L'Europa in eta protostorica. I Celti
Nell’antichità i Celti furono conosciuti con nomi diversi: i Greci li chiamarono Kελτοί e Γαλάται; quest’ultimo indicò poi i Celti dell’Asia Minore. Presso gli scrittori latini sono usati i termini Celtae o Galli. Secondo Cesare, Celtae era il nome celtico dei Celti, chiamati dai romani Galli (Caes., Bell. Gall., I, 1). Le più antiche citazioni relative ai Celti giunte sino a noi derivano da geografi e storici greci della fine del VI e della metà del V sec. a.C. Nella Periegesi di Ecateo di Mileto sia Narbona sia Nyrax sono definite ciascuna polis celtica; Massalia, di cui abbiamo qui la più antica menzione, è collocata “sotto la Celtica” (FHG, IA, fr. 54-56). Ma la critica moderna considera tali riferimenti alla terra dei Celti inserzioni tarde dovute a Stefano di Bisanzio. Erodoto dice che il Danubio (Istroj) ha inizio dalla terra dei Celti, che abitano oltre le colonne d’Ercole e che sono limitrofi dei Cynesi, gli ultimi abitanti dell’Europa a occidente (Hdt., II, 33, 3); nel IV libro viene ribadito il legame tra Celti e sorgenti del Danubio, ma qui sono i Celti a essere indicati più a occidente rispetto ai Cineti (Hdt., IV, 49, 3). All’inizio del V secolo Pindaro dice che il Danubio nasce nella terra degli Iperborei (Ol., III, 148, 46), nome col quale sono indicate genericamente le popolazioni barbare del Nord, tra cui i Celti. La precoce, ma vaga, nozione dell’esistenza dei Celti nell’Europa centrale avviene attraverso due vie di penetrazione commerciale, il Rodano e il Danubio, alle cui foci vennero fondate allo scorcio del VII sec. a.C. rispettivamente la colonia focea di Massalia e quella milesia di Istria. I viaggiatori e mercanti che commerciavano con tali popolazioni dell’interno ne trasmisero il ricordo allo storico greco. Col IV secolo le attestazioni relative ai Celti aumentano, anche a seguito delle migrazioni che avevano portato a contatto diretto le popolazioni transalpine col mondo italico e magno-greco da un lato e col mondo danubiano-balcanico e greco-pontico dall’altro. La presa di Roma da parte di Iperborei fu registrata da scrittori come Teopompo, Senofonte, Platone e Aristotele. Senofonte (Hell., VII, 1, 20, 31) ricorda l’arruolamento di mercenari celtici e iberici da parte di Dionisio di Siracusa nel 369 a.C. in aiuto degli Spartiati. Le citazioni relative a vicende storiche o ad aspetti morali dei Celti si fanno sempre più frequenti in età ellenistica (Timeo, Pitea, Eratostene, ecc.), ma della storiografia che si occupò dei Celti non si è conservato quasi nulla.
La fonte greca più consistente è Polibio, nei capitoli relativi ai Celti della Cisalpina (II, 17-35) che riportano le principali vicende militari, osservazioni etnografiche e la prima descrizione della struttura clientelare dei Celti. Della storiografia latina del III e II sec. a.C. (Quadrigario, Catone, Pittore) restano i frammenti citati dagli autori posteriori. Creata la provincia Narbonensis nel 125 a.C. vi fu un’attenzione più diretta nei confronti dei Celti; il libro XXIII delle Storie di Posidonio di Apamea (135-50 a.C.) trattava di etnografia dei Celti. Pare che egli abbia avuto conoscenza diretta della Kελτική meridionale. Numerose sue citazioni sono confluite in scrittori più tardi (FHG, 15, 16-18; 33; 55). Un contemporaneo di Posidonio, Luciano di Samosata, ci parla del dio celtico Ogmios e delle sue funzioni (Herc.).
Anche i resoconti militari di Cesare dalla Gallia (58-51 a.C.) contengono descrizioni dei Celti e per la prima volta dei Germani. L’opera di Cesare si integra con quanto ci è giunto di Posidonio. Dopo la sottomissione dei Galli a Roma l’interesse contemporaneo che gli scrittori antichi avevano nutrito per tali popolazioni venne meno. Con gli storici di età augustea (Livio, Diodoro, Strabone, Dionisio di Alicarnasso, Timagene) che attingono a fonti in gran parte perdute, aumentano le testimonianze sui Celti del passato. Il testo perduto di Pompeo Trogo, storico gallico di lingua latina nato nella Narbonese e con antenati voconzi, ci è giunto grazie al tardo riassunto di Giustino.
In età imperiale, Mela e Valerio Massimo sono interessati agli aspetti morali dei Celti, il poeta Lucano è il solo che registra una parte del Pantheon celtico (Pharsalia, I, 444-65); Plinio il Vecchio recupera nella Naturalis historia numerosi riferimenti al sapere dei Celti, Tacito è il solo che fornisce dati contemporanei sui Celti insulari e sugli ultimi Celti continentali. Nel II sec. d.C. Plutarco rielabora fonti anteriori (Cim.; Marc.); Pausania è essenziale per quanto concerne i Celti in area balcanica, in Grecia e in Anatolia, così come Appiano. Gli scrittori successivi (Eliano, Ateneo, Ammiano Marcellino), soprattutto Stefano di Bisanzio con gli Ethnikà, riprendono fonti oggi perdute.
Il bretone, il gallese, il gaelico di Scozia e l’irlandese sono le lingue celtiche ancora parlate; il cornico si è estinto alla fine del Settecento. È a partire dalla loro conoscenza che si è basata la ricostruzione del sistema delle lingue celtiche antiche. La loro specificità nell’ambito delle lingue indoeuropee era stata messa in evidenza dagli studi filologici e grammaticali del Settecento. Le testimonianze dirette di lingua dei Celti sono poco numerose, mancano affatto testi scritti di storiografia, letteratura o filosofia. La documentazione epigrafica dei Celti si limita ad alcune centinaia di iscrizioni generalmente di carattere funerario, giuridico, magico-religioso, dedicatorio, redatte in alfabeto nord-etrusco, iberico, greco e latino. Particolarmente eccezionali per il loro contenuto sono i testi del Calendario di Coligny (Ain), delle tavole bronzee di Botorrìta, in Spagna, le bilingui gallico-latine di Vercelli e di Todi. Dall’Italia nord-occidentale e dal Canton Ticino (l’areale della cultura di Golasecca) provengono le più antiche iscrizioni in lingua celtica d’Europa: da Castelletto Ticino (secondo quarto del VI sec. a.C.), da Como-Prestìno e da Vergiate (fine VI - inizi V sec. a.C.).
Il gruppo di iscrizioni attualmente conosciute permette di delineare solo una minima parte di lingue celtiche antiche: il celtico e il gallico dell’Italia del Nord, il celtiberico della Penisola Iberica e il gallico dell’Europa temperata; esse sono raccolte nel Récueil des Inscriptions Gauloises (RIG). Le legende monetali arricchiscono considerevolmente il quadro dei nomi di persona o di popoli Celti conosciuti (o non ricordati) dalle fonti antiche. Un complemento analogo viene fornito dai nomi di luogo citati dalle fonti (Bibracte, Avaricum, ecc.) o sopravvissuti con adattamenti nelle lingue moderne (Milano da Mediolanum, Brescia da Brixia, Lione da Lugdunum, Embrun, Yverdon da Eburodunum, Nyon da Noviodunum). Spesso rimangono solo i toponimi a testimoniare l’esistenza di una fase celtica in una determinata regione. Le desinenze come -dunum o -dunon (fortezza), -magos (campo), -briga (fortezza) sono le spie di tale passato.
Prima delle sistemazioni tipologiche e cronologiche risalenti alla prima metà del XIX secolo (il sistema delle tre età di Thomsen e di Worsaae), le testimonianze pre- e protostoriche dell’Europa preromana erano attribuite globalmente ai Celti. Nell’Italia del Nord, gli abitati dell’età del Bronzo noti come terramare erano interpretati come resti di cimiteri dei Galli Boi. Intorno alla metà del XIX secolo si erano avute due importanti scoperte: la necropoli di Hallstatt nell’Alta Austria (1846-62) e il sito di La Tène, sul Lago di Neuchâtel in Svizzera (dal 1857). Alcuni anni dopo, nel 1865, E. Desor opponeva il materiale di Hallstatt a quello di La Tène e coglieva le analogie tra quest’ultimo complesso e i materiali scoperti da Napoleone III ad Alesia. Desor attribuì il complesso di La Tène ai Galli, in particolare agli Elvezi. Durante il V Congresso Internazionale di Antropologia e Archeologia Preistoriche tenutosi a Bologna nel 1871 G. de Mortillet notò alcune fibule tardohallstattiane nei corredi di due tombe etrusche di Bologna e le strette analogie tra le armi e le fibule dei corredi scoperti a Marzabotto e quelli della regione della Marna, collegando tale fatto alle migrazioni storiche dei Celti. Si associarono nell’interpretazione anche Desor e il danese H. Hildebrand, che l’anno seguente avrebbe utilizzato i nomi di Hallstatt e di La Tène per qualificare due facies archeologiche corrispondenti alla prima e alla seconda età del Ferro. Le nuove e frequenti scoperte permisero a O. Tischler nel 1885 di mettere le basi di una griglia tipo-cronologica (früh-mittel-spät-Latène) che sarebbe stata successivamente (nel 1902) perfezionata da P. Reinecke in quattro periodi (La Tène A, B, C, D) e ancorata a capisaldi cronologici ancora oggi sostanzialmente validi. Tali partizioni in fasi erano fatte a partire dall’evoluzione delle fibule e dell’armamento metallico. Attualmente si hanno numerosi affinamenti regionali talora correlati a datazioni dendrocronologiche.
Prima del VI-V sec. a.C. si deve pensare ai Celti come al prodotto di un lungo processo formativo in atto già nel corso dell’età del Bronzo, con la cultura dei Tumuli e quella successiva dei Campi d’Urne. È a tali livelli della protostoria (se non già in età neolitica) che risale l’insediamento di comunità di Celti nell’area della Penisola Iberica (Celtiberi) e nell’Italia nord-occidentale (cultura di Golasecca). Il carattere celtico di tali due realtà ci è confermato in seguito da testimonianze linguistiche autoctone. Le generiche indicazioni di Erodoto individuavano il territorio dei Celti in corrispondenza della valle superiore del Danubio, nell’alta valle del Rodano e nelle terre occidentali in direzione dei Pirenei. In tale vasta regione è diffusa la cultura hallstattiana occidentale, cui succede gradualmente alla metà del V sec. a.C. la cultura latèniana la cui diffusione territoriale riprende quella della fase precedente (dalla Boemia al Massiccio Centrale) e si dilata ulteriormente verso la Marna e la Renania, dove si formano nuovi centri di potere. Col IV sec. a.C. ha inizio un processo migratorio ampio e di lunga durata che porta il territorio dei Celti alla massima estensione mai raggiunta: dall’Atlantico alle Isole Britanniche, dalla Gallia all’Italia del Nord all’area illirica e danubiana, fino all’Asia Minore. Dall’inizio del III secolo, gli scontri militari con Roma e con altre potenze (i Greci, gli Attalidi, i Traci, i Daci) portarono a un ridimensionamento progressivo e inarrestabile di tale vasto territorio continentale che finì per restringersi alle sole Isole Britanniche e all’Irlanda.
Nelle fasi finali dell’età di Hallstatt, a nord-ovest delle Alpi, dalla Borgogna al Württemberg, compaiono tombe a camera lignea, ricoperte da un imponente tumulo e con un ricco e complesso corredo associato a un carro cerimoniale a quattro ruote, che furono definite, fin dal momento delle prime scoperte, “tombe principesche” (Fürstengräbern). Gli abitati fortificati individuati nelle vicinanze furono interpretati come cittadelle dei principi. La monumentalità di tali centri, la ricchezza dei corredi, la diversità dei luoghi d’origine delle importazioni, hanno portato a riconoscere l’esistenza di un’élite principesca che monopolizzò le reti degli scambi e che sul vasto territorio hallstattiano adottò status symbols analoghi. Tali siti principeschi si trovano in posizioni strategiche a controllo delle vie di comunicazione, delle direttrici commerciali e delle risorse naturali (giacimenti minerari). Numerosi centri sono stati esplorati in maniera più o meno approfondita: Châtillon-sur-Glâne e Uetliberg in Svizzera, Mont Lassois in Borgogna, Zàvist in Boemia.
Tra Ulm e Sigmaringen, sulla collina della Heuneburg, che si trova alla sinistra idrografica del Danubio, sono stati effettuati gli scavi più esaustivi. Sono state riconosciute dieci fasi di realizzazione e ristrutturazione della fortificazione, che inizia nel 600 a.C. e utilizza legno, terra e pietre; la fortificazione della fase IV (Ha D1b: 580-550 a.C.) è caratterizzata da un muro in mattoni crudi lungo 800 m e di 3 m di spessore, sostenuto da un largo basamento in pietre a secco. Nel lato settentrionale, rivolto verso la pianura e l’abitato aperto che sorgeva ai piedi della cittadella, la cinta muraria si arricchiva di una decina di torri quadrate, a intervalli regolari. La tecnica costruttiva e i caratteri della muraglia coi suoi bastioni sono correlati con esperienze analoghe del mondo greco col quale l’élite di Heuneburg fu in contatto, come documentano i numerosi frammenti di ceramica e materiali d’importazione greco-etrusca e provenzale scoperti sulla cittadella. Anche l’organizzazione regolare dello spazio interno, dove si hanno case rettangolari di legno che costeggiano strette strade, richiama modelli urbani del sud. Numerosi tumuli imponenti si levano nella pianura che circonda la Heuneburg. Quelli sopravvissuti al saccheggio dei clandestini e scavati scientificamente, ovvero quanto rimane del corredo degli altri, permettono di riconoscere lo sviluppo cronologico e l’evoluzione del fenomeno principesco nei due secoli che vanno dall’inizio del VII ai primi decenni del V secolo.
Nel VI sec. a.C. assume particolare importanza il servizio di vasellame metallico legato al consumo del vino: brocche di bronzo, idrie, crateri di produzione greca ed etrusca rivelano l’adozione di nuove usanze simposiache derivate dal contatto con le civiltà del Mediterraneo. Tra i prodotti esotici, che vanno interpretati come doni diplomatici o veri oggetti di scambio, vanno segnalati anche kylikes attiche, coppe d’argento, letti decorati con appliques d’avorio (Grafenbühl, Römerhügel, Heuneburg), tessuti broccati e di seta (Hochmichele, tomba 2; Vix). Particolarmente rappresentative di questa fase sono le tombe di Eberdingen-Hochdorf, a 8 km dalla Heuneburg, e di Vix in Borgogna, ai piedi del Mont Lassois. In quest’ultima tomba, databile al 480 a.C., era deposto un grande cratere greco di bronzo, alto 1,64 m, del peso di 208,6 kg, avente la capacità di 1100 litri. Vi erano inoltre due coppe attiche, una brocca e dei bacili di bronzo di produzione etrusca; la cassa di un carro a quattro ruote fungeva da letto funebre per una donna, di circa 30 anni, con una ricca parure tra cui spicca un torques con tamponi piriformi d’oro.
Alcune statue antropomorfe di pietra, come quella scoperta ai piedi di un tumulo a Hirschlanden, costituiscono una classe di monumenti figurati d’eccezione che rivelano contatti col mondo italico e mediterraneo. La loro area di diffusione privilegia il Baden-Württemberg. La statua di Hirschlanden (degli ultimi decenni del VI sec. a.C.) raffigura un personaggio maschile, a grandezza naturale, con gli status symbols che troviamo, ad esempio, nel corredo principesco di Hochdorf: un torques, un cappello conico, una cintura e un pugnale ad antenne. La produzione artistica del periodo di Hallstatt è caratterizzata da un’arte decorativa essenzialmente geometrica, bene esemplificata nelle lamine d’oro sbalzate che accompagnano l’inumato della tomba di Eberdingen-Hochdorf.
Nella prima metà del V sec. a.C. si riscontrano le tracce di una distruzione o di una crisi profonda di alcuni siti principeschi: nel caso di Heuneburg, l’episodio che distrugge la cittadella coinvolge anche l’abitato aperto sottostante, abbandonato e utilizzato come necropoli. Il mondo celtico è attraversato da profonde tensioni sociali e probabilmente è condizionato dalle vicende internazionali che interessarono il mondo greco ed etrusco. Abbandonato il modello centralizzato principesco, una colonizzazione rurale dispersa ma densa dà origine a nuovi centri di potere che portano a una dilatazione dei territori precedentemente occupati dai Celti.
Le necropoli mostrano alcuni cambiamenti nei rituali funerari: le tombe più ricche presentano un carro a due ruote e la deposizione delle armi metalliche diventa un segno di caratterizzazione guerriera della nuova élite. Nei corredi compaiono ancora materiali di importazione mediterranea, ma un artigianato celtico di notevole livello fiorisce a nord delle Alpi, ispirato dai motivi decorativi dei Greci, degli Etruschi e dei popoli orientali. Le tombe “ricche” condividono lo spazio funerario delle tombe “ordinarie”. Numerose necropoli di alcune decine di tombe costellano territori come quelli della Champagne, dove si contano quasi 200 tombe con carro (ca. il 2% del totale) o quelli dell’Hunsrück-Eifel nella valle della Mosella. Le più famose sono quelle di Somme-Bionne, Berru, La Gorge-Meillet in Champagne, Reinheim, Schwarzenbach, tra Reno e Mosella, Buçany, nella Slovacchia sud-occidentale, Chlum, nella Boemia occidentale, e in diversi punti della valle inferiore della Traisen, un’area di intersezione tra le zone dei giacimenti di sale (Hallstatt, Hallein) e le direttrici verso il Danubio. I risultati delle ricerche più recenti mostrano inattese scoperte del La Tène A nell’Austria orientale (Kuffern, Vienna-Leopoldau, Ossarn) e nell’area transdanubiana settentrionale (Pilismarót-Basaharc).
Un aspetto particolare localizzato per ora nell’area del medio Reno (Glauberg e Pfalzfeld) e in Borgogna (Vix-Les Herbues) è costituito da aree santuariali (che nel caso di Glauberg sono di eccezionale monumentalità) caratterizzate dalla presenza di sculture antropomorfe, si può dire, di seconda generazione rispetto a quelle tipo Hirschlanden. Le statue di Glauberg presentano attributi quali una corona “a foglie” (Blattkrone), un torques a gocce, una corta spada al fianco destro e una corazza che richiama i tipi meridionali che rivestono le statue dei santuari di Entremont e di Roquepertuse. Nello spazio circolare delimitato da un fossato e preceduto da una lunga “via processionale” si hanno due tombe maschili di guerrieri, la più antica delle quali, a inumazione, ha il torques e la spada dello stesso tipo rappresentato sulla statua di pietra. La statua rappresenterebbe il modello del rango ai cui simboli si conforma il titolare della prima tomba. Nasce in questa fase il cosiddetto Primo Stile, che costituisce la prima espressione originale dell’arte dei Celti applicata su oggetti di prestigio, destinati a un’élite aristocratica e diffusi su un vasto territorio.
Con la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C. termina una fase di stabilità dell’insediamento e iniziano massicci spostamenti di Celti in Italia e nel bacino dei Carpazi. Le fonti antiche ebbero coscienza di tali eventi e li interpretarono come la conseguenza di un sovrappopolamento nell’area transalpina (Liv., V, 33-35; Trogo, XXIV, 4), come la risposta alla fertilità delle terre mediterranee dalle quali un etrusco di nome Arruns (Dion. Hal., XIII, 10-11) o, secondo altri, un artigiano elvezio di nome Helico (Plin., XII, 2, 5), avevano portato invitanti assaggi di vino, olio, fichi. Numerosi passi della catena alpina sono conosciuti e utilizzati; il deposito votivo di torques e braccialetti d’oro scoperto a Erstfeld, in Svizzera, (fine del V sec. a.C.) può essere in rapporto con la frequentazione del passo del San Gottardo, che immetteva nella valle del Ticino, nel territorio di Golasecca e quindi in Italia.
La conquista di Roma da parte dei Senoni, nel 388/7 a.C., sancì la sedentarizzazione dei cinque principali popoli celtici in Italia. I Senoni, insediati nella Romagna orientale e nelle Marche settentrionali, noti per le necropoli di Filottrano, Moscano e Montefortino, furono fortemente integrati nel mondo magno-greco; condivisero la politica internazionale di Dionisio di Siracusa, che tentava di sottrarre l’Adriatico agli Etruschi per farne un mare siracusano. A nord ovest dei Senoni, tra il Po, l’Appennino e il territorio di Piacenza, si insediarono i Boi, organizzati in 112 tribù. Di essi sono note le necropoli di Bologna, Ceretolo-Casalecchio, Marzabotto e soprattutto di Monte Bibele. Tra i Boi e il mare v’erano i Lingoni, di cui non conosciamo che il nome. A nord del Po, a occidente, era una confederazione di popoli denominata Insubri con capitale Mediolanum e, tra questi e i Veneti, i Cenomani con capitale Brixia. Di questi ultimi sono conosciuti la necropoli di Carzaghetto, la tomba di Castiglione delle Stiviere e altri sepolcreti più recenti del territorio veronese. Polibio e Livio ricordano altre popolazioni minori; di altre ancora Catone o Plinio discutono le origini celtiche o liguri. Il IV secolo segna dunque un profondo cambiamento nella struttura del popolamento nell’Italia del Nord, rinnovato nelle componenti etniche che obbligarono le popolazioni locali (Liguri, Etruschi, Umbri, Piceni) a un arretramento e a una riorganizzazione; la nuova situazione causò in particolare una crisi generalizzata dei sistemi territoriali che prima erano imperniati sull’esistenza dei centri urbani. Il popolamento dei Celti appare organizzato kata komas, per fattorie e villaggi sparsi nel territorio, secondo lo stesso modello che si riscontra in area transalpina.
Per quanto riguarda l’altra direzione dell’espansione, la Selva Ercinia e i territori danubiani di cui parlano Livio (V, 34) e Pompeo Trogo riassunto da Giustino (XXIV, 4), le testimonianze archeologiche di più recente scoperta mostrano che dalla fine del V agli inizi del IV sec. a.C. nel Nord-Ovest del bacino dei Carpazi, in Moravia e in Boemia si ebbe un’importante migrazione di Celti. Nuove necropoli con tombe senza tumulo sono scoperte anche nella Bassa Austria e nella Slovacchia sud-occidentale fino all’Ungheria nord-occidentale (Sòpron-Bécsidomb, Ménföcsanack). Tale movimento di colonizzazione nella seconda metà del IV sec. a.C. attraversò il Danubio e si spinse fino al Nord della Grande Pianura ungherese (Muhi, Hatvan-Boldog, Vác) e alla Romania nord-occidentale (Fintinele, Piscolt). Il centro che si formò in area carpatica fu poi all’origine degli ulteriori movimenti migra-tori dei primi del III secolo verso i Balcani e l’area anatolica ricordati da Pausania.
Nelle necropoli si attenuano gli squilibri tra i corredi funerari, e si segnala una classe militare contraddistinta dalla presenza di armi nella tomba, in primo luogo la spada lateniana. Si hanno tuttavia ancora tombe dai corredi eccezionali, specialmente nella regione del medio Reno (Reno-Saar-Mosella) dove gli specialisti hanno identificato una cultura (detta Hunsrück-Eifelkultur) che si differenza dal resto dell’Europa celtica per una continuità di certi rituali fastosi fino alla metà del III secolo. Tra le tombe più importanti si ricorda quella di Waldalgesheim scoperta nel 1869 e appartenente a una donna morta in età senile e sepolta verso la metà del IV sec. a.C. con un corredo funerario composto dei suoi gioielli d’oro (torques, braccialetti), di un servizio da banchetto (corni potori, brocca, situla) e di un carro da guerra a due ruote.
Le caratteristiche della cultura materiale rivelano stretti legami tra regioni distanti tra loro e la vasta diffusione di alcune categorie di oggetti, come le fibule del tipo Duchcov e Münsingen, conferma l’omogeneità del mondo celtico di IV secolo. Una tomba di guerriero scoperta di recente a Plessis Gassot nel territorio di Parigi ha per corredo due vasi etruschi a vernice nera, tra cui una kylix, che richiamano le mode dei Boi d’Italia (Monte Bibele) dello scorcio del IV sec. a.C. Il guerriero e il titolare di un corredo analogo, scoperto a Ollon, in Svizzera, vissero sicuramente in area italiana prima di fare ritorno in patria.
Un nuovo stile d’arte a vasta diffusione territoriale e presente su materiali a larga destinazione sociale è lo stile definito “vegetale continuo” detto anche “di Waldalgesheim”, che si afferma dagli inizi del IV secolo. Presente principalmente su fibule, torques, foderi di spada, elmi, vasellame metallico e ceramico, esso utilizza un repertorio vegetale ispirato al mondo greco-etrusco, ma anche al passato lateniano del Primo Stile. Le forme vegetali, i motivi curvilinei sono combinati tra loro in modo da creare diverse possibilità di lettura, con volute e palmette che si combinano con forme umane o zoomorfe o che si metamorfizzano in queste ultime.
Il III secolo è caratterizzato sin dagli inizi da una mobilità interna al mondo celtico ancora più capillare di quella del secolo precedente; si tratta di colonizzazione di terre, come nel secolo precedente ma anche di operazioni militari e di servizi di mercenariato; i movimenti sono diretti sia verso l’Europa orientale, sia verso la Grecia. Le panoplie del La Tène B2 e La Tène C1 presenti nelle necropoli sono le più diffuse e ormai standardizzate; esse modificano con rapidità le proprie caratteristiche per adattarsi a nuove forme di combattimento, sempre più efficaci. La cavalleria assume un ruolo sempre più importante.
Dopo i successi iniziali, l’invasione dei Balcani incontrò la resistenza del mondo macedone e, nel 279 a.C., la resistenza e la vittoria dei Greci a Delfi. Le sconfitte provocarono altre migrazioni di Celti in più direzioni: alla confluenza del Danubio con la Sava dove si insediarono gli Scordisci, guidati da Bathanatos; in Tracia, dove le truppe di Keretrios, vinti i Traci, crearono nel 277 il regno di Tylis; in Asia Minore, dove i contingenti di Leonnorios e Lutarios, inizialmente al servizio dei dinasti locali, poi battuti militarmente da Antioco I Sotèr, ottennero un territorio nella Frigia del Nord (Galazia). A Iwanovice, in Polonia, una necropoli attesta l’installazione di una comunità di Celti anonimi; altri gruppi provenienti dall’area danubiana si insediarono nella Champagne, altri nella Linguadoca; anche nelle Isole Britanniche alcuni autori (tra cui Cesare) parlano di migrazioni dall’area belgica della Gallia.
La diffusione della cultura lateniana va spiegata oltre che con spostamenti di Celti anche con fenomeni di acculturazione dovuti agli scambi commerciali molto intensi che interessarono, ad esempio, le comunità indigene della Gran Bretagna e dell’Irlanda. Lo stesso modello duplice (migrazione, acculturazione) deve essere tenuto presente per l’area occidentale, nella parte settentrionale della Penisola Iberica dove si ebbero popolazioni che parlavano lingue celtiche sin dal IV sec. a.C. (Celtiberi). L’archeologia consente di seguire gli spostamenti di taluni gruppi in base al fatto che un medesimo costume femminile (l’adozione di oggetti di foggia particolare, il modo in cui essi sono portati: cavigliere, braccialetti e parures simmetriche, torques) può essere riscontrato in aree dove prima non esistevano tali costumi.
Nel III sec. a.C. nasce un tipo di santuario molto particolare, contraddistinto da depositi di armi di ferro associati talora a molti resti scheletrici umani e animali. Essendo diffuso principalmente in Piccardia è stato anche definito “santuario di tipo belga” e attribuito in primis a Celti belgi provenienti dall’Europa centrale e installatisi in questa regione agli inizi del III sec. a.C. I più importanti santuari di questo tipo sono quelli di Gournay-sur-Aronde, Ribemont-sur-Ancre, Saint-Jean Trolimon, Mont St. Martin. Anche i depositi di armi scoperti a La Tène e a Berna, alla Tiefenau, rientrano in tale categoria e si datano a questo stesso periodo. Il progredire delle ricerche mostra dunque la presenza di santuari dello stesso genere, con trofei di guerra e depositi votivi, anche in gran parte del mondo celtico, per cui la definizione di “belga” data a tale tipo di luogo sacro appare attualmente fuorviante e ingiustificata.
Sulle armi, specialmente i foderi di spada di ferro, vengono realizzate decorazioni che derivano dallo stile vegetale continuo e che fondono con abilità elementi fitomorfi e antropozoomorfi. Tali composizioni definiscono degli stili regionali tra cui si riconoscono quello “delle spade ungheresi” e quello “delle spade svizzere”. Dalla fine del IV - inizi del III sec. a.C. ha un grande sviluppo un modo di espressione artistico detto “stile plastico”, di cui si riconoscono oggi diverse scuole locali: in Boemia e nel bacino carpatico e nella Francia del Nord. Da due tombe a carro scoperte di recente nell’area dell’aeroporto di Roissy nell’Ile de France, già territorio dei Senoni, provengono numerose appliques di bronzo, decori dei carri e rivestimenti di manufatti in legno decorati nello stile plastico e fabbricati localmente alla fine del IV - inizi del III sec. a.C. Presso i Celti orientali si diffondono inoltre prodotti decora-ti con una tecnica che imita quella della filigrana e della granulazione ben conosciuta in area balcanica.
Nel 295 a.C. a Sentinum una coalizione di Etruschi, Umbri, Sanniti e Galli, in primis Senoni, viene sconfitta dai Romani, che danno il via a un lucido programma di conquiste territoriali per l’egemonia dell’Italia. Gli scontri militari si susseguono con alterni successi, ma gli esiti finali sono sempre a favore di Roma. Per prima viene eliminata l’iniziativa politica e militare dei Senoni, nel cui territorio fu dedotta la colonia romana di Sena Gallica (283 a.C.), viene fondata la colonia latina di Ariminum (268 a.C.) e viene ripartito tra nuovi coloni l’Ager Gallicus (232 a.C). Nuove iniziative militari antiromane vengono portate avanti da Boi e Insubri con alleanze transalpine (Gesati); nel 225 a Talamone, in Etruria, si ha una grande vittoria romana cui seguono incursioni e offensive in territori boico e insubre, ai cui confini i Romani creano le due colonie latine di Placentia e Cremona. Nuove reazioni dei Galli e accordi con i Cartaginesi in occasione della seconda guerra punica, fanno dello scorcio del II sec. a.C. un periodo cruento; dopo 30 anni di guerre e con la resa dei Boi e degli Insubri la Cisalpina vede una presa di possesso dei territori calibrata sulle entità etniche preesistenti. Dopo il 191 a.C. una parte dei Boi superstiti è costretta ad abbandonare i territori cispadani ed emigra sulle rive del Danubio dove si insedia accanto ai Taurisci. I Cenomani e i Veneti, quasi sempre alleati dei Romani mantengono i propri privilegi e anche nella regione degli Insubri la romanizzazione conserva forme di autonomia alle comunità di Galli. La Cisalpina fu il laboratorio nel quale i Romani sperimentarono i modi di conquista che nei decenni successivi saranno attuati in Gallia e in Britannia. Alla fine del II sec. a.C. iniziarono le pressioni e i movimenti di popolazioni germaniche dal nord, tra cui i Cimbri e i Teutoni, che causarono spostamenti interni di gruppi celtici (ad es., gli Elvezi). Alcuni anni prima i Romani avevano conquistato le regioni della Francia meridionale fino al lago di Ginevra e creato la provincia Narbonensis (125 a.C.). Circa nello stesso periodo in cui Cesare dava il via alla conquista della Gallia, all’estremo opposto, nella media valle del Danubio, iniziò l’offensiva dei Daci guidati da Burebista, che occuparono le terre degli Scordisci, dei Boi e dei Taurisci. Aggredita da nord, da est e da sud l’Europa dei Celti, che nel II sec. a.C. aveva raggiunto la sua massima espansione, riduce drasticamente la propria indipendenza e identità.
Nel corso del II sec. a.C. tra i Pirenei, il medio-Reno, la Boemia e l’Ucraina, si diffondono centri fortificati, con una superficie importante e caratteri protourbani, che rivestirono un ruolo economico e politico particolare. Ne sono conosciuti sul continente 170 che vengono definiti oppida a partire dalla definizione che Cesare ne dà nei Commentarii de Bello Gallico. Alcuni di tali insediamenti occupano posizioni già tenute da abitati protostorici; altri riprendono la posizione geografica e le funzioni artigianali e produttive svolte da estese fattorie insediatesi nel corso del La Tène Medio (Manching in Baviera, Hengehalbinsel in Svizzera, Velem-Szentvid in Ungheria). Alcuni oppida si legano alla presenza di risorse minerarie, alla vicinanza di direttrici commerciali, di nodi itinerari terrestri e fluviali, di santuari e luoghi di mercato. Essi segnano un elemento di novità nel paesaggio abitato dai Celti in quanto rappresentano uno spazio molto esteso non rurale, separato dalla campagna circostante per mezzo di una fortificazione, talvolta imponente. Tra le varie interpretazioni che si danno del fenomeno è generalmente condivisa da tutti quella di una centralizzazione di funzioni e di forze economiche (artigianato, commercio, monetazione, scrittura) e amministrative. Già J. Dechelette aveva evidenziato i caratteri di notevole omogeneità culturale della civiltà degli oppida, constatando la diffusione delle stesse tecniche e degli stessi manufatti (fibule, bronzi smaltati, altri oggetti metallici) ai quattro estremi dell’Europa celtica: al Mont Beauvray in Borgogna, a Manching in Baviera, a Stradonice in Boemia e a Velem-Szentvid in Ungheria. Diversamente dalle cittadelle di VI-V secolo, gli oppida non sono necessariamente la sede del potere politico, che a partire dalle fonti letterarie (Cesare) appare invece ancora radicato nelle fattorie e nella campagna. Le recenti scoperte di Plouër-sur-Rance in Bretagna mostrano l’esistenza di tali potenti famiglie aristocratiche (nel caso specifico degli Osismi) che abitarono vaste fattorie fortificate secondo un modello che si sviluppò per tutto il III e il II secolo. Le superfici degli oppida delimitate dalla fortificazione variano da 20-30 fino a molte centinaia di ettari (135 e 200 Bibracte; 350 Manching). Le fortificazioni rinforzano le difese naturali che gli oppida già possiedono (alture, promontori, anse fluviali), oppure creano una reale barriera artificiale; esse assumono anche un valore rappresentativo, sottolineando il prestigio e la potenza dell’oppidum. I tipi principali di fortificazioni sono due: il murus gallicus descritto da Cesare (Bell. Gall., VII, 23) largamente diffuso a ovest della Baviera, e il murus a pali verticali (Pfostenschlitzmauer) o tipo Kelheim diffuso invece a est. Nell’oppidum di Manching si ebbero le due versioni: prima il murus gallicus, poi una fortificazione a pali verticali che inglobò la struttura antecedente. Ai due tipi-base si affiancano numerose varianti in dipendenza del materiale utilizzato, dei caratteri dell’area da fortificare e delle tradizioni locali. L’accesso all’oppidum avviene attraverso porte che assumono talora dimensioni grandiose; in questo caso l’affermazione del prestigio dell’oppidum prevale sull’efficacia difensiva: il tipo è quello della porta ad ali rientranti come la Porta D di Zàvist, in Boemia, datata al La Tène C2, o quella di 21 m di larghezza di Manching/Est, o quella del Rebout di Bibracte, realizzata a partire dal 100 a.C. Lo spazio interno all’oppidum prevede una suddivisione razionale, con un sistema di strade, edifici, officine, aree sacre e aree vuote. Esemplare il caso di Bibracte, in Borgogna. Tra le attività artigianali, particolare rilievo assunse la lavorazione del ferro nelle diverse fasi, dall’estrazione, alla raffinazione, alla diffusione in pani e lingotti a forma di piccone, alla produzione finale di utensili e manufatti. Alcuni ripostigli, come quello di Kolín, in Boemia, mostrano la varietà degli utensili di ferro prodotti e utilizzati nel lavoro domestico, agricolo, artigianale (carpenteria) e l’abilità dei fabbri che li produssero verso la metà del I sec. a.C. Intorno agli oppida si trovano altri insediamenti fortificati che non sembra siano stati occupati in maniera permanente; mentre altri si configurano come abitati senza avere elementi di fortificazione.
Nel 58 a.C., nel descrivere il quadro degli insediamenti degli Elvezi, Cesare parla di 12 oppida, di 400 vici e di numerosi aedificia (Caes., Bell. Gall., I, 5); in tale diversità di denominazioni e di numeri si vede un sistema territoriale articolato in una gerarchia degli insediamenti. La campagna con le fattorie e i villaggi agricoli rimasero un elemento essenziale per l’economia degli oppida; l’agricoltura e l’allevamento, già eccellenti, migliorarono progressivamente con l’introduzione di nuove specie più selezionate, in concomitanza con l’avanzare dei processi di romanizzazione. I rituali funerari dell’età degli oppida sono conosciuti in maniera diseguale. A Bibracte, all’esterno della porta principale si ha la necropoli della Croix du Rebout, formata da circa un centinaio di tombe a incinerazione, ciascuna collocata all’interno di un’area quadrangolare delimitata da un fossato.
Nel territorio dei Treviri, nell’attuale Lussemburgo (a Goeblingen Nospelt e Clemency) si segnalano sontuose tombe a camera lignea contenenti abbondanti offerte alimentari, numerose anfore di vino italico, resti di griglie, spiedi, coltellacci e resti animali, vasellame campano e vasellame metallico, importazioni di lusso dall’Italia, prodotti locali ed elementi di status che segnalano i titolari della tomba come cavalieri, che ebbero un prestigio particolare nel vicino oppidum del Titelberg. Particolarmente studiata appare la regione della Champagne settentrionale, tra Aisne e Vesle, dove su un’area di 120 km2 si registrano 36 siti, 5 oppida, 32 necropoli, di cui 7 con tombe aristocratiche, e 5 santuari. Il territorio è densamente abitato nei due ultimi secoli a.C. e molte piccole necropoli a recinto sono associate a fattorie. Nel grande complesso di Acy-Romance (Aisne) si riconoscono cimiteri di unità familiari (La Croizette, La Noue Mauroy) e necropoli di tombe aristocratiche con camere lignee (Vieux-les-Asfeld, nelle Ardenne). Alle scoperte appena citate si affiancano quelle di Colchester, Saint-Albans, Lezenay, Fleré-la-Rivière, Dühren che ribadiscono l’importanza di quella particolare classe sociale che Cesare definì degli Equites. L’incinerazione è il rito più diffuso, ma si hanno anche inumazioni; il ruolo sociale del defunto è sottolineato dalla presenza di armi e talora di un carro a quattro ruote (tomba di Boé).
Nella Cisalpina, nei territori degli Insubri e dei Cenomani, sono state recentemente scoperte necropoli di grande importanza che mostrano la continuità di caratteri indigeni e l’adeguamento ai modelli romani: Dormelletto, Oleggio (PV), Valeggio sul Mincio (MN), Povegliano, Santa Maria di Zevio (VR). Va infine registrata la presenza di particolari luoghi di culto, definiti anche Viereckschanzen, costituiti da uno spazio quadrangolare delimitato da un fossato e contenente infrastrutture quali pozzi e/o piccoli edifici di legno. Tra questi vanno ricordati quelli di Mzecke Zehrovice in Boemia e di Fellbach-Schmieden, nel Baden-Württemberg. Dall’interno del recinto di Mzecke Zehrovice proviene la testa di pietra con torques e baffi attribuita a una divinità maschile; mentre a Fellbach-Schmieden è stato trovato un pozzo a camicia di legno dal cui fondo sono state recuperate alcune statue di capridi rampanti e altri manufatti di legno legati al culto. La data di abbattimento degli alberi utilizzati per la camicia del pozzo è 123 a.C., e a tale periodo è datata l’area cultuale che venne in seguito abbandonata.
L’introduzione della moneta nel mondo celtico avvenne con gradualità. Inizialmente furono utilizzate monete straniere, in particolare gli stateri d’oro di Filippo II di Macedonia, che continuarono a essere emessi anche dai successori (Alessandro, Filippo III) sempre col nome di Filippo. Tali monete, portate in patria da mercenari celtici al servizio dei sovrani ellenistici ovvero messe in circolazione dal commercio con Marsiglia, vennero imitate agli inizi in modo assai fedele e successivamente con stili e simbologie via via diversi. Agli inizi del II sec. a.C. furono imitati anche gli stateri d’oro di Taranto e le monete d’argento di Neapolis, Roma e Siracusa, soprattutto quelle che portavano come immagine un cavallo o un cavaliere o una biga. Nella Cisalpina ebbero fortuna le dracme d’argento d’imitazione massaliota, documentate in una varietà di tipi e di emissioni in numerosi ripostigli o tesoretti.
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