Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il Settecento è il secolo dei grandi viaggi di esplorazione, con i quali si afferma l’esigenza di un preciso programma di ricerca scientifica. I naturalisti-viaggiatori diventano così i veri protagonisti del secolo: essi non solo contribuiscono ad accrescere le conoscenze geografiche e di storia naturale, ma danno anche l’impulso a nuovi interessi e programmi di ricerca.
Durante il Settecento si assiste a uno straordinario impulso dei viaggi e a un mutamento sostanziale nel modo stesso di viaggiare. Gli accresciuti mezzi tecnici insieme al crescente interesse degli Stati europei a estendere la propria egemonia politica e culturale e a garantirsi sbocchi commerciali all’estero ne costituiscono la spinta propulsiva. L’indagine sistematica della superficie terracquea è infatti resa possibile dal sostegno economico del potere politico e dall’appoggio delle grandi istituzioni scientifiche: nelle esplorazioni settecentesche spesso non esistono confini rigidi tra l’appropriazione politica ed economica di un territorio e la sua ricognizione scientifica. Inoltre, la convinzione che la conoscenza sia strumento principe di progresso e la fiducia nell’utilità del sapere contraddistinguono il viaggio settecentesco, contribuendo a fare del viaggiatore una sorta di pubblico benefattore, le cui informazioni potranno essere fonte di ricchezza e di benessere per l’intera società.
Se è vero che un’attenzione indifferenziata verso ogni oggetto degno di conoscenza caratterizza il viaggiatore settecentesco, nella seconda metà del secolo all’ingordigia enciclopedica si affianca una prima specializzazione del viaggio che riflette il processo di differenziazione disciplinare, sia nelle discipline umanistiche sia in quelle naturalistiche.
Il Grand Tour – tipico viaggio di istruzione e formazione del gentiluomo attraverso l’Europa civilizzata – gode nel Settecento di grande fortuna, ma più diffuso è sicuramente il viaggio naturalistico, intrapreso in prima persona da alcuni tra i massimi naturalisti dell’epoca –Tournefort, Linneo, Vallisneri).
Con i grandi viaggi di esplorazione viene dunque affermandosi l’esigenza di stabilire a priori un preciso programma di ricerca scientifica che a sua volta richiede e impone una specifica formazione professionale del viaggiatore stesso. Il perfezionamento degli strumenti d’osservazione e di misura e la sempre più larga diffusione di testi a stampa o manoscritti, contenenti istruzioni destinate a guidare le ricerche, rendono il viaggio un’occasione unica di conoscenza e d’indagine diretta della terra. Tornato in patria, o in una delle lunghe pause del viaggio, il viaggiatore diviene spesso autore; si assiste allora a una rapida e capillare diffusione della letteratura legata alle imprese di esplorazione, dalla relazione semplicemente descrittiva al viaggio immaginario e alla letteratura utopica. Alla fame di notizie su Paesi e popoli esotici rispondono anche le numerose opere di compilazione, fra cui spiccano le raccolte di viaggio, come i 16 volumi dell’Histoire des voyages dell’abate Prévost, pubblicata dal 1746 al 1761.
Il Settecento è il secolo delle grandi esplorazioni geografiche oltreoceano ma anche dei viaggi via terra all’interno dei continenti, realizzati sia individualmente sia a seguito di ambascerie e di missioni religiose. I progressi nelle scienze matematiche e nella strumentazione forniscono metodi e mezzi per un’indagine sistematica della Terra, per delimitare gli esatti confini di isole e continenti, fissando così nella rappresentazione cartografica lo stato delle conoscenze e gli spazi ancora inesplorati. I grandi viaggi di circumnavigazione, vere e proprie imprese commerciali ma anche scientifiche, sono il risultato di complessi preparativi che coinvolgono direttamente governanti e scienziati dell’epoca. I velieri di Louis-Antoine de Bougainville, quelli comandati da Jean-François Galaup de La Pérouse e da Joseph-Antoine Bruny d’Entrecasteaux (1792-1793) sono vere e proprie accademie galleggianti, dove ufficiali di marina e naturalisti realizzano, non senza difficoltà, il progetto di un grande inventario geografico e naturale. Al tempo stesso i tre viaggi compiuti da James Cook (1768-1771; 1772-1775; 1776-1780) fanno conoscere l’oceano Pacifico, le terre artiche e quelle antartiche.
I risultati conseguiti e i progetti di viaggi sempre più lunghi verso terre sempre più lontane sono resi possibili dai progressi della medicina e dell’igiene che, a partire dalla seconda metà del secolo, contribuiscono a ridurre in modo sostanziale i rischi insiti nei viaggi di lungo corso e migliorano le condizioni di vita e di lavoro a bordo delle navi.
Dal punto di vista geografico, le imprese settecentesche ruotano intorno ad alcuni grandi problemi che costituiscono l’impulso per nuove e ripetute indagini: primo tra tutti la ricerca del passaggio a nord-ovest che avrebbe consentito di realizzare una navigazione diretta dall’Atlantico al Pacifico e che ben sintetizza lo stretto legame tra interessi commerciali e finalità scientifiche. Legato alla più ampia esplorazione delle terre artiche, la ricerca del passaggio verso le Indie occidentali rimane un enigma irrisolto: il grande navigatore James Cook muore nel corso del suo terzo viaggio, intrapreso alla vana ricerca del passaggio.
Il mito dell’esistenza di un grande continente australe rappresenta l’altra ipotesi geografica che spinge molti viaggiatori alla verifica diretta. Così è grazie ai viaggi di circumnavigazione di Bougainville e di La Pérouse che si cominciano a distinguere le terre antartiche dalle terre australi; ma è ancora Cook a dare i maggiori contributi alla conoscenza di queste regioni, scoprendo la Nuova Zelanda e dimostrando – nel corso del suo secondo viaggio – l’inesistenza della favolosa Terra Australe.
Numerosissimi sono anche i viaggi via terra, tra cui la sistematica esplorazione della realtà naturale e umana delle regioni siberiane, compiuta dal naturalista tedesco Peter Simon Pallas (1768-1774), quella di Carsten Niebuhr in Arabia (1761-1767) e il viaggio alla ricerca delle radici della civiltà del philosophe Constantin-François de Volney in Egitto e Siria (1783-1785).
Nell’ultimo terzo del XVIII secolo s’intensifica l’esplorazione dell’interno dell’Africa, prima con François Levaillant (1780-1784), poi con lo scozzese Mungo Park (1795-1797) nelle regioni occidentali del continente.
I naturalisti viaggiatori sono i grandi protagonisti del viaggio settecentesco. L’esigenza di completare l’inventario del mondo con il primato accordato all’osservazione diretta della natura, la raccolta di esemplari da portare in patria, ma anche promesse di futuri bottini o fonti di sussistenza e di reddito stimolano un grandioso processo di ricognizione della terra, sia nelle lontane contrade d’oltreoceano sia sui territori più familiari del proprio Paese. Numerosi sono i naturalisti che intraprendono escursioni solitarie o missioni organizzate da istituzioni scientifiche, da Joseph Pitton de Tournefort in Asia Minore e in Persia a Horace de Saussure nelle Alpi, da Linneo in Lapponia a Lazzaro Spallanzani in Sicilia. L’esperienza del viaggio è per questi studiosi strumento di ricerca, sperimentazione e verifica; è parte essenziale della propria formazione scientifica, se non un investimento non privo di rischi per il proprio futuro. Molti infatti sono coloro che non torneranno più in patria, mentre molti si guadagneranno fama e onori.
Se forte è la passione del grande pubblico per resoconti esotici su Paesi lontani, altrettanto sentita da parte di intellettuali e filosofi è l’esigenza di ottenere dai viaggiatori dati certi e attendibili.
Nasce così il bisogno di dotare gli esploratori di strumenti che garantiscano al loro lavoro rigore nell’osservazione, metodo nella raccolta delle informazioni, abilità nel collezionare, preservare e imballare i campioni di storia naturale da spedire in patria.
Inoltre, accanto a strumenti scientifici sempre più precisi, le istruzioni di viaggio conoscono nel Settecento una grandissima diffusione e diventano parte integrante del bagaglio pratico e teorico del viaggiatore-naturalista. Le indicazioni contenute in queste opere – dalle norme di comportamento alle precauzioni igienico-sanitarie, dall’equipaggiamento di cui dotarsi agli itinerari e rotte da seguire, dai fenomeni da osservare agli oggetti da raccogliere, dalle tecniche per conservare i campioni a quelle per una loro sicura spedizione – ne fanno uno strumento prezioso per una capillare investigazione della terra.
Le grandi accademie e istituzioni scientifiche dell’Europa dell’ancien régime collaborano attivamente all’organizzazione e all’elaborazione del programma scientifico: l’Académie des Sciences e il Muséum d’Histoire Naturelle in Francia, la Royal Society di Joseph Banks in Inghilterra, l’Accademia delle scienze di San Pietroburgo e quella di Uppsala vengono incaricate di sovrintendere alla preparazione dei maggiori viaggi scientifici del secolo. La spedizione napoleonica in Egitto, a cavallo tra Settecento e Ottocento (1798-1802), vede coinvolte le maggiori istituzioni francesi e la diretta partecipazione di alcuni fra i più noti scienziati dell’epoca come Etienne Geoffroy Saint-Hilaire e Jules-César Savigny. I risultati di questa missione travalicano gli interessi politici ed economici e vanno ad incrementare il patrimonio conoscitivo in ogni campo del sapere: dall’archeologia alla medicina, dalla storia naturale all’etnologia.
Le spedizioni naturalistiche del XVIII secolo, dunque, arricchiscono enormemente le conoscenze geografiche e di storia naturale e importano nei gabinetti degli scienziati come nelle gallerie dei musei una grandissima quantità di esemplari naturalistici. A esse sono debitrici le scienze dell’epoca che, grazie alle ricerche dei viaggiatori, vedono ampliarsi il loro archivio di dati sulla base dei quali intraprendere nuove ricerche. Sul finire del secolo, inoltre, è anche grazie ai viaggi naturalistici che prendono corpo nuovi interessi e programmi di ricerca: è il caso degli studi sulla distribuzione geografica degli organismi – avviata da Alexander von Humboldt nel corso della sua spedizione nell’America centrale e meridionale – e della fondazione di una scienza dell’uomo autonoma dalla storia naturale che vedrà il suo centro propulsore nella Société des Observateurs de l’Homme di Parigi, fondata nell’ultimo scorcio del XVIII secolo.