L'Europa tardoantica e medievale. I popoli fuori dei confini dell'impero. Gli Unni
Nonostante abbia lasciato un’impronta duratura nella storiografia e nell’immaginario occidentali, il potentato unno ebbe breve durata, meno di un secolo.
Gli Unni – ethnos (o forse élite guerriera) di origine mista, con una probabile dominante paleoasiatica o altaica – attraversano il Volga intorno al 375 e cominciano la loro avanzata verso occidente. Assoggettano gli Alani, nel Caucaso settentrionale, e gli Ostrogoti, a ovest del Dnepr, impadronendosi così del territorio tra l’Ural e i Carpazi, e occupano la Pannonia espandendo in breve tempo i loro domini sulla riva destra del Danubio. La carriera di Attila, iniziata nel 434, dura un ventennio; nel 448 annette al suo potentato un’ampia fetta dei Balcani, a sud del Danubio; dirige poi le sue mire verso la Gallia, da cui viene respinto nel 451 da Romani e Visigoti. L’anno successivo invade l’Italia, conquistando Milano e Pavia, ma desiste dal marciare su Roma accettando il pagamento di un tributo e la mano di Onoria, fanciulla di stirpe imperiale. All’indomani della sua morte, nel 453, ha inizio la rapida disgregazione del suo regno.
L’archeologia degli Unni è materia sfuggente. I processi di integrazione e reciproca assimilazione culturale tra le genti che vennero a trovarsi sotto il loro dominio attenua la specificità di diverse classi di reperti, rendendo spesso azzardata l’attribuzione dei singoli rinvenimenti archeologici agli Unni piuttosto che a un’altra delle differenti etnie da essi sottomesse. Date queste premesse, valide, in realtà, per gran parte delle culture dell’Eurasia altomedievale, la questione unna è ulteriormente complicata dal dibattito, mai sopito, sulla loro presunta connessione con i Xiongnu, popolazione prevalentemente nomade che alla fine del III sec. a.C. si pose a capo di una potente ed eterogenea confederazione tribale al di là dei confini nord-occidentali della Cina. Diversi studiosi sono difatti dell’opinione (che altri tuttavia contestano, con buoni argomenti) che la comparsa degli Unni nelle steppe a nord del Caspio nel terzo quarto del IV sec. d.C. si spieghi con una migrazione verso occidente degli artefici del potentato asiatico, già disgregatosi, però, nel I sec. d.C. Questa tesi, sviluppatasi inizialmente in ambito storiografico e filologico, ha trovato fautori anche nell’archeologia (soprattutto ungherese e russa), secondo i quali l’ipotesi di un movimento migratorio sarebbe suffragata dalla diffusione di determinati manufatti (quali un certo tipo di punte di freccia e, soprattutto, i cd. “calderoni unni”) dalle regioni dominate dai Xiongnu alla Pannonia d’epoca unna.
In realtà, il problema dell’ubiquità del termine Unni/Xiongnu è di ben più ampia portata, sia geografica sia cronologica, se teniamo conto che la sua più antica attestazione è rappresentata dall’iranico hyaona (da attribuire a epoca achemenide, VI-IV sec. a.C.) e che esso ricompare – nella forma hūņā – nella letteratura indiana d’epoca Gupta (IV-VI sec. d.C.). L’ampiezza della documentazione difficilmente può trovare spiegazione in perpetui spostamenti di un medesimo popolo da un capo all’altro del continente eurasiatico nel corso di circa un millennio. Sebbene di per sé non comprovi l’equazione tra Unni e Xiongnu, la presenza di una marcata componente eurasiatica nelle testimonianze archeologiche riferite agli Unni europei non può essere negata. Retaggio delle tradizioni dei nomadi asiatici sono le pratiche funerarie, in particolare le tombe dei guerrieri, accompagnati da un corredo comprendente le armi tipiche dei cavalieri nomadi (spada, arco composito asimmetrico, punte di freccia a tre alette, lance, pugnali), finiture di cavalli, vasellame e resti di offerte di cibo, o le aree destinate a rituali commemorativi (ad es., Pannonhalma, in Ungheria) che implicavano l’offerta di oggetti di rango (armi, ornamenti, bardature equestri), ai quali, in alcuni casi, veniva dato fuoco.
Innegabile è, inoltre, la parentela tipologica dei calderoni di bronzo rinvenuti in diverse località dell’Europa orientale del periodo unno con gli esemplari asiatici (Érdy 1994; Zaseckaja - Bokovenko 1994). Di dimensioni piuttosto variabili (dai 10 ai 90 cm ca.), questi recipienti erano realizzati tramite fusione in una matrice di terracotta solitamente in quattro o due pezzi successivamente assemblati, più di rado in un pezzo unico. Il corpo, di forma emisferica, ovoidale o cilindrica, poggia su un piede troncoconico ed è dotato di due manici eretti di forma per lo più squadrata e decorati da elementi fungiformi lungo il margine superiore; costolature, arricchite da altri motivi decorativi in rilievo, dissimulavano le linee di giuntura tra le parti componenti il corpo del contenitore. Al di là di una generica connessione con la sfera rituale, o più probabilmente funeraria, non è ancora accertato quale fosse il tipo di utilizzo cui questi manufatti (come, del resto, i loro prototipi asiatici) erano destinati. Tra gli elementi che, nell’ambito piuttosto omogeneo dell’oreficeria in “stile policromo”, sembrano rendere riconoscibile una produzione e un gusto specificamente unni, si annoverano il frequente utilizzo dell’almandino (una varietà di granato) nelle decorazioni a incrostazione e la combinazione di guarnizioni di lamina d’oro (in cui prevale il motivo a squame) e cloisonné con la granulazione. Tipicamente unne sono, inoltre, le fibule “a cicala”, riccamente decorate e spesso di notevoli dimensioni, reperti frequenti nei corredi funerari femminili; si segnalano infine pregevoli esemplari di diademi con anima di bronzo ricoperta da lamine d’oro guarnite di almandini o altre pietre, reperti rinvenuti tra il bacino del Volga e la Slesia.
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