L'Europa tardoantica e medievale. I popoli delle migrazioni nelle regioni occidentali: I Goti
La storia e la cultura dei Goti ebbero un notevole impatto su gran parte dell’Europa tra il I e il VII sec. d.C. Nel loro studio ha assunto sempre maggiore importanza il ruolo della ricerca archeologica protostorica, che ha consentito un inquadramento più esauriente del periodo compreso tra il I e il III-IV secolo, per il quale si dispone di un esiguo numero di testimonianze letterarie, spesso di interpretazione controversa.
Nel I-II sec. d.C. i Goti (Gutones) erano insediati nel territorio della cultura di Wielbark, per la precisione nella sua parte occidentale, in Pomerania e nella Grande Polonia. L’area orientale della cultura di Wielbark, ossia la bassa valle della Vistola e la zona a est di questa, era occupata dai Gepidi, popolo imparentato a quello gotico. Tra i complessi culturali dell’Europa centrale e orientale, quello di Wielbark è abbastanza ben definibile da un punto di vista etnico; indicatori importanti, quali le modalità di sepoltura, i corredi e i costumi, consentono di distinguerlo chiaramente dai gruppi vicini appartenenti a culture completamente diverse, come dalla cultura di Przeworsk a sud e a sud-est (Lugi o Vandali) e dalle popolazioni del Baltico occidentale a est (Aesti). Nel I-II sec. d.C. la cultura di Wielbark è documentata principalmente da necropoli a doppio rituale, nelle quali, cioè, la pratica dell’inumazione (sepolture a tumulo) coesiste con quella della cremazione, e dall’assenza di armi e dalla scarsa consistenza dei corredi nelle tombe maschili. Altri tratti distintivi sono il costume femminile che presenta caratteristiche specifiche e alcuni peculiari tipi di gioielli.
Nell’ambito degli studi di storia antica e medievale e di linguistica sopravvive la convinzione, basata sulla storia delle origini dei Goti di Cassiodoro (in Iord., Get., 26), che la patria dei Goti sia stata la Scandinavia; originari dell’isola di Scandza (Scandia), essi si sarebbero insediati nella loro nuova dimora continentale Gothi-Scandza (“Scandia dei Goti”) sulla bassa Vistola. La ricerca archeologica dimostra esattamente il contrario: come nel caso dei Longobardi, l’origine dei Goti dalla Scandia va intesa come topos delle saghe tribali. I risultati delle indagini sul terreno sono inequivocabili. Nel periodo intorno alla nascita di Cristo o nei due secoli precedenti non vi è nulla che indichi un’immigrazione di gruppi di popolazioni di una certa consistenza dalla Scandinavia nel Nord-Est dell’Europa centrale, né tanto meno nell’area di diffusione della cultura di Wielbark: 1) la maggior parte delle necropoli di questa cultura del I-II sec. d.C. è documentata in modo continuativo già a partire dell’età del Ferro iniziale, dunque dalla prima metà del II sec. a.C.; a partire da quest’epoca, in Pomerania, che corrisponde all’area di diffusione della cultura di Wielbark, si diffonde la cultura di Oksywie (periodi A1-A3); nonostante alcune differenze nella genesi delle due culture – quella di Wielbark si forma agli inizi del I sec. d.C. (periodo B1) –, le necropoli non hanno fornito prove di cambiamenti nella compagine etnica; 2) per gli ultimi due secoli prima dell’era cristiana e per l’epoca intorno alla nascita di Cristo non vi sono dati archeologici che attestino rapporti con la Scandinavia utili a ipotizzare movimenti immigratori di un certo rilievo. È tuttavia in questo periodo che la presunta immigrazione avrebbe dovuto aver luogo in quanto già nel 5/6 d.C. Strabone colloca i Goti nella loro sede continentale. Dunque, l’etnogenesi dei Gutones-Goti è continentale e autoctona ed ebbe luogo in Pomerania (Polonia settentrionale).
Nella seconda metà del II secolo e nel periodo intorno al 200 (periodi B2/C1 e C1a) in Pomerania, nella Grande Polonia e a ovest della bassa Vistola cessano di essere utilizzate tutte le necropoli della cultura di Wielbark, mentre non vi è soluzione di continuità nella valle della bassa Vistola e a est di essa fino al 400 d.C. circa (area dei Gepidi). L’abbandono delle aree di insediamento indica un’emigrazione di massa dei Goti di Wielbark dal loro luogo di origine; essi si stanziarono nelle zone a est della media Vistola dopo averne allontanato i Vandali di Przeworsk. La conquista di questo territorio da parte dei Goti, nella prima fase della loro espansione verso est, è testimoniata con certezza dalla comparsa di tutti gli elementi caratteristici della cultura di Wielbark del I-II sec. d.C., da un lato, e dall’abbandono delle necropoli della cultura di Przeworsk, dall’altro. Questa zona fu occupata dai Goti di Wielbark fino alla fine del IV sec. d.C., ossia fino al 400 circa (fasi C3-D1); tuttavia, una parte cospicua di questo popolo aveva proseguito la sua migrazione verso sud. Nella seconda fase di espansione, datata intorno al 220-230 d.C. (fase C1b) i portatori della cultura di Wielbark si impossessarono della Volinia e della Moldavia settentrionale e, a partire dalla metà del III secolo (fase C2), dell’Ucraina e del resto della Moldavia.
Questa fase della storia dei Goti (III-IV sec. d.C.) corrisponde alla cultura di Černjachov, che presenta le caratteristiche tipiche della cultura di Wielbark (necropoli con duplice rituale funerario, sepolture maschili prive di armi, specifico costume femminile, ceramica) del tutto nuove e diverse rispetto alla cultura dei Sarmati, precedentemente insediati in quest’area, e a quella di impronta greco-romana delle popolazioni autoctone della costa del Mar Nero. A partire dalla metà del III secolo nelle fonti scritte si individuano chiari riferimenti alla cultura di Černjachov, come una delle culture del gruppo gotico. L’espansione in direzione sud-est della cultura di Wielbark così chiaramente documentata da un punto di vista archeologico corrisponde alla migrazione dei Goti nelle terre di Scizia (Skythiae terras), designate nella loro lingua con il termine Oium e confinanti con il Mar Nero (Ponto mari vicina) di cui ci informa Cassiodoro (in Iord., Get., 26-27); la fonte non dà notizia di quella parte di Goti trattenutasi nella prima zona di espansione. In questa fase della storia gotica ha luogo un ulteriore slittamento territoriale ossia una migrazione dall’area della cultura di Černjachov in alcune parti dell’odierna Romania nell’ultimo quarto del III sec. d.C. o intorno al 300 (tarda fase C2); a partire da quest’epoca è attestata in questa zona la cultura di Sîntana-de-Mureş assolutamente identica a quella di Černjachov. Questo movimento coincide cronologicamente, e non a caso, con la separazione dei Visigoti (Goti occidentali), Tervingi-Vesi, dagli Ostrogoti (Goti orientali), avvenuta al più tardi nel 291 d.C. La fine di entrambe le culture – di Černjachov e di Sîntana-de-Mureş –, indubbiamente causata dall’espansione unna verso occidente, si data intorno alla fine del IV secolo e storicamente coincide con il declino del regno di Atanarico, per i Visigoti, e di quello di Ermanarico, per gli Ostrogoti nel 376.
I Visigoti dal 376 al 507
Mancano del tutto testimonianze archeologiche in positivo (necropoli e insediamenti) concernenti il periodo compreso tra la fine della cultura di Sîntana-de-Mureş dei Visigoti e l’insediamento di questo popolo in Spagna alla fine del V secolo o intorno al 500. Questa lacuna è comprensibile per i primi quarant’anni, tra il 376 e 418, ossia fino alla nascita del regno di Tolosa, poiché in nessun luogo il popolo migrante si insediò per periodi sufficientemente lunghi, fatta eccezione per i nove anni di stanziamento continuativo nel Nord delle diocesi di Dacia e Tracia (Bulgaria settentrionale) in seguito al foedus del 382; per il resto questa fase non fu caratterizzata che da migrazioni e saccheggi nella Penisola Balcanica e in Italia, registrati in modo eccellente dalle fonti scritte. Il corredo completo di una sepoltura femminile con coppia di fibule di fattura tipicamente germanico-orientale, rinvenuto a Villafontana vicino a Verona e risalente al 400 circa, è probabilmente da porre in relazione con l’entrata dei Goti di Alarico nell’Italia settentrionale (401/2 o 408-410/2).
È tuttavia curioso constatare l’assenza di un’eredità archeologica degna di nota anche per il regno di Tolosa, durato quasi novanta anni (418-507) nella Francia sud-occidentale. Questo era uno Stato con un’organizzazione politica già evoluta e dominava un territorio in costante espansione in cui erano insediati oltre 100.000 Visigoti, fino al 466 ancora come foederati; alla fine il regno comprendeva quasi l’intero territorio compreso tra la Loira, il Rodano e i Pirenei, con un prolungamento nella Tarraconensis spagnola, anche se in questa zona la conquista non era stata sistematica. Il regno di Tolosa, dunque, offrirebbe potenzialmente tutti i presupposti per lo studio delle testimonianze archeologiche dei Visigoti, siano esse tombe singole o piccoli gruppi di tombe o ancora necropoli. Sta di fatto che rinvenimenti archeologici concernenti il V secolo e correlabili con i Visigoti sono stati effettuati solo in cinque o sei località e la quantità dei materiali raccolti è così esigua da non consentire una ricostruzione della cultura di questa popolazione nel corso delle tre generazioni di insediamento nella zona. Questo miraculum archeologico è tanto più notevole quando si consideri che nella Spagna visigota ritroviamo grandi necropoli con un rito funerario specifico.
I Visigoti in Spagna
In base ai dati storici e archeologici la nascita del regno dei Visigoti in Spagna (507-711) fu preceduta da una fase di sistematica conquista territoriale iniziata già dagli anni Ottanta e Novanta del V secolo. Il trasferimento definitivo del regno di Tolosa si data al 507, in seguito alla schiacciante sconfitta subita da parte dei Franchi. A nord dei Pirenei sarebbe rimasta gotica soltanto la Narbonensis (Septimiana). Dalle fonti scritte non si ricava quasi nulla circa la tipologia, le dimensioni e la distribuzione degli insediamenti dei Visigoti; da esse sappiamo soltanto che l’aristocrazia abitava in residenze sparse nel territorio e preferibilmente nelle città. Relativamente al VI secolo questo dato non può ricevere la conferma dell’archeologia, in quanto i membri della classe nobiliare, probabilmente già romanizzata nel secolo precedente, cioè durante l’esistenza del regno di Tolosa, avevano abbandonato l’usanza di farsi seppellire con i corredi funerari. La situazione è alquanto diversa per quel che concerne la popolazione comune. Nonostante manchino testimonianze archeologiche per il V secolo, il secolo successivo ci è documentato da migliaia di sepolture raggruppate in grandi necropoli.
Le donne erano inumate nei loro costumi, che comprendevano una coppia di grandi fibule bronzee ad arco su ciascuna spalla, occasionalmente una terza fibula (a balestra) al centro del torace e una grande fibbia a placca rettangolare che teneva una larga cintura a vista; erano inoltre adorne di gioielli: collane di perle, orecchini, bracciali e anelli. Dalle sepolture maschili, che non hanno fornito armi, provengono per lo più piccole fibbie di cinture strette. Il rituale funerario e i costumi sono tipici dei Goti di ceto elevato: gli elementi più caratteristici di queste tombe sono decisamente tradizionali, come l’assenza di armi e l’esiguità dei corredi nelle sepolture maschili, nonché il costume femminile sopra descritto, che trova confronti in area ostrogota e presso i Goti della Crimea del V-VI secolo. Anche l’uso, da parte delle donne, di una coppia di grandi fibule a forma di aquila, spesso di notevole pregio, fornisce un punto di contatto con le regioni suddette abitate dai Goti nel VI secolo.
In base alle seriazioni/combinazioni dei reperti e alla cronologia delle deposizioni è possibile elaborare uno schema attendibile della cronologia sia relativa sia assoluta del materiale proveniente dalle sepolture visigote. Due aspetti assumono particolare significato: da un lato la constatazione che la generazione degli immigrati del periodo intorno al 500 praticava la sepoltura nel modo tradizionale, sebbene questa non sia testimoniata precedentemente nel regno di Tolosa; dall’altro, la romanizzazione dei Visigoti. Quest’ultima è evidente innanzitutto nella sostituzione della coppia di fibule ad arco germanico-orientali/gotiche con le più piccole fibule romane (per lo più circolari) e, successivamente, nella scomparsa degli accessori ornamentali del costume (coppia di fibule e grande fibbia di cintura). A partire dalla metà del VI secolo le inumazioni sono prive di corredo, tuttavia vi si possono trovare ancora gioielli o, più di rado, fibbie di cintura di tipo bizantino. Non è un caso che tale processo di romanizzazione, chiaramente testimoniato dal costume e dalle pratiche sepolcrali, risalga all’epoca della riforma legislativa attuata da Leovigildo (568/9-586), tramite la quale veniva ulteriormente indebolita la specificità dei Goti nei confronti dei Romani e annullato il veto di matrimonio tra gli appartenenti dei due gruppi, provvedimenti che portarono alla conversione dei Visigoti ariani all’ortodossia durante il regno di Recaredo I (586-601). A partire dalla seconda metà inoltrata del VI secolo i Visigoti non sono più rintracciabili da un punto di vista archeologico.
Sebbene la Penisola Iberica sia stata conquistata interamente dai Goti, fatta eccezione per il Nord-Ovest, che apparteneva ai Suebi, e la fascia costiera meridionale, bizantina, le necropoli non ricoprono un territorio altrettanto vasto. La loro particolare concentrazione nell’area della Castiglia Antica e Nuova, da sempre motivo di perplessità per gli studiosi, non ha ancora trovato una spiegazione. Probabilmente il legame con la Meseta, nella Spagna centrale, era determinato dall’elevata qualità dei terreni e da un regime di piovosità favorevole alla coltivazione dei cereali. Da un punto di vista sociologico questa ipotesi trova conferma nella “struttura” contadina dei Visigoti sepolti in queste necropoli nelle quali non si pone in evidenza un ceto alto.
Gli Ostrogoti tra il 376 e il 488
La cultura ostrogota di Černjachov trova una fine violenta nel 376 con l’espansione unna verso ovest. Alla fine dello stadio C3 (370-380) cessano le testimonianze delle necropoli e gli insediamenti, in gran parte distrutti dalle fiamme, vengono abbandonati. Da un punto di vista archeologico è evidente che il nucleo principale del popolo degli Ostrogoti non era rimasto fino al 456 nella sua antica area di insediamento in Ucraina, come sosteneva una parte degli storici sulla base di informazioni poco chiare delle fonti scritte (soprattutto Iord., Get., 246). Le testimonianze archeologiche non consentono di affermare nulla di certo sulle nuove sedi degli Ostrogoti nel periodo della dominazione unna, ossia tra il 376 e il 456, tra il 456 e il 473 (regno ostrogoto di Pannonia, Ungheria occidentale) e ancora tra il 473 e il 488 (Goti orientali nella bassa Mesia, corrispondente all’area del basso Danubio, Bulgaria settentrionale). Due sono i motivi principali. In primo luogo, con la diffusione di materiali di tipo germanico-orientale dalla costa del Mar Nero attraverso ampie parti dell’Europa sud-orientale fino all’Austria Inferiore, a partire dal 400 circa, si delinea nel V secolo in tutto questo territorio un quadro culturale in parte nuovo, ma relativamente omogeneo. Esso è caratterizzato da un ingente numero di sepolture singole isolate, appartenenti ai Germani orientali, contenenti in genere ricchi corredi, e da piccoli gruppi di tombe aristocratiche (“tombe famigliari”), soprattutto femminili.
Di regola non è possibile stabilire su base archeologica l’entità numerica della popolazione, data l’assenza nel V secolo di grandi necropoli destinate alla sepoltura del populus, caratteristiche, invece, delle culture di Wielbark, Sîntana-de-Mureş e Černjachov. Le sepolture maschili sono anche qui prive di armi e accompagnate da corredi modesti. Le tombe femminili si distinguono per la presenza di grandi coppie di fibule da spalla, inizialmente, di lamina d’argento, poi fuse e decorate con incisioni a cuneo, di grandi fibbie con placca rettangolare o romboidale e di gioielli quali coppie di orecchini, catenine e coppie di bracciali. Tali sepolture femminili, per lo più caratterizzate dal medesimo tipo di corredo, sono testimoniate nell’intero bacino del Danubio a partire dal V secolo e sono da considerare espressione di una koinè germanico-orientale che, almeno con gli strumenti dell’archeologia, non consente d’individuare al suo interno le numerose gentes che le fonti scritte del V secolo situano in questo vasto territorio (ad es., Gepidi, Eruli, Sciri, Rugi). Indubbiamente tra questi materiali si celano le testimonianze archeologiche degli Ostrogoti, le cui sedi, tra il 376 e il 456, non sono rintracciabili neanche con l’ausilio delle fonti scritte.
Il secondo motivo per cui non è possibile porre in evidenza nei materiali rinvenuti una cultura ostrogota per l’epoca successiva al 376 fino alla fondazione del loro impero in Italia nel 488 è del tutto simile a quello che spiega la lacuna nella documentazione archeologica dei Visigoti tra il 376 e il 418. La permanenza molto breve degli Ostrogoti come foederati nei Balcani, tra il 456 e il 488, e in Pannonia, tra il 456 e il 473, non consente di precisare una cronologia con approssimazione all’anno e al decennio. Ad esempio, una tomba femminile come quella di Domolospuszta, nella Pannonia meridionale, risalente all’incirca al terzo quarto del V secolo, sulla base delle nostre conoscenze storiche potrebbe essere considerata la sepoltura di una dama ostrogota della Pannonia, tuttavia, a causa dei problemi sopra indicati, non è possibile affermarlo con certezza.
Gli Ostrogoti in Italia
La generazione degli immigrati ostrogoti in Italia (488), sotto Teodorico il Grande, non può essere distinta su base archeologica da quella di altri immigrati germanico-orientali, per lo più Sciri, condotti da Odoacre nel 469/70. In verità, l’orizzonte archeologico germanico-orientale della seconda metà del V secolo in Italia si distingue abbastanza nettamente per la sua novità e diversità nel contesto romano tardoantico, tuttavia da un punto di vista etnico le due immigrazioni di Sciri e Ostrogoti, provenienti dalla zona del Danubio, non sono distinguibili l’una dall’altra, data anche la breve distanza cronologica che le separa. La parte più consistente di questo materiale archeologico, risalente soprattutto alla prima metà del VI secolo, è da considerarsi sicuramente ostrogota. Tutti gli indicatori decisivi che caratterizzano le sepolture germanico-orientali del V secolo nell’Europa sud-orientale si ritrovano nelle tombe degli Ostrogoti in Italia. Questi sono inumati in tombe singole isolate o in piccoli gruppi (“tombe famigliari”), tutte riconducibili a esponenti del ceto elevato. Non sono note necropoli del populus, che evidentemente trovava sepoltura al di fuori delle suddette aree cimiteriali senza corredi di accompagno.
Anche in Italia si conserva la diversità nelle pratiche funerarie tra individui di sesso maschile e quelli di sesso femminile. Le sepolture degli uomini sono prive di armi e vi si riscontra, sebbene non sempre, la presenza di una fibbia appartenente a una stretta cintura; le donne erano inumate con i costumi indossati in vita e ingioiellate. Questo modo di seppellire, strettamente connesso a una particolare concezione escatologica, è l’elemento più caratteristico della cultura gotica e, al contempo, rappresenta quel che maggiormente distingue i Goti da tutte le altre tribù germaniche. Come la donna germanico-orientale del V secolo sul basso Danubio, anche quella ostrogota d’Italia portava un costume decorato da una grande coppia di fibule ad arco sulle spalle (probabilmente per fermare il mantello alla veste) e una cintura portata a vista con una grande fibbia con placca lunga e larga. Il costume femminile con i suddetti accessori è attestato esclusivamente, nel V-VI secolo, nelle aree abitate da tribù gotiche, anche in Spagna e in Crimea, e rappresentava, per chi lo indossava, un elemento di distinzione etnica in ambiente straniero, sia nel milieu tardoromano italico e iberico, sia nei territori abitati da altre tribù germaniche, in cui singole donne ostrogote potevano trovarsi per matrimoni esogamici o altre circostanze. All’ambiente gotico del V-VI secolo appartiene anche il motivo dell’aquila, sia a figura intera, come nelle fibule a forma di aquile, sia come rappresentazioni pars pro toto su fibule e fibbie di cinture. Questo motivo zoomorfo, l’unico usato dai Goti e anch’esso utile a distinguerli dalle altre tribù germaniche, fu probabilmente mutuato già nel V secolo sotto il dominio unno, dall’ambiente dei cavalieri nomadi.
Come in tutti gli altri potentati statali germanici sorti sul territorio un tempo appartenuto all’Impero romano, anche in Italia la minoranza germanica non riuscì a conservare una sua specificità rispetto alla cultura romana tardoantica. La romanizzazione degli Ostrogoti trova la sua espressione più chiara nelle pratiche funerarie, più precisamente nell’abbandono delle vecchie usanze pagane, a vantaggio del modo cristiano di sepoltura che, secondo il modello proprio della popolazione romana indigena, non prevedeva la deposizione di corredi. Questa tendenza venne consolidata da una disposizione di Teodorico (Lettera di Duda; Cassiod., Var., IV, 34) e ci è testimoniata da una serie di tombe prive di corredi, segnate da pietre tombali con nomi personali ostrogoti, per lo più di membri della nobiltà delle grandi città. Non sono noti insediamenti attribuibili agli Ostrogoti, ma la distribuzione delle loro sepolture mostra che essi occupavano ampi territori dell’Appennino e della Sicilia e comunque consente una valutazione della loro storia insediativa. Considerando anche le fonti scritte, risulta che la concentrazione di insediamenti gotici nelle province costiere dell’Adriatico centrale, nell’Emilia Romagna e a nord del Po era condizionata da motivi strategici, in primo luogo la difesa da una possibile minaccia da parte di Bisanzio, che divenne realtà nella guerra che la contrappose agli Ostrogoti (535-553), determinando la fine del loro regno.
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