relazione stretta con i mutamenti delle circostanze storiche. La linea di discendenza della specie era perciò eterna, avulsa perfino dalla temporalità insita nel susseguirsi di generazioni simili che perpetuava l'eĩdos nella tradizione di Aristotele.
Sebbene la teoria della preesistenza nelle sue varianti (l'ovismo, il vermismo, la panspermia) sia stata accolta con grande consenso dal mondo accademico dei filosofi naturali, da eminenti microscopisti e da studiosi di medicina teorica, ciò tuttavia non impedì che si affermassero anche altre teorie, che furono oggetto delle discussioni che animarono i dibattiti nel mondo scientifico europeo nel tardo XVII sec. e all'inizio del XVIII con particolare riferimento alla questione dell'origine delle specie. Queste teorie alternative rappresentavano concezioni nuove della formazione dell'individuo, della storia della Terra e della sopravvivenza delle specie ed erano strettamente legate all'accettazione di nuove forze e poteri attivi della materia, intrinseci o acquisiti, in una forma che superava i confini della tradizione meccanicistica. In relazione alle riflessioni scientifiche del XVIII sec., un ruolo significativo fu svolto dall'approfondimento di tali problematiche da parte di Ralph Cudworth (1617-1688), il quale nel 1678 espose nel True intellectual system of the universe la sua teoria della "Natura plastica" che agiva interponendosi tra Dio e la materia. Questo potere plastico era considerato responsabile della formazione degli esseri viventi e di altri fenomeni vitali. Verso la fine del XVII sec. la necessità di un'analoga forza attiva (o potere) per spiegare i fenomeni vitali fu riconosciuta anche da altri autorevoli filosofi naturali, tra i quali John Ray, della Royal Society, e Nehemiah Grew. La teoria di Cudworth fu esposta in maniera particolareggiata e autorevole in lingua francese per opera dell'editore Jean Leclerc (1657-1736), nella sua Bibliothèque choisie, tra il 1703 e il 1706; in tal modo la concezione di una Natura plastica e dinamica fu introdotta nel mondo scientifico del Continente come l'alternativa più attendibile alle spiegazioni meccanicistiche e servì a stimolare importanti dibattiti sull'adeguatezza del meccanicismo cartesiano nelle scienze della vita (Roger 1993).
Queste ipotesi antimeccanicistiche assunsero in seguito una posizione di preminenza nella biologia vitalistica che, nata dalla confluenza di tradizioni di origine diversa, si affermò a partire dagli anni Sessanta e Settanta. Ulteriori contributi in senso antimeccanicistico furono apportati, nel tardo XVII sec. e all'inizio del XVIII, da Johann Becher e dal suo discepolo Georg Ernst Stahl, i quali, ricollegandosi alla tradizione di Paracelso e van Helmont, svilupparono una teoria metallurgica, mineraria e chimica basata sulla concezione di una forza attiva insita nella materia, che spiegava la formazione dei minerali, dei cristalli e delle reazioni chimiche (Oldroyd 1996).
Il significato dei minerali somiglianti ad animali e piante esistenti (o a parti di essi), rinvenuti negli strati della crosta terrestre, spesso in luoghi insoliti quali la cima di montagne o le profondità della Terra, fu uno degli enigmi ricorrenti nelle indagini scientifiche all'inizio dell'era moderna. Steensen, nel Prodromus del 1669, giunse alla conclusione che queste "pietre figurate" fossero in realtà resti organici che non potevano essere stati prodotti da processi naturali simili a quelli che avevano formato i cristalli; e a partire da questa affermazione si svilupparono le successive discussioni sull'argomento. Più o meno nello stesso periodo, fra i membri della Royal Society di Londra sorse una controversia sulle origini e il significato dei fossili, che coinvolse Robert Hooke, John Ray, Martin Lister ed Edward Lhwyd in una discussione circa la loro natura organica (Haber 1959; Rudwick 1972; Rossi 1979). Secondo la teoria esposta da Hooke in una conferenza tenuta alla Royal Society nel 1668, i terremoti potevano essere un'alternativa al diluvio biblico nonché la causa principale della ubicazione dei fossili e della formazione dei contorni della crosta terrestre. Hooke sostenne inoltre che "in epoche passate esistevano diverse Species di creature ora perdute, nessuna delle quali è sopravvissuta sulla Terra" (Discourse on earthquakes, 1705, p. 435), ipotizzando in questo modo la possibilità che le specie si fossero estinte in momenti successivi alla loro creazione divina.
Nonostante l'opposizione di Ray, Lister e Lhwyd, la teoria dell'origine organica dei fossili fu sostenuta con autorevolezza dall'inglese John Woodward, medico e membro della Royal Society, il cui trattato, An essay toward a natural history of the earth (1695) consentì alla teoria di Steensen e Hooke di perdurare nel XVIII sec., prima tramite la traduzione in latino del 1704, poi con la nuova edizione in inglese del 1726 (insieme alle risposte dell'autore a Elias Camerarius, il suo critico più accanito). Quest'ultima edizione fu in seguito tradotta in francese (1735) e in italiano (1739). Secondo Woodward, i fossili erano veramente resti organici depositati, a seconda della loro densità, in strati differenti della crosta terrestre durante il diluvio universale. L'opera del medico inglese pose le basi per l'accettazione di una spiegazione organica di una serie sempre più ampia di fossili; essa tuttavia rimaneva completamente entro i limiti di una concezione del mondo teologica e provvidenzialistica: ricorrendo al diluvio biblico per spiegare la formazione delle rocce fossilifere, non proponeva un meccanicismo naturalistico che rendesse conto delle origini delle specie, né forniva una spiegazione della storia evolutiva del mondo in chiave cartesiana.
Le incertezze che circondavano la vera età del globo terrestre costituirono un argomento centrale nei dibattiti che vertevano sul significato dei fossili (Haber 1959). Nelle prime decadi del XVIII sec. i calcoli sull'età della Terra erano solitamente compresi entro un ordine di grandezza di diversi millenni; poche erano le ragioni, anche di natura laica, per pensare in termini diversi. Nonostante i concetti di tempo eterno e di spazio assoluto fossero diventati fondamentali nella filosofia naturale di Newton, per cui la Terra era collocata in un contesto spazio-temporale associato con l'eternità divina, tale immensità temporale non aveva alcuna relazione con la durata di singole entità all'interno di questo contesto. Per di più, non erano disponibili metodi empirici, universalmente accettati, per misurare l'età del mondo.
Nel complesso panorama intellettuale del primo Settecento mancava un ambito unitario di discussione delle problematiche in grado di delineare nuovi orizzonti di ricerca per i filosofi della Natura, a proposito della generazione degli organismi, dei fossili, della classificazione delle forme viventi, della funzione biologica e delle scoperte fatte al microscopio. Per quanto si possa parlare di tradizione newtoniana, cartesiana, leibniziana e gassendo-epicurea, intese come categorie della filosofia naturale del periodo, questi filoni di pensiero non riuscirono a unificare in un insieme coerente la ricerca delle scienze storico-naturali. Nella sua opera Opticks Newton rifiutò esplicitamente le ipotesi sulla 'costruzione del mondo' dei vari Descartes, Burnet e Whiston, accentuando, invece, l'importanza dell'analisi dei fenomeni empirici basata sui principî della meccanica atemporale; ciò spiega perché i suoi sostenitori esitassero a impegnarsi nello sviluppo di questi argomenti. L'opera di Leibniz, Protagaea, che conteneva la sua teoria sulla formazione del mondo e la spiegazione dei fossili, pur essendo stata tracciata a grandi linee in una pubblicazione periodica nel 1693, fu conosciuta in versione completa soltanto nel 1749, quando il manoscritto fu finalmente pubblicato a Gottinga.
La riscoperta dell'epicureismo nel XVII sec. e la sua rielaborazione sintetica in una filosofia della Natura coerente da parte di studiosi quali Pierre Gassendi (1592-1655) e Walter Charleton (1619-1707) diedero a quest'antica tradizione filosofica una nuova vitalità, accentuata dal successo dell'atomismo nella spiegazione di molti fenomeni empirici. Le speculazioni più ardite sulla formazione naturalistica del mondo e anche degli esseri viventi, sviluppate nell'opera di Lucrezio, De rerum natura, sono alla base dell'importante lavoro di Benoît de Maillet, Telliamed, ou Entretiens d'un philosophe indien avec un missionnaire français sur la diminution de la mer, la formation de la terre, l'origine de l'homme, &c., un'opera che, dopo essere circolata per venti anni in diverse versioni manoscritte, fu infine pubblicata ad Amsterdam nel 1748. Nel dialogo fontenelliano, l'autore estende notevolmente la scala temporale sia della storia terrestre sia di quella della civilizzazione umana, e afferma che la civiltà babilonese potrebbe risalire a 540.000 anni fa; è inoltre favorevole a una spiegazione organica dell'origine dei fossili. Nella "Terza Conversazione" introduce un modello di Universo eterno, che passa attraverso cicli cosmici di nascita e di rigenerazione, e specula su argomenti quali l'origine degli esseri umani da tritoni e sirene. Questo insieme di speculazione, naturalismo cartesiano ed epicureo, e dati geologici introdusse certamente, nel mondo intellettuale francese prima e in quello inglese dopo (l'opera fu tradotta in inglese nel 1750), la possibilità di un grande schema di sinte-si naturalistica; è difficile però affermare che esso abbia avuto un impatto rilevante nelle discussioni dei filosofi della Natura.
Dopo la metà del secolo, tuttavia, iniziò a delinearsi una unificazione di queste teorie destinata a modificare in modo significativo la storia della Terra e le scienze della vita nei periodi successivi. I punti fondamentali di questa sintesi erano i seguenti: (a) le spiegazioni laiche della storia della Terra e della storia della vita, di ispirazione principalmente cartesiana, tendevano a sostituire le spiegazioni basate sui racconti biblici; (b) sempre più diffusi erano l'accettazione della teoria delle origini organiche dei fossili e il rifiuto della teoria opposta sulla loro origine minerale; (c) si svilupparono ipotesi alternative alla 'fissità' delle specie, che stabilivano una connessione tra le specie organiche e le circostanze ambientali e storiche; in questo modo si ipotizzò la possibilità di cambiamenti storici delle specie; (d) la scala temporale ipotizzata per comprendere la storia del mondo naturale fu notevolmente prolungata.
La sintesi di queste problematiche non si raggiunse in modo lineare, né fu storicamente 'inevitabile'. Il tentativo più articolato di arrivare a tale unificazione, compiuto da Buffon negli anni Settanta, non significava che le sue opinioni fossero generalmente accettate, e in alcuni paesi, verso la metà del XIX sec., molti di questi argomenti erano ancora oggetto di dibattito. Esistevano, inoltre, ancora molte barriere di natura concettuale ed empirica nel modo di unificare le diverse problematiche. Molti fattori contingenti di ordine sociale, politico e culturale, così come l'organizzazione della ricerca scientifica in contesti diversi, devono essere considerati per avere un quadro completo del significato storico di queste discussioni, e un riesame delle questioni fondamentali dibattute negli anni tra il 1730 e 1740 verrà fatto prima di contestualizzare i tentativi di sintesi che videro la luce verso la metà del secolo.
La soluzione del problema della generazione degli animali, come si è detto, era strettamente connessa a quello dell'origine e della continuità delle specie; l'ampio consenso ricevuto dalla teoria della preesistenza ebbe dunque conseguenze importanti sulle scienze della Terra e della vita. In particolare, la panspermia, cioè l'ipotesi di una creazione primordiale di 'germi' preformati poi disseminati nel mondo, sembrava poter offrire una spiegazione apparentemente storica tanto dell'origine delle specie quanto dell'origine dei fossili dalla evoluzione di rationes seminales preformate presenti sulla Terra. La stessa teoria poteva anche essere utilizzata al fine di negare l'origine dei fossili da resti di precedenti forme viventi.
Per comprendere l'interazione tra i problemi geologici e quelli biologici nelle prime decadi del XVIII sec. è utile prendere in considerazione l'importante trattato del filosofo della Natura svizzero Louis Bourguet (1678-1748), che fu anche linguista, antiquario e, in seguito, professore di matematica e filosofia all'Università di Neuchâtel (1731-1748). L'opera Lettres philosophiques sur la formation des sels et des crystaux, et sur la génération et le méchanisme organique des plantes et des animaux, che presentava una lunga appendice sulla teoria della Terra, fu pubblicata ad Amsterdam nel 1729. Il testo, concepito in forma di epistolario e suddiviso in quattro lettere indirizzate all'amico Johann Scheuchzer, geologo e traduttore del trattato di Woodward in latino, affronta la questione dell'origine dei minerali e dei fossili e della generazione degli animali e delle piante riesaminando le teorie contemporanee sull'argomento; la lunga appendice, come si è detto, è dedicata alla storia della Terra e al problema della formazione dei contorni della crosta terrestre.
Nelle conclusioni sul problema della generazione, Bourguet afferma che la teoria dei germi preformati rappresenta l'ipotesi migliore e la contrappone alla teoria degli 'stampi' (moules), secondo la quale le forme adulte rappresenterebbero una specie di stampo sul quale si modellano nuove forme mediante un processo epigenetico, una teoria che aveva affinità con le soluzioni classiche aristoteliche. Bourguet inoltre rifiuta la teoria di Cudworth e Leclerc sulla natura plastica. Pur sostenendo la teoria dei germi preformati, si distacca nettamente dall'interpretazione occasionalistica del preformismo che riconduceva tutte le cause all'ordine divino. Anzi, la creazione divina dei germes ai primordi del mondo conferiva loro un potere intrinseco causale, che ricordava in qualche modo l'evoluzione dinamica delle monadi di Leibniz. Questa tesi, chiamata da Bourguet del méchanisme organique, attribuiva ai germi preformati sufficiente potere causale per consentire lo sviluppo, la crescita, la nutrizione e il movimento spontaneo dell'organismo.
Nell'opera di Bourguet non c'è il tentativo di collegare la teoria del 'meccanicismo organico' con la storia della Terra; nell'appendice però egli torna su argomenti che erano ormai diventati comuni: la possibilità di cambiamenti storici della Terra, le modificazioni indotte da inondazioni catastrofiche, le cause della formazione di minerali e cristalli, la spiegazione del luogo di ritrovamento dei fossili e la spiegazione causale degli attuali contorni della crosta terrestre. Per quanto riguarda la formazione dei sedimenti fossiliferi, Bourguet accetta l'ipotesi di Woodward secondo la quale i fossili avrebbero un'origine organica, sarebbero cioè i resti di organismi dispersi in modo differenziale, secondo la loro densità (pesanteur spécifique), in seguito all'inondazione biblica. La loro abbondanza, inoltre, starebbe a dimostrare che "il mondo antico era abitato almeno tanto quanto quello moderno" (Lettres philosophiques, p. 215). Le ipotesi di Bourguet possono essere confrontate in modo proficuo con quelle del naturalista svedese Linneo (Carl von Linné, 1707-1778), il quale espose in merito riflessioni autorevoli, oltre che nella sua opera sistematica, in una serie di conferenze e saggi pubblicati sotto il suo nome negli anni 1740-1780 e poi nei numerosi lavori eseguiti sotto la sua supervisione dai suoi studenti all'Università di Uppsala.
Il contributo più significativo al problema della relazione delle specie con i cambiamenti del mondo fisico è contenuto nel discorso tenuto da Linneo all'Accademia Svedese delle Scienze nel 1743, pubblicato nell'anno seguente con il titolo Oratio de telluris habitabilis incremento. Questo lavoro, stampato diverse volte in latino e tradotto in tedesco (1756, 1776), svedese (1776) e inglese (1781), si riallacciava alla cosmologia speculativa di Burnet e Descartes interpretata da Emanuel Swedenborg (1688-1772), che aveva fatto propri alcuni aspetti della cosmologia cartesiana nell'opera Principia rerum naturalium del 1734 (Frängsmyr 1983). Linneo avanzava un insieme di ipotesi ardite sulla storia degli esseri viventi in relazione all'evoluzione terrestre a partire dalla creazione della stupenda machina del mondo da parte del suo 'Artefice infinito'. Ipotizzava una creazione divina dei progenitori maschili e femminili (o ermafroditi) di ogni genere naturale, che sarebbe avvenuta in una piccola isola paradisiaca situata all'equatore, l'unica parte di terra emersa in un globo originariamente sommerso dal mare. Quest'isola avrebbe dovuto avere caratteristiche tali da offrire i diversi climi e gli habitat necessari a tutte le specie naturali; le forme originarie si sarebbero poi diffuse e moltiplicate con la progressiva emersione di nuove terre. Nell'opera di Linneo non si trova una spiegazione parallela per l'origine delle forme marine, ma i fossili rinvenuti nelle rocce lontane dal mare erano interpretati come una prova della loro origine organica e il luogo di ritrovamento una dimostrazione di quanto in precedenza fosse esteso il mare. Nel De telluris Linneo non tentava di calcolare il periodo di tempo in cui si sarebbe svolto questo processo, né faceva grandi sforzi per conciliare gli eventi con le Sacre Scritture; anzi, rifiutava decisamente l'ipotesi che spiegava la formazione dei fossili e la loro distribuzione sulla Terra ricorrendo a una singola inondazione e il ripopolamento del mondo a partire dall'Arca di Noè (Browne 1983), e proprio per avere sostenuto questa posizione fu accusato di irreligiosità.
Pur aderendo, in linea generale, alla versione ovista della teoria della preesistenza, tuttavia Linneo non mise in rilievo le limitazioni riguardanti il numero delle specie implicite in una posizione rigidamente preformistica. Partendo dalla constatazione della straordinaria capacità di incremento delle forme di vita, tanto che ogni specie vegetale sarebbe stata in grado di produrre un numero astronomico di discendenti nei circa 6000 anni trascorsi dalla Creazione, egli ipotizzò un aumento illimitato delle forme viventi man mano che emergevano nuove terre. Dopo la pubblicazione del De telluris, un suo studente, Daniel Rudberg, identificò una nuova specie di Linaria, che Linneo battezzò con il nome generico di Peloria arrivando ad accettare l'idea (poi esposta in tutta la sua chiarezza in un saggio del 1760) che nuove specie avrebbero potuto originarsi dopo la Creazione per un fenomeno di ibridazione di forme preesistenti (Eriksson 1983). Oggetto immediato di vivaci discussioni, questo approccio empirico alla questione dell'origine delle specie servì anche a dare l'avvio a una intensa ricerca sperimentale sulla loro possibile origine ibrida. Nel campo della ibridazione delle piante, si ricordano i lavori sperimentali di Joseph Gottlieb Koelreuter (1733-1806) e di Joseph Gartner (1732-1791), entrambi membri dell'Academia Scientiarum Imperialis Petropolitana, i quali inaugurarono una tradizione di ricerca che sarebbe sfociata, nel secolo successivo, nel lavoro di Gregor Mendel.
La pubblicazione postuma delle opere di Benoît de Maillet (1748) e di Leibniz (1749) fu seguita a breve distanza di tempo dalla comparsa dei primi tre volumi dell'opera di sintesi più ambiziosa e di più ampia portata di tutto il XVIII sec., la Histoire naturelle, générale et particulière, avec la description du Cabinet du Roy (1749-1767) di Georges-Louis Leclerc de Buffon, intendente del Jardin du Roi. Per alcuni aspetti importanti quest'opera rinnovava, su basi diverse, la tradizione dei Principia philosophiae di Descartes mentre approfondiva e dava un maggiore spessore scientifico alla teoria naturalistica della Terra esposta da Maillet. Nelle intenzioni originali dell'autore, la Histoire naturelle avrebbe dovuto comprendere il mondo degli animali, delle piante e dei minerali; in pratica, però, solamente una parte della prima sezione di questo progetto fu completata durante la vita di Buffon, e le importanti opere naturalistiche di Lamarck, Cuvier, André-Marie-Constant Duméril, e di altri studiosi legati al Muséum National d'Histoire Naturelle nella Parigi postrivoluzionaria possono esserne considerate quasi un completamento. Formata complessivamente da 36 volumi, pubblicati quando era ancora in vita l'autore, più altri 8 volumi completati da Bernard-Germain-Étienne de Lacépède nel 1804, la Histoire naturelle fu in seguito ristampata tredici volte in francese nel XVIII sec. e tradotta nelle altre principali lingue europee; grazie a quest'ampia diffusione, essa divenne una delle opere più lette dell'Illuminismo francese.
Per quanto fosse priva di una forte impronta empirica, cosa per la quale alcuni studiosi tendono a negarle una profonda influenza sullo sviluppo delle scienze storico-naturali del XIX sec. (Larson 1994; Oldroyd 1996), l'opera di Buffon merita di essere collocata sullo stesso piano delle opere di Newton, Descartes e Leibniz per diverse ragioni; in primo luogo, perché nel campo delle scienze storico-naturali pose le 'domande giuste'; poi, perché offrì soluzioni efficaci a questioni importanti quali la generazione, la storia e la teoria della Terra, la natura delle specie e le relazioni della geografia e del clima con la speciazione. Queste caratteristiche la differenziarono sia dal lavoro empirico più limitato dei contemporanei più giovani, quali Nicolas Desmarest, Abraham Gottlob Werner, Caspar Friedrich Wolff, Joseph Gottlieb Koelreuter, Joseph Gartner e Jean-André Deluc, sia da quello giovanile di Georges Cuvier. Si distinse anche dalle filosofie della Natura materialistiche e genericamente speculative di Benoît de Maillet e del barone d'Holbach, quest'ultimo autore di diversi articoli dell'Encyclopédie su argomenti che vertevano sulla teoria della Terra. Infine, per il suo approccio ecologico e biogeografico alla storia naturale, si contrappose alla sistematizzazione di contemporanei come Linneo, i Jussieu e altri.
D'importanza fondamentale per comprendere il valore dell'impostazione scientifica originale di Buffon è la sua propensione ad affrontare i principali argomenti della filosofia della Natura e dell'epistemologia del tempo, a differenza di altri eminenti teorici delle scienze storico-naturali; per questi motivi, i suoi lavori erano letti non soltanto dai naturalisti ma anche da eminenti philosophes, che vivevano in paesi diversi (Greene 1992; Reill 1992). L'opera di Buffon costituì un contesto teorico coerente sulla cui base alcuni poterono sviluppare le proprie idee, anche se per reazione negativa, e altri furono in grado di definire i contorni di un programma di ricerca dinamico entro il quale poter avanzare opinioni più dettagliate sulla storia della vita e della Natura in genere. In ogni caso, nessun contemporaneo poté permettersi di ignorare la potenza sintetica di questa nuova forma di storia naturale.
Le tematiche fondamentali unificate e rielaborate da Buffon verso la metà del secolo possono essere così schematicamente riassunte: (a) il rigetto delle 'astrazioni' e l'introduzione del concetto di 'verità fisica'; (b) una nuova teoria della Terra; (c) una soluzione della questione della generazione; (d) una nuova formulazione del concetto di specie; (e) l'integrazione di tutti questi argomenti in uno schema coerente. Con la pubblicazione dei primi tre volumi della Histoire naturelle nel 1749, almeno tre di questi punti cominciarono a essere affrontati: l'opera iniziava con un lungo "discorso sul metodo" in cui Buffon definiva il suo modo di affrontare la storia naturale; si passava poi a distinguere, in modo innovativo, tra indagini basate su verità "astratte" (come la logica e la matematica), alle quali apparteneva anche la classificazione di tipo linneano, e indagini basate su verità "fisiche", sul principio di successione e di continuità materiale delle cose concrete (Roger 1989; Sloan 1992).
Dalle critiche subito mosse alla Histoire naturelle, risulta evidente che non tutte le sue implicazioni furono chiare sin dall'inizio. Anzi, l'opera fu fraintesa dai contemporanei; i teologi della Sorbona, per esempio, sostennero che l'autore si era fatto portavoce di una sorta di scetticismo epistemologico (Lyon 1981). In realtà, le intenzioni di Buffon erano molto diverse: la sua nuova forma di realismo epistemologico, che molto doveva a Christian Wolff, al vescovo George Berkeley ma anche alla critica di Platone da parte di Aristotele, accettava come fondamentale l'affermazione secondo la quale gli universali astratti non potevano esistere separatamente dalle cose concrete. Nella concezione di Buffon, questo rifiuto dell'ordine astratto delle verità consentiva un'applicazione molto concreta e specifica alle scienze storico-naturali.
Analoghe critiche alle astrazioni, da un punto di vista leibniziano-wolffiano, erano state avanzate nelle Institutions de physique, opera di notevole importanza scritta nel 1740 da Gabrielle-Émilie, marchesa di Châtelet. Il trattato esponeva alcune posizioni sostenute da Christian Wolff, tra cui la critica del concetto newtoniano di spazio e tempo in favore della loro 'concreta' attualizzazione nel mondo reale. Buffon adottò posizioni simili nella sua opera per scopi diversi: proprio come il tempo e lo spazio non esistevano separatamente dalle cose reali, altrettanto poteva dirsi per le specie e i generi. Questa posizione fu alla base della sua polemica, spesso fraintesa, contro la classificazione di Linneo, esposta nel Premier discours: tutti gli universali debbono concretizzarsi nella occorrenza fisica di eventi materialmente connessi per poter consentire una conoscenza reale e certa delle cose, piuttosto che una conoscenza astratta delle relazioni tra idee.
Collocando la sua nuova concezione della 'storia naturale' all'interno di questo contesto epistemologico, Buffon stava effettuando più di una distinzione filosofica dal punto di visto tecnico. Egli invertiva la relazione tra scienze matematiche e fisiche, che aveva contrassegnato la fisica teorica a partire dal XVII sec., negando la priorità che era stata attribuita alla idealizzazione matematica nell'indagine della Natura; inoltre, in base al presupposto che le astrazioni e le idealizzazioni, in quanto costruzioni arbitrarie del pensiero, fossero meno reali e certe delle verità fisiche, l'epistemologia di Buffon si concentrava sulla concatenazione materiale e concreta delle cose fisiche. Proprio su questa concatenazione materiale e sulle relazioni di successione temporale si fondavano le sciences réelles. Con queste affermazioni epistemologiche, Buffon diede inizio a un'importante ridefinizione teorica delle scienze storico-naturali che modificò la trattazione della storia e della teoria della Terra, l'analisi della sopravvivenza e delle trasformazioni delle specie, e l'approccio generale a un più vasto insieme di argomenti riguardanti le scienze della Terra e della vita.
Buffon espose le sue prime idee sulla teoria della Terra nel Second discours della Histoire naturelle, pubblicato sempre nel 1749, con il titolo Histoire et théorie de la terre. Dal titolo si deduce immediatamente come l'autore volesse collocare immediatamente il trattato nel genere familiare delle speculazioni sull'argomento, allontanandosi, però, nettamente da questa tradizione. Il trattato, che inizia con una critica della tradizione speculativa di Burnet, Whiston e in una certa misura di Woodward, si proponeva infatti di offrire, in alternativa, "un ordine metodico di idee chiare e di rapporti coerenti e verosimili" (Oeuvres, p. 46). Affermando di fondare le sue idee su osservazioni empiriche e ragionamenti chiari, Buffon proponeva una teoria della formazione e trasformazione graduale delle terre emerse sotto l'azione ricorrente delle forze della marea e dei movimenti ondosi unitamente all'effetto della rotazione diurna della Terra. Queste stesse cause erano considerate sufficienti a spiegare gli strati orizzontali di rocce sedimentarie, la formazione regolare delle catene montuose e le forme fossili incastonate nelle rocce che nel tempo, man mano che i continenti si erano andati formando verso est ed erodendo a ovest, si erano venute a trovare distanti dal mare.
L'impostazione di Buffon era dunque molto laica, priva di qualunque tentativo di conciliare questi eventi con la storia biblica secondo la teologia naturale che era stata in voga dai tempi di Burnet; da questo punto di vista, la sua opera si avvicinava molto a quella di Maillet. Per questo motivo, diverse affermazioni contenute nel Second discours furono condannate dalla Sorbona nel 1751 e Buffon fu costretto a ritrattare per iscritto le sue idee prima che potessero essere pubblicati altri volumi dell'opera (Stengers 1974). Dal momento che egli postulava l'azione di fattori causali ricorrenti piuttosto che una sequenza diversa di eventi derivanti in modo lineare dal passato, per alcuni aspetti la sua teoria faceva pensare a un modello 'eterno' nella tradizione di Benoît de Maillet o, più tardi, di James Hutton, anziché a un processo storico lineare; e questo ha indotto alcuni studiosi a mettere in evidenza lo scarso peso della 'storia' nel trattato di Buffon del 1749 (Oldroyd 1979; Roger 1989; Gohau 1992). Ci sono, tuttavia, nell'opera numerosi riferimenti agli stadi primordiali della Terra, alla sovrapposizione di strati e a "delle rivoluzioni che si sono dovute produrre nei primi tempi dopo la creazione" (Second discours, in Oeuvres, p. 49) a riprova di come Buffon non fosse così astorico come alcuni sostenevano. L'appendice di settantasei pagine che faceva seguito al trattato, intitolata Preuves de la théorie de la terre, si riallacciava alle riflessioni di Burnet e Whiston e conteneva la storia del Sistema solare, derivante da una collisione originaria di una cometa con il Sole. Tale collisione avrebbe generato un sistema di masse rotanti di materia solare che, raffreddandosi gradualmente, si sarebbero consolidate a formare la Terra e gli altri corpi planetari, attraverso l'azione congiunta della forza di inerzia newtoniana ‒ ribattezzata da Buffon con il nome di impulsion, una forza autonoma ‒ e dell'attrazione gravitazionale.
La relazione tra questi due discorsi del 1749, che alcuni storici hanno interpretato in termini di tensione irrisolta (Roger 1989), risulta chiara se si considera la distinzione tra ipotesi e teorie fisiche e tra ragionamento astratto e fisico. Con l'eccezione dell'affermazione del carattere organico dei fossili nella Histoire et théorie de la terre, Buffon non fa alcun tentativo esplicito di collegare la durata e la perpetuazione delle specie con la teoria della Terra; da questo punto di vista, mantiene la stessa distinzione che era presente nel trattato di Bourguet. La relazione tra i due problemi emerge in seguito, man mano che egli procede ad affrontare questioni biologiche nel secondo volume della Histoire naturelle. In questo volume, che inizia con una lunga trattazione sulla teoria della generazione, l'autore presenta la sua famosa teoria degli "stampi interni" (moules intérieurs) e delle "molecole organiche" (molécules organiques) come base dell'analisi teorica del problema della generazione; così facendo, egli adotta una teoria degli 'stampi' (moules) simile a quella rifiutata esplicitamente nel 1729 da Bourguet. Grazie a questo concetto, Buffon è in grado di rielaborare un'autentica teoria epigenetica dello sviluppo embriologico e, conseguentemente, di rigettare la teoria della preesistenza. In altri termini, l'organismo si formerebbe e organizzerebbe nel tempo per l'effetto di uno "stampo interno", concepito in analogia con un campo di forza newtoniano, operante in pratica come la forma sostanziale di Aristotele ma privo dei significati dinamici e teleologici che sono insiti nel concetto aristotelico di anima come forma.
Il quarto importante contributo teorico di Buffon riguardava, come si è detto, una nuova concezione della specie, inizialmente introdotta nell'ambito della discussione sulla generazione, nel secondo volume della Histoire naturelle (1749). Mentre nella tradizione aristotelica esisteva una relazione complessa tra il concetto di eĩdos come 'specie' nel significato di predicato universale, subordinato a 'genere', e eĩdos come 'forma' che, identificata negli esseri viventi con l'anima (psychḗ), insieme con la materia costituiva la sostanza dell'individuo, nei trattati di storia naturale (per es., nelle classificazioni di Linneo) 'specie' significava l'universale della logica. L'innovazione di Buffon consistette nell'utilizzare il significato di 'specie come forma' esclusivamente per designare una specie "reale e fisica" nella storia naturale, contrapposta perciò all'universale della logica e della classificazione. Come scrisse in forma chiara nell'articolo L'asne del 1753, il concetto di specie come universale era da considerarsi soltanto un'"astrazione":
tutti gli individui simili, che esistono sulla superficie della Terra, vanno considerati come costituenti la specie di questi individui; tuttavia, non è né il numero né l'insieme degli individui che fa la specie, è piuttosto la successione costante e il rinnovamento ininterrotto degli individui che la costituiscono; un essere che durasse in eterno non costituirebbe una specie e nemmeno un milione di esseri simili che durassero anch'essi in eterno; la specie è dunque un termine astratto e generale che si riferisce a qualcosa che esiste soltanto se si considera la Natura nella successione dei tempi, nella distruzione costante degli esseri e nel loro rinnovamento anch'esso costante […] e il confronto del numero o della rassomiglianza degli individui è soltanto un'idea secondaria, spesso indipendente dalla precedente. (Oeuvres, pp. 355-356)
Per Buffon, il perpetuarsi di generazioni simili mediante i poteri riproduttivi dello 'stampo interno' si spiegava con la sua capacità di organizzare le 'molecole organiche' in strutture specifiche. La stessa capacità creava anche nel tempo "una catena di esistenze successive di individui, che costituiscono l'esistenza reale della specie" (Histoire générale des animaux, in Oeuvres, p. 238). L'associazione tra lo sviluppo del singolo organismo e la perpetuazione storica delle specie era dunque teorizzata in una forma che era stata negata dalla teoria della preesistenza. Sia il singolo organismo sia la specie derivavano da un processo temporale e la connessione degli individui nel tempo mediante la riproduzione costituiva la realtà immanente della specie come linea di discendenza.
Questa nuova concezione, ripresa testualmente come definizione della specie in storia naturale nella voce dell'Encyclopédie, implicava che non si potesse parlare di 'specie', in questo senso, in riferimento a minerali o ad altre forme inorganiche. Soltanto gli organismi soddisfacevano i criteri posti nella definizione di Buffon. Inoltre, dal momento che le specie, come linee di discendenza, esistevano soltanto nella successione temporale di molecole e stampi, erano necessariamente in stretta relazione con le circostanze materiali e il processo storico. In altre parole, non potevano esistere 'separatamente' dagli esseri organici materiali e, in ultima analisi, dalle molecole che costituivano la serie di forme legate da generazioni diacroniche e sincroniche.
È evidente come lo sviluppo di queste riflessioni da parte di Buffon non fosse un cambiamento incoerente di idee bensì l'applicazione e lo sviluppo di un insieme di intuizioni iniziali a mano a mano che il concetto di specie si ampliava fino a comprendere generi (genres) e famiglie (familles) "fisiche" costituite da una rete di specie affini con una origine storica comune. Questo concetto, introdotto da Buffon nella trattazione dei vari animali del vecchio e nuovo mondo nei volumi successivi della Histoire naturelle, fu riassunto nel 1766 nella teoria di una generale "degenerazione" (dégénération) storica di un gruppo originario di specie diffusesi nel tempo dai loro centri di origine nel vecchio e nuovo mondo e adattatesi a specifiche condizioni di clima e fattori geografici. A differenza di quanto sostenuto dalla teoria dell'origine di nuove specie per ibridazione, secondo Buffon le nuove specie erano il prodotto di un processo di 'degenerazione' temporale ‒ intesa come "cambiamento" e "allontanamento dal genere primitivo" ‒ causato da un graduale adattamento a condizioni locali che agivano, a loro volta, su moules e su molécules in modo sottile. Nella formulazione più tarda della stessa teoria, la coerenza temporale delle specie si manteneva soltanto in virtù di forze immanenti della materia, e la formazione dei primi stampi, attribuita inizialmente alla creazione divina, era considerata in funzione delle forze esistenti tra forme diverse di molecole. Le stesse molécules organiques, che costituivano il corpo di tutti gli esseri viventi, furono anch'esse considerate, infine, frutto di un processo naturale, per azione della luce e del calore sulla materia bruta (matière brute).
Il quinto importante risultato conseguito da Buffon fu l'unificazione di questi concetti sviluppati nella Histoire naturelle in un ampio lavoro di sintesi. Nell'aprile 1779, la Stamperia Reale di Parigi pubblicò il quinto volume di Suppléments della Histoire naturelle intitolato Des (successivamente cambiato in Les) époques de la nature, che raccoglieva le riflessioni buffoniane sulla cosmologia storica, la storia della Terra, l'origine e la degenerazione delle specie. Questa trattazione era integrata anche da calcoli empirici sull'esatta scala temporale necessaria allo svolgimento degli eventi a partire dall'origine del mondo, organizzata intorno a una suddivisione in grandi époques con debole legame simbolico con il creazionismo biblico. Buffon riprendeva la teoria della formazione dei pianeti e della Terra formulata nelle Preuves de la théorie de la terre.
La scala temporale adeguata a questi eventi era ricavata da un 'orologio' empirico basato sulla teoria del "calore centrale" di Jean-Jacques Dortous de Mairan (1678-1771), descritta nella quarta edizione della Dissertation sur la glace (1749). Utilizzando gli esperimenti sui tempi di raffreddamento di corpi metallici e vetrosi sottoposti a fusione nella sua fonderia a Montbard, i cui risultati furono pubblicati nel 1775 nell'Histoire naturelle, Suppléments, Buffon calcolò il tempo necessario perché la Terra, da uno stato di fusione, raggiungesse successivi gradi di solidificazione e temperature adeguate per permettere la vita. La pubblicazione di questi lavori era stata preceduta da speculazioni, molto più ambiziose, sul tempo necessario alla solidificazione terrestre, contenute in versioni manoscritte delle Époques che erano state divulgate nei circoli di Parigi per almeno una decina di anni prima del 1775.
Per il suo carattere di ampio respiro, il trattato di Buffon, che unificava in un solo contesto naturalistico la teoria della Terra, l'origine e la diversificazione degli esseri viventi, la formazione dei sedimenti e delle rocce fossilifere, insieme con i calcoli specifici sul tempo necessario alla formazione della Terra, offrì al tardo Illuminismo una sintesi teorica di enorme rilievo per lo sviluppo di ulteriori approfondimenti e speculazioni. Sia in Francia sia in altri paesi, Buffon fu criticato per la sua audace noncuranza di quanto affermato nelle Sacre Scritture (Stengers 1974); inoltre, alcuni suoi contemporanei dell'Académie des Sciences, orientati in senso più empirico, videro nel suo lavoro, giudicato troppo speculativo, il retaggio di una più vecchia tradizione della teoria della Terra (Taylor 1992). Queste reazioni negative descrivono soltanto in parte l'impatto di un'opera della quale Pierre Flourens avrebbe detto più tardi: "le rivoluzioni [révolutions] di Cuvier non sono altro che le epoche [âges] di Buffon sotto altra forma e concepite da una mente diversa; tutti gli sforzi dei nostri geologi contemporanei, e quelli che faranno mai i geologi futuri […] saranno soltanto una rielaborazione continua, un perfezionamento senza fine delle Époques de la nature" (Des manuscrits de Buffon, 1860, p. 75). L'opera ebbe un'ampia circolazione e fu tradotta in diverse lingue europee (tranne l'inglese); soprattutto nei paesi di lingua tedesca sembra avere ispirato, in modo particolare, riflessioni significative.
Per apprezzare questi sviluppi teorici di fine secolo, è utile inquadrare l'importanza della pubblicazione delle Époques nel contesto della rivoluzione vitalistica che si stava svolgendo nelle scienze biomediche negli anni Settanta e Ottanta. Lo stesso modello storico di Buffon era stato formulato nell'ambito del quadro teorico newtoniano che riconosceva alla materia poteri intrinseci, come l'attrazione e la repulsione, oltre alle forze di contatto ammesse da Descartes. Proprio queste microforze spiegavano la struttura e l'organizzazione degli esseri viventi. Anche se Buffon aveva fatto una distinzione tra materia 'vivente' e 'non vivente', questa era ancora concettualizzata all'interno di un'interpretazione meccanicistica del pensiero newtoniano (Schofield 1969). Il Sistema solare, il mondo e la stessa vita erano considerati tutti in via di graduale esaurimento per effetto dell'attrito e della progressiva perdita di calore; in modo simile, le specie organiche potevano 'degenerare', cioè perdere coesione, grandezza e resistenza in risposta ad alterazioni del clima e del suolo ma non avevano la possibilità di 'rigenerarsi' o acquisire complessità crescente. Per questa ragione, Buffon non può essere considerato un 'trasformista' nel significato che tale termine avrebbe poi assunto nel secolo successivo.
Nel nuovo contesto vitalistico del pensiero biomedico, l'opera si prestava a una reinterpretazione secondo un modello di sviluppo naturalistico più dinamico della storia della vita in rapporto alla storia del mondo fisico; e in particolare nel mondo di lingua tedesca essa trovò l'ambiente giusto perché avesse luogo tale sviluppo creativo (Reill 1992). Fin dal 1755, il modello di Buffon della formazione naturalistica del Sistema solare per azione di forze newtoniane era stato utilizzato da Kant nell'Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels (Storia universale della Natura e teoria del cielo; Ferrari 1992); inoltre, si stavano già delineando nuove filosofie della Natura non newtoniane nel pensiero filosofico di Leibniz e, in particolare, di Christian Wolff (1679-1754), entrambi oggetto di ampio insegnamento in tutto il sistema universitario tedesco. Il risorgente vitalismo medico, che stava dando luogo a importanti sviluppi teorici, aveva anche introdotto l'idea, che fu usata per spiegare lo sviluppo embrionale da Caspar Friedrich Wolff e da Johann Friedrich Blumenbach (1752-1840), dell'esistenza di poteri creativi, teleologici, intrinseci alla materia. La storia della Natura di Buffon fu successivamente associata a una teoria dinamica del vivente per creare un modello di sviluppo della Natura e dell'umanità di complessità crescente piuttosto che in degenerazione.
L'espressione più ambiziosa e autorevole di questa nuova cosmologia vitalistica ed evolutiva fu la potente sintesi di cosmologia e storia umana prodotta da Johann Gottfried Herder (1744-1803), Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit (Idee per una filosofia della storia dell'umanità, 1784-1791). Sebbene l'opera non rientrasse propriamente nella categoria della filosofia naturale e spaziasse liberamente dalla storia umana ai linguaggi e ai popoli, in diversi punti essa richiamava il pensiero scientifico del tempo. Herder basava il suo schema di sviluppo progressivo del mondo inorganico sui poteri vitali della Natura che stimolavano la produzione di varie forme di vita, fino al genere umano, attraverso una serie di stadi che assomigliavano allo schema di Buffon. Intrinseca alla Natura, la 'forza generatrice' o 'vitale' (genetische o lebendige Kraft) era la "madre di tutte le forme (Bildungen) sulla Terra" (Ideen zur Philosophie, ed. 1965, I, p. 266), un concetto che Herder traeva da esponenti della medicina vitalistica come Caspar Friedrich Wolff e Blumenbach. Questo potere dinamico costituiva l'impulso causale di una Natura teleologicamente orientata che assumeva le funzioni creative della divinità tradizionale, modellando in successione la Terra, gli esseri viventi e il genere umano nel suo progresso verso un fine più alto. Tale sviluppo della Natura, concepito in modo analogo a quello embrionale guidato dalla 'forza vitale' (Lebenskraft) o dall''impulso formativo' (Bildungstrieb), era dunque alla base di un susseguirsi delle forme nel tempo, delle quali alcune si estinguevano e altre si originavano da quelle morte per azione di una forza genetica.
Sebbene la tesi di Herder non possa essere considerata una teoria trasformistica delle specie, essa tuttavia servì a realizzare la transizione fondamentale dal sistema della Natura in degenerazione della tradizione newtoniana a un sistema che proponeva uno sviluppo dinamico, di complessità crescente e teleologico, della vita sulla Terra (Temkin 1950). Queste riflessioni di Herder, riprese in modi diversi da Karl Friedrich Kielmeyer, Johann Wolfgang von Goethe e Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, fornirono il contesto iniziale per una storia della Natura che avrebbe avuto un fertile sviluppo nel XIX sec. nella Naturphilosophie tedesca (Heidelberger 1998).
Le critiche dello schema di Herder e le posizioni di altri sostenitori del primo panteismo vitalistico degli anni Ottanta (Zammito 1992) prepararono il terreno per l'importante dibattito metodologico che si svolse in modo significativo nelle scienze storico-naturali nel tardo XVIII e nel primo XIX sec., particolarmente in ambito tedesco. Sebbene lo stesso Kant avesse offerto uno schema storico dello sviluppo del Cosmo, se non proprio della Terra e degli esseri viventi, nel suo pensiero 'precritico', sembra che proprio le affermazioni ambiziose di Herder lo indussero a fare distinzioni epistemologiche più rigorose tra la 'storia' della Natura (Naturgeschichte, Physiogonie) ‒ per esempio, quella di Buffon e, successivamente, di Herder ‒ e la 'descrizione' della Natura (Naturbeschreibung, Physiographie) come si trova nei lavori sistematici di Linneo e dei primi geografi di animali e piante quali Eberhard Zimmermann (1743-1815) e Peter Simon Pallas (1741-1811) (Sloan 1979; Larson 1994). Seguendo queste critiche del lavoro di Herder e le discussioni con suoi contemporanei quali Georg Forster sulle origini delle razze umane, Kant chiarì ulteriormente nella Kritik der Urteilskraft (Critica del giudizio, 1790), come il concetto di una storia della Natura nei termini di un grande sistema evolutivo fosse una costruzione utile e necessaria del 'giudizio riflettente' (reflexierende Urteilskraft) che guidava le indagini sul mondo naturale, ma come tali massime di giudizio non potessero vantare lo status della conoscenza 'costitutiva' (Naturwissenschaft), che era limitata all'esperienza immediata soggetta alle categorie dell'intelletto. Nell'Opus Posthumum Kant negò dunque la possibilità che le 'rivoluzioni' passate del globo potessero essere conosciute.
In conseguenza di queste critiche epistemologiche, nell'ambito della storia naturale tedesca della fine del secolo si sviluppò una discussione metodologica fondamentale sulla distinzione tra Naturgeschichte e Naturbeschreibung, che ruotava intorno alla effettiva possibilità di conseguire una qualche conoscenza autentica della storia passata del mondo e della storia della vita. Una testimonianza di questa divisione è evidente nella tendenza, in alcuni tra i più importanti naturalisti sui quali influirono le critiche di Kant, per esempio Alexander von Humboldt, a sviluppare una scienza della distribuzione spaziale delle forme viventi, piuttosto che tentare di vederle nelle loro relazioni storiche ed evolutive. Su tale base, Humboldt respinse le affermazioni speculative circa lo sviluppo storico del mondo, almeno nella misura in cui esse trascendevano i fatti empirici. Analogamente, l'impostazione funzionalistica, anatomo-comparativa, dell'alsaziano Georges Cuvier (1769-1832), il cui grande debito nei confronti di Kant è stato soltanto da poco dimostrato (Outram 1986; Letteney 1999) e il cui lavoro per alcuni aspetti contribuì più di qualunque altro alla diffusione del concetto di mondi precedenti di fauna e flora tra loro correlati, era anch'essa metodologicamente scettica circa le speculazioni sulla storia evolutiva della Natura (Rudwick 1997). Dall'altro lato vi erano coloro che sostenevano una concezione realistica dello sviluppo della storia della Natura e ammettevano la possibilità della conoscenza di questa storia: Blumenbach, Schelling, Kielmeyer, Étienne Geoffroy-Saint-Hilaire, Jean-Baptiste Lamarck. Fu questo gruppo che creò il contesto teorico adatto allo sviluppo delle prime discussioni del trasformismo biologico.
In conclusione, la complessa interazione delle problematiche relative alla generazione e allo sviluppo degli esseri viventi, con il concetto di specie, con la storia della Terra e lo sviluppo della filosofia naturale nel XVIII sec., mette in evidenza selettivamente alcuni dei principali sviluppi intellettuali nelle scienze della Terra e della vita durante l'Illuminismo. L'importanza decisiva del pensiero del XVIII sec. nell'evoluzione di queste indagini dipese in gran parte dal modo in cui le questioni di cosmologia naturalistica, la genesi dei singoli organismi, il concetto di specie come linea di discendenza, la storia particolareggiata della Terra e lo sviluppo di calcoli empirici che estesero le stime dell'età del mondo al di là dei parecchi millenni riconosciuti dalla tradizione, furono sinteticamente unificati, in modo particolare, dal lavoro di Buffon. La successiva trasformazione, alla fine del secolo, di una parte di questa sintesi attraverso l'assimilazione delle teorie vitalistiche della vita e della Natura fornì le cause dinamiche necessarie perché questi problemi venissero ulteriormente sviluppati nel secolo successivo.