L'Europa in eta preistorica
di Enrico Pellegrini, Marcello Piperno
È ben noto che le discipline che concorrono alla definizione dell’archeologia preistorica in quanto scienza che si occupa della ricostruzione degli eventi umani che precedono l’introduzione della scrittura sono non solo molto numerose, ma anche fra loro estremamente diversificate. Non è un caso, infatti, che i primi originali contributi alla comprensione del più antico passato provengano da geologi o paleontologi. La definizione della profondità dei “tempi preistorici” e dell’evoluzione della specie umana rappresenta una delle prime faticose conquiste dei naturalisti, maturata accanto alle prime riflessioni sulle capacità cognitive dell’uomo antico e agli studi comparativi delle cosiddette civiltà primitive, legate alle scoperte che mano a mano si moltiplicano nel corso dell’Ottocento e agli inizi del Novecento.
Il continuo affinamento delle tecniche di studio di carattere prettamente scientifico (metodologie di scavo, tipologia dei materiali, seriazioni cronologiche) e la proiezione dei dati così ottenuti in un contesto sociale di sempre più ampio spessore e talvolta di vivida resa hanno da tempo conferito anche alla Preistoria un posto nelle discipline storiche. In questo senso, come è stato già notato da insigni studiosi, lo studio della Preistoria è anch’esso “Storia” e, come tale, deve essere anche affrontato secondo modelli interpretativi di tipo “umanistico” e sociologico. I contributi proposti nei primi due volumi del Mondo dell’Archeologia rappresentano, a questo riguardo, un esempio di quanto questo approccio interdisciplinare sia non solo necessario per la ricostruzione del passato più lontano, ma abbia costituito una condizione indispensabile allo sviluppo di questa disciplina fin dai suoi esordi ottocenteschi e dalle scoperte che si susseguirono per lo più in Europa centro-occidentale.
Scienza multidisciplinare per eccellenza, l’archeologia preistorica è tuttavia non solo una scienza ancora largamente inesatta, ma, al pari di molte altre discipline, una scienza in continuo e imprevedibile divenire. La vastità delle regioni ancora archeologicamente poco indagate, l’incertezza delle interpretazioni, così strettamente legate alla casualità della scoperta o al periodo storico in cui essa è stata effettuata, minano drammaticamente l’affidabilità delle conclusioni. Scienza inesatta perché difficilmente controllabile, l’archeologia preistorica ha tuttavia, in tempi recenti, inventato e applicato alcuni metodi di autocontrollo o li ha mutuati dalle discipline sociali. Da qui, ad esempio, l’importanza che va sempre più assumendo l’archeologia sperimentale che, dalle ricostruzioni in solido di villaggi e di situazioni ambientali, alla definizione delle catene operazionali necessarie per la fabbricazione di manufatti di pietra, ceramica e metallo, alla simulazione e ripetizione sperimentale di eventi atmosferici o sedimentari che possono influenzare la tafonomia di un sito preistorico, tenta di ovviare alle vaste lacune della documentazione disponibile.
Per diversi motivi, legati per lo più al suo sviluppo economico e a una sempre maggiore occupazione di aree precedentemente destinate a lavori agricoli o addirittura incolte, l’Europa è, tra tutti i continenti, quello che potremmo definire meglio conosciuto relativamente alle sue origini e ai più antichi eventi che caratterizzano il suo popolamento. Da oltre centocinquanta anni infatti gli studiosi di Preistoria continuano a inserire le nuove scoperte nel sistema cronologico-tecnologico delle Tre Età codificato da C.J. Thomsen nel 1836, successivamente adeguato al mutare delle conoscenze fino a comprendere cinque fasi principali: Paleolitico (Antica Età della Pietra), Mesolitico (Media Età della Pietra), Neolitico (Nuova Età della Pietra), età del Bronzo, età del Ferro, a loro volta ulteriormente suddivise.
Questa affermazione rischia tuttavia di suonare troppo ottimistica. Basti pensare che recenti scoperte casuali, effettuate in due località distanti fra loro migliaia di chilometri, come Atapuerca in Spagna e Dmanisi in Georgia, hanno radicalmente mutato le nostre interpretazioni sul più antico popolamento dell’intero continente.
Per citare esempi cronologicamente più vicini, basta ricordare la casualità e l’importanza della scoperta del villaggio di Croce del Papa recentemente individuato non lontano dalla città di Nola in Campania; datato alla fine dell’antica età del Bronzo, le sue capanne sono eccezionalmente conservate, con tutto il loro contenuto e con i più minuti dettagli della loro struttura, al di sotto delle ceneri prodotte dall’eruzione cosiddetta “di Avellino”, avvenuta circa 3500 anni fa.
Casualità e importanza delle scoperte che si sono ripetute con il grande villaggio palafitticolo in località Longola a Poggiomarino, sempre in Campania, abitato ininterrottamente tra il XVI e il VII sec. a.C., rinvenuto grazie ai lavori iniziati per la costruzione del grosso impianto di depurazione nei pressi di Sarno. Casualità delle scoperte, ma anche ampliamento della prospettiva di ricerca, modificano sempre più profondamente il quadro dell’archeologia preistorica europea e degli altri continenti. Per citare qualche esempio, basti pensare a recenti modelli relativi al periodo del contatto tra gli ultimi gruppi di cacciatori e raccoglitori mesolitici e i primi allevatori-agricoltori neolitici che entrarono in Europa, i quali suggeriscono scenari ben più complessi di quelli immaginati fin dagli anni Venti del Novecento da studiosi del calibro di V. Gordon Childe (la sua opera The Dawn of European Civilization viene pubblicata nel 1925).
Scenari altrettanto complessi derivano talvolta non solo dal dato archeologico ma anche da quello biologico, strettamente legato alla genetica delle popolazioni umane, come, ad esempio, ipotizzato dalla famosa teoria dell’onda di avanzamento proposta fin dal 1971 dall’archeologo americano A. Ammermann e dal genetista italiano L. Cavalli-Sforza e riproposta in The Neolithic Transition and the Genetics of Populations in Europe (1984).
La paleolinguistica, infine, ha aperto, in anni relativamente recenti, nuovi e promettenti orizzonti, dai quali la ricerca preistorica può trarre importanti spunti di riflessione. Ne è un esempio, tra gli altri, Archaeology and Language. The Puzzle of Indo-European Origin di C. Renfrew (1987), una complessa rivisitazione del problema indoeuropeo secondo un’ottica multidisciplinare che coinvolge al tempo stesso l’approccio archeologico processuale, le ultime scoperte della genetica e le nuove frontiere della paleolinguistica, ottica che verrà teorizzata dallo stesso autore in Archaeology, Genetics and Linguistic Diversity (1992).
L’ampio spazio che i primi due volumi hanno già dedicato alla Preistoria dei vari continenti, come anche ad altre discipline o argomenti come la geoarcheologia, la paleontologia, la paleoantropologia, la paleoclimatologia o i metodi di datazione assoluta, è stato uno dei primi elementi che hanno guidato la scelta dei lemmi proposti in questo volume.
In primo luogo, proprio per i motivi già accennati, vale a dire per l’estrema capillarità delle conoscenze attuali sul continente europeo, si è rinunciato a proporre un lemmario di “siti” pre- e protostorici, già del resto presente in opere specialistiche recentemente disponibili anche in lingua italiana (Dizionario di Preistoria, I-II, Torino 1991-92). Lo spazio relativamente esiguo a disposizione avrebbe necessariamente condotto a una drastica selezione e all’esclusione immotivata di moltissimi giacimenti di grande interesse.
La scelta sarebbe stata in effetti molto difficile. L’importanza di un sito preistorico non dipende certamente solo dalla sua spettacolarità (in termini di strutture) o dall’evidenza archeologica (la cultura materiale) che dal suo scavo si ricava. Molto più spesso, sono invece le indicazioni di carattere paleoambientale e paleoeconomico, nascoste nei resti paleontologici e antropologici, nella petrografia dello strumentario litico, nello studio delle sequenze operative, della composizione delle argille utilizzate per la manifattura dei vasi o delle leghe dei manufatti di metallo, nei carboni, nei semi, nei pollini, nei fitoliti e nei sedimenti stessi, a dare informazioni preziose sull’ecosistema che ha favorito l’iniziale impianto e il successivo sviluppo del sito stesso e a rivelare l’esistenza di contatti, traffici e commerci a lunga distanza.
Si è preferito, pertanto, effettuare una selezione, anch’essa certamente drastica e riduttiva, delle “culture” pre- e proto-storiche ritenute più significative per diversi motivi, che vanno dalla loro diffusione geografica, al peso che alcune di esse hanno avuto nella formazione dei popoli di età storica dell’Europa antica.
È ben noto che il concetto di “cultura” in archeologia preistorica si presta a diverse interpretazioni. L’accezione usata in questa sede è abbastanza ampia e abbraccia, oltre che vere e proprie culture, anche cicli culturali, complessi, fasi, gruppi e aspetti stilistici, che hanno caratterizzato, per la loro diffusione o significatività, un determinato periodo in una determinata area geografica.
La scelta di presentare un lemmario di “culture” si è rivelata utile per diversi motivi. Da una parte ha permesso un continuo collegamento con i grandi temi trattati nei due primi volumi; dall’altra, praticamente all’interno di ogni lemma, sono citati numerosi siti (talvolta con la descrizione di alcuni loro aspetti) che a quella cultura hanno dato il nome o che di quella cultura sono stati partecipi o che, infine, con quella cultura hanno avuto scambi e contatti significativi e di cui è rimasta traccia nel record archeologico. Complessivamente sono così oltre un migliaio i siti che vengono citati e della maggior parte dei quali il lettore potrà trovare comunque riferimenti anche nei primi due volumi.
Pur nella consapevolezza che i lemmi proposti non esauriscono la varietà degli aspetti culturali che hanno caratterizzato le vicende preistoriche dell’Europa, la scelta effettuata ha cercato di tenere conto di due principali esigenze.
In primo luogo, se si escludono i lemmi di culture a diffusione internazionale (come sono, ad es., molti di quelli relativi al Paleolitico) si è tentato di rispettare un certo equilibrio geografico. Certamente non tutte le nazioni sono egualmente rappresentate, dal momento che è evidente che non tutte le aree del continente hanno avuto lo stesso significato e la stessa importanza nel corso della Preistoria. Il lemmario riflette comunque situazioni culturali che riguardano ben 34 nazioni europee, garantendo così una copertura geografica assai ampia.
In secondo luogo, pur nel rispetto della completezza dell’informazione, la quale assicura in ogni caso il concatenamento delle innovazioni salienti che hanno caratterizzato lo sviluppo dei più antichi gruppi umani e del successivo sviluppo che ha portato al nascere delle società complesse, si è cercato di equilibrare, anche sotto l’aspetto cronologico e culturale, la scelta dei lemmi, ancora una volta anche in funzione del respiro più o meno ampio che alcuni contributi hanno avuto nei primi due volumi. I lemmi proposti rappresentano perciò, in modo abbastanza esauriente, i principali eventi culturali che hanno caratterizzato la Preistoria e la Protostoria europea, dal primo popolamento del continente fino all’emergere delle prime società urbane.
di Alberto Cazzella
Per esigenze redazionali che hanno imposto una riduzione nella scelta dei lemmi dedicati alla presentazione di alcuni fra i più importanti contesti culturali pre- e protostorici, le voci proposte non coprono certamente l’insieme della preistoria europea. Tale situazione è particolarmente evidente a partire dalle culture che si sviluppano con l’affermazione dell’economia basata sull’agricoltura e l’allevamento, quando si verifica una frammentazione regionale, sia pure nell’ambito di fenomeni di ampia portata, e non si può parlare di orizzonti unitari per l’intera Europa. Il concetto stesso che sta dietro definizioni utilizzate per diversi ambiti del Paleolitico, come Acheuleano, Musteriano o Aurignaziano (anche quando accompagnate da ulteriori specifiche), è di per sé molto differente da quanto si intende in genere con l’espressione “culture” a partire dal Neolitico. Tali termini utilizzati per i contesti paleolitici tendono infatti più a individuare stadi di sviluppo tecno-tipologico (facendo riferimento soprattutto alle modalità di lavorazione dell’industria litica), che possono comunque avere a loro volta attuazioni diversificate di carattere locale, che non a identificare specifiche situazioni culturali intese nel loro insieme. È possibile che questo dipenda, soprattutto per le fasi più antiche del Paleolitico, da una stretta interrelazione tra evoluzione fisica delle specie umane e trasformazioni delle relative capacità psico-fisiche e, per quelle più recenti, a partire dalla piena affermazione dell’Uomo moderno, da una difficoltà che comunque abbiamo a cogliere effettive differenze di carattere culturale, che vadano al di là delle risposte date a condizioni ambientali mutevoli nel tempo e nello spazio.
Alcuni tentativi, fatti ormai diverse decine di anni fa, di proporre sviluppi paralleli per gruppi del Paleolitico inferiore (ad es., il Clactoniano rispetto all’Acheuleano) e medio (ad es., diversi tipi di Musteriano che si differenziano nell’ambito di piccole aree, visti in relazione con gruppi umani che si autoidentificano attraverso tipologie litiche diversificate) risultano attualmente problematici, dal momento che tali differenze possono essere legate a fattori che vanno dai condizionamenti imposti dall’ambiente, compresa la materia prima disponibile per produrre gli strumenti litici, alla specifica funzionalità dei singoli siti in rapporto ad attività diversificate (Binford 1983). La proposta di identificare differenziazioni regionali, che possono comunque coinvolgere aree molto vaste, o fenomeni di riproduzione di aspetti simili a distanze notevoli non risolve in modo soddisfacente il problema dell’eventuale esistenza di “culture”, almeno così come le intendiamo in base all’esperienza che abbiamo del comportamento dell’Uomo moderno da un punto di vista etnografico e storico: culture intese cioè, in senso contestuale, come specifici filtri di lettura della realtà e schemi di risposta per agire su di essa, condivisi da un insieme di gruppi umani (in base a meccanismi di circolazione dell’informazione fondati su un livello elevato di interazione sociale) e al tempo stesso contraddistinti dal delinearsi di “confini” (non necessariamente geografici) di contrapposizione, ma anche di contatto, rispetto ad altri gruppi umani diversamente connotati. In base a questa premessa, appare plausibile che due o più culture possano coesistere su un territorio limitato e che viceversa ognuna di esse possa coinvolgere, sia pure in modo mediato su aree ampie, numerosi gruppi umani, senza che necessariamente ciascuno di essi abbia la consapevolezza dell’esistenza di tutti gli altri, ma anche che si possano verificare influenze reciproche tra culture, influenze che contribuiscono alle loro trasformazioni. Nei casi concreti relativi a contesti paleolitici bisognerebbe riuscire a comprendere se sia possibile individuare il meccanismo storico che avrebbe eventualmente consentito il verificarsi di situazioni per cui a grande distanza (spostamento di piccoli nuclei in territori lontani da quelli di origine, senza lasciare testimonianze intermedie in senso geografico?) si avrebbero gruppi che condividono schemi di comportamento simili nella produzione dell’industria litica, qualora si escludano fenomeni di convergenza dovuti a risposte simili a stimoli simili.
La distinzione tecno-tipologica di aspetti regionali rischia in ogni caso di rimanere insufficiente a caratterizzare più gruppi culturali nei casi in cui a questi non si riescono a collegare ulteriori tratti relativi all’organizzazione economica e sociale più generale. In sintesi, la difficoltà di interpretazione dei fenomeni in termini di veri e propri aspetti culturali per le fasi più antiche della preistoria può essere data dal fatto che per il Paleolitico inferiore e in Europa anche per il Paleolitico medio, le specie umane coinvolte sono diverse dalla nostra, e non possiamo quindi comprenderne pienamente i comportamenti, mentre per il Paleolitico superiore, caratterizzato dall’affermazione dell’Uomo moderno, si hanno in genere dati spesso non sufficienti per riuscire a riconoscere specifici ambiti ben definiti sotto più punti di vista. Appare comunque evidente, in molti dei lemmi proposti per il Paleolitico superiore e per il Mesolitico, come gli studi più recenti utilizzino numerose altre informazioni, che vanno dalla tipologia delle strutture abitative alle diverse modalità d’uso del territorio, dallo sfruttamento delle risorse alimentari all’approvvigionamento delle materie prime, dalle manifestazioni artistiche ai rituali funerari, proponendo chiavi di lettura più complesse di quelle che fino ad anni recenti privilegiavano le indicazioni derivate dall’analisi tecno-tipologica delle industrie litiche. È possibile che la documentazione limitata o comunque l’interesse prevalente per gli aspetti cronologici e tecno-tipologici abbiano portato talvolta a privilegiare i fattori, indubbiamente importanti, che unificano vaste aree, con l’identificazione di eventuali variazioni regionali.
Con il Neolitico, anche in relazione con una prevalente tendenza alla sedentarizzazione connessa con le tecniche agricole, il quadro almeno in parte cambia e, forse, cambia in genere l’atteggiamento degli studiosi che se ne sono interessati: sono riconoscibili alcune ampie aree di più elevata circolazione di informazioni, ma si cerca altresì (non senza difficoltà) di individuare contesti caratterizzati localmente non solo dallo stile dei manufatti (in particolare la ceramica), ma anche dalla condivisione di soluzioni tecniche (tra quelle compatibili con il contesto ambientale) e schemi di organizzazione socio-economica. Si possono citare, ad esempio, le articolate situazioni del Neolitico in Grecia, area nel cui ambito geografico si passa da regioni in cui si verifica una riproduzione piuttosto fedele di alcuni modelli economici e di insediamento caratteristici del Vicino Oriente a contesti settentrionali con tecniche costruttive e produzioni di manufatti che si ricollegano con la sfera balcanica, a siti della parte nord-occidentale e in particolare delle isole Ionie, ancora mal conosciuti, in cui il modello di abitato denso e continuativo per lungo tempo, che porta alla formazione di tell, sembra comunque perdersi e si afferma la ceramica impressa, limitatamente utilizzata in altre aree della Grecia stessa.
In Italia, i siti caratterizzati dalla presenza della ceramica impressa si differenziano tra loro per la variabilità delle scelte ambientali (dai siti lungo la fascia costiera, a quelli posti in isole di piccole dimensioni, a quelli interni collinari e in aree intermontane, a quelli perilacustri), economiche (da situazioni che riprendono direttamente i modelli della Grecia centro-meridionale e vicino-orientali in genere, con forte incidenza dell’agricoltura e dell’allevamento, in particolare dei caprovini, animali che non vivevano allo stato selvatico in Italia e che dovevano quindi essere almeno in parte importati, a quelle basate invece su una forte integrazione di risorse fornite dalla caccia, dalla pesca e dalla raccolta), di organizzazione dell’abitato (dai villaggi “trincerati”, circondati da uno o più fossati, la cui funzione resta ancora difficile da interpretare, alle sistemazioni realizzate, prevalentemente con opere di carpenteria, per adattarsi alle aree umide). Si intravedono quindi soluzioni differenziate anche se risulta ancora difficile in molti casi, soprattutto per mancanza di dati sufficienti, definire con precisione nuclei culturali, al di là delle variazioni stilistiche della ceramica.
L’Europa centrale e l’Italia settentrionale agli inizi del Neolitico appaiono interessate dalla presenza di gruppi che utilizzano ceramica con decorazione lineare, forse con una comune origine nella parte settentrionale della penisola balcanica. Soprattutto per quel che riguarda l’Europa centrale questo è tradizionalmente considerato uno degli aspetti più omogenei distribuiti su un vasto areale, con affinità sostanziali nei modelli abitativi (e quindi probabilmente anche nella struttura dell’unità residenziale) e almeno in parte nelle scelte insediative (predilezione per le formazioni di loess). Anche in questo caso, tuttavia, non mancano differenze locali sia sul piano delle modalità di conduzione delle attività primarie, ad esempio con incidenza diversificata delle varie specie animali, sia su quello simbolico, con notevoli variazioni nel rituale funerario.
Un aspetto problematico è tuttora rappresentato dalle manifestazioni megalitiche connesse con i primi gruppi neolitici stabilitisi nelle aree lungo la fascia atlantica. Circa trenta anni fa, C. Renfrew cercò di spiegare questo fenomeno come un caso sostanzialmente di convergenza, ponendo in evidenza alcune differenze tipologiche specifiche e al tempo stesso l’omogeneità dal punto di vista del significato che questi monumenti potevano avere per i gruppi umani che li costruirono. In condizioni simili (la presenza dell’Oceano impediva ulteriori spostamenti per porre a coltura nuove terre) la risposta sarebbe stata sostanzialmente analoga: segnare il territorio con un elemento ben visibile, che in quanto tomba collettiva rinviasse agli antenati che lo avevano in anni precedenti già occupato, al fine di sancirne il diritto di possesso. La proposta, formulata in una fase di reazione al diffusionismo allora prevalente, può forse essere resa ora meno rigida, non escludendo la possibilità che siano in realtà avvenuti fenomeni di diffusione del tipo di simbolo adottato, il monumento funerario megalitico, a partire dalle aree atlantiche in cui venne precocemente utilizzato (presumibilmente la Francia nord-occidentale, sulla base dei dati cronologici attualmente disponibili). Alcune differenze nell’aspetto che i monumenti megalitici stessi assumono possono derivare dalla volontà di autoidentificarsi e distinguersi tra gruppi culturali adiacenti, al di là dell’esigenza della singola comunità di segnare il proprio territorio di pertinenza, sviluppatasi non necessariamente in concomitanza con le prime manifestazioni neolitiche dell’Europa occidentale. In situazioni come quelle neolitiche l’ipotesi dell’uso di elementi stilistici di diverso genere (compresa probabilmente la ceramica) a questo scopo sembra meno difficile da accettare rispetto a quanto, come si è accennato, prospettato da alcuni autori (come F. Bordes) per l’industria litica dei gruppi del Paleolitico medio, ma può trattarsi soltanto di un nostro pregiudizio.
Il concetto di cultura (o meglio la caratterizzazione di specifiche culture), certamente difficile da applicare in modo adeguato a situazioni concrete per la carenza dei dati in genere disponibili, è stato di recente oggetto di critiche a partire da diversi punti di vista, ma può avere ancora una sua importanza se si tiene presente che costituisce quel fattore sopra ricordato, socialmente accettato, di interpretazione specifica della realtà e di definizione di schemi di comportamento per agire su di essa. Un’impostazione di questo genere fa riferimento a una prospettiva di carattere cognitivo (di cui più recentemente C. Renfrew stesso si è fatto portavoce) che cerca di superare le tendenze eccessivamente meccanicistiche della New Archaeology, senza cadere nell’indeterminazione che caratterizza molte ricerche dell’indirizzo post-processuale (si possono citare ad esempio i lavori applicativi di I. Hodder).
Un altro aspetto che richiede equilibrio è quello della contrapposizione tra una prospettiva nomotetica, legata ugualmente alla New Archaeology, e una particolaristica, che rischia di scivolare nel descrittivismo: l’esigenza di porre in evidenza i caratteri specifici di un determinato contesto culturale e le soluzioni adottate tra quelle possibili nel rapportarsi con il proprio ambiente naturale e sociale non contrasta con la necessità di tenere presenti più ampi fenomeni storici. È questo uno dei compiti che si deve porre attualmente la Paletnologia, avendo sostanzialmente superato la fase di definizione del quadro cronologico in cui inserire i fenomeni di cui si occupa. La continua interazione tra ricostruzione dell’organizzazione strutturale di contesti specifici e definizione di quadri più ampi, senza necessariamente ricadere in concezioni anacronistiche di “sistemi mondiali” o dover trovare alla base di ogni processo rapporti fra “centro e periferia”, può costituire un filo conduttore unitario di finalità della ricerca, da adattare comunque a situazioni mutevoli.
È questo il caso non solo della prima affermazione dell’economia produttiva in Europa, cui si è sopra fatto riferimento, che avvenne di fatto attraverso scelte economiche, modalità di organizzazione a livello sociale, manifestazioni simboliche diversificate, ma anche dei processi di trasformazione che si verificarono in momenti più avanzati del Neolitico. Si può ricordare in particolare l’ampio fenomeno definito da A. Sherratt “rivoluzione dei prodotti secondari degli animali” che, come le altre “rivoluzioni” a suo tempo proposte da V.G. Childe (neolitica; urbana), va considerata tale nei suoi effetti e non nei tempi, che furono certamente lunghi (il nucleo centrale potrebbe corrispondere indicativamente con il IV millennio a.C., ma alcuni mutamenti avvennero sicuramente prima) e non coincidenti in tutte le regioni europee. La modificazione del rapporto con gli animali, sfruttati non più solo per la carne, la pelle, le ossa, i tendini, ma da vivi come fonte di energia e di concime (in rapporto all’attività agricola e ai trasporti), di prodotti destinati all’alimentazione e alla realizzazione di tessuti, ebbe sicuramente ricadute importanti sulla vita dei gruppi umani. I fenomeni di circolazione dell’informazione e di persone comportarono certamente un’incidenza notevole nell’affermazione delle conoscenze tecniche connesse con le nuove modalità di utilizzazione degli animali, ma le risposte nei vari ambiti culturali furono di carattere contestuale, con applicazioni molto diverse, che potevano andare di volta in volta da un incremento del grado di mobilità alla formazione di centri più stabili, dalla dispersione di piccoli nuclei di popolazione sul territorio allo sviluppo di forme di competizione e accumulazione di beni.
Un altro processo di ampia portata, in cui i meccanismi di diffusione presumibilmente ebbero notevole peso per la sua affermazione in Europa, ma che diedero luogo ad attuazioni regionalmente diversificate, anche con tempi in parte differenziati, tra V e III millennio a.C. , è costituito dai primi sviluppi della metallurgia. Anche in questo caso il fenomeno andò al di là dell’innovazione tecnologica, per le implicazioni sociali ed economiche che si determinarono. L’incidenza nell’uso del metallo per realizzare beni di prestigio, ornamenti, armi, il ruolo che venne ad assumere in forme di competizione all’interno e tra comunità, la posizione sociale e il livello di specializzazione di coloro i quali si dedicavano alla sua lavorazione, l’organizzazione dei circuiti di scambio di materie prime e prodotti finiti sono alcuni degli aspetti, oltre alle soluzioni tecniche e alle tipologie dei manufatti, che variarono a livello locale e che parteciparono alla caratterizzazione delle diverse realtà culturali.
Nel corso del III millennio l’intrecciarsi dell’azione di processi di vaste dimensioni e sviluppi locali assunsero un carattere diverso: non sembrano più essere alla base dei primi alcuni fattori di carattere prevalentemente tecnologico (anche se a questi si accompagnavano aspetti che coinvolgevano più settori dell’organizzazione economica, sociale e simbolica dei vari gruppi umani), ma manifestazioni culturali che accomunarono parti consistenti del continente europeo, come l’orizzonte della Ceramica a Cordicella o quello del Bicchiere Campaniforme.
Questi fenomeni da molti decenni hanno attirato l’attenzione degli studiosi di preistoria, per l’ampiezza geografica e la relativa rapidità con cui avrebbero circolato alcuni elementi caratteristici, ponendo l’accento, almeno per le fasi iniziali, sui tratti condivisi. A più riprese è stato posto il problema se si tratti di situazioni prevalentemente connesse con spostamenti di piccoli gruppi umani, dotati di un elevato grado di mobilità (legato ad attività come l’allevamento non stanziale degli animali, la ricerca di minerali metallici e la relativa lavorazione, l’organizzazione di scambi) o se si sia attuata una trasmissione di modelli culturali, correlati soprattutto con aspetti di carattere ideologico, come concezioni relative alla sfera funeraria o produzione di contenitori presumibilmente destinati al consumo, investito di significati simbolici, di bevande alcoliche. Nessuno dei due modelli interpretativi, applicato rigidamente, sembra rispondere a tutte le diverse situazioni archeologicamente documentate ed è possibile che si siano verificati diversi tipi di integrazione dati dalla combinazione variata di fenomeni di spostamento di piccoli nuclei e di interscambio culturale con i gruppi umani esistenti nelle diverse regioni europee.
Nello stesso periodo, e forse già da alcuni secoli prima, nel Mediterraneo centro-orientale si intensificarono fenomeni di interazione tra più aree, anche in questo caso probabilmente in parte dovuti a spostamenti fisici di persone, in parte a circolazione di beni e modelli su distanze in genere limitate, ma con possibilità di formare catene mediate di scambi che raggiunsero aree molto distanti tra loro, come ad esempio avvenne, negli ultimi secoli del III millennio a.C., per gli ossi a globuli che si ritrovano dalla Troade a Malta.
Non è semplice comprendere le motivazioni alla base di queste situazioni che sembrano avere in comune caratteri di mobilità, sperimentazione, instabilità e probabilmente competizione che in modo diverso si collegavano alle varie realtà locali in questo periodo. Spiegazioni troppo direttamente economiche (ricerca di materie prime; attivazione di traffici per ottenere i prodotti di cui si aveva bisogno) non appaiono in grado di spiegare in modo unitario situazioni localmente diversificate; d’altra parte applicare categorie evanescenti come “senso di successo nell’esplorazione di nuovi territori” o “volontà di identificazione con gruppi che portano elementi innovativi” a contesti su cui abbiamo ancora scarse informazioni relative all’organizzazione sociale e agli aspetti ideologici appare eccessivamente rischioso.
Le prime fasi dell’età del Bronzo, tra gli ultimi secoli del III millennio a.C. e la prima metà del II, vedono un diversificarsi degli ambiti di distribuzione dei tipi delle varie classi di materiali, legato a modalità di produzione e circolazione nettamente differenziate: in particolare la ceramica e il metallo, le categorie di reperti più ampiamente documentate, avevano caratteristiche, funzioni, forme di lavorazione e scambio specifiche, per cui i rispettivi manufatti mostrano in genere aree di diffusione (e in parte contesti archeologici, se si pensa da un lato agli insediamenti e dall’altro al fenomeno dei ripostigli di oggetti in metallo) non coincidenti. È possibile che una situazione di questo tipo, soprattutto se si fa coincidere una “cultura” soltanto con un insieme di manufatti prodotti o comunque di comportamenti eseguiti secondo modalità formali ricorrenti, abbia contribuito a suscitare critiche nei confronti del concetto di cultura stesso. In questo caso è la circolazione dei modelli tipologici degli oggetti metallici (insieme con quella dei prodotti finiti) a costituire la base per la formazione di ampie aree di condivisione di tratti connessi con questo campo di attività, mentre altri fattori, non solo di carattere tipologico, tendono in genere a evidenziare le specificità locali. Un elemento correlato con la metallurgia che sembra unificare a più alto livello geografico le pur vaste aree tipologiche è probabilmente il significato di espressione di valore economico che il metallo venne ad assumere in questo periodo e che sarà al fondamento del suo divenire in seguito elemento di equivalenza universale, senza che si debba necessariamente pensare all’esistenza durante l’età del Bronzo di vere e proprie forme premonetali, nel senso di pesi standardizzati dei manufatti e relativi sistemi costituiti da unità-base e multipli riconosciuti su estesi territori.
Tra gli elementi di diversificazione regionale, in una fase antica dell’età del Bronzo, un aspetto importante appare essere quello del livello interno di stratificazione sociale, almeno come risulta dalle testimonianze funerarie. In alcune aree si hanno indizi sufficientemente chiari dell’esistenza di differenze nel corredo e/o nelle strutture e nella dislocazione delle sepolture che sembrano riferibili a élites, mentre in altre questo fenomeno non si verifica, né si riscontrano ulteriori elementi chiaramente interpretabili in tal senso. Tra le prime si possono ricordare le tombe a tumulo del Wessex, in Inghilterra, alcune delle tombe in abitato della cultura di El Argar, nella Spagna sud-orientale, alcune tombe con camera in legno sotto tumulo della Germania, alcune deposizioni con ricchi corredi di oggetti in metallo (materiale non disponibile localmente) della Danimarca.
Non è facile spiegare per quale motivo in tali aree, e non in altre, si sviluppino precocemente (o siano nettamente più visibili dal punto di vista archeologico) forme di articolazione sociale in senso verticale. Il controllo di alcune materie prime può essere stato un fattore rilevante, ma non si verifica una corrispondenza costante: nel caso della Danimarca si può ipotizzare che sia stata l’ambra il materiale di scambio che favorì la crescita del potere economico delle élites locali, mentre per El Argar si può pensare alla vicina presenza di fonti di minerali metallici. Tuttavia non solo non in tutte le aree di estrazione di minerali metallici si verificarono fenomeni di stratificazione, ma viceversa le tombe del Wessex si trovano in una regione priva di materie prime importanti, così come alcune delle tombe “principesche” della Germania. Il controllo delle vie di traffico può essere stato un altro elemento alla base dello sviluppo di forme più marcate di stratificazione interna, ma anche questo fattore, ampiamente diffuso, non sembra aver di per sé provocato automaticamente l’insorgenza del fenomeno. Le specifiche situazioni richiedono quindi studi contestuali in gran parte ancora da realizzare.
Nei secoli immediatamente precedenti la metà del II millennio a.C. l’organizzazione di una rete di scambi che aveva come epicentro il mondo miceneo può aver contribuito ad accelerare alcuni fenomeni che erano già in atto nelle aree italiane maggiormente a contatto con l’Egeo, in particolare alcune zone dell’Italia meridionale e della Sicilia: l’estrazione della porpora dai muricidi e la produzione dell’olio di oliva, documentate nel XVIII sec. a.C. a Coppa Nevigata, presso Manfredonia, possono costituire indizi di trasmissione di informazioni a partire dall’ambito egeo già in un momento anteriore alla formazione della civiltà micenea.
Anche nel caso dell’Italia meridionale, se le attività di trasformazione e circolazione dei prodotti possono aver avuto un ulteriore sviluppo, non sembrano riscontrabili situazioni con presenza di élites che, eventualmente controllando tali attività, abbiano esercitato un potere stabile all’interno della propria comunità residenziale né a livello territoriale più esteso. Si nota un incremento, forse soltanto per motivazioni locali, della bellicosità, indiziato dalla costruzione di mura difensive in diversi insediamenti, ma non si arrivò probabilmente a una capacità di controllo su altri gruppi umani. La motivazione locale di uno sviluppo di forme di bellicosità è attestata in questo stesso periodo dalla costruzione in Sardegna dei nuraghi, per i quali è stata da alcuni autori proposta un’ispirazione micenea per la presenza della copertura a falsa volta, ma che sembrano tuttavia iniziare prima che si stabiliscano, subito dopo la metà del millennio, contatti documentati con l’Egeo.
Le fasi avanzate dell’età del Bronzo, da collocare in modo indicativo nella seconda metà del II millennio a.C., vedono in genere manifestazioni meno evidenti di forme di stratificazione sociale accanto a situazioni apparentemente “egualitarie”, ma è probabile che sia questo il periodo in cui si gettarono le basi per un lento processo di consolidamento e riconoscimento sociale di diversificazioni verticali interne, che avevano quindi minor bisogno di essere esplicitate con consistenti distruzioni di beni a livello funerario e di formulazione di ideologie che le giustificavano. Il processo avvenne probabilmente con tempi e modalità differenziate nei diversi contesti europei, senza raggiungere in nessuno livelli di particolare complessità sociale (a parte l’Egeo), in relazione anche alle dimensioni demografiche in genere ridotte dei diversi nuclei umani e alla mancanza di sicuri indizi di dominio di un gruppo umano su quelli adiacenti. L’indizio principale che fa pensare all’esistenza di forme di stratificazione sociale a livello locale, in un quadro tendenziale di minor ostentazione a livello funerario rispetto a quanto notato in alcuni aspetti culturali delle prime fasi dell’età del Bronzo, è costituito dallo sviluppo di produzioni di élite, spesso ispirate, oltre che talora importate, dal mondo miceneo o con questo in competizione per livello di qualità produttiva: in particolare per quel che riguarda la metallurgia si può citare la realizzazione di armi difensive e recipienti di bronzo laminato in diverse parti dell’Europa, mentre la manifattura locale di vasellame tornito, dipinto e non, costituisce un fenomeno che interessò soltanto il Mediterraneo centrale.
Accanto a un’ampia distribuzione di tipi metallici, sono stati spesso posti in evidenza alcuni elementi simbolici, che rinviano presumibilmente a concezioni religiose di difficile interpretazione, ugualmente diffusi in molte regioni europee: non si può escludere che la gestione di tali elementi simbolici fosse legata all’elemento elitario di cui si è ipotizzato il graduale riconoscimento istituzionalizzato a livello sociale e probabilmente allo stabilirsi di un senso di autoidentificazione tra élites di più centri, in rapporto tra loro. Vasta affermazione da un punto di vista geografico assunse anche l’ideologia funeraria connessa con l’uso dell’incinerazione, di cui è ugualmente difficile cogliere il significato in termini di credenze, ma forse volta a “mascherare” l’esistenza delle differenze sociali interne che, come si è accennato, presumibilmente si andavano stabilendo in molti contesti europei. È possibile che un incremento delle attività di scambio abbia favorito la vasta circolazione di modelli su grande distanza, ma anche per questo periodo non vanno trascurate le specificità locali, che non coinvolgevano solo le produzioni ceramiche. Soluzioni economiche primarie diversificate, ad esempio per quel che riguarda l’incidenza globale e quella delle singole specie e le modalità di allevamento degli animali, i caratteri degli abita-ti, differenti tra loro non solo per presenza o meno di fortificazioni, ma anche per dimensioni, i modelli di insediamento in genere, con variazioni nelle aree e nelle localizzazioni topografiche preferenziali, nella densità demografica, nel grado di trasformazione dell’ambiente naturale (di cui il fenomeno delle Terramare, con interventi intensivi di disboscamento e bonifica della pianura padana, costituisce un caso rilevante) rappresentano alcuni dei settori in cui gli specifici aspetti culturali mostrano disomogeneità anche nelle fasi in cui più forti sono alcune affinità tipologiche (nelle produzioni metalliche) e ideologiche in vaste regioni europee. Queste differenze, insieme con le interazioni e le modificazioni che certamente avvennero nell’area in esame e in quelle adiacenti, furono alla base delle varie situazioni che si andarono definendo agli inizi del I millennio a.C. e delle traiettorie diversificate verso forme precoci di protourbanizzazione che si attuarono in alcune delle regioni europee in tale periodo.
Si richiama l’attenzione sul problema, ormai ben definito nelle sue linee generali, della necessità di applicare un sistema di calibrazione alle datazioni effettuate con il radiocarbonio, il metodo per stabilire una cronologia assoluta (ma anche relativa tra più contesti) più ampiamente diffuso per la preistoria a partire dalla fine del Paleolitico medio. La calibrazione copre un periodo che arriva a circa 20.000 anni da oggi. Ci si trova quindi di fronte a datazioni radiometriche riferibili ai momenti più antichi al Paleolitico superiore, che attualmente non possono essere calibrate; per le fasi successive è possibile applicare tabelle di correzione, anche se si crea qualche discrepanza con le datazioni che non possono essere calibrate. Diversi Autori delle voci che seguono hanno preferito riportare le datazioni non calibrate, come specificato nel testo la prima volta che sono citate, e spesso con l’indicazione B.P. (Before Present, corrispondente per convenzione con l’anno 1950 d.C.). Per i periodi in esame va quindi tenuto presente che le datazioni effettuate con il metodo del radiocarbonio devono essere considerate in realtà più antiche, con oscillazioni che vanno da circa un secolo per l’arco di tempo intorno al 3000 B.P. a circa 2000 anni intorno al 10.000 B.P. Il problema della calibrazione, meno importante per le fasi più antiche per cui può essere realizzata, dal momento che gli errori del radiocarbonio sono costanti su scala mondiale e le date da più contesti sono quindi in qualche modo confrontabili, diviene particolarmente rilevante per i periodi e le situazioni per i quali è possibile fare riferimento a datazioni di carattere “storico”, basate cioè sulle fonti scritte del Vicino Oriente: per l’Europa questo avviene in misura limitata a poche aree per quel che riguarda il III millennio a.C. (e comunque la rete di rapporti è molto mediata e quindi insicura) e in modo più consistente per il II, soprattutto quando si stabiliscono relazioni con il mondo miceneo, a sua volta collegato con il Vicino Oriente, a partire dal XVII sec. a.C. Le datazioni citate in questa introduzione sono calibrate.
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La parte dedicata alle civiltà egee è inserita prima della sezione dedicata alla Grecia, per lo stretto rapporto geografico, cronologico e culturale (come è evidenziato dalla interpretazione dei testi in Lineare B), tra le civiltà dell’Egeo e la Grecia stessa.