Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le colonie australi di insediamento dell’Impero britannico, Australia e Nuova Zelanda, conoscono nella seconda metà del XIX secolo un grande sviluppo economico, spesso a spese delle popolazioni indigene, e una progressiva autonomia politica dalla madrepatria. Il Sud Africa sarà il centro di una contrastata politica di dominio da parte del Regno Unito, alla ricerca del controllo sulle sue risorse, contrastato dalle popolazioni indigene, ma soprattutto dai primi coloni olandesi, i Boeri.
Il New South Wales è la prima area di insediamento europeo in Australia: dal 1788 è una colonia di deportazione dei condannati ai lavori forzati dopo che l’indipendenza degli Stati Uniti ha reso indisponibile allo scopo la Virginia. Ai deportati è offerta la possibilità di lavorare come affittuari sulle terre di cui ha preso possesso la Corona, sistema che viene abbandonato solo nel 1831, mentre le deportazioni continuano fino al 1868: tra il 1788 ed il 1868, si trasferiscono 161.700 condannati.
Oltre la necessità di creare una nuova colonia penale, il governo britannico è interessato ad avere un punto d’appoggio navale nel Pacifico meridionale, sulla rotta tra America e India, e inizialmente si ritiene di potervi introdurre il sistema di piantagione, sperimentato con la coltivazione del lino, i cui risultati si dimostrano però deludenti. Fino agli anni Quaranta le principali attività economiche sono legate alla caccia alle balene e alle foche, con le lavorazioni che vi sono connesse, industria che si sviluppa soprattutto in Tasmania, colonizzata dal 1803; ma è l’allevamento delle pecore da lana che si afferma con un rapido successo: introdotte nel 1797, sono circa 100 mila nel 1820, un milione nel 1830 e oltre 13 milioni nel 1850. La colonia diviene il più importante fornitore di lana per le industrie della madrepatria.
L’esplorazione delle regioni interne apre negli anni Venti la strada alla colonizzazione dell’entroterra, consentendo una crescente immigrazione dal Regno Unito, fenomeno che coinvolge prevalentemente gli strati più poveri della popolazione scozzese, gallese e irlandese, in particolare dopo la grave crisi agricola degli anni Quaranta. Molti dei deportati provengono dall’Irlanda e sono spesso condannati per reati politici: il sospetto verso questi immigrati da parte delle autorità britanniche le spinge inizialmente a proibire la pratica della religione cattolica e solo nel 1836, con il Church Act, è introdotta nella colonia la libertà di culto.
Se nel 1825 i coloni europei sono presenti in numero esiguo, circa 25 mila coloni in Australia e 4.500 in Tasmania, nel 1840 sono 140 mila e nel 1851 si raggiunge già il numero di 430 mila europei residenti, saliti a 1.200.000 nel 1861. A partire dalla scoperta dell’oro nel territorio di Victoria nel 1851, l’arrivo di nuovi immigrati è inarrestabile e agli Europei si aggiungono Cinesi, Indiani, Polinesiani e più tardi Giapponesi: l’immigrazione asiatica verrà proibita nel 1901.
L’espansione degli insediamenti dei coloni avviene a spese della popolazione aborigena. Nonostante il tentativo delle autorità britanniche di impedire le violenze sugli indigeni, si ha una situazione endemica di tensioni, guerriglia e reciproche ritorsioni e vendette, esasperata dall’occupazione di vaste aree destinate all’allevamento. Nel 1835 si cerca di arginare il fenomeno ribadendo che tutta la terra è proprietà della Corona e quindi le occupazioni senza autorizzazione sono dichiarate illegali. Le violenze compiute dai coloni, e gli episodi di veri e propri massacri di aborigeni, portano le autorità a intervenire con maggiore risolutezza: nel 1838, in un celebre processo seguito al massacro di 28 indigeni, in gran parte bambini e donne, i responsabili bianchi vengono arrestati e processati, e sette di questi sono condannati a morte e impiccati. Ma sono soprattutto le malattie portate dagli Europei a decimare gli aborigeni, che in Tasmania arrivano a estinguersi quasi del tutto già negli anni Quaranta. Vengono istituite delle riserve in cui “proteggerli”, ma il loro declino demografico sarà drammatico nel corso del secolo.
Nel 1836 con il South Australia Act nasce, con l’autorizzazione del parlamento britannico, una nuova colonia, il South Australia, il cui sviluppo è affidato a una compagnia privata. Nel nuovo insediamento si cerca di favorire lo sviluppo della piccola proprietà terriera e di proteggere e assistere gli immigrati più poveri. Da qui si avanzano le prime richieste di un governo rappresentativo e, dal 1851, un Consiglio esecutivo in parte eletto affianca il governatore. Nel 1895, la colonia del South Australia riconosce il diritto di voto alle donne, nonché il diritto a essere elette a cariche politiche e nel 1897 si ha la prima donna al mondo candidata alle elezioni parlamentari. Gli aborigeni hanno diritto di voto nelle colonie australiane, salvo che nel Queensland e nel Western Australia, ma di fatto la loro partecipazione viene scoraggiata.
La corsa all’oro che si sviluppa dal 1851 porta a una forte crescita delle tensioni sociali per i controlli esercitati dal governo sulle attività minerarie e per il rigido sistema di licenze che regola l’estrazione del prezioso metallo e le tasse a questo collegate. Le tensioni, alimentate dalla corruzione dei funzionari locali e dall’arresto di alcuni minatori nella città di Ballarat, portano migliaia di minatori di varie nazionalità, spesso reduci dai moti europei del 1848, guidati da veterani inglesi del movimento cartista, alla fondazione della Ballarat Reform League e, nel novembre del 1854, a una aperta rivolta armata che viene duramente repressa con un sanguinoso scontro a fuoco tra l’esercito e i minatori che si sono barricati presso una località nota come Eureka diggings: alla fine il sistema delle concessioni verrà rivisto e la Lega risulta politicamente vincitrice del confronto. L’episodio dell’Eureka stockade del 3 dicembre 1854 diventa uno dei simboli nazionali delle lotte per la democrazia in Australia.
L’Australian Colonies Government Act del 1850 concede alle singole colonie la possibilità di elaborare proprie costituzioni, fatte salve le garanzie per gli interessi imperiali e il fatto che dovranno essere elaborate nel quadro della monarchia costituzionale britannica. Nel 1855, il New South Wales è la prima colonia ad avere un governo responsabile, seguita da South Australia, Victoria e Tasmania nel 1856, il Queensland dal 1859 e la colonia del Western Australia dal 1890. Il Colonial Office di Londra mantiene il controllo sulla politica estera, sulla difesa e su altri aspetti di rilievo strategico per l’impero.
A rendere possibile il trasferimento dei poteri è la sostenuta crescita economica che, alimentata dalla scoperta dell’oro e dallo sviluppo del settore minerario, oltre che dall’esportazione della lana, si protrae fino agli anni Novanta, consentendo di finanziare la costruzione di importanti infrastrutture, la rete ferroviaria e stradale, i porti, la rete telegrafica, ma anche la crescita industriale. L’economia australiana della seconda metà del XIX secolo è una classica economia di esportazione legata al mercato internazionale dell’oro e della lana.
Negli anni Sessanta, oltre il 60 percento delle esportazioni è diretto verso la madrepatria e il 75 percento delle importazioni ne proviene, nei decenni successivi cambieranno le percentuali ma non il rapporto tra le due voci. L’Australia dipende da Londra anche per gli investimenti di capitale. La crisi della banca Baring, nel 1891, provoca una forte riduzione degli investimenti in Australia e una grave crisi dell’industria locale, accentuata dalla decrescente produttività del settore minerario. Un riflesso di questa situazione è lo sviluppo di politiche protezionistiche e la richiesta d’istituzione di un sistema di preferenze imperiali, che garantisca le esportazioni verso il Regno Unito e gli investimenti della City in Australia.
L’ intensificazione dei collegamenti e la costituzione di un esercito australiano comune portano al graduale superamento delle divisioni e della concorrenza tra le varie colonie. Nel 1891, a Sidney, la National Australia Convention elabora un Constitutional Bill. La sua mancata ratifica da parte dei parlamenti porta alla convocazione ad Adelaide nel 1895 del Comitato per la Costituzione che, dopo un anno di discussioni, presenta una nuova proposta di costituzione federale, approvata dalle colonie australiane, ma non dalla Nuova Zelanda. Sottoposta a referendum nel 1898, la Costituzione è bocciata dagli elettori del New South Wales ma con alcuni emendamenti viene approvata da cinque colonie con un secondo referendum tenutosi nel 1899; nell’anno 1900, aderisce anche la colonia del Western Australia. Il 5 luglio del 1900 la Camera dei Comuni vota e approva il Commonwealth of Australia Constitution Act, che viene controfirmato dalla regina Vittoria pochi giorni dopo.
Alla fine del XVIII secolo, la Nuova Zelanda acquista una relativa importanza come punto di appoggio per la caccia alle balene: esploratori, pescatori e mercanti da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti sviluppano relazioni commerciali regolari, ma non sempre pacifiche, con la popolazione locale, i Maori. Il commercio con gli stranieri introduce importanti trasformazioni negli equilibri interni tra i diversi gruppi tribali: poiché la società Maori è costituita da tribù e clan guerrieri in costante competizione, le armi da fuoco divengono subito una delle merci più richieste, con cui si scambiano il lino e il legname pregiato o rifornimenti per le baleniere. La loro introduzione porta a un incremento delle guerre tribali, dove chi dispone delle nuove armi cerca di sopraffare i gruppi rivali, rendendoli schiavi ed espropriandone le terre: negli anni Trenta le cosiddette Musket Wars causano l’estinzione di interi gruppi tribali.
Nei primi anni del XIX secolo iniziano ad arrivare anche i missionari che riscuotono un notevole successo, dovuto alla tolleranza della religione politeistica fino ad allora praticata dai Maori e alla crisi della società tradizionale seguita al contatto con gli stranieri e alle devastanti guerre tribali.
Negli anni Venti si sviluppano i primi insediamenti europei, la cui estensione alimenta una crescente tensione con i Maori. I Britannici, che hanno insediato un residente ufficiale dal 1834, invitano tuttavia i capi maori a difendere e rivendicare la loro sovranità, appoggiando nel 1835 una Dichiarazione d’indipendenza sottoscritta dai principali capi. Il governo britannico teme soprattutto la Francia che nel 1840 ha stabilito un insediamento nel sud del Paese. Per contrastare il piano di occupazione delle terre presentato dalla New Zeland Company nel 1839, i Britannici progettano di annettere il territorio alla colonia australiana del New South Wales, ma in un secondo momento, grazie alla collaborazione di 40 influenti capi maori, il 6 febbraio del 1840, il trattato di Watangi riconosce la sovranità della Corona britannica, prevededendo in tre articoli che i regnanti britannici avrebbero avuto il diritto di governare la Nuova Zelanda; i capi maori avrebbero conservato la loro autorità e le loro terre, che potevano essere cedute solo alla Corona; i Maori e i sudditi britannici avrebbero avuto gli stessi diritti. L’accordo, che nelle diverse traduzioni può prestarsi ad equivoci che sono all’origine dei futuri conflitti, è sottoscritto da 500 capi, ma altri lo rifiutano. Passati i timori di mire francesi, o americane, l’amministrazione britannica cerca di andare oltre il trattato e di promuovere una politica di assimilazione della popolazione indigena. Nel 1841, la Nuova Zelanda diventa una colonia autonoma e nel 1852, con il New Zealand Constitution Act, ottiene il diritto ad avere un governo responsabile ed eletto.
Dagli anni Quaranta ha inizio l’immigrazione dal Regno Unito, dagli Stati Uniti, dall’Europa Centrale e dall’India. Negli anni Ottanta, con la scoperta dell’oro, si avrà anche una importante immigrazione cinese legata al lavoro nelle miniere delle grandi compagnie private.
La questione della terra è motivo di costanti tensioni con la popolazione maori e negli anni Quaranta, Sessanta e Settanta si avranno una serie di guerre dovute al tentativo del governo coloniale di espropriare le terre tribali. Alcuni capi decidono di collaborare, per lo più in opposizione a clan rivali, mentre altri adottano forme di resistenza passiva. La collaborazione porta quattro capi tribali a essere eletti al parlamento della colonia nel 1867. Il processo di espropriazione delle terre va avanti per tutto il secolo, insieme alla crescente pressione fiscale, alle conseguenze delle guerre e alla diffusione delle malattie portate dagli Europei, causando la crisi definitiva della società maori e il suo crollo demografico.
La scoperta dell’oro nel 1861 nella regione del South Island genera dinamiche economiche simili a quelle australiane: l’economia neozelandese dipende dall’esportazione di lana e oro e con i suoi proventi si cerca di sostenere il livello di vita e i consumi interni. In questi anni, un 40 percento delle esportazioni è diretto verso la madrepatria, ma altrettanto è diretto verso le colonie australiane. Dagli anni Ottanta e fino alla Prima guerra mondiale, oltre l’80 percento delle esportazioni è diretto al Regno Unito. Il forte indebitamento pubblico costringe a cercare a Londra i capitali d’investimento per sostenere l’economia che dipenderà sempre in larga parte dalla City, sebbene alcuni investimenti giungano anche dall’Australia e dagli Stati Uniti. La crisi degli anni Novanta, porta la Nuova Zelanda a una maggiore attenzione verso il settore agricolo, trasformandosi in una delle principali fonti di prodotti alimentari per i mercati britannici, specializzandosi nell’esportazione di carne e di altri prodotti deperibili resa possibile dalle innovazioni tecnologiche. Questo sistema di interscambio può sussistere solo grazie alle “preferenze imperiali” e a un rigido protezionismo che consentono alti livelli di esportazione anche a prezzi non competitivi. La vittoria elettorale dei liberali negli anni Novanta porta alla realizzazione delle prime forme di welfare, oltre a una avanzata politica sui temi del lavoro. Nel 1893 la Nuova Zelanda è il primo Paese ad adottare il suffragio universale femminile. Dopo una iniziale adesione nel 1891 alla National Australia Convention per la promozione di una Costituzione federale, il parlamento neozelandese preferirà mantenere la propria autonomia ottenendo nel 1907 lo status di Dominion della Corona.
Possedimento olandese occupato durante le guerre napoleoniche dai Britannici, la Provincia del Capo nel 1815 diviene una colonia del Regno Unito. L’interesse di Londra è esclusivamente strategico e si spera di poterne garantire l’autosufficienza grazie all’attività agricola dei coloni originari, i Boeri, calvinisti olandesi e tedeschi, insediati fin dal 1652, cui si aggiungono gli ugonotti francesi. Le interferenze nelle relazioni con gli indigeni, le tasse che vengono imposte, e il conflitto culturale che si apre con i coloni, originano negli anni Venti il Great Trek, la migrazione di massa dei Boeri verso il nord per sottrarsi all’autorità britannica.
Il tentativo di sostituire i boeri con l’insediamento nelle aree agricole di immigrati inglesi fallisce; questi abbandonano le fattorie trasferendosi nei centri urbani, originando la divisione etnica che caratterizza la colonia: i boeri, gli africani, schiavi o liberi, e gli anglosassoni che rivendicano la loro superiorità razziale rispetto agli altri gruppi. Ulteriore fattore di divisione con i boeri è l’abolizione della schiavitù nel 1833, che mina le basi dell’economia delle grandi fattorie. Nel 1841 viene varata una legislazione che mantiene e rafforza il regime di separazione razziale.
Emerge anche un altro attore politico nella regione, il regno Zulu, con l’unificazione delle tribù Nguni del Natal ad opera di Shaka Zulu e con una vasta azione di espansione territoriale a spese degli altri gruppi tribali, che a loro volta sono costretti a invadere i territori vicini per sfuggire agli invasori. È in questa situazione che si inseriscono i Voortrekkers, i Boeri che partecipano alla migrazione verso nord, che dopo aver tentato di raggiungere un accordo con gli Zulu per insediarsi nel Natal, avviano una lunga stagione di guerriglia con i potenti vicini, culminata nella vittoria boera nella battaglia del Blood River, 1838. Il loro successo ha però vita breve poiché nel 1843 i Britannici annettono il Natal, creando una nuova colonia e spingendo i Boeri a migrare nuovamente verso il nord, dove danno vita a due repubbliche indipendenti: la Repubblica Sud Africana del Transvaal e il Libero Stato di Orange. Anche il Regno Unito deve confrontarsi con gli Zulu: nel 1879 l’esercito britannico subisce una grave sconfitta nella battaglia di Islandlwana, ma il regno Zulu è alla fine sconfitto e sottomesso.
La società e l’economia agricola dei Boeri sono duramente danneggiate dal Free Trade, promosso dai Britannici dagli anni Trenta, che abbatte i prezzi dei prodotti agricoli. L’abolizione della schiavitù e la cronica carenza di manodopera completano il quadro economico, provocando un forte aumento del costo del lavoro. Dagli anni Sessanta si cerca di sopperire al problema con la massiccia importazione di coolies indiani. La scoperta di giacimenti di diamanti nel 1866, e poi dell’oro dal 1886, rende più drammatico il problema della manodopera poiché spinge molti contadini bianchi e neri a lasciare le attività agricole per lavorare nelle miniere. Ciononostante, la carenza di forza lavoro nel settore minerario spinge Cecil Rhodes e la compagnia De Beers a promuovere il Glen Grey Act del 1894 con cui viene elevata la tassazione sulle attività agricole, in modo da costringere i contadini neri a cercare lavoro nelle miniere per procurare alle famiglie il denaro necessario per le tasse.
Nel 1877, i Britannici annettono lo Stato del Transvaal, decisione che, nel 1880, porta alla prima guerra anglo-boera e alla vittoria dei Boeri guidati da Paul Kruger che riconquistano l’indipendenza nel 1881, con il nome di Repubblica del Sud Africa (di cui Kruger diviene presidente nel 1883). Gli anni Novanta vedono un’imponente crescita dell’immigrazione legata allo sviluppo delle attività minerarie, processo che le repubbliche boere cercano di arginare ponendo dei limiti all’immigrazione e rifiutando la concessione di diritti politici agli stranieri.
Kruger si dimostra molto abile nel procurare investimenti e prestiti dalla Francia, dalla Germania e dall’Olanda che permettono di sfruttare la scoperta di giacimenti di oro e diamanti nel Transvaal. Nel 1899, il governo britannico intima il riconoscimento dei diritti politici per gli stranieri residenti nel Paese e Kruger a sua volta chiede il ritiro delle truppe britanniche dal Natal e, di fronte al rifiuto di Londra, dichiara guerra. La seconda guerra anglo-boera vede un iniziale successo dei Boeri, poi sopraffatti dal massiccio impiego di risorse belliche da parte dell’Impero britannico: la capitale boera, Pretoria, cade nel 1900. La guerriglia si protrae per altri due anni e viene repressa brutalmente con la deportazione di massa dei civili in campi di concentramento per eliminare ogni sostegno alla resistenza; in meno di due anni, 26 mila boeri, in prevalenza donne e bambini, vi muoiono di fame e di malattia. Nel maggio del 1902, il trattato di Vereeniging sancisce la pace con il riconoscimento della sovranità britannica e dell’impegno del Regno Unito a finanziare la ricostruzione delle due repubbliche. Nel 1910 nasce l’Unione Sud Africana, comprendente Transvaal, Orange, Natal e Colonia del Capo, che ottiene lo status di Dominion.