L'Eta dei Lumi: matematica. Le tradizioni principali della meccanica
Le tradizioni principali della meccanica
La meccanica, nel suo ampio spettro di usi, applicazioni e principî, rappresenta uno dei più importanti aspetti della matematica del XVIII secolo. In questo capitolo s'intende delineare un quadro complessivo della situazione, introducendo inoltre gli argomenti trattati in questa sezione (La meccanica).
Circoscriviamo l'ampio e variegato spettro di fenomeni e di studi dividendo questi ultimi in cinque branche che, sebbene interagenti, possono essere ragionevolmente distinte; delineate entro il Settecento, e talvolta anche prima, esse si differenziarono in modo sempre più chiaro quando lo sviluppo delle teorie e dei metodi conferì a ognuna caratteristiche particolari. Va osservato che le denominazioni adottate nel seguente elenco per individuare le varie branche sono convenzionali:
a) meccanica dei corpi: si riferisce alla meccanica degli oggetti e dei materiali 'ordinari'; nel suo ambito rientrano anche i principî base della disciplina, poiché essi furono spesso concepiti in questo contesto, pur restando aperta l'importante questione relativa alla loro validità in altri ambiti;
b) meccanica celeste: si riferisce strettamente alla matematica astronomica, in cui pianeti e satelliti sono considerati masse puntiformi;
c) meccanica planetaria: concerne la forma dei corpi celesti, che di fatto ne costituisce il problema principale, con particolare riguardo alla Terra e alla Luna;
d) meccanica ingegneristica: si occupa soprattutto d'ingegneria meccanica e include non soltanto strutture come argini, archi e ponti ma anche macchine di vario tipo, per alcune delle quali si tiene conto dell'attrito;
e) meccanica molecolare: riguarda la meccanica della supposta struttura interna della materia; inizialmente minore fra le cinque branche, essa si sviluppò in maniera graduale, collegandosi alla meccanica dei corpi e a quella ingegneristica (per es., nello studio degli urti e nella teoria dell'elasticità).
Per quanto riguarda le metodologie d'indagine, esistevano nel 1700 due principali tradizioni. La prima era basata sui Principia mathematica (1687) di Newton, nei quali si asseriva che le forze centrali agiscono tra corpi, o particelle di corpi estesi, secondo la legge di attrazione dell'inverso del quadrato della distanza, anche conosciuta come 'legge di gravitazione universale'. Le azioni tra i corpi sono basate su tre principî o 'leggi': (1) un corpo resta in uno stato di quiete o di moto uniforme se non è perturbato da alcuna forza; (2) l'effetto dell'impatto Ι su un corpo di massa m è dato dalla relazione ΔΙ=mΔv, dove v è la velocità al momento dell'urto; (3) a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. L'altra tradizione affermava l'importanza dell'energia. Tale grandezza, con un procedimento che soltanto in alcuni casi era chiaramente compreso, poteva essere convertita nel prodotto della forza per la distanza, ossia in ciò che in seguito sarebbe stato chiamato 'lavoro'. Non esisteva un testo di riferimento, ma la fonte principale era costituita dalla concezione generale della vis viva, introdotta da Leibniz nel Tentamen de motuum coelestium causis (1689) e sviluppata in vari studi successivi. Anche se la relazione suddetta poteva essere ottenuta con facilità dalla seconda legge di Newton (come 'prima fluente'), il concetto di energia era completamente assente nella teoria di quest'ultimo; il contrasto fra i due punti di vista era dunque di carattere assolutamente fondamentale. Altre problematiche affrontate all'interno di ciascuna di queste due tradizioni, così come nell'ambito delle loro dispute, erano strettamente legate alla loro applicabilità a situazioni diverse, alla loro generalità e anche alla verità stessa degli assunti fondamentali; una di esse riguardava la distinzione tra equilibrio e non equilibrio. Negli anni Settanta del Settecento entrerà nell'intenso dibattito una terza tradizione, che ebbe l'effetto di porre in discussione la relazione stessa tra dinamica e statica.
Iniziamo con il libro di Newton. Pubblicati per la prima volta nel 1687, i Principia di Newton includono gran parte della meccanica dei corpi e della meccanica celeste, nonché una buona e avanzata presentazione della meccanica planetaria; poco trattati sono invece gli argomenti di meccanica ingegneristica. La seconda edizione, apparsa nel 1713 e curata scrupolosamente da Roger Cotes (1682-1716), contiene gli stessi principî e la stessa gamma di casi, ma sono riveduti molti dettagli, specialmente per quanto riguarda le dimostrazioni dei teoremi, e alcuni argomenti sono discussi con maggiore ampiezza. Un'importante aggiunta riguarda la proposizione 6 del Libro I, dove si fornisce una determinazione alternativa della forza che genera l'orbita di un pianeta attorno a un centro in funzione, per ogni punto, del cerchio osculatore invece che delle componenti tangenti e radiali dell'attrazione. Nel 1726, poco prima che Newton morisse, fu stampata una terza edizione, sotto l'assai più modesto controllo di Henry Pemberton (1694-1771), il cui interesse preminente era la medicina.
All'epoca di queste pubblicazioni sia i matematici britannici sia quelli continentali si sforzavano di comprendere i principî che le informavano e i metodi per applicare tali principî a una varietà di problemi. Il principale argomento di discussione era la forma della Terra. L'analisi del problema effettuata da Newton suggeriva che le regioni polari fossero appiattite, e non allungate come avevano invece fatto supporre le osservazioni; al di là della questione particolare, Newton con tale analisi aveva di fatto inaugurato lo studio dei solidi di rotazione equipotenziali in un ambiente di forze attrattive. Il suo lavoro stimolò lo studio delle famiglie di superfici di rotazione con un asse di simmetria e dei problemi connessi, come la variazione della direzione della gravità con la quota. Negli anni Trenta del Settecento quest'attività trovò a Parigi un ulteriore stimolo in Pierre-Louis Moreau de Maupertuis (1698-1759), il quale vide nei principî newtoniani il miglior approccio alla meccanica planetaria (anche se per il calcolo differenziale si serviva della notazione leibniziana). Quando egli riuscì a guidare una spedizione in Lapponia agli inizi degli anni Quaranta, i dati desunti dalle misurazioni geodetiche confermarono la predizione di Newton sullo schiacciamento dell'ellissoide terrestre, anche se non nel valore numerico, che risultò pari a 1/178, invece del previsto 1/229.
Questa scoperta accrebbe molto la reputazione della meccanica newtoniana nel Continente, dove non era stata sino ad allora sufficientemente compresa. Come i loro colleghi britannici, i matematici continentali adottarono la nozione di 'forza centrale' ma non necessariamente la legge di gravitazione universale. I maggiori dubbi nascevano dal moto della Luna, dato che persisteva la discrepanza tra le predizioni del moto nel suo apogeo e i dati sperimentali, al punto che Alexis-Claude Clairaut (1713-1765) per risolvere il problema propose addirittura di aggiungere alla legge un termine che dipendesse, con un piccolo coefficiente di proporzionalità, dall'inverso del cubo della distanza; soltanto in seguito egli comprese di non aver correttamente trattato le componenti del secondo ordine delle forze solari, e l'eresia fu evitata. La teoria riveduta fu presentata nel trattato Théorie de la lune (1752). La questione era comunque connessa con un affascinante problema di meccanica planetaria che finì per essere considerato il problema del secolo: il 'problema dei tre corpi', che rivelò come i moti del Sole, della Terra e della Luna non potessero essere calcolati esattamente. Il lavoro profuso condusse a soluzioni esatte soltanto per alcuni casi particolari.
All'inizio del nuovo secolo apparve l'Opticks di Newton, dapprima, nel 1704, in lingua inglese; in quest'opera era presentato al pubblico anche il calcolo delle flussioni, nella forma esposta in due manoscritti già circolati in precedenza. L'Opticks è un'opera del tutto diversa dai Principia, e non soltanto per la lingua; in particolare, la matematizzazione era modesta, sebbene Newton avesse adottato una teoria corpuscolare in cui si supponeva che la luce avesse la forma di minuscole particelle il cui flusso continuo costituiva un raggio; altre proprietà erano ipotizzate per rendere conto di effetti come la riflessione e la rifrazione. Durante il suo sviluppo nel corso del secolo l'ottica fisica era stata considerata come appartenente alla fisica piuttosto che alla meccanica; l'ottica geometrica era invece largamente considerata un argomento 'puro', che si occupava soltanto della descrizione dei percorsi dei raggi luminosi e degli eventuali inviluppi, senza prendere in considerazione la loro natura fisica.
L'Opticks fu in seguito ristampata in nuove edizioni sia in inglese sia in latino, nel 1710, nel 1720 e, con l'aggiunta delle lezioni di ottica tenute da Newton, nel 1728 e nel 1729. La disponibilità di questi lavori portò all'origine di una disciplina ibrida per presunti intellettuali, che divenne successivamente nota come 'filosofia newtoniana'; si trattava di un misto di meccanica che non includeva gran parte della matematica e tutte le questioni difficili, eccetto l'astronomia descrittiva e i principî dell'ottica corpuscolare, compresa la descrizione di semplici strumenti ottici. Pemberton stesso, poco dopo la sua edizione dei Principia, presentò A view of Sir Isaac Newton's philosophy (1728), un primo notevole esempio di questo genere di letteratura che fu tradotto in francese nel 1753. Essere newtoniani cominciò gradualmente a essere visto come una scelta giusta da emulare, ma l'affermarsi stesso di questa categoria della conoscenza rese il suo significato incerto e confuso.
Un'importante divergenza tra Newton e Leibniz riguardava lo status dei corpi rigidi. Newton li ammetteva sia in meccanica sia in ottica, dove le sue minuscole particelle costituenti la luce si comportavano come corpi rigidi; per questa concezione, una volta tanto, condivideva il punto di vista di Descartes. Leibniz criticava invece l'idea di Descartes che l'essenza della materia si riducesse alla sua estensione, osservando che questa proprietà non era sufficiente a rendere conto della compenetrabilità dei corpi o, in sua assenza, del loro contatto; per Leibniz tutti i corpi erano in qualche misura elastici, differenziandosi l'uno dall'altro per il grado di elasticità.
La questione fu ripresa da vari successori. Essa fu sollevata da Christiaan Huygens, durante gli anni Novanta del Seicento, nel corso di alcuni studi approfonditi sul pendolo semplice e su quello composto, che includevano questioni particolari, come l'effetto di una parte del pendolo sull'altra o l'innalzamento e l'abbassamento del centro di gravità durante il moto di ascesa e di discesa della massa pendolare, visti come manifestazione della variazione del valore dell'energia. La discussione su questa nuova teoria coinvolse sia i seguaci di Newton sia quelli di Leibniz. Uno stimolo venne dall'Académie Royale des Sciences di Parigi, che intorno alla metà degli anni Venti del Settecento mise in palio premi per la risoluzione di problemi sia sui corpi rigidi sia sui corpi elastici. Tra i concorrenti vi era Johann I Bernoulli (1667-1748), che si considerava il luogotenente di Leibniz, il quale ottenne onorevoli menzioni per entrambi i tipi di problemi, mentre il seguace di Newton, Colin Maclaurin (1698-1746), ne ottenne soltanto per i corpi rigidi. Per entrambi i tipi di corpo le discussioni scientifiche erano centrate soprattutto sull'individuazione di che cosa si conservasse, posto che vi fosse conservazione. Tra le grandezze candidate c'erano la velocità vettoriale e scalare, sia assoluta sia relativa, tra due corpi, la quantità di moto per i corpi rigidi e forse anche per quelli non elastici (cioè 'soffici', pur non essendo comprimibili) e la vis viva per i corpi elastici. La parola 'forza' fu sbandierata, talora a sproposito, su tutta la gamma di questioni, talvolta insieme ad altri termini, come 'azione' e 'potenza'. Tra le questioni connesse c'erano l'andamento e la durata della variazione della velocità vettoriale e scalare durante/dopo un urto: si trattava di un fenomeno discontinuo, oppure, come sosteneva Leibniz sulla base di principî metafisici, di un fenomeno che accadeva con continuità anche se in un intervallo di tempo piccolissimo, forse addirittura infinitesimo? All'epoca non emerse alcuna teoria definitiva, in parte perché si tentava di comprendere cosa andasse eventualmente perduto e dove andasse a finire. Tali interrogativi portarono, nel corso del secolo, non soltanto alla revisione delle nozioni base della meccanica ma anche a un'ampia discussione sul concetto di 'corpo esteso' come insieme di punti materiali.
Di questi problemi cominciò a occuparsi Jean-Baptiste Le Rond d'Alembert (1717-1783), esponente della generazione successiva, spinto anche dalle sue perplessità sulla nozione di forza, che egli cercò di superare assumendo la seconda legge di Newton come definizione di tale grandezza; era necessaria, naturalmente, una legge sostitutiva, ed egli tentò di fornirla nel Traité de dynamique (1743) con quel principio generale, così promettente per la meccanica, al quale fu associato il suo nome. Dividendo i moti di un sistema di corpi in due tipi ‒ i moti che i corpi avrebbero se si muovessero liberamente sotto l'azione della gravità e i moti dovuti ai vincoli e alle interazioni con altri corpi del sistema stesso ‒, egli congetturò, in modo non molto chiaro, che il secondo sistema di forze fosse in equilibrio statico. Una difficoltà consisteva proprio nella sua incapacità di distinguere la quantità di moto dall'accelerazione, anche se sembra che egli assumesse un valore nullo per la quantità di moto interna totale in un corpo rigido. In ogni modo, il principio diventò importante negli sviluppi successivi della meccanica, anche attraverso i suoi articoli sulla meccanica e sugli argomenti matematici connessi contenuti nella grande Encyclopédie pubblicata in 33 volumi (o 35, secondo l'edizione) tra il 1751 e il 1780, di cui fu ideatore e artefice insieme con Denis Diderot (1713-1784). In essa molte figure descrivevano situazioni dinamiche e mostravano l'applicazione della seconda legge di Newton in circostanze particolari, come, per esempio, il moto di masse in un tubo rotante.
Anche le conseguenze delle teorie dei corpi sulla comprensione del comportamento dei fluidi erano incerte. Daniel Bernoulli (1700-1782) contribuì allo sviluppo della meccanica dei fluidi pubblicando nel 1738 il trattato Hydrodynamica, che inaugurò l'uso di questo stesso termine. Spaziando sulla quiete e sul moto, includendo situazioni e casi particolari ‒ come macchine e vortici ‒, egli prese anche in considerazione alcune caratteristiche dei gas. Curiosamente, suo padre Johann I pubblicò nel 1743 il trattato Hydraulica, sostenendo di averlo completato nel 1732 e accusando così implicitamente il figlio di plagio. Entrambi i lavori furono comunque significativi e contribuirono a collocare stabilmente la teoria dei fluidi nell'ambito delle ricerche sulla meccanica; nel 1749 si aggiunse anche d'Alembert, con un saggio 'sulla resistenza dei fluidi', nel quale sviluppava un'analisi in cui erano sorprendentemente usate variabili complesse. Tutte queste teorie mancavano però di quei fondamenti sufficientemente generali che di lì a poco avrebbe fornito Euler, divenuto il più autorevole esponente di questo ambito di studi.
Leonhard Euler (1707-1783) si interessò alla meccanica sin dall'inizio della sua carriera; infatti, uno dei suoi primi lavori, sebbene inedito, fu un trattato di statica. Nel 1736 egli pubblicò i due volumi della Mechanica. Un'importante nozione, in parte introdotta in connessione con il trattamento delle leggi di Newton, era quella di 'punto materiale', che i suoi predecessori avevano dato per scontata, senza prestarle molta attenzione. Questa e altre nozioni erano presentate soprattutto nel contesto della meccanica celeste, dove egli a metà degli anni Quaranta introdusse una notevole innovazione riguardante la teoria delle perturbazioni. La seconda legge di Newton era utilizzata soprattutto per determinare le influenze reciproche dei pianeti, ossia le azioni con cui ogni pianeta perturbava l'orbita dell'altro, facendo sì che essa non fosse più determinata soltanto dall'azione solare; dal momento però che le linee lungo le quali agivano queste forze assumevano varie lunghezze e varie direzioni, il loro calcolo era molto complicato, in particolare perché si dovevano prendere in considerazione i reciproci dei quadrati delle lunghezze. La conoscenza dell'algebra e della trigonometria portò Euler a rendersi conto che ogni espressione di questo tipo poteva essere convertita in una serie trigonometrica con una variabile angolare riferita al pianeta; l'espressione poteva quindi essere resa molto più trattabile. Questo procedimento fu presto adottato da numerosi contemporanei ed è rimasto da allora il metodo standard.
Altri importanti contributi di Euler comparvero a partire dalla fine degli anni Quaranta e furono in parte dovuti all'emergere delle equazioni alle derivate parziali come principale estensione del calcolo differenziale e integrale. In linea generale, egli si rese conto che la seconda legge di Newton poteva essere applicata in qualunque direzione in un sistema meccanico; sino ad allora, infatti, erano state usate soltanto direzioni particolari, come la tangente o la normale. Egli espresse la legge nel seguente modo: 2Mddx=±Pdt2, dove P è la forza applicata al corpo di massa M nel verso della variabile rettilinea x (+) od opposta a questa (−), e il coefficiente numerico 2 deriva dall'uso di unità di misura particolari, un inconveniente di minore importanza che, assieme al suo reciproco 1/2, continuerà a influenzare la meccanica del XVIII secolo.
Euler utilizzò immediatamente questa intuizione in modo spettacolare determinando le equazioni ‒ che ancora portano il suo nome ‒ della rotazione di un corpo solido attorno a un punto fisso, dando così uno status a concetti quali i momenti e i prodotti d'inerzia. Egli individuò inoltre un limite nelle leggi di Newton, scoprendo che le equazioni del momento angolare si sarebbero potute ottenere da queste leggi soltanto introducendo l'ulteriore ipotesi che sul sistema non agisse alcuna coppia di forze. Questo passo in avanti ebbe un ruolo nel lavoro di Euler sulla meccanica dei mezzi continui. Le principali aree d'interesse erano due: in primo luogo, egli trovò le equazioni su cui basarsi per rappresentare diversi casi fondamentali di equilibrio di solidi elastici e, in secondo luogo, ottenne l'equazione del comportamento dinamico e statico di un fluido non viscoso, aiutato in questo dalla sua formulazione del concetto generale di pressione, che in precedenza era spesso confuso con il peso esercitato dal fluido in un punto. In entrambi gli ambiti egli elaborò le appropriate equazioni alle derivate parziali, servendosi dei recenti sviluppi del calcolo delle variazioni e dei differenziali totali per trovare le superfici equipotenziali.
Con il progredire del secolo, la seconda legge di Newton acquistò importanza sempre maggiore nella meccanica celeste e in quella planetaria. Nella risoluzione delle equazioni differenziali che spesso si trovavano nei problemi trattati in questi contesti, si preferivano in genere soluzioni funzionali, poiché esse esplicitavano le funzioni legate alle condizioni iniziali dei fenomeni. In molti casi, però, le soluzioni non si potevano trovare in questa forma ed erano perciò espresse da serie infinite, introducendo così nuove tecniche nella teoria delle funzioni. Particolare favore riscossero le funzioni di Legendre e di Bessel, perché comparivano nelle soluzioni delle equazioni di Laplace e d'Alembert in coordinate polari rispettivamente sferiche e cilindriche. Del resto, le serie di Fourier non erano all'epoca molto usate, perché la periodicità delle funzioni seno e coseno aveva portato all'idea erronea, introdotta da Daniel Bernoulli, che una soluzione con tali funzioni non potesse essere generale. Il problema sarebbe stato chiarito soltanto all'inizio del secolo successivo, quando Jean-Baptiste-Joseph Fourier (1768-1830) diede inizio alla nuova teoria che porta ancora il suo nome. Anche la moderna nomenclatura riguardante le funzioni e le equazioni a cui ci si è riferiti in questo paragrafo sarebbe stata introdotta nel XIX secolo.
La meccanica dei corpi, la meccanica planetaria e quella celeste procedevano in modo particolarmente rapido; alla metà del secolo queste discipline costituivano il quartier generale della matematica, insieme con l'espansione dei metodi e dei procedimenti del calcolo differenziale. Joseph-Louis Lagrange (1736-1813), professore di matematica nella Scuola di Artiglieria di Torino (1755), cominciò a contribuire a tali sviluppi sin dall'inizio della sua carriera, con il tentativo del 1759 di ottenere la soluzione funzionale dell'equazione delle onde; egli usò un metodo che sfiorava le serie di Fourier senza toccarle e da allora gli fu riconosciuto il ruolo di protagonista. Trasferitosi nel 1766 a Berlino per dirigere la classe di matematica della Königliche Preussische Akademie der Wissenschaften (Accademia Reale Prussiana delle Scienze), succedendo a Euler, nei seguenti ventuno anni durante i quali ricoprì questa carica Lagrange cercò di dare al suo metodo una forma quanto più possibile sistematica dal punto di vista algebrico; la teoria fu sviluppata in vari articoli e presentata nel trattato Méchanique analitique. Completato nel 1782 mentre era a Berlino, questo trattato fu pubblicato soltanto nel 1788 a Parigi, subito dopo che l'autore vi si era trasferito e dove avrebbe poi insegnato matematica all'École Normale e all'École Polytechnique; Adrien-Marie Legendre (1752-1833) poté quindi consultarlo mentre era in fase di stampa.
Questa impostazione della meccanica fu chiamata 'analitica', secondo il titolo del libro, o anche talvolta 'variazionale' per l'uso di tale metodo matematico. L'influenza di d'Alembert su Lagrange era gradualmente cresciuta nel corso degli anni. La controversa nozione di forza portò Lagrange ad assumere tra le sue ipotesi generali il principio delle 'velocità virtuali', rinominato più tardi principio dei 'lavori virtuali', il quale affermava che in condizioni di equilibrio lo spostamento totale ΣPdp delle forze P per le quantità dp è nullo. Lagrange non ne fornì alcuna dimostrazione, ed effettuò ‒ come anche altri studiosi ‒ numerosi tentativi per colmare questa lacuna. Egli ipotizzò inoltre che in ogni situazione questa espressione fosse il differenziale di un potenziale dΠ (usando il suo simbolo, ma il termine moderno); i potenziali dunque cominciavano ad acquisire la priorità epistemologica rispetto alla forza. Lagrange assegnò anche un ruolo preminente al principio di minima azione. L'ampia varietà di nozioni in meccanica, in particolare l'onnipresente 'forza', non fu comunque ridotta, come mostra la seguente citazione tratta dalla Méchanique analitique (1788):
Come il prodotto della massa e della velocità esprime la forza finita di un corpo in movimento, così il prodotto della massa e della forza acceleratrice, che abbiamo visto essere rappresentata dall'elemento di velocità diviso per l'elemento di tempo, esprimerà la forza elementare o nascente; e questa quantità, se la si considera come la misura dello sforzo che il corpo può fare in virtù della velocità elementare che ha preso, o che tende a prendere, costituisce ciò che si chiama 'pressione'; ma se la si considera come la misura della forza o della potenza necessaria per imprimere questa stessa velocità, allora è ciò che si chiama 'forza motrice'. (p. 168)
Da questi principî Lagrange ottenne in particolare le equazioni generali, che ancora portano il suo nome, del moto di un sistema di masse puntiformi soggette a vincoli, dove i vincoli compaiono con dei moltiplicatori. A partire da esse egli fu in grado di ricavare come teoremi, tra l'altro, le leggi di Newton e l'equazione della conservazione dell'energia, e poi diversi casi particolari, come, per esempio, l'equazione di Euler di un corpo rotante.
I suoi metodi diedero impulso sia all'intero calcolo differenziale in più variabili sia al calcolo delle variazioni. Spesso il risultato era un'equazione della forma Aδp+Bδq+ Cδr+…=0, dove δp, δq, ecc. rappresentavano le variazioni delle variabili della situazione fisica, mentre nei coefficienti A, B, ecc. non compariva alcun termine variazionale. Le variazioni erano arbitrarie, ma la loro somma era nulla, e quindi si poteva concludere che ogni coefficiente era nullo; normalmente ciò si traduceva in equazioni differenziali di qualche tipo, e così la situazione fisica era rappresentata dalle equazioni A=0, B=0, C=0, …, ecc.
Questo modo di procedere era in contrasto con l'approccio geometrico di Newton e di altri, in cui le equazioni scaturivano dalla visualizzazione in due o tre dimensioni (comunque sia, nel secolo successivo entrambi gli approcci saranno sostituiti dall'algebra vettoriale e dall'analisi); esso è ammirevole come esercizio matematico, ma gli manca lo 'spirito' della meccanica: per esempio, nelle equazioni di Euler per la rotazione di un corpo continuo i momenti d'inerzia comparivano come costanti di un'integrazione parziale. L'approccio di Lagrange costituiva in primo luogo un procedimento sistematico per ottenere i risultati già acquisiti con mezzi più intuitivi, innanzitutto con ragionamenti geometrici, e dava grande importanza al concetto di equilibrio. Le novità comunque non mancavano, specialmente quelle sviluppate nei primi anni Ottanta e riportate nel trattato del 1788.
Nella meccanica celeste, in base alla seconda legge di Newton le orbite dei pianeti potevano subire, in linea di principio, perturbazioni dovute all'azione del Sole abbastanza grandi da spingere gli stessi pianeti fuori dalla propria orbita o variarne l'inclinazione rispetto all'eclittica. Sia Newton sia Euler erano ben felici di una simile possibilità teorica, perché forniva a Dio l'opportunità d'intervenire e d'evitare questa eventualità, mostrando in tal modo la sua stessa presenza. Lagrange sperò comunque di riuscire a dimostrare la stabilità del Sistema solare deducendola dalle leggi di Newton e dall'ipotesi che i pianeti orbitassero nella stessa direzione attorno al Sole. Basandosi sulla rappresentazione di Euler della posizione dei pianeti per il tramite di serie trigonometriche, egli scelse in modo brillante nuove variabili indipendenti che gli consentirono di esprimere in forma antisimmetrica le equazioni del moto dei pianeti dedotte dalla seconda legge. Questa mossa diede forma precisa al problema della stabilità delle orbite planetarie e ridusse notevolmente la difficoltà di risolverlo. Nel linguaggio moderno della teoria spettrale delle matrici, cui molto contribuì l'analisi di Lagrange, tutte le radici latenti ('autovalori') di certe matrici associate devono essere reali e i corrispondenti vettori latenti ('autovettori') devono essere indipendenti tra loro. La sua dimostrazione fu sviluppata usando la forma quadratica associata alla matrice e, sebbene ancora incompleta, aprì un'importante linea di ricerca.
Un altro personaggio che ebbe un ruolo importante in questi sviluppi e, più in generale, nella meccanica celeste fu Pierre-Simon de Laplace (1749-1827). Egli si occupò estesamente, in parte in competizione con Lagrange, delle orbite e della forma dei pianeti, riscuotendo successo per una particolare 'diseguaglianza' di risonanza tra Saturno e Giove. Dai problemi connessi a tale questione egli ricavò notevoli contributi alla teoria delle serie e alla teoria delle funzioni (nel XIX sec., quelli che sarebbero stati chiamati 'polinomi di Legendre' si chiamavano 'funzioni di Laplace'). Alcune delle importanti innovazioni da lui introdotte nella matematica statistica furono motivate dall'astronomia e dai relativi dati osservativi. Laplace riunì le principali conoscenze conseguite in queste branche nel trattato Mécanique céleste, i cui primi due volumi apparvero nel 1798 e nel 1799; assieme ad altri due ulteriori volumi pubblicati nei primi anni dell'Ottocento essi divennero i classici testi di riferimento di quel periodo sia per la meccanica celeste sia per la meccanica planetaria, con molte informazioni relative all'astronomia in generale. Le equazioni differenziali, le loro trasformazioni in particolari sistemi di coordinate e l'uso delle serie trigonometriche e delle funzioni adatte a risolverle, la teoria analitica delle superfici equipotenziali, tutto questo e molto di più diede luogo ad ampie discussioni sul finire del secolo.
La graduale crescita dell'industrializzazione incrementò l'uso sia delle macchine sia di opere artificiali e dunque della meccanica ingegneristica. Particolarmente importanti erano i trasporti; si costruivano carrozze e carri sempre più sofisticati, sebbene le strade rimanessero spesso di bassa qualità anche nei paesi e nelle grandi città. Il trasporto fluviale fu oggetto di crescente attenzione, specialmente in relazione alla costruzione di canali. Questi lavori richiedevano, anche se non sempre le utilizzavano, conoscenze di meccanica del suolo per la costruzione di argini stabili, e d'idraulica, nonché di regole molto empiriche per calcolare la velocità di flusso dell'acqua in entrata e in uscita dalle chiuse. Le sponde sia dei canali sia dei fiumi erano scelte come siti per la costruzione di mulini di vario tipo, che tenevano vivo l'interesse per la progettazione di ruote idrauliche (in particolare quelle alimentate dall'acqua in regioni di campagna pianeggianti o appena ondulate) e, in secondo luogo, di turbine, pompe, valvole e pistoni. Particolarmente difficile da analizzare dal punto di vista teorico era il flusso dell'acqua dagli orifizi e soprattutto la cavitazione, ove il flusso era disturbato dalla formazione di un vuoto parziale attorno all'orifizio, nonché la contrazione del getto al suo esterno, a causa della tensione dell'acqua.
Nell'ingegneria meccanica i principî energetici prevalevano di solito sia sulla meccanica newtoniana sia su quella variazionale. Un importante autore francese era Bernard Forest de Bélidor (1697-1761), che aveva scritto due volumi di Architecture hydraulique (1737-1739) dopo aver già pubblicato uno studio più generale intitolato La science des ingénieurs dans la conduite des travaux de fortification et d'architecture civile (1729). Entrambi i lavori conquistarono una grande rilevanza per la professione d'ingegnere; in essi la scarsa attenzione data alla meccanica newtoniana (che comunque non era del tutto assente) sembra dovuta al focalizzarsi dell'interesse sulle 'micro interazioni' tra (particelle di) corpi; in ogni caso, la dinamica dei fluidi si trovava ancora in uno stadio primitivo; si preferivano le considerazioni energetiche, dato che fornivano un modo per calcolare i 'macro effetti' in termini di forces vives e di lavoro. Le costruzioni navali e la navigazione spesso si basavano ancora su regole empiriche, sebbene una maggior attenzione fosse dedicata ai principî e alle proprietà su cui queste regole si fondavano, soprattutto per quanto riguarda la flessione del legname da costruzione.
Charles-Augustin Coulomb (1736-1806) diede influenti contributi alle indagini sulle proprietà dell'attrito negli studi condotti negli anni Settanta del Settecento. Argomenti di particolare rilievo includevano la costruzione degli argini, la progettazione degli archi e dei ponti, la stabilità delle strutture, la costruzione e il governo delle navi (a cui Euler aveva dato alcuni interessanti contributi, che furono sfortunatamente del tutto ignorati), e una varietà di altri argomenti concernenti il funzionamento e l'efficienza di strumenti, di macchine e delle loro parti. Quest'ultimo interesse portò ai primi sviluppi dell''ergonomia', disciplina nella quale erano studiati i ritmi di lavoro dell'uomo e degli animali.
Negli anni Ottanta del Settecento il numero di casi studiati nella meccanica energetica era sufficiente perché venisse proposta come approccio generale. Il principale autore di questa nuova tendenza fu Lazare Carnot (1753-1823), quando ancora si occupava d'ingegneria prima di dedicarsi con successo alla carriera politica; il suo primo testo importante fu l'Essai sur les machines en général (1783). Colpito dal ruolo giocato nella meccanica dalla percussione e dall'urto, egli sottolineò l'importanza della presenza o dell'assenza di condizioni di equilibrio sia dinamico sia statico; sostenne inoltre che la dinamica dovesse avere una posizione prioritaria rispetto alla statica, contrariamente al punto di vista tradizionale. Il suo maggior contributo teoretico fu considerare la perdita delle forces vives, proponendo che esse fossero sempre espresse in termini di forza moltiplicata per la distanza. Oggi per questo concetto usiamo il termine 'lavoro', che fu proposto negli anni Venti dell'Ottocento dai suoi successori. Carnot parlò in modo piuttosto oscuro di 'momento di attività' e di 'forza viva latente', mentre fu molto chiaro nel sostenere la generalità dell'approccio così come nello scontro con i suoi rivali. In particolare, consapevole del fatto che, in certi contesti interessanti, le funzioni che esprimono le forze potevano essere discontinue, egli non assumeva che i termini del lavoro derivassero sempre da un potenziale, come aveva sostenuto Lagrange. Tale differenza ebbe importanti conseguenze non soltanto per la meccanica ma anche per la matematica stessa, in particolare per questioni riguardanti le equazioni differenziali e la loro integrabilità.
Gli ingénieurs savants francesi: Borda e de Prony
Le faccende militari implicavano spesso problemi d'ingegneria. Il testo più conosciuto era la traduzione in tedesco con note di Euler, pubblicata nel 1745, del trattato di artiglieria di Benjamin Robins (1707-1751); ulteriori studi furono intrapresi da Euler stesso e da diversi altri personaggi. Uno di questi studi riguardava la cartografia; Euler esaminò le tecniche matematiche, incluso l'uso delle variabili complesse, dove comparivano le equazioni di Cauchy-Riemann come mezzo per esprimere la conformità. Il suo collega berlinese Johann Heinrich Lambert (1728-1777) produsse un bel compendio delle proprietà fondamentali che dovrebbero possedere tutti i principali tipi di mappa o di carta geografica.
Un altro argomento d'interesse era la determinazione delle traiettorie dei proiettili lanciati a grande distanza ove, per semplicità, non si tenesse conto di effetti minori, come, per esempio, la rotazione della Terra. Un notevole contributo in questo senso venne da Jean-Charles Borda (1733-1799) che escogitò uno strumento, chiamato 'cerchio moltiplicatore', per fare osservazioni topografiche in modo da ridurre notevolmente le conseguenze dell'errore; lo strumento fu sperimentato nel 1787 nel corso di una collaborazione tra Francia e Inghilterra per determinare la posizione degli osservatori astronomici di Parigi e di Greenwich.
Borda fu chiamato a far parte della Commissione francese dei pesi e delle misure, che organizzò una conferenza internazionale (una novità per l'epoca) a Parigi nel 1799 per fissare unità di misura comuni per la massa, la lunghezza e la temperatura. Egli chiamò mètre l'unità di lunghezza proposta dopo che la differenza di longitudine tra Parigi e Barcellona era stata determinata grazie alle osservazioni fatte da una squadra guidata da Pierre-François-André Méchain (1744-1804) e da Jean-Baptiste-Joseph Delambre (1749-1822). In questa occasione furono utilizzati sia il cerchio di Borda sia la sua versione molto sofisticata di pendolo, che permise di fare osservazioni particolarmente accurate. I sistemi di misura dei pesi e delle distanze furono il prodotto duraturo di questo convegno; la proposta divisione centesimale del cerchio, anziché in 360 gradi sessagesimali, fu invece abbandonata, anche in Francia, nel giro di non più di vent'anni.
Come se non bastasse, Borda compilò anche un certo numero di tavole logaritmiche e trigonometriche, che furono completate e pubblicate postume nel 1801 sotto la direzione editoriale di Delambre. L'ultimo esempio di una simile attività fu, nel corso degli anni Novanta del Settecento, un progetto diretto da Gaspard-François-Clair-Marie Riche de Prony (1755-1843), figura di rilievo della comunità degli ingegneri francesi prima e soprattutto dopo la Rivoluzione. Si trattò di un progetto di grandi proporzioni, interessante esempio di capacità manageriale; egli impiegò infatti una grande squadra di assistenti di diverso livello per preparare le tavole dei valori delle funzioni che avevano applicazioni nelle varie scienze tecniche; questi valori furono calcolati addirittura fino alla diciannovesima cifra significativa! Dopo la produzione di diciotto grandi volumi la massa di dati era troppo imponente per essere pubblicata, anche quando nel corso degli anni Dieci dell'Ottocento fu garantita la cooperazione degli Inglesi.
De Prony era un entusiastico ammiratore dell'Encyclopédie, tanto da volerla ampliare preparando un supplemento sull'ingegneria; tuttavia egli non procedette oltre la breve prefazione pubblicata nel 1788. Nel 1790 pubblicò comunque il primo massiccio volume della Nouvelle architecture hydraulique, che in realtà includeva anche molte parti della meccanica dei corpi e della meccanica ingegneristica. Il volume trattava della meccanica "per artigiani in generale" ed era suddiviso in cinque parti che comprendevano la statica, la dinamica, l'idrostatica, l'idrodinamica e "le macchine e i motori", con particolare attenzione allo studio dell'attrito. Sei anni più tardi apparve un secondo volume, più breve, centrato sulle macchine a vapore; in esso si discuteva anche della conversione dei moti circolari in moti rettilinei e si facevano ipotesi sul comportamento dei gas. Da allora de Prony insegnò analisi matematica e meccanica all'école Polytechnique, dove tenne anche un corso di 'meccanica filosofica' (1800) nello stile dell'Encyclopédie, al punto che definizioni, assiomi e teoremi erano scritti su colonne distinte, e i diversi tipi di attività ingegneristica erano classificati in tabelle sinottiche.
Come si è detto, la fisica era una disciplina completamente diversa dalla meccanica dal punto di vista teorico e soprattutto dal punto di vista sperimentale, ed era in gran parte non matematica. Durante il XVIII sec. si era occupata di argomenti quali la costituzione della materia, le proprietà dell'aria, anche in relazione alla propagazione del suono e alla barometria, la teoria del calore, inclusi gas e vapori, l'elettrostatica (allora usualmente nota come 'elettricità', distinguendo però, in seguito all'ampio uso e allo studio dei primi generatori elettrici, tra manifestazioni naturali e artificiali), il magnetismo, specialmente quello terrestre, e l'ottica fisica, forse il settore più ampio. La fisica si sovrapponeva alla natural philosophy e alla Naturphilosophie nei paesi rispettivamente di lingua inglese e tedesca; un savant di questo tipo degno di nota, che diede anche contributi in alcuni ambiti della meccanica, fu il gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich (1711-1787).
Connessioni con la meccanica comparivano in argomenti riguardanti le proprietà della materia, come la teoria dell'elasticità, l'ottica e l'acustica; in effetti, quest'ultima era all'epoca considerata una branca della meccanica che studiava il modo in cui l'aria veniva spostata e, nel caso particolare del suono delle campane, era stata individuata una complessa equazione alle derivate parziali di quarto ordine. Per quanto riguarda la barometria, l'intersezione con la meccanica concerneva specialmente la determinazione della forma del menisco nei tubi capillari, e anche le proprietà di saturazione dei gas e dei vapori.
In molte altre branche della fisica erano compresi argomenti più elementari, ma non banali rispetto alla concezione della fisica stessa che si stava delineando. Un aspetto di crescente importanza fu la quantificazione, non semplicemente nel senso di usare numeri ma anche di raccogliere e di tabulare insiemi di dati per una valutazione, di ottenere o di calcolare valori possibilmente accurati per i fenomeni oggetto di studio e di stimare la grandezza e anche la causa fisica dell'errore dei dati. Contribuì in tal senso l'aumento del numero di laboratori di sperimentazione, dato che essi offrivano l'opportunità di raccogliere e confrontare i dati in modo più conveniente ed esteso. Tabelle di questo tipo furono usate, per esempio, nella meteorologia nel tentativo d'individuare modelli di comportamento del tempo atmosferico nei vari paesi. L'accuratezza nella misurazione delle quantità di sostanze era molto apprezzata, soprattutto nel settore farmaceutico. La nozione di rapporto, la cui illustre tradizione risale all'Antichità, era utile per esprimere relazioni come quella esistente tra volumi o pesi di coppie di sostanze, specialmente dello stesso tipo; analogamente, in elettrostatica, si mettevano in relazione le cariche elettriche con la distanza tra i conduttori. Valutazioni numeriche erano introdotte anche nelle scienze naturali per distinguere categorie tassonomiche riguardanti i generi e le specie o i tipi di minerali. Tuttavia, mentre la maggior parte delle proprietà dei fenomeni era stata individuata, poco o niente emergeva di una teoria che spiegasse le azioni coinvolte, in particolare per quanto riguarda discipline 'difficili', come la meteorologia.
L'aritmetica non era la sola branca della matematica a essere utilizzata. L'algebra, o almeno il suo tipo di approccio, influenzò l'introduzione di simboli in chimica, soprattutto con Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794), a partire dagli anni Ottanta del Settecento. Si usavano anche rappresentazioni geometriche, come è evidente sia nella storia naturale, dove Linneo (Carl von Linné, 1707-1778) usò figure di base, come il cerchio, il triangolo e loro combinazioni, per caratterizzare la fauna, sia nella cristallografia, dove a partire dagli anni Novanta l'abate René-Just Haüy (1743-1822) usò i solidi geometrici per classificare i vari tipi di cristallo basandosi sui loro piani di riflessione.
Alcune scienze naturali fecero un uso maggiore della matematica. Un esempio interessante è quello della 'scienza forestale', come la chiamavano allora i Tedeschi, dove la topografia era usata per fornire accurate mappe delle aree boschive e non boschive. La quantità di legname prevista da un programma di taglio era inoltre valutata considerando un tronco d'albero come un cono e usando una vecchia formula per stimare il suo volume; la geometria descrittiva permetteva di calcolare tramite proiezioni stereometriche il volume delle assi che se ne potevano ricavare.
Coppia di forze: una strana lacuna
Alla fine del secolo la meccanica e il relativo calcolo differenziale costituivano di gran lunga la parte più rilevante della matematica. Questa importanza era destinata a continuare e in realtà a essere arricchita dalla graduale matematizzazione delle varie branche della fisica. La netta divisione tra le discipline era stata sostituita da un più complicato rapporto tra di esse. Un'incredibile lacuna rimase tuttavia in tutte e tre le tradizioni della meccanica. Nessuno si rese conto che nella statica la teoria della composizione delle forze doveva essere integrata con il concetto di 'coppia di forze' costituita da due forze uguali in intensità e in direzione ma di verso opposto e non aventi lo stesso punto di applicazione. Considerata come una mera eccezione della legge di composizione, la coppia di forze fu presa in considerazione soltanto in particolari contesti, soprattutto nella teoria dell'elasticità, in certi problemi d'ingegneria e, nel 1749, da d'Alembert nello studio delle condizioni di equilibrio rotazionale e traslatorio di un corpo solido. Tale nozione fu ripresa all'inizio del nuovo secolo da Louis Poinsot (1777-1859) nella sua prima pubblicazione, gli Élémens de statique (1803), dove sia la nozione sia il nome di 'coppia' (di forze) fecero la loro tarda comparsa.