L'Europa tardoantica e medievale. I Longobardi: Spoleto
Città (lat. Spoletium) della VI regione augustea, situata in collina lungo l’asse della via Flaminia che collegava Narnia, Interamna e Fulginium; colonia latina istituita nel 241 a.C., divenne municipium dopo la guerra sociale.
Anche se non si è a conoscenza di un coinvolgimento diretto nell’invasione dei Goti di Alarico agli inizi del V secolo, è comunque possibile supporre che la città di S. dovette risentire della sciagura che si era abbattuta sui territori limitrofi. Si era infatti ormai dissolta per sempre la visione di sereni otia che traspariva pochi anni prima dai carmi di Naucellio, nei quali il poeta ricordava la propria casa spoletina, costruita nel luogo ove prima era un edificio termale, quella casa che lo teneva lontano dagli affari della Curia ai quali lo richiamava invece Simmaco rammentandogli come Spoletium suburbanitas nostra est. Posta fra i due poli di Roma e di Ravenna fu anch’essa interessata dal fenomeno di generale depauperamento, unito a una mancanza di manutenzione edilizia e a una non quantificabile diminuzione della popolazione residente: certo è che a S., ove sul finire del V secolo si era stanziata una guarnigione gota, è lo stesso Teodorico a preoccuparsi “dei pubblici edifici che la vetustà con le sue tristi conseguenze, a causa di un lungo abbandono, ha degradato” e a impartire ordini affinché “l’opera di restauro che abbellisce la città riceva un forte impulso” (Cassiod., Var., IV, 24, 1). Non si conoscono quali e quante costruzioni furono interessate dai lavori teodoriciani, al di fuori di un edificio termale, e alle laconiche informazioni delle fonti testuali non sopperiscono i ritrovamenti archeologici.
A partire dal IV secolo il fenomeno nuovo, come di consueto nelle città a continuità di vita, è determinato dall’inserimento nel tessuto urbano e suburbano preesistente delle strutture a carattere cristiano. Nel suburbio i cimiteri cristiani e i relativi santuari martiriali si disposero lungo la via Flaminia: a sud della città l’area di S. Pietro, documentata archeologicamente con l’edificio di culto voluto dal vescovo Achilleo all’inizio del V secolo che ne celebra la monumentalità e ne ricorda le ragioni della costruzione nell’esaltazione del primato dell’apostolo, materializzato nella presenza delle reliquie della sua catena, e forse un’area funeraria prossima alla prospiciente chiesa di S. Paolo, ammesso che si voglia riconoscere nella chiesa medievale la continuità della basilica beati Pauli apostoli legata, all’epoca di Gregorio Magno, alle controversie fra cattolici e ariani (Greg. M., Dial., I, 29, 1-4). A nord della città le aree funerarie accolgono di norma martiri locali o comunque ritenuti tali: ancora lungo la via Flaminia era il vasto cimitero di S. Gregorio Maggiore, archeologicamente accertato, ove la prima costruzione del santuario risale almeno al VI secolo (Pani Ermini 2003). Aree funerarie erano anche lungo le vie secondarie: nella via Nursina il cimitero di S. Ponziano, documentato da resti archeologici, e, non sappiamo se diviso, quello ove trovarono sepoltura s. Concordio e forse s. Senzia con il primitivo martyrium che cedette il posto in età longobarda alla chiesa di S. Salvatore; presso i due diverticoli che si staccavano a nord dalla via Flaminia si trovavano le aree funerarie di S. Tommaso e di S. Sabino, con un culto caro ai Longobardi se lo stesso duca Ariulfo, sul nascere del VII secolo, venerava il santo come suo protettore in guerra e i cui sanctuaria, secondo il ricordo di Gregorio Magno, attiravano pellegrini anche dalla Spagna (Greg. M., Epist., IX, 59), e quello, cosiddetto itinere recto, con la basilica cimiteriale dei Ss. Apostoli, anch’essa partecipe come il S. Pietro e il S. Paolo del clima di politica religiosa legato a Roma, costruzione con ogni probabilità di committenza episcopale come sembra suggerire la sepoltura del vescovo Spes (fine IV - inizi V sec.) archeologicamente attestata.
In urbe l’ubicazione del complesso episcopale è stata a lungo discussa; oggi gli studiosi sono concordi, anche se con oscillazioni cronologiche, nel ritenere che l’insula episcopalis di età paleocristiana era ubicata nel medesimo sito dell’attuale duomo e pertanto in area periferica, ma comunque all’interno della città, ammesso che il circuito murario medievale alle spalle della cattedrale odierna ripercorra più o meno il tracciato di quello romano, e in questo caso con un’aderenza quasi voluta con le mura urbiche, che trova strette analogie con altre sedi diocesane antiche, a cominciare da Roma (Toscano 1963, al IX sec.; Pani Ermini 1985, 2002, almeno al VI sec.). Potrebbero appartenere alla recinzione liturgica della chiesa alcune lastre coeve riutilizzate nel campanile romanico.
La città era rimasta chiusa nella sua possente cinta muraria che adeguandosi alle variazioni altimetriche del colle aveva condizionato lo sviluppo urbico. La cinta fu danneggiata dalle truppe di Totila durante le guerre greco-gotiche e spettò a Narsete restaurare quanto danneggiato. L’esercito goto si era stanziato nell’anfiteatro, tamponandone le aperture, come riferisce Procopio (Bell. Goth., III, 23) e come archeologicamente attestato (Sordini 1908); recentemente, a seguito di indagini stratigrafiche, è stata accertata una prima fase di occupazione del corridoio – con resti di murature, la cui funzione resta da definire, e con sepolture – e una seconda fase che definisce una nuova partizione strutturale, ambedue comprese, allo stato attuale della ricerca, in un arco cronologico tra il V e l’inizio del VI, la I fase, e al massimo alla metà del VII secolo, la II fase (Pagano 2003). Si ritiene che nel sistema difensivo già in età bizantina, ma quanto meno in età longobarda, possa essere stata compresa la sommità del colle S. Elia, l’antica acropoli della città in posizione così elevata e dominante, secondo un fenomeno di rioccupazione a carattere militare ampiamente testimoniato nelle città italiane. Della presenza di un eventuale castrum, o comunque di un uso dell’area nell’Alto Medioevo, rimangono per ora nella rocca albornoziana pochissimi dati archeologici (Pani Ermini 2003). Il VI secolo vede a S. svilupparsi il fenomeno monastico ed eremitico, a seguito dell’arrivo dalla Siria di Isacco che, dopo un soggiorno in città, si ritira sul Monteluco ove dapprima vive in isolamento anacoretico e quindi fonda un monastero di cui rimane la medievale chiesa di S. Giuliano, che in particolare nel portale presenta un ricco uso di spolia scultorei del VI secolo. L’occupazione eremitica del Monteluco continuò a lungo nei secoli utilizzando grotte naturali che mostrano ancora evidenti segni di frequentazione e di uso (Pani Ermini 1983, 1994). Nell’immediato suburbio meridionale della città nel medesimo secolo è testimoniata l’esistenza del monastero benedettino di S. Marco iuxta muros Spoletinae civitatis (Greg. M., Epist., IX, 87), localizzato in base al rinvenimento di larghi brani del mosaico pavimentale, plausibilmente appartenente alla chiesa monastica, datato a età giustinianea (Pani Ermini 1983, 1985). Dell’assetto urbanistico di età bizantina rimane traccia della partizione in vaite, come, ad esempio, tra le altre la vaita phylakteria (l’attuale via Filitteria), la vaita de Domo, la vaita Grifonesca e la vaita Salamonesca menzionate nei documenti medievali.
All’inizio degli anni Settanta del VI secolo S. è nelle mani dei Longobardi che la scelsero come sede di ducato. A lungo si è discusso sulle sedi del nuovo potere. Circa la curtis ducis, il palatium in cui le fonti testuali documentano lo svolgimento delle attività di governo dei duchi, una lunga tradizione storiografica ha più volte riproposto la tesi di una sua ubicazione nell’insula, occupata poi dal monastero di S. Eufemia, ove gli scavi hanno rimesso in luce un grandioso edificio romano, assegnato all’età sillana, ma con riadattamenti più tardi, peraltro non sufficientemente chiariti. L’area si trova in posizione dominante, con un salto di quota notevole verso la valle che in antico era ancora più percepibile, non lontano dalla sede vescovile, secondo una scelta urbanistica riscontrabile in altre sedi longobarde. La dedica a s. Eufemia del complesso monastico successivo potrebbe essere stata desunta, se si accetta la proposta di E. Schaffran (1941), dalla preesistente chiesa palatina. In altra posizione sul piano urbanistico sembra trovarsi invece la curtis regia sede del gastaldo: di norma, come è stato rilevato, essa risulta ubicata in ambito urbano, ma in area periferica in prossimità delle mura, non lontano da una porta urbica e da un asse viario importante per i collegamenti con il territorio. A questi requisiti potrebbe rispondere a S. l’area del teatro, ove resta da valutare pienamente la struttura con largo uso di materiale di spoglio che venne a impostarsi sull’edificio ludico, connessa oggi alla chiesa di S. Agata, per la quale si indica, e credo a ragione, un’origine in periodo goto o longobardo con un processo di riconsacrazione al culto cattolico dopo un probabile culto ariano; alla chiesa sono stati attribuiti alcuni capitelli a stampella ben databili nell’ambito dei secoli VII o VIII. Tale struttura sembra indicare un possibile uso del teatro come ulteriore punto di controllo e di difesa ed essere pertanto la parte superstite di un edificio fortificato in cui è stato proposto di riconoscere la sede della gastaldaga spoletina, ammettendo quindi una duplicità delle sedi del potere longobardo (Pani Ermini 2003).
Nel suburbio la ristrutturazione dell’anfiteatro operata da Totila ha consegnato agli eserciti successivi un luogo già attrezzato e che sembrerebbe illogico pensare non utilizzato dai Longobardi se non altro per le particolari necessità della cavalleria, poiché prossimo alle mura, ma nel contempo anche a spazi aperti necessari per il maneggio e per il vettovagliamento dei cavalli. D’altra parte è stato proposto di riconoscere in questo settore della città un quartiere longobardo, sulla base delle tracce evidenti di tale presenza etnica in alcuni santuari della zona: dal santuario di S. Savino, alla chiesa di S. Salvatore ai piedi del colle Ciciano, forse con funzione di centro religioso della sede ducale, anche di culto ariano, alla chiesa di S. Michele Arcangelo, sempre sul colle Ciciano, con funzione di ecclesia baptismalis e infine alla significativa presenza nel cimitero di S. Ponziano della lastra funeraria di un Agipertus, un defunto dall’antroponimo senza dubbio di origine germanica. Al di fuori di tale indicazione non si conoscono a S. aree funerarie destinate ai duchi, alla loro corte, ai funzionari e alla popolazione longobarda. Un solo duca, Hildericus, rimane legato alla recinzione liturgica della chiesa monastica di S. Pietro di Ferentillo, in Valnerina, ove su una lastra residua, opera con ogni probabilità di bottega spoletina, compare il suo nome. Analogamente alle medesime botteghe dell’VIII secolo appartiene l’architrave riposto in opera nella chiesa di S. Gregorio Maggiore.
Il periodo carolingio è documentato da una ricca produzione scultorea appartenente a mobilio liturgico che testimonia interventi quanto meno di abbellimento negli edifici di culto della città. Sul piano monumentale rimangono la cripta semianulare di S. Primiano, legata alla fase altomedievale della cattedrale, che recupera una tipologia creata a Roma, si ritiene da architetti del pontificato di Gregorio Magno e ampiamente diffusa nei secoli VIII e IX, e forse la chiesa di S. Isacco, che è stata diversamente attribuita anche a età bizantina ovvero longobarda, di cui si conosce unicamente l’abside. L’edificio di culto, ubicato nell’antico foro, riutilizza le strutture di un tempio risalente al I secolo mantenendone l’orientamento e fu sostituito da una fabbrica di età romanica di cui rimane la cripta, oggi al di sotto della chiesa di S. Ansano, dedica ritenuta una deformazione dell’antico titolo al monaco siriaco. Nel suburbio accanto ai santuari sono documentati monasteri presso S. Salvatore, presso S. Ponziano e presso S. Sabino, mentre in urbe, forse come si è detto nell’area della curtis ducis, sorge il monastero femminile di S. Eufemia.
Nell’XI secolo dal decreto del vescovo Andrea II, emesso nell’anno 1067 o 1068 in occasione dell’istituzione di una canonica, è possibile conoscere la consistenza edilizia dell’insula episcopalis quale si era venuta formando nei secoli. Nell’ambito dell’insula oltre la chiesa di S. Maria e l’episcopio sono nominate una chiesa di S. Angelo, la trivuna Sancti Primiani e un’area cimiteriale. Come limiti vengono inoltre menzionati la chiesa di S. Elia sul colle omonimo e il murus civitatis che, a meno che non si voglia pensare all’esistenza di una cinta altomedievale, deve essere ritenuto pertinente al circuito romano. La ricostruzione topografica dell’area è oggetto ancora di discussione (in particolare Toscano 1974; Bozzoni - Carbonara 2002). A ogni modo le fasi costruttive del duomo sono state di recente così sintetizzate (Bozzoni - Carbonara 2002): metà dell’XI secolo, costruzione di una nuova cattedrale con impianto longitudinale da sud-ovest a nord-est, forse con tre absidi e, annessa al presbiterio, la tribuna di S. Primiano con cripta anulare sottostante; metà o prima metà del XII secolo, progetto di rifacimento della chiesa con inizio dei lavori forse interrotti per il saccheggio della città operato dall’esercito imperiale di Federico I Barbarossa, nel 1155, e terminati con la consacrazione nel 1198 da parte di Innocenzo III; 1207, rialzamento della facciata con l’arco acuto del comparto centrale per alloggiare il mosaico; la chiesa è nuovamente consacrata da Onorio III tra il 1216 e il 1227. La datazione dell’imponente torre-campanile, con abbondante uso di materiale di spoglio e in analogia con quella del S. Gregorio Maggiore, è discussa, ma comunque racchiusa tra l’XI e il XII secolo. Alla base del progetto della cattedrale romanica sono state riconosciute forme basilicali romane, ma unicamente limitate allo spazio interno, mentre le partiture esterne rispondono ai modi operativi delle maestranze umbre. Senza dubbio con la ricostruzione della cattedrale nell’XI secolo si apre un periodo di fervido rinnovamento nell’edilizia religiosa spoletina con le nuove chiese di S. Eufemia e di S. Agata in urbe e quelle di S. Gregorio Maggiore, di S. Sabino, di S. Pietro extra moenia, di S. Paolo inter vineas, di S. Giuliano sul Monteluco in area suburbana.
Per l’edilizia civile il palazzo del comune, di cui le parti più antiche non sono anteriori al XIII secolo, si pone con il suo prospetto principale sul lato destro dell’attuale via Saffi, di fronte alla nuova sede del vescovato che, in un arco cronologico compreso fra il 1173 e il 1231, aveva occupato l’area forse, come si è detto, del palazzo ducale longobardo, quindi del monastero di S. Eufemia, passato poi in proprietà nell’XI secolo a un conte Acodo. Sul piano urbanistico S. rimane ancora nella cinta urbica di età romana, a eccezione del borgo che sin dall’Alto Medioevo si era venuto formando intorno alla chiesa di S. Gregorio Maggiore coinvolgendo anche l’area dell’anfiteatro, ove troveranno posto la chiesa di S. Gregorio de griptis (in quanto la tradizione agiografica indicava l’edificio ludico come luogo del martirio del santo), nonché nell’arena il Monastero della Stella, dal distintivo delle monache agostiniane cui era stato affidato, voluto dal vescovo Bartolomeo Accoramboni nel 1254 insieme a un nuovo ospedale che veniva a sostituire quello del S. Gregorio Maggiore, ormai inadeguato, con la chiesa di S. Maria della Stella e l’oratorio di S. Stefano della Stella pertinente all’ospedale; negli archi dell’ambulacro infine già dal XIII secolo avevano preso posto botteghe artigianali.
Nel medesimo XIII secolo erano entrati in S. gli Ordini mendicanti: i primi insediamenti dei frati minori sono stati attribuiti direttamente a s. Francesco e nel corso del secolo si trovano sul Monteluco, presso la chiesa di S. Elia sull’omonimo colle, in S. Apollinare e in S. Simone con la chiesa costruita, come il S. Nicolò, in stretta aderenza alle mura urbiche. I domenicani, giunti a S. nel 1247, s’insediarono nella piccola chiesa monastica di S. Salvatore, che ricostruirono e dedicarono a s. Domenico, mentre gli agostiniani, stabiliti dapprima in S. Concordio, si trasferirono in urbe e avute le due chiese di S. Nicola da Bari e di S. Massimo vi costruirono, con l’aggiunta di alcune case, il grandioso complesso di S. Nicolò. È stato osservato che i tre insediamenti di S. Simone, S. Domenico e S. Nicolò rappresentano un triangolo ideale che chiudeva al suo interno il centro storico della città (Sensi 1983). Agli insediamenti maschili si uniscono quelli femminili, sorti sotto la spinta del movimento penitenziale che sullo scorcio del secolo contavano una ventina di fondazioni, occupando le colline intorno alla città, entro un raggio di mezzo miglio. Nel 1297 una nuova cinta muraria, di cui rimangono ampi tratti, circondò la città con i suoi ampliamenti e sulle antiche mura poligonali e in opera quadrata si concesse ai privati di costruire case e torri, come avvenne, ad esempio, per il convento di S. Nicolò già menzionato.
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