L'Europa tardoantica e medievale. Il cristianesimo. La vita cenobitica nelle regioni occidentali: Il convento
Il termine convento (dal lat. conventus “riunione”, “assemblea”) indica in modo specifico l’abitazione degli Ordini mendicanti; con tale significato si afferma nel corso del Duecento, parallelamente allo svilupparsi delle comunità francescane e domenicane, alle quali si aggiungono, fra XIII e XIV secolo, agostiniani, carmelitani, servi di Maria e altri raggruppamenti di minore rilievo.
L’organizzazione spaziale degli edifici che costituiscono il convento, come oggi lo conosciamo, segue il modello monastico: disposizione dei luoghi di vita comuni – chiesa, dormitorio, refettorio, sala capitolare, officine – intorno a un cortile interno porticato, il chiostro. È però improbabile che in origine i frati abbiano usufruito di propri complessi già così strutturati e appositamente costruiti: gli ideali pauperistici, controcorrente rispetto alle manifestazioni architettoniche della Chiesa ufficiale, invitavano a un’esistenza precaria e negavano il concetto di proprietà. Sono ancora insufficienti le indagini archeologiche che permettono di fare luce sugli impianti primitivi. Per il movimento francescano, elementi interessanti sono forniti dalle emergenze individuate in S. Maria degli Angeli presso Assisi, che vengono a confermare quanto attestato dalle fonti documentarie più antiche e affidabili: sia la Porziuncola che la Cappella del Transito, eretta sul luogo ove si ritiene sia morto Francesco, conservano testimonianze materiali di originarie semplici strutture identificabili con la chiesetta diruta e la vicina povera dimora (probabilmente una grangia) concesse in uso a Francesco e ai suoi primi compagni dai benedettini del Subasio. Anche quanto viene attribuito alla “casa del Comune” edificata e messa a disposizione dei frati dagli Assisiati, se da una parte non presenta, diversamente dalle due precedenti costruzioni, alcuna tangibile manifestazione di un culto nel corso dei secoli (oratori, tombe privilegiate, oboli monetali), a riprova della sua natura pubblica, dall’altra riporta a una tipologia di edilizia laica, a dimostrazione dell’assenza, per le origini francescane, di specifici modelli architettonici legati al mondo monastico.
Una conferma viene dalle indagini, non ancora completate, relative all’altro fulcro del primitivo movimento minoritico assisiate, S. Damiano: nella chiesa, come negli ambienti del convento attuale, sussistono indizi di originari fabbricati restaurati e adattati dai primi francescani, probabilmente ancora secondo schemi autonomi rispetto all’edilizia cenobitica. Questa attività architettonica volta all’occupazione e all’utilizzo di strutture preesistenti, in genere acquisite tramite concessioni e donazioni e spesso situate in aree frequentate già in epoca romana, è una caratteristica comune anche dei conventi propriamente detti, dalle fondazioni più antiche alle più tarde: a Roma, l’area della chiesa di S. Sisto Vecchio, con attestazioni dall’età paleocristiana all’Alto Medioevo, dopo un periodo di abbandono (XII sec.), nel 1210 circa subisce una radicale trasformazione per la costruzione del convento assegnato ai domenicani; a Napoli, il complesso francescano di S. Lorenzo Maggiore viene realizzato a partire dalla fine del XIII secolo obliterando le precedenti fasi altomedievale, paleocristiana e romana; ancora a Roma, indagini archeologiche a S. Sabina hanno permesso di individuare, oltre a sopravvivenze dell’edificio paleocristiano e della fortezza altomedievale, ai quali segue nel 1222 l’impianto domenicano, un imponente sistema idrico di epoca romana, probabilmente riutilizzato nel Medioevo. Significativi anche i casi del quattrocentesco convento carmelitano di Linlithgow in Scozia e di quello di S. Silvestro a Genova (XV sec.), domenicano, che ingloba strutture del preesistente palazzo vescovile romanico, insediatosi nel castrum altomedievale, a sua volta sorto sull’oppidum preromano.
In seguito al successo travolgente presso la società del tempo, diviene necessario per gli Ordini mendicanti disporre di strutture sufficienti a ospitare le comunità in continuo aumento e di ambienti adatti a fronteggiare le sempre crescenti richieste spirituali e materiali della popolazione. Indicative, in proposito, le vicende edilizie del S. Domenico a Bologna, ricostruite attraverso un’indagine di archeologia globale: entrati in possesso della chiesa di S. Nicolò delle Vigne e di terreni circostanti, aree abitate già in età preistorica e romana, i domenicani danno inizio, nella prima metà del Duecento, alla costruzione di una nuova chiesa e di un primitivo convento che, di pari passo coll’espandersi del patrimonio della comunità, viene progressivamente arricchito di nuovi locali; importanti interventi si datano fra XIV e XV secolo e una radicale ristrutturazione viene effettuata agli inizi del Settecento. Così, i grandi complessi non nascono, in genere, secondo progetti unitari, ma sono il risultato del successivo giustapporsi o sovrapporsi nel tempo di fabbriche eterogenee, per necessità prevalentemente pratiche: si veda il caso del Grand Couvent des Cordeliers fondato a Parigi nella prima metà del XIII secolo, oggetto di uno studio che ne ricostruisce la storia architettonica affiancando ai dati emersi negli scavi ottocenteschi un’ampia ricerca documentaria.
Testimonianze di interventi nel corso dei secoli su un primo impianto duecentesco sono state individuate anche nel complesso francescano di Chambéry (Francia) e in quelli domenicani di Lubecca (Germania) e Beverley (Gran Bretagna). Per quanto riguarda le chiese conventuali, le indagini archeologiche hanno permesso di accertare che frequenti sono i casi in cui modeste fabbriche originarie, dallo stile semplice ed essenziale, vengono ampliate e trasformate nel tempo (S. Francesco a Cuneo) o progetti unitari sono portati a compimento solo dopo varie campagne di costruzione. Gli edifici seguono le tipologie della chiesa-fienile o della chiesa a sala, secondo un’ampia declinazione dettata dai diversi contesti locali; le coperture sono lignee (nel convento domenicano di Gloucester sono state recuperate le capriate duecentesche) o miste, sottolineando con l’impiego delle volte in muratura la sacralità del presbiterio; negli edifici due-trecenteschi, la distinzione fra coro e navata viene evidenziata da una sorta di recinzione, demolita quasi ovunque nel XVI-XVII secolo per le innovazioni liturgiche apportate dal Concilio di Trento: resti se ne conservano ancora nel S. Domenico ad Alba. Fra le categorie di materiali rinvenuti nel corso degli scavi, un posto preminente è occupato dalla ceramica; interessanti, per l’arco cronologico coperto e le tipologie rappresentate, i reperti di S. Maria in Castello a Genova e quelli relativi ai contesti già citati di S. Domenico a Bologna, S. Sisto Vecchio a Roma e S. Lorenzo Maggiore a Napoli.
Le fondazioni degli Ordini mendicanti si diffusero rapidamente e capillarmente in Occidente e in Oriente, rivolgendosi soprattutto all’ambiente cittadino, terreno ideale per l’apostolato e fonte sicura di sostentamento. Rispetto al tessuto urbano, la dislocazione degli insediamenti conventuali risulta non casuale, ma rispondente a precise strategie, in stretta relazione con le singole situazioni locali: nel centro storico, se questo è ancora fulcro della vita economica (S. Domenico a Bologna); nella periferia, in connessione con le aree di più recente immigrazione o di espansione (S. Sabina e S. Sisto a Roma); presso porte e mura, in rapporto con le principali vie di collegamento fra nucleo urbano e contado (chiesa madre dei domenicani a Tolosa). I conventi divengono veri poli di attrazione delle attività economiche e politiche cittadine e intorno a essi si determinano precise aree di influenza. Se negli abitati minori si ha generalmente una fondazione unica, quasi sempre francescana, in posizione autonoma e privilegiata (S. Francesco a Bolsena), quando coesistono due differenti complessi, essi si situano di solito in modo bilanciato rispetto ai luoghi del potere laico o ecclesiastico (S. Francesco e S. Agostino a Volterra); nel caso in cui siano compresenti più conventi principali, essi tendono a disporsi secondo uno schema geometrico, rispettando determinate reciproche distanze. Un interessante esempio di tale coordinamento nell’impianto di ordini diversi è dato dall’applicazione di un “modello triangolare” in città, italiane ed europee (Perugia, Siena, Rieti, Todi, Pistoia, Colmar in Alsazia), dove coesistono francescani, domenicani e agostiniani, le cui sedi occupano i vertici di un triangolo avente come baricentro luoghi di particolare significato pubblico (comune, cattedrale, ecc.).
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