L'Europa tardoantica e medievale. I territori entro i confini dell'Impero. L'Italia: Verona
di Cristina La Rocca
A differenza di molte città di fondazione romana dell’Italia settentrionale, V. acquisì nei secoli compresi tra il V e il X un rilievo che prima mai aveva conosciuto e che non conobbe più in seguito: da piccolo municipium, il cui status era perfettamente equiparabile a quello delle vicine città romane, V. si trasformò, a partire dalla Tarda Antichità, prima in uno dei centri privilegiati dell’attività edilizia pubblica (manifestatasi anzitutto con interventi di ripristino alle fortificazioni urbane nel corso del III sec.) e successivamente, a partire dall’età teodoriciana fino al X secolo, in uno dei centri di residenza regia e pubblica in Italia settentrionale. Non si tratta dunque di pura e semplice continuità con il passato classico, bensì dell’acquisizione di alcune caratteristiche di preminenza del tutto nuove, che la città espresse, per ragioni di volta in volta legate al variare del contesto politico, fino alla morte di Berengario I. Nonostante questo ruolo sia fortemente enfatizzato dalle fonti scritte, di varia natura, manca ancora una visione d’insieme chiara e soprattutto archeologicamente dimostrabile dell’impianto della città in questo arco di secoli: solo di recente le indagini archeologiche urbane hanno proceduto a documentare anche i livelli postclassici e perciò i dati che qui si presentano sono suscettibili di revisioni e modifiche, derivanti dall’ampliamento delle zone indagate. La città tardoantica e altomedievale pare aver conservato, sia dal punto di vista della sua estensione, sia da quello della sua organizzazione viaria, l’impianto di età classica. Circondata da una cinta muraria, ricostruita o (secondo un’ipotesi più recente) semplicemente restaurata sotto l’imperatore Gallieno (265 d.C.), la città era dotata di quattro accessi principali, ognuno dei quali ricalca, più o meno puntualmente, una porta di età classica. Sulla riva destra dell’Adige la documentazione scritta del IX secolo menziona infatti la Porta Sancti Zenonis (Porta Borsari) e la Porta Sancti Firmi (in corrispondenza della Porta Leoni di età tardorepubblicana); sulla riva sinistra la Porta Organi e la Porta Sancti Stefani, che delimitavano l’area fiscale del castrum, posto sulla riva sinistra del fiume. Non vi sono allo stato attuale prove circa la cronologia degli interventi di fortificazione di quest’ultimo tratto.
La caratteristica di V. in età altomedievale è senza dubbio la sua configurazione di sede regia, la quale è la diretta testimonianza non solo dell’elevato status sociale dell’aristocrazia cittadina, ma anche della presenza, all’interno della città stessa, di edifici costruiti con un certo impegno che simboleggiassero l’orgoglio civico delle sue élites. La funzione di sede regia è fatta risalire dalle fonti scritte all’età di Teodorico: l’Anonimo Valesiano, che scrisse nel corso del VI secolo, presenta V. come la città che, insieme con Pavia e Ravenna, fu oggetto dell’attenzione edilizia del sovrano, che vi costruì le terme e un palatium. Di recente si è proposto che V. fosse, per il re goto, una delle capitali del suo regno itinerante, sul modello dei re merovingi. Il palatium, un edificio posto nelle immediate vicinanze del teatro romano, e dunque probabilmente anch’esso un edificio pubblico di età tardoantica, fu successivamente scelto dal primo re dei Longobardi, Alboino, come una delle proprie residenze: come è noto, proprio nel palatium di V. Paolo Diacono ambientò l’uccisione del re Alboino da parte della moglie Rosmunda, affermando poi che il re era stato sepolto sotto la scalinata dell’edificio e che lì era stato ritrovato, molto tempo dopo. Anche se la documentazione scritta veronese non menziona più, dopo il VI secolo, il palatium come luogo da cui furono emanati documenti pubblici, la sua presenza, nel quartiere cittadino posto sulla riva sinistra dell’Adige, viene continuamente menzionata come edificio confinante nelle carte di transazioni fondiarie nell’area, fino a dare il nome a una famiglia cittadina che vi risiedeva nel XII secolo. Il palatium non era però l’unico edificio pubblico di questa zona che fu riutilizzato nell’Alto Medioevo. L’area, denominata complessivamente castrum nelle fonti, conteneva infatti anche il teatro, che rimase di proprietà pubblica fino al 913, quando il re Berengario lo spartì in lotti tra alcuni suoi fedeli cittadini; un granaio pubblico – chiamato horreum antiquum – e in essa si trovava la curia ducis, cioè i beni fiscali del duca longobardo della città.
Se la presenza dei beni fiscali e le residenze del potere pubblico sono ubicate in prevalenza nella parte sinistra del fiume, altre zone fiscali, sulla cui ampiezza non è però possibile fornire alcuna precisazione, si trovavano anche sulla parte destra del fiume, laddove si addensava il nucleo della città romana, il cui impianto stradale fu conservato, nella sua struttura, per tutto l’Alto Medioevo. Presso l’odierno complesso episcopale si trovava infatti la curtis alta, curtis regia, ove il conte Anselmo fondò nel 908 un proprio xenodochio, e beni regi sono attestati presso le mura della città, tra il corso dell’Adige e il corso Portoni Borsari. Anche la zona posta presso il foro romano (la cui denominazione è mantenuta nell’Alto Medioevo, pur senza conservare la sua caratteristica funzionale di centro economico principale della città) conserva la presenza di edifici pubblici, tra cui la moneta, cioè la zecca regia.
Gli scavi archeologici condotti all’interno della città hanno inoltre fornito qualche dato sulla nuova strutturazione degli edifici privati. Nei casi indagati, ad esempio presso l’odierna via Dante, gli edifici privati altomedievali – costruiti con pietre di reimpiego anche di notevoli dimensioni – si dispongono lungo i lati delle strade romane, occupandone i marciapiedi e lasciando libera la parte centrale degli isolati stessi. Probabilmente è a questa parte centrale che si riferiscono le fonti scritte relative alle transazioni fondiarie all’interno della città, chiamandola area sua: in essa trovavano posto sia le fosse per i rifiuti organici, sia piccole aree coltivate, come orti e giardini, come la laubia (cioè la pergola) sotto la quale Berengario I emanò un proprio placito nel 910. Anche se il tracciato viario, come si è detto, fu mantenuto nel suo impianto di base, non altrettanto fu salvaguardata l’efficienza della sua pavimentazione lastricata che si rinviene, ben conservata, in molti punti della città. Al suo posto si sedimentò una serie di battuti e di acciottolati, il cui livello fu costantemente rialzato. Per ciò che riguarda le tecniche edilizie, si è finora constatata la compresenza di edifici costruiti interamente in legno e di edifici costruiti con una tecnica mista di legno e pietra. La relativa pochezza delle realizzazioni dell’edilizia privata non deve però ingannare sul carattere eminentemente urbano della società veronese. La documentazione privata presenta infatti tra i sottoscrittori delle carte rogate all’interno della città, dei personaggi articolati socialmente e soprattutto membri dell’aristocrazia, che appare collegata ai due principali monasteri della città, quello di S. Maria in Organo (fondato sul finire dell’età longobarda) e quello di S. Zeno, fondato nella prima età carolingia. Fino alla fine del IX secolo, tale aristocrazia appare concentrare le proprie manifestazioni di munificenza all’interno della città, soprattutto con la fondazione di monasteri femminili privati, quale quello dedicato a S. Maria (forse l’attuale S. Maria Antica) fondato dalle due sorelle Autconda e Natalia nel 745.
L’istituzione ecclesiastica più importante all’interno della città non fu tuttavia un ente monastico, bensì la chiesa vescovile ubicata, sin dal IV secolo, sulla riva destra del fiume nel luogo ove sorge tuttora la cattedrale romanica (inizi XII sec.). La chiesa vescovile, le cui fasi architettoniche sono state oggetto recente di studi, presenta un notevole ampliamento planimetrico nel corso del V secolo e costituì, almeno a partire dal VII secolo, il luogo di sepoltura di personaggi eminenti: ne sono testimonianza sia la tomba con anello-sigillo d’oro, ritrovata all’interno della chiesa stessa, sia il gruppo delle più tarde (IX sec.) sepolture internamente intonacate, dipinte e recanti il testo del Credo. La chiesa vescovile fu anche il punto importante di attività culturali, in stretto collegamento al ruolo e alla dignità regia della città. Da questo ambito proviene probabilmente infatti il cosiddetto “ritmo della città di Verona” (inizi IX sec.), il quale presenta la città come la testimonianza materiale del suo antico prestigio classico, elencando tra i suoi monumenti l’anfiteatro, le mura e i templi antichi e giustapponendo a essi le manifestazioni materiali della cristianizzazione, come la corona di chiese che circonda e protegge le mura stesse. Nel ritmo ancora si evidenzia la presenza legittimante e illustre del re Pipino – il figlio di Carlo Magno – come personaggio eminente attorno al quale la specificità della società urbana si articola.
Nonostante le fonti per l’ultima età longobarda e la prima età carolingia siano veramente esigue – il Liber Pontificalis afferma però che V. fu la città in cui Adelchi e la moglie di Carlomanno, Gerberga, cercarono un ultimo rifugio contro i Franchi nel 774 – e, pur nella difficoltà di comprendere appieno la ricaduta effettiva del cambiamento dalla dominazione longobarda a quella carolingia, è indubbio che quest’ultima inserì V. in un entourage più vasto di rapporti internazionali, a cominciare dal primo vescovo di età carolingia nominato nelle fonti, l’alamanno Ratoldo. È però altrettanto vero che queste immissioni non sembrano, sulle prime, pregiudicare l’orientamento tradizionale dell’aristocrazia urbana, la quale continuò a individuare nel monastero di S. Maria in Organo il punto privilegiato della propria munificenza “pro anima”.
P. Hudson, La dinamica dell’insediamento urbano nell’area del cortile del tribunale di Verona, in AMediev, 12 (1985), pp. 281-302.
C. La Rocca, Dark Ages a Verona. Edilizia privata, aree aperte e strutture pubbliche in una città dell’Italia settentrionale, ibid., 13 (1986), pp. 31-78.
S. Lusuardi Siena et al., Le tracce materiali del cristianesimo dal tardoantico al Mille, in A. Castagnetti - G.M. Varanini, Il Veneto nel Medioevo. Dalla “Venetia” alla Marca Trevigiana, Verona 1989, pp. 103-46.
(Red.)
L’Iconografia rateriana, disegno intitolato Civitas Veronensis depicta, commissionato dal vescovo Raterio (m. 974), oggi noto da una copia realizzata da Scipione Maffei nel 1739, restituisce l’immagine della città nel X secolo, in un momento in cui la ripresa dei traffici mercantili dette avvio a un periodo di sviluppo che proseguì nei due secoli successivi. A S. Zeno Maggiore venne iniziata nel 1045, per opera di Alberico, la costruzione della torre campanaria e sempre all’XI secolo risalgono le absidi laterali della chiesa monastica, che venne quasi completamente ricostruita a partire dal 1138. Pure all’XI secolo è ascrivibile la costruzione della chiesa di S. Fermo Maggiore, originariamente dedicata ai ss. Fermo e Rustico, poi radicalmente ristrutturata nel XIII secolo dai francescani. Alcuni studiosi, sulla base dell’analisi comparativa delle strutture architettoniche, articolate su due livelli, ritengono che la chiesa sia stata realizzata dalle stesse maestranze che operarono alla costruzione della chiesa di S. Lorenzo. Alla prima metà del XII secolo risale l’inizio delle ricostruzioni del duomo e della chiesa del monastero di S. Zeno; nell’area della cattedrale furono riedificati il battistero di S. Giovanni in Fonte (1123) e la chiesa di S. Elena (consacrata nel 1140). Lavori di ricostruzione alla stessa cattedrale sono documentati a partire dal 1139. Nel 1193-1196 venne eretto il Palazzo della Ragione, mentre nel corso del XIII secolo la città vide la costruzione di numerose case-torri, che si alternavano ad abitazioni a un solo solaio, in uno sviluppo urbanistico che privilegiava l’impianto a corte. Un nuovo momento di rinnovamento edilizio di V. si ebbe a partire dalla fine del secolo, con la signoria scaligera iniziata con Alberto I Della Scala (1277-1301). Nelle tipologie abitative si diffuse il motivo della loggia murata o il ballatoio di legno; vennero tra l’altro eretti il castello e le cosiddette “regaste” (argini per il controllo delle piene dell’Adige). Durante la signoria di Cangrande I (1308-1329) venne costruita la nuova cinta muraria (1324) e la città viene descritta dalle fonti come oggetto di un’attività edilizia molto intensa e prolifica.
G. Valenzano, s.v. Verona, in EAM, XI, 2000, pp. 561-78 (con bibl. prec.).