L'Europa tardoantica e medievale. I Longobardi: Castel Trosino
Nome di una località detta sino al XVII secolo Castrum Trusei o Trisei, posta a sud-ovest di Ascoli Piceno.
Fu luogo di frequentazione preromana e nei secoli scorsi vi furono rinvenuti vasi d’impasto e fibule a sanguisuga di età protostorica; nel 1893 R. Mengarelli scavò tre tombe dell’età del Ferro. Presumibilmente in epoca altomedievale furono edificate le mura del castrum, smantellate nel XIX secolo, che sono state messe in relazione con l’occupazione del territorio da parte di Totila, avvenuta nel 545 d.C.; sembrerebbe certo che negli anni iniziali del VII secolo il territorio sia stato definitivamente annesso al ducato longobardo di Spoleto. Negli anni precedenti al 1782 in contrada Campo furono rinvenuti ricchi materiali, tra cui monete d’oro provenienti da corredi tombali. Nel 1872 in contrada Pedata venne alla luce una ricchissima tomba del primo quarto del VII sec. d.C. Senza dubbio doveva trattarsi della sepoltura di un ricco arimanno, forse addirittura del capo della guarnigione militare, che possedeva la cintura per la sospensione dello scramasax di rara qualità, forse prodotta a Costantinopoli. Nell’aprile del 1893 in località Santo Stefano venne alla luce un’interessante necropoli, in seguito indagata sistematicamente da Mengarelli, che rinvenne 190 tombe.
Le sepolture erano disposte su file allineate grosso modo lungo la direttrice nord-sud, con orientamento est-ovest, con molta probabilità disposte secondo alcuni raggruppamenti, forse legati alla famiglia o al clan. All’interno dell’area furono identificate le fondazioni di una chiesa monoabsidata, aperta a ovest, sotto il cui pavimento furono rinvenute alcune tombe. Soltanto la tomba 49, datata alla metà del VII secolo, era in muratura e conteneva i resti di un defunto, nei quali sono forse da vedersi le spoglie del fondatore della chiesa. Tra i defunti sepolti nella necropoli si trovano almeno 16 guerrieri, il più antico dei quali è quello della tomba 36, con corredo datato tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo. Tra le tombe con armi se ne distingue una, ascrivibile all’inizio del secondo quarto del VII secolo, con il corredo particolarmente importante: la tomba 119, che presenta l’elmo, la corazza e il guanto d’armi, quest’ultimo attestato anche nella coeva tomba 90. La tomba 119 con molta probabilità conteneva i resti del capo della fara stanziatasi a C.T., il quale era stato inumato, secondo il costume germanico, con tutti i segni del suo rango, come il suo predecessore sepolto in contrada Pedata, ma a differenza di questi recava anche oggetti d’uso. Questa, che è la sepoltura con maggiore ricchezza di corredo rinvenuta in Italia, presenta l’armamento completo e gli elementi legati al cavallo. Il defunto indossava la cintura multipla aurea per mostrare il suo nobile lignaggio, ma aveva al fianco la cintura multipla di ferro ageminato, apparentemente avvolta attorno allo scramasax. Inoltre, come in certe sepolture sassoni, sembra che gli fosse stato posto un corno a tracolla. Infine la tomba testimonia un altro particolare uso rituale: oltre alla crocetta aurea, sul velo funebre erano cucite due lamine auree a L, che ricordano il velo dei santi nei mosaici di S. Apollinare Nuovo ed è forse possibile ipotizzare che veli funebri così particolari fossero legati ai pellegrinaggi. L’importanza di questa tomba va ricercata anche nel fatto che tutti gli oggetti rinvenuti sono stati prodotti nel giro di pochi anni e che la sepoltura serve come buona base cronologica per i manufatti usati dai Longobardi prima del 650.
I corredi femminili mostrano un panorama più sfaccettato. Ci sono 7 tombe di donne longobarde con materiali di tradizione germanica e scarsi influssi del costume bizantino, che chiudevano il mantello con la fibula a staffa, alle quali va unita la tomba 168, anche se presenta una fibula a disco decorata a cloisonné; 10 tombe sono di longobarde che avevano subito il processo di acculturazione e che indossavano un costume con chiare influenze bizantine e chiudevano il mantello con la fibula a disco; 9 sono di donne che portavano il nuovo costume ma chiudevano il mantello con lo spillone. Due tombe (2 e 32) presentano la fibula a croce e altre 7 la fibula zoomorfa: a quest’ultimo gruppo si avvicina un’altra sepoltura (181) che presenta la fibula ad anello di cultura tardoromana. Ci sono poi 30 tombe con il corredo in cui compaiono almeno anelli, orecchini, elementi della collana e che dovrebbero appartenere a semilibere o, per quanto riguarda le tombe che presentano la moneta o il disco forato, a donne di tradizione tardoromana. Infine ci sono 12 tombe femminili con corredo molto povero. Un’interessante tomba femminile è la 41, che Mengarelli attribuì a una bambina e che conteneva tra l’altro 2 staffe di bronzo. La staffa è un oggetto che nasce e si diffonde con gli Avari e sembra che dalla metà del VII secolo anche i Longobardi l’avessero adottata, sebbene non frequentemente. Il dato interessante è dovuto al fatto che quelle di C.T. sono conformate per un piede infantile e sembrerebbero un’offerta dei famigliari, fornendo così un ulteriore indizio sulle pratiche funebri relative ai bambini.
La necropoli è stata oggetto di molteplici studi, poiché non rientrava negli schemi tipici dei cimiteri germanici. Il problema fu affrontato per la prima volta da V. Bierbrauer che, per darne un’interpretazione globale mediante la stratigrafia orizzontale, esaminò tutti i corredi femminili. L’uso, come fossili guida, delle fibule ad arco (diffuse nella zona settentrionale), a disco, a croce, zoomorfe (diffuse nella zona centro-orientale) lo portò ad affermare che la necropoli aveva avuto uno sviluppo da nord a sud, che era stata usata solamente dai Longobardi e che ne testimoniava il rapido processo di acculturazione; questi, dopo un primo momento nel quale avevano usato il loro antico corredo, lo rifiutarono e usarono solo materiali di tradizione mediterranea. Successivamente M. Martin riprese un’ipotesi di A. Melucco e di O. von Hessen e attraverso l’analisi dei materiali femminili e della tipologia delle sepolture giunse ad affermare la coesistenza all’interno della necropoli di un gruppo autoctono che poneva nella sepoltura un corredo simbolico, attestato vicino all’edificio che considerava appartenere alla fase iniziale.
Nel 1991 L. Jørgensen eseguì un’analisi comparata delle necropoli di C.T. e di Nocera Umbra e, sempre in base alle fibule ad arco, affermò che si trattava di un cimitero usato soltanto dai Longobardi che avevano avuto un’acculturazione molto lenta e che la necropoli fu utilizzata fino a tutto il primo terzo dell’VIII secolo con tombe senza corredo. Infine L. Paroli ha esaminato la questione alla luce dei nuovi dati e ha mostrato un panorama molto più ampio. È senza dubbio possibile affermare che si tratta di un cimitero misto che vede in un primo momento l’uso della parte centrale, forse per gli abitanti del castrum bizantino dell’inizio del VI secolo. Successivamente vengono usate le aree laterali dalla popolazione germanica, secondo una disposizione spaziale forse legata ai clan (fine VI - prima metà VII sec.). Negli anni centrali del VII secolo, quando le aree laterali sono tutte occupate, avviene l’ultima modifica: viene edificata la cappella nella parte centrale, dove sono presenti le sepolture più monumentali. Poco a poco l’area non viene più usata.
L’interesse suscitato da C.T. è senza dubbio dovuto anche alla straordinaria ricchezza dei materiali rinvenuti nelle sepolture. Questi presentano pochi contatti con l’area alpina, soprattutto per quanto riguarda le tombe femminili, e una massiccia presenza di elementi mediterranei sia di tradizione tardoromana sia prodotti a Roma. Gli ultimi sviluppi degli studi evidenziano come nelle classi più abbienti ci sia stata una maggiore attenzione alle arti suntuarie mediterranee, non solamente a C.T. ma in tutta l’Italia. La notevole ricchezza è dovuta alla posizione geografica vicina al “corridoio” e in contatto con la Pentapoli e non è da escludere che fosse legata al controllo del traffico del sale. Infine deve essere precisato che si tratta di un cimitero in area extraurbana non connesso con un abitato e la necropoli non ha un precedente anteriore al castrum bizantino, dovuto forse alla riorganizzazione giustinianea del territorio occupato poi dai Longobardi. Negli anni successivi alla metà del VII secolo il cimitero si sposta o all’interno del castrum o in città, come avviene in tutta Italia, anche se forse a C.T. il fenomeno è avvenuto un po’ prima.
R. Mengarelli, La necropoli barbarica di Castel Trosino, in MonAnt, 12 (1902), coll. 145-380.
V. Bierbrauer, Aspetti archeologici di Goti, Alamanni e Longobardi, in G. Pugliese Carratelli (ed.), Magistra Barbaritas. I barbari in Italia, Milano 1984, pp. 445-508.
I Longobardi (Catalogo della mostra),Milano 1990, pp. 180-91, 198, 203, 204, 226.
L. Jørgensen, Castel Trosino and Nocera Umbra: a Chronological and Social Analysis of Family Burial Practices in Lombard Italy (6th- 8th Cent. AD), in ActaArch, 62 (1991), pp. 1-58.
G. Gagliardi (ed.), La necropoli di Castel Trosino, Ascoli Piceno 1995.
L. Paroli (ed.), La necropoli altomedievale di Castel Trosino. Bizantini e Longobardi nelle Marche (Catalogo della mostra), Milano 1995.