L'Europa tardoantica e medievale. Gli Arabi
Nell’ambito del patrimonio archeologico dell’Europa sono individuabili, con diversa rilevanza, le tracce di una presenza islamica che interessò, con modalità differenti, i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo dall’VIII al XVI secolo, dapprima in Spagna, nell’Italia del Sud e nelle isole del Mediterraneo e poi, dalla metà del XIV secolo, nei Balcani.
Quella che è stata definita “l’ultima grande migrazione semitica” portò gli Arabi, appena convertiti al monoteismo predicato dal profeta Muhammad (morto nel 632 d.C.), alla conquista del Vicino Oriente e quindi ad affacciarsi nel Mediterraneo nella prima metà del VII secolo. Occupate Cesarea (640) e Alessandria (645) e impadronitisi così degli arsenali bizantini, gli Arabi poterono disporre di una flotta che non tardò a conseguire vittorie sensazionali, pari a quelle che l’esercito continuava a riportare sulla terraferma. Qui, nel giro di qualche decennio, fu conquistato un territorio vastissimo che si estendeva dal Maghreb all’attuale Afghanistan e al bacino dell’Indo (710). Paradossalmente, l’espansione del mondo musulmano nel Mediterraneo nasce da una “insubordinazione”: a quanto gli storici arabi raccontano, i primi califfi erano restii ad autorizzare spedizioni per mare sulla base dell’esempio di una delle più autorevoli figure del primo Islam, il califfo Umar, che avrebbe vietato ai suoi generali di condurre l’esercito in qualunque posto “che io non possa raggiungere con il mio cammello”. Tale avversione non sembra essere stata condivisa dai protagonisti delle prime conquiste, i quali non esitarono a organizzare incursioni verso le isole del Mediterraneo orientale (Cipro nel 649, poi Rodi e Creta) segnando così l’inizio dell’avanzata musulmana nel Mediterraneo e quindi del confronto marittimo con i Bizantini. La prima grande battaglia navale ebbe luogo nel 655 al largo della costa anatolica: una flotta musulmana di 200 navi riportò una schiacciante, nonché inattesa, vittoria su una più grande flotta bizantina.
Ma fu nell’estremo Occidente che si verificò la più importante e durevole conquista degli Arabi in Europa: nel 711 Tariq, un liberto berbero di Musa ibn Nusayr, governatore dell’Africa nord-occidentale, sbarcò con 7000 uomini (per lo più Berberi) nella Penisola Iberica attraversando lo stretto che, dal suo nome, fu chiamato Gebel Tariq (“la montagna di Tariq”) e dunque Gibilterra. Con la connivenza di un dignitario visigoto ribelle, avanzò verso l’interno combattendo l’esercito visigoto e conquistando Cordova e Toledo. L’anno successivo lo stesso Musa arrivò con un esercito arabo forte di circa 10.000 uomini e prese le città di Siviglia e Mérida: l’avanzata fu poi rapidissima e nel 718 quasi tutta la penisola era occupata e diverse spedizioni attraversarono i Pirenei fino a conquistare Narbona. L’incapacità di tenere stabilmente grandi territori occupati rapidamente rese più facile la riconquista da parte dei Franchi che, guidati da Carlo Martello, sconfissero gli Arabi a Poitiers nel 732. L’episodio, a cui nella cristianità occidentale sarà attribuita una valenza simbolica e metastorica, non trova praticamente riscontro nella pur accurata storiografia araba delle conquiste: si tratta, con ogni evidenza, della reale mancanza di rilievo di un fatto che rientrava nelle ordinarie vicende registrate nel corso delle scorrerie messe in atto lungo i confini dell’impero.
Alla vigilia delle conquiste arabe, la Spagna attraversava una crisi socioeconomica di grave entità: a una esigua classe di proprietari terrieri con enormi latifondi faceva riscontro una enorme massa di servi e di schiavi, con un ceto medio fortemente impoverito. Nelle campagne vagavano bande di rapinatori formate da servi e schiavi fuggiaschi, a cui si aggiunsero numerosi Ebrei della penisola in seguito alla persecuzione cominciata nel 616. Così, quando l’esercito visigoto si sgretolò di fronte all’avanzata araba, gran parte della popolazione diede il suo appoggio ai nuovi venuti, spesso consegnando loro intere città (si veda il caso di Toledo). Il nuovo regime si dimostrò tollerante e la ridistribuzione della terra creò una nuova classe di piccoli proprietari a cui spetta largamente il merito della prosperità agricola della Spagna musulmana. Le città, a cominciare dalla capitale Cordova, rifiorirono grazie alla stabilità politica e alla generalizzata ripresa economica. Durante l’VIII secolo si susseguirono nuove ondate di immigrazione dall’Africa del Nord e dall’Oriente, particolarmente dalla Siria. Il rafforzarsi dell’elemento siriano creò un’atmosfera favorevole ad Abd ar-Rahman, un principe omayyade che fuggiva dalla rovina della sua dinastia in Oriente: impadronitosi, ai danni del governatore abbaside, di Cordova nel 756, fondò la dinastia omayyade indipendente di Spagna che regnò fino al 1031.
Stabilizzata la conquista e pacificato il Paese, si avviò un processo di fusione tra Arabi e Spagnoli arabizzati convertiti all’Islam che andò a indebolire l’influenza delle grandi famiglie arabe già diminuita a causa dell’interruzione dell’immigrazione araba nel IX secolo. I Berberi, molto numerosi e attivi, rimasero una minoranza, presto assimilata, nelle città, concentrandosi invece nei distretti montani dove continuarono a praticare il genere di allevamento e di agricoltura a cui erano abituati nelle terre di origine. Gli Spagnoli rimasti cristiani ed Ebrei costituivano una comunità numerosa e organizzata che godeva di una politica governativa generalmente tollerante. La conversione all’Islam, motivata più dal desiderio di integrarsi alla classe dominante che dalla coercizione, non tardò a coinvolgere la maggioranza della popolazione, mentre anche coloro che conservarono la loro religione adottarono, in modo considerevole, l’arabo. Il termine “mozarabo” indicava appunto il cristiano e l’ebreo di lingua araba, mentre il termine muwallad designava i discendenti dei non Arabi convertiti all’Islam.
Se ancora per tutto il IX secolo il legame politico e culturale con l’Oriente abbaside continuò a essere sentito, successivamente si fece strada un sempre più diffuso sentimento di unità e di specificità: Arabi, Berberi e musulmani spagnoli costituirono gradualmente una popolazione musulmana omogenea, consapevole della propria identità religiosa, culturale e politica, di carattere sempre più iberico. Al-Andalus è la denominazione geopolitica di questo territorio che comprendeva, grosso modo, la Spagna centro-meridionale e parte del Portogallo (Algarve, Alentejo, Alandroal). Alcuni eventi verificatisi agli inizi del X secolo accelerarono questo processo: l’affermarsi dell’anticaliffato scismatico dei Fatimidi in Africa del Nord indusse l’omayyade Abd ar-Rahman III ad assumere la dignità di califfo, proclamandosi capo supremo religioso e politico dei musulmani di Spagna e recidendo ogni legame di sottomissione al califfato abbaside. Il suo lungo regno (921-961) garantì un periodo di stabilità e di pace nel corso del quale si assiste alla splendida fioritura di una civiltà propriamente arabo-ispanica. Allo stesso tempo si conservarono le relazioni commerciali con l’Oriente e si aprirono i rapporti diplomatici con Bisanzio. L’importazione di schiavi di origine slava e italiana e la crescente rilevanza del ruolo da loro assunto, sia nell’esercito che a corte, costituì un fattore di destabilizzazione: la loro insubordinazione e il conflitto con i Berberi contribuirono a indebolire e poi a rovesciare il califfato di Cordova. Nella prima metà dell’XI secolo, la frammentazione politica in piccoli regni governati da sovrani berberi, slavi o andalusi (noti come mulūk al-tawā'if o reyes de taifas, “re delle fazioni”) consentì il successo di una duplice invasione, da parte dei cristiani da nord e da parte dei Berberi da sud. Nel 1085 la riconquista cristiana giunse fino a Toledo, nel 1086 il berbero Yusuf ibn Tashufin, fondatore della dinastia almoravide in Marocco, sconfisse i cristiani e annesse quanto restava della Spagna musulmana al suo impero moresco. Soppiantati gli Almoravidi dalla dinastia degli Almohadi, nel 1145, i principati rimasti in al-Andalus ebbero vita breve e tormentata di fronte all’incalzante avanzata delle forze cristiane: Cordova fu presa nel 1236 e Siviglia nel 1248. Alla fine del XIII secolo, i cristiani avevano conquistato l’intera penisola con l’unica eccezione di Granada e del suo territorio dove l’ultima dinastia musulmana governò nella splendida reggia dell’Alhambra fino al 2 gennaio 1492. In pochi anni una serie di editti e di espulsioni provocarono la partenza degli Ebrei, prima, e dei musulmani subito dopo, mentre ancora all’inizio del XVII secolo furono espulsi i cristiani che continuavano a parlare l’arabo.
La civiltà araba di Spagna raggiunse straordinari livelli di prosperità e di raffinatezza, di cui le risultanze archeologiche offrono ampia testimonianza. Nell’agricoltura gli Arabi introdussero sofisticati sistemi di irrigazione e una serie di nuove coltivazioni, tra cui gli agrumi, la canna da zucchero, il riso e il cotone: tutto questo, insieme ai cambiamenti introdotti nel regime della proprietà fondiaria, provocò la straordinaria prosperità dell’agricoltura spagnola sotto il dominio musulmano. Fu incrementata l’attività estrattiva, particolarmente di oro, argento e altri metalli. Le attività manifatturiere erano concentrate nei principali centri urbani: a Cordova, Malaga e Almería si producevano lana e seta, ceramica a Valencia e Malaga, armi a Toledo e a Cordova, tappeti a Beza e Calcena, carta a Jativa e Valencia. Di tutte la più importante era certamente l’industria tessile: si ha notizia dell’esistenza di 13.000 tessitori nella sola Cordova. Un’intensa attività mercantile diffondeva i prodotti spagnoli in tutto il Mediterraneo ma principalmente nell’Africa del Nord, in Egitto e a Bisanzio.
Tuttavia, è nell’arte e nell’architettura che possiamo individuare la creazione più straordinaria dell’Islam spagnolo: sfruttando inizialmente i modelli arabi e bizantini del Vicino Oriente, si elaborarono, sulla base dell’eredità locale, modelli e sistemi costruttivi e tecniche decorative assolutamente originali. La Grande Moschea di Cordova, la cui costruzione fu iniziata sotto Abd ar-Rahman I, segna il punto di partenza del nuovo stile ispano-moresco che ebbe in seguito realizzazioni straordinarie: la Torre della Giralda e l’Alcazar di Siviglia, l’Alhambra a Granada e la splendida città palatina di Madinat az-Zahra.
Diversamente da quanto avvenuto nelle isole del Mediterraneo orientale, i musulmani occuparono stabilmente la Sicilia per oltre due secoli e costituirono, sia pure soltanto per via di brevi insediamenti e ripetute incursioni o attraverso gli scambi commerciali, una presenza in qualche misura significativa in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo. La conquista musulmana della Sicilia si deve all’iniziativa degli emiri aghlabiti di Tunisia: anche qui, come in Spagna, l’intervento sarebbe stato sollecitato dalla ribellione di un generale, lì vandalo e qui bizantino, che sembra impersonare simbolicamente lo scontento e la disaffezione della popolazione locale nei riguardi della dominazione bizantina o vandala. Comunque sia, una flotta musulmana comprendente da 70 a 100 navi sbarcò a Mazara nell’827: l’avanzata fu immediatamente ostacolata dalle forze bizantine, tanto che fu solo in seguito all’arrivo di rinforzi dalla Spagna che i musulmani riuscirono a conquistare Palermo nell’831. Qui stabilirono la loro capitale e la base per un’espansione che sarà lenta e difficile: Messina sarà conquistata nell’843, Castrogiovanni nell’859, Siracusa nell’878 e soltanto nell’896 i Bizantini sottoscrissero un trattato di pace rinunciando effettivamente alla Sicilia.
Intanto alcune spedizioni provenienti dall’Africa del Nord erano sbarcate in diverse località dell’Italia meridionale, riuscendo in qualche caso (a Taranto e a Bari) a mantenere il controllo del territorio per qualche decennio. Altre incursioni minacciarono Napoli, Roma e la Lunigiana; tra l’882 e il 915 la colonia militare musulmana attestata sul Garigliano organizzò incursioni in Campania e nel Lazio meridionale, con il probabile sostegno degli emiri siciliani. Dall’VIII ai primi decenni dell’XI secolo anche la Sardegna fu meta di spedizioni musulmane provenienti dall’Africa del Nord e dalla Spagna. Se le ripetute incursioni dell’VIII secolo possono far supporre l’esistenza di un qualche disegno di conquista, la tipologia delle successive spedizioni sembra piuttosto suggerire un interesse da parte dei musulmani di procurarsi nell’isola materiale “strategico”: prigionieri, legname per la cantieristica, minerali (argento). Il ritrovamento di iscrizioni, monete e, recentemente, del relitto di Capo Galera testimoniano, insieme alle fonti storiografiche, del coinvolgimento della Sardegna nelle vicende che segnarono la presenza musulmana nel Mediterraneo occidentale.
Tornando alla Sicilia, l’isola nel primo periodo del dominio musulmano dipendeva dal punto di vista sia politico che amministrativo dalla Ifriqiyya (Tunisia). Con la caduta degli Aghlabiti e la conquista dell’Ifriqiyya da parte dei Fatimidi, la sovranità sulla Sicilia passò ai nuovi califfi: in un primo periodo i governatori dell’isola furono nominati dal potere centrale o, in situazioni di emergenza, dai notabili di Palermo. Alla fine del X secolo, in seguito alla conquista dell’Egitto e alla fondazione della nuova capitale al-Qahira (Il Cairo), i Fatimidi delegarono il controllo dell’isola al governatore al-Hasan ibn Ali al-Kalbi e ai suoi discendenti. Il governatorato ereditario dei Kalbiti segnò l’apice del potere e dell’influenza musulmana sull’isola fino a metà dell’XI secolo, come è ampiamente testimoniato da viaggiatori contemporanei e da cronisti. La crisi del potere kalbita fu causata dal conflitto con i principi nordafricani e divenne irreparabile con l’arrivo dei Normanni i quali, già padroni dell’Italia meridionale, non tardarono a impadronirsi dell’intera isola (1091).
La presenza dei musulmani in Sicilia produsse importanti cambiamenti nel regime e nella distribuzione delle terre e questo, insieme all’introduzione di nuove colture (arancio, gelso, canna da zucchero, palma da dattero e cotone) e nuove tecniche (in particolare nell’irrigazione), ebbe come in Spagna, conseguenze positive sulla produzione e sul generale benessere della popolazione. La sopravvivenza di molti toponimi arabi rivela l’intensità della colonizzazione e le tante parole arabe presenti nel dialetto siciliano relativamente all’agricoltura e all’irrigazione sono la prova dell’impatto che l’invasione musulmana ebbe in quell’ambito.
Sebbene sotto il dominio normanno una parte importante della popolazione cittadina colta emigrasse progressivamente in Africa del Nord e in Egitto, altri musulmani rimasero nell’isola. Ai funzionari, agli artigiani e agli uomini di cultura che gravitavano intorno alla corte si deve in larghissima parte la fioritura artistico-culturale del regno normanno di Sicilia.
Nonostante gli oltre due secoli di permanenza stabile degli Arabi in Sicilia, davvero molto scarse risultano le testimonianze archeologiche forse anche a causa dell’esiguità di ricerche archeologiche finalizzate: alcune centinaia di monete, una settantina di epigrafi di cui solo tre datate anteriormente al periodo normanno e pochi resti architettonici. È probabile che si possa attribuire all’emiro kalbita Jafar la fondazione del castello della Favara a Palermo. Alcune strutture del palazzo reale di Palermo sembrano poter essere attribuite al periodo islamico senza che siano tuttavia precisabili la data e la destinazione. Di una piccola moschea sono invece certamente i resti venuti alla luce durante lavori di restauro effettuati nella chiesa di S. Giovanni degli Eremiti alla fine del XIX secolo. Alla Grande Moschea di Palermo nel periodo aghlabita appartengono probabilmente i massicci pilastri collegati da archi a pieno centro oltrepassati, sollevati da piedritti, individuati nella cappella di S. Maria l’Incoronata presso la cattedrale della città. Altre recenti scoperte hanno individuato una moschea a Segesta, di cui sono stati rinvenuti i muri perimetrali e il miḥrāb, uno stabilimento termale a Entella, una necropoli musulmana nella stessa area e una fortezza presso Sambuca di Sicilia.
Al contrario, appare straordinaria l’impronta che l’arte islamica ha lasciato sul patrimonio archeologico non solo della Sicilia ma dell’intera penisola italiana in tutte le sue espressioni: dall’architettura alla decorazione architettonica, dalla ceramica ai vetri, dai tessuti agli oggetti di legno, dagli avori ai metalli. A diffondere tecniche, modelli architettonici e manufatti provenienti dal mondo arabo-islamico medievale concorsero dapprima i sovrani normanni e poi, in misura determinante, le Repubbliche marinare (in primo luogo Amalfi e Venezia) attraverso la rete commerciale da loro gestita attraverso tutto il Mediterraneo. Interessante testimonianza di questi traffici offre il citato ritrovamento del relitto di Capo Galera, risalente con ogni probabilità all’XI secolo, carico di manufatti ceramici provenienti, per la maggior parte, dal Vicino Oriente, dall’Africa del Nord e dalla Sicilia. Successivamente, e in particolare per l’Italia settentrionale, il tramite degli influssi islamici fu il mondo andaluso e anche quello iranico, come risulta soprattutto dalla metallistica imitata largamente a Venezia. In un contesto differente si collocano i numerosi monumenti islamici presenti nell’area balcanica: si tratta qui delle tracce di una presenza islamica legata all’espansione e alla dominazione ottomana, dunque situata cronologicamente a partire dal XIV secolo e fortemente connotata nelle sue espressioni artistico-architettoniche dalla componente turca.
Per la cronologia dell'Islam in Europa v. tabb. A e B
M. Amari, Storia dei musulmani in Sicilia, I-III, Firenze 1854.
E. Lévi-Provençal, Histoire de l’Espagne musulmane, I-III, Paris 1950-53.
E. Lévi-Provençal - L. Torres-Balbàs, s.v. al-Andalus, in EIslam2, I, 1960, pp. 507-16.
W. Montgomery Watt - P. Cachia, A History of Islamic Spain, Edinburgh 1965.
A. Aziz, A History of Islamic Sicily, Edinburgh 1975.
F. Gabrieli - U. Scerrato, Gli Arabi in Italia, Milano 1979.
B.M. Alfieri et al., Testimonianze degli Arabi in Italia, Roma 1988.
S.K. Jayyusi (ed.), The Legacy of Muslim Spain, Leyden 1992.
H. Bresc et al., Del nuovo sulla Sicilia musulmana, Roma 1995.
R. Lopez Guzman (ed.), Al-Andalus y el Mediterraneo, Madrid 1995.
R. Traini - G. Oman - V. Grassi, s.v. Sikilliyya, in EIslam2, IX, 1997, 604-14.