Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il Settecento sembra aver abbandonato le aspirazioni universalistiche. O, almeno,nella prima metà del secolo queste hanno cambiato forma: c’è bisogno, intanto, di denaro per le crescenti esigenze degli Stati e dei loro apparati, da ottenere con il minor costo possibile. La lotta per l’egemonia prosegue, ma con mezzi diversi dalla guerra che divora risorse e uomini: la diplomazia si rivela meno dispendiosa, i matrimoni più convenienti, le relazioni internazionali uno scacchiere volto alla conservazione dello status quo ante e all’equilibrio. Le guerre per la successione sui troni spagnolo, polacco e austriaco si rivelano come una possibilità di ridisegnare le alleanze nel Vecchio Continente ma soprattutto, e sia pur con differenze regionali e nazionali, progressivamente si constata la trasformazione da una società basata sulla cieca obbedienza all’autorità del sovrano e del clero a una società sempre più fondata sul diritto che mina alle fondamenta anche le relazioni tra gli Stati.
Le clausole della pace dei Pirenei suggeriscono che le guerre seicentesche sono ormai finite: progressivamente, nella seconda metà del Seicento, l’obiettivo sembra non essere più l’erigersi a monarchia universale, la difesa della “vera fede” o l’egemonia in Europa o nelle colonie ma, pressoché ovunque e quasi esclusivamente, il drenaggio delle risorse e l’aumento delle entrate fiscali ottenuti con il minor costo possibile: i matrimoni si rivelano più utili – e meno costosi – degli eserciti, le intese diplomatiche più dei conflitti. Le relazioni tra gli Stati sono un complesso scacchiere in cui ogni mossa ne produce di eguali e contrarie al fine di mantenere un sostanziale equilibrio; in realtà la guerra per l’egemonia prosegue: ma con altri mezzi e con protagonisti meno dispendiosi e letali.
D’altra parte, la costruzione dello “Stato moderno” ha dato un nuovo impulso al gioco diplomatico favorendo strategie volte soprattutto al mantenimento dello status quo ante e affidando un diverso ruolo sia all’esercito che agli apparati, nel crescere un po’ ovunque della “crisi della coscienza europea”; si è fatta strada, infatti, non solo una nuova sensibilità ma, soprattutto, la necessità di acquisire un andamento dissimile proteso a trarre dal nuovo e dal diverso il massimo beneficio e, nel relativismo, inglobarlo negli apparati e nello Stato. In breve tempo, sia pur con differenze regionali e nazionali, si constata la trasformazione da una società basata sulla cieca obbedienza all’autorità del sovrano e del clero a una società fondata sul diritto che mina alle fondamenta anche i principi e le relazioni tra gli Stati: il principio territoriale e dinastico, connesso al prodursi degli Stati nazionali, si rivela a essi può congruo dei valori universali e vettore di utile promozione sociale e sostiene e sottende progressivamente il cambio di ruoli e funzioni nelle gerarchie continentali mentre giochi diplomatici sempre più complessi sono enfatizzati e non escono dal recinto delle corti. Ma i protagonisti sono cambiati.
Il 1° novembre 1700 muore, senza eredi maschi, il re di Spagna Carlo II d’Asburgo. Già da tempo il problema della spartizione di un regno, che, sia pur in disfacimento, resta tuttavia essenziale per gli equilibri europei e delle colonie americane, è all’attenzione delle corti europee: due anni prima le maggiori potenze interessate avevano tentato di dirimere la questione della successione fra i vari pretendenti, indicando come futuro re di Spagna il figlio del principe elettore di Baviera, Giuseppe Ferdinando, la cui nonna paterna era sorella del sovrano spagnolo. Si cercava così di scongiurare la possibilità che l’eredità andasse ad altri due discendenti indiretti di quella dinastia, Luigi XIV di Francia – che aveva sposato la sorella del re spagnolo – o l’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, che, succedendo al trono di Spagna, avrebbero alterato l’equilibrio europeo. Nell’accordo, peraltro, erano previsti importanti compensi territoriali per quei due monarchi. Nel 1699 però la morte del giovanissimo principe bavarese porta le maggiori potenze a stipulare un nuovo trattato in favore del secondogenito dell’imperatore, Carlo d’Asburgo, al quale sarebbero andate la Spagna e le colonie d’America, mentre il delfino di Francia avrebbe dovuto ricevere Napoli, la Sicilia e il Ducato di Lorena, e il duca di Lorena il Ducato di Milano.
Intanto, però, in Spagna cresce il numero dei fautori del “partito” dell’integrità spagnola, che si oppone allo smembramento del regno: un mese prima di morire il sovrano, aderendovi, nomina erede il duca d’Angiò, Filippo V di Borbone, nipote di Luigi XIV, a condizione che rinunci per sé e per i suoi successori ai diritti sulla corona francese, scongiurando in tal modo un’unione dinastica tra Borbone ed Asburgo di Spagna. Il Re Sole, constatandone i vantaggi, decide di disattendere l’accordo precedentemente stipulato e di accettare per il nipote la successione. Alcune iniziative politiche e militari, prese immediatamente dopo, rivelano tuttavia la sua intenzione di interferire negli affari spagnoli e il disegno sostanzialmente egemonico dei Borboni: truppe francesi sono inviate a Mantova e nei Paesi Bassi, mentre il nuovo re si circonda di consiglieri francesi e concede a compagnie commerciali francesi privilegi e vantaggi negli scambi con le colonie americane. L’unione tra le due corone, sia pur non formalizzata, sembra materializzarsi spaventando Gran Bretagna e Province Unite, che si alleano con l’imperatore Leopoldo I per impedire che si “sopprimano i Pirenei” creando una nuova “monarchia universale”, sotto il segno francese. Si uniscono alla Grande alleanza siglata a L’Aja vari principi tedeschi, fra cui l’elettore di Brandeburgo, premiato nel 1701 con il titolo di re di Prussia. Il duca di Savoia Vittorio Amedeo III, che in un primo tempo si allea alla Francia, passa nel 1703 al campo avversario, ottenendo la promessa del Monferrato; lo stesso cambiamento di campo viene compiuto dal re del Portogallo, che con il trattato Methuen-Alegrete sottoscrive un accordo commerciale con l’Inghilterra, a scapito degli Spagnoli e dei Francesi.
La guerra inizia nel 1702 e, in una prima fase, sembra favorevole alle truppe francesi che si spingono verso Vienna, con il duca di Vendôme che si muove nella Pianura Padana e il maresciallo Villars lungo il Danubio: intanto, però, in Spagna si ribella la Catalogna, che conferisce il trono all’erede considerato legittimo in linea dinastica, il figlio dell’imperatore Carlo d’Asburgo, e gli Austriaci, respingendo le forze franco-spagnole, arrivano a conquistare dapprima Milano (1706) e poi Napoli (1707), mentre l’Inghilterra occupa Gibilterra (1704) e Minorca – e consente così agli alleati di occupare la Sardegna – e le truppe anglo-imperiali entrano in territorio francese espugnando Lille e arrivando, nel 1708, a minacciare Parigi. Tale capovolgimento è reso possibile dalla superiorità marittima anglo-olandese, dalle risorse finanziarie di Londra e di Amsterdam, nonché dalle capacità militari di Eugenio di Savoia e di John Churchill, duca di Marlborough. Ma la Francia è anche provata da un’eccezionale gelata che, nell’inverno del 1709, distrugge i raccolti e provoca una gravissima crisi demografica, economica e finanziaria. Luigi XIV è costretto a chiedere, ufficiosamente, la pace.
Le condizioni imposte dagli alleati sono però così umilianti (tra queste, la richiesta dell’impegno da parte del re di Francia di allontanare, anche con le armi, suo nipote da Madrid) da costringerlo a chiedere al Paese un ulteriore sforzo per continuare la guerra. Nel settembre del 1709 Villars ferma l’avanzata degli alleati a Malplaquet; anche i tentativi di insediare Carlo III sul trono spagnolo falliscono perché Filippo V riesce a unire la sua causa a quella dell’indipendenza nazionale. Nel 1710, intanto, cade a Londra il ministero Whig, sostituito da un governo Tory, più sensibile alle proteste dei proprietari terrieri al peso delle tasse per la guerra. L’anno successivo, la prematura scomparsa del nuovo imperatore Giuseppe I, fratello di Carlo, apre il problema della successione agli Stati ereditari austriaci e alla dignità imperiale e minaccia di sconvolgere, in caso di riconoscimento di Carlo anche come re di Spagna, l’equilibrio europeo. La Grande alleanza si scioglie e i dissensi fra gli ex alleati portano a due trattati di pace separati: quello di Utrecht, concluso nel 1713 dalla Francia con la Gran Bretagna e l’Olanda, e quello di Rastadt, l’anno dopo, con la monarchia austriaca. Il primo prevede la cessione di gran parte del Canada agli Inglesi, che ottengono nel Mediterraneo Gibilterra e Minorca, oltre al riconoscimento dell’asiento, ossia il monopolio della tratta degli schiavi africani nelle colonie spagnole, e il “vascello de permissione” per inviarvi una nave di merci inglesi ogni anno rompendo il tradizionale monopolio spagnolo; il secondo porta i Paesi Bassi ex spagnoli, nonché il Ducato di Milano e i regni di Napoli e di Sardegna, sotto il dominio austriaco.
Ma al di là delle clausole dei trattati, che pure per l’Italia rappresentano la fine di una lunga egemonia (confermata nel 1720 dalla pace dell’Aja), la guerra per la successione al trono di Madrid e la sua conclusione evidenziano non solo la decadenza della Spagna ma anche la crisi francese: per dirla con Voltaire, dopo una fase iniziale nella quale l’Europa appare “immersa nel torpore della sorpresa e dell’impotenza, quando vide la monarchia spagnola sottomessa alla Francia, della quale era stata rivale per trecento anni”” e uno dei nipoti di Luigi XIV pronto a governare “ai suoi ordini, la Spagna, l’America, la metà dell’Italia e i Paesi Bassi”, la conclusione del conflitto vede il tramonto di un modello costituzionale e di governo: quello dell’assolutismo monarchico, impersonificato dal Re Sole che, un anno dopo, muore mentre si affacciano sulla scena dell’egemonia l’Inghilterra e l’Impero.
Tuttavia la pace siglata a Utrecht, con un testo scritto per l’ultima volta in latino e destinata a consolidare la pace nell’equilibrio degli Stati, si rivela in breve tempo una semplice tregua: un nuovo focolaio si accende nell’instabile area baltica nel febbraio del 1733. Dopo la morte del re di Polonia Augusto II, la Dieta polacca – cui spetta il diritto di elezione del re secondo i Pacta conventa imposti dalla nobiltà nel 1573 – elegge suo successore Stanislao Leszczynski, suocero di Luigi XV, già sovrano dal 1704 al 1709. Le truppe russe e austriache entrano in Polonia e impongono – con il nome di Federico Augusto III – la proclamazione dell’elettore di Sassonia Federico Augusto. A favore di Stanislao si schierano la Francia (in cui prevale la fazione antiaustriaca, capeggiata dal ministro degli Esteri Chauvelin favorevole a riprendere la sua politica di espansione nei territori renani e in Italia), il Ducato di Savoia – cui viene promesso con il trattato di Torino lo Stato di Milano – la Spagna (trattato dell’Escorial) e la Baviera.
Dopo l’invasione della Polonia, Leszczynski si rifugia a Danzica e i Russi assediano la città che cade nel luglio del 1734. Ma nella “guerra di successione polacca” gli alleati vedono soprattutto l’occasione per far valere i propri interessi in altre aree e per contrastare il crescente espansionismo asburgico: la guerra si combatte infatti quasi esclusivamente in Italia, dove le armate imperiali vengono sconfitte. Milano viene occupata nel dicembre del 1733 dall’esercito franco-piemontese e i Regni di Napoli e Sicilia vengono conquistati dall’esercito spagnolo comandato da Carlo I di Borbone che sconfigge gli Austriaci a Bitonto (25 maggio 1734). Un simile esito avrebbe alterato il complesso equilibrio europeo: per questa ragione l’Inghilterra, che pure non aveva preso parte al conflitto, minaccia di schierarsi al fianco degli Austro-Russi.
La pace di Vienna, le cui trattative iniziano nel 1735 e che viene siglata ben tre anni dopo (1738), stabilisce soprattutto il nuovo assetto politico territoriale italiano: in particolare, l’Austria deve rinunciare ai Regni di Napoli e di Sicilia a favore di Carlo di Borbone, ma ottiene il riconoscimento della successione in Toscana per Francesco Stefano di Lorena, genero dell’imperatore, mentre il Ducato di Lorena è dato come vitalizio a Stanislao Leszczynski e alla sua morte sarà unito alla Francia.
Anche gli equilibri conseguiti con difficoltà a Vienna non durano a lungo: tra le sue clausole, l’imperatore Carlo VI aveva ottenuto dalle maggiori potenze il riconoscimento della Prammatica sanzione, con cui si stabiliva che, in assenza di eredi maschi, i domini ereditari della casa d’Austria sarebbero andati alla discendenza femminile. Alla sua morte, nel 1740, la successione di sua figlia Maria Teresa è tuttavia contestata soprattutto dall’elettore di Baviera Carlo Alberto, che nel maggio del 1741 stringe un’alleanza con la Francia, la Spagna, la Sassonia e la Prussia. Questa intanto, fin dal dicembre del 1740, ha invaso – senza dichiarazione di guerra – la Slesia, una delle regioni più ricche dell’impero per le miniere di ferro ed alcune fiorenti manifatture tessili. Nel contempo, gli alleati franco-bavaresi invadono la Boemia e l’Austria, dove Carlo Alberto si fa proclamare arciduca e, poco dopo, è eletto imperatore come Carlo VII. Maria Teresa, che ha avviato trattative per un’alleanza con la Gran Bretagna, da cui ottiene aiuti finanziari, riceve solennemente nella Dieta di Presburgo (1741) la corona di regina d’Ungheria, grazie ai privilegi fiscali concessi alla nobiltà magiara; può quindi muovere un esercito contro la Baviera, conquistando Monaco e, cedendo la Slesia a Federico II, riesce a distaccare il Regno di Prussia dai suoi alleati, che sconfigge poco dopo in Boemia. L’alleanza con la Gran Bretagna rafforza l’esercito austriaco per gli aiuti che apportano l’elettore di Hannover (dove, per l’unione personale del 1714, regna Giorgio II d’Inghilterra) e l’Assia: i Francesi sono sconfitti nel giugno del 1743 a Dettingen e Carlo VII deve rifugiarsi a Francoforte.
Ma i successi austriaci spingono Federico II a riprendere le armi per timore di perdere la Slesia, e le vicende belliche si complicano sui vari teatri di guerra: Germania, Paesi Bassi, Renania, Italia, a cui si deve aggiungere la guerra per mare e quella nelle colonie dell’America settentrionale, aspramente combattuta.
La morte di Carlo VII e il trattato di Dresda (1745) liberano l’Austria dalla guerra con la Baviera e con la Prussia; nonostante le importanti vittorie dell’esercito francese sotto il comando del maresciallo Maurizio di Sassonia e il ritiro dell’esercito britannico per la ribellione giacobita in Scozia, l’Austria, dopo aver confermato la cessione della Slesia alla Prussia, riesce con la pace di Aquisgrana (1748) a fare riconoscere la successione al trono imperiale di Francesco I di Lorena, marito di Maria Teresa. Il trattato riporta in pratica lo status quo ante sia in Europa, sia nelle colonie americane. In Italia l’equilibrio raggiunto apre un mezzo secolo di pace, che favorisce l’introduzione di importanti riforme soprattutto in Lombardia, in Toscana e, per certi aspetti, nei regni di Napoli e di Sicilia. Le ostilità suscitate dai successi di Federico II in Austria, in Francia e in Russia, e al tempo stesso il conflitto coloniale rimasto aperto tra Francia e Inghilterra per il dominio dell’America del Nord (ma anche per il commercio dello zucchero nei Caraibi e ancor più per il controllo dei mercati in India), pongono invece le premesse per il rovesciamento delle alleanze (Austria, Francia e Russia contro la Prussia sostenuta dalla Gran Bretagna) e il riaccendersi delle ostilità nella guerra dei Sette anni (1756-1763).