L'Europa tardoantica e medievale. Il cristianesimo nelle regioni orientali. Il monastero
Con il termine “monastero” viene indicato, in generale, un complesso di strutture all’interno del quale trova sede una comunità di monaci, di norma definito da cinte murarie o da altro tipo di limite fisico e comprendente luoghi destinati al culto, spazi abitativi, aree destinate ai servizi e alle attività produttive. In relazione al tipo di ordinamento liturgico e amministrativo adottato o a un legame privilegiato con memorie o santuari particolarmente venerati, nel monastero possono inoltre trovarsi strutture specifiche (foresterie, ospedali) destinate all’accoglienza e all’assistenza di membri esterni alla comunità. In questo contributo verranno presi in esame i monasteri sorti in età medievale in regioni soggette all’impero bizantino, o comunque a esso culturalmente afferenti.
La stessa radice etimologica del termine “monastero”, dal greco μονάζω (“vivere solo”), con l’indicare l’origine e l’intima propensione per una intonazione ascetica dell’ideale monastico – laddove con il termine latino conventus ne viene rimarcato invece l’aspetto associativo e comunitario –, può servire a tracciare una prima linea di demarcazione tra il monachesimo greco-orientale e quello diffusosi nell’Occidente latino. Rispetto alla mossa articolazione del monachesimo occidentale, evolutosi nel corso dei secoli attraverso la fioritura di diversi ordini religiosi, tra loro distinguibili anche sotto il profilo funzionale e architettonico degli insediamenti, il grande movimento monastico delle regioni del Mediterraneo orientale e di quelle entro l’orbita politica e culturale dell’impero bizantino potrebbe apparire, a prima vista, una realtà religiosa e artistica sostanzialmente più omogenea, sorprendentemente non toccata da quelle profonde trasformazioni e cesure dettate dall’ampiezza stessa delle coordinate geografiche e storiche nell’ambito delle quali esso ebbe corso. Confermano questa chiave di lettura gli studi di carattere generale dedicati all’argomento, nei quali prende corpo l’immagine di un modello esemplare di monastero bizantino, le cui caratteristiche si adattano efficacemente a qualsiasi periodo storico, conservandosi in modo sostanzialmente fedele anche in epoca attuale, come dimostra l’ininterrotta tradizione di vita, di preghiera e di lavoro nei monasteri del monte Athos, in Grecia.
In realtà, anche se il monachesimo bizantino non conobbe una suddivisione in ordini religiosi, esso assunse, fin dalle prime origini, aspetti e manifestazioni quanto mai vari. Nell’ambito dell’Egitto, ritenuto la culla stessa del monachesimo, coesistevano difatti forme di ascetismo individuale, sull’esempio di s. Antonio Abate, accanto a complesse organizzazioni cenobitiche, quali quelle concepite da Pacomio nella Tebaide, suddivise in numerose comunità di monaci sottoposti a una disciplina e a uno stile di vita non lontani da quello militare. Una posizione intermedia tra le due forme era costituita dal sistema della lavra, nella quale i monaci, insediati in piccole strutture abitative e lavorative disseminate in un’area ben definita, conducevano una vita isolata per riunirsi in occasione delle funzioni religiose comunitarie. In alcune aree delle regioni orientali sovente si radicarono consuetudini locali in grado di influire sulla planimetria degli stessi edifici di culto.
Il monachesimo ebbe un inserimento assai precoce anche all’interno delle grandi metropoli, quali Alessandria d’Egitto e la stessa Costantinopoli, dove monaci provenienti dalle eparchie orientali fondarono monasteri già sul volgere del IV secolo, entro o nelle immediate vicinanze della città, integrandosi prontamente nella vita della capitale con un rapporto dinamico e spesso conflittuale con le autorità civili e religiose, pur mantenendo, per certi versi, costumi e usi propri delle regioni di appartenenza. Questo è quanto inducono a ritenere le fonti, che ricordano la presenza nella metropoli di monasteri nazionali (siriani, copti) e che, in alcuni casi, sembrano alludere a strutture particolari, come il monastero a tre piani, con camera sepolcrale in basso e chiese invernale ed estiva in alto, descritto in un passo della Vita sanctae Alatronae, molto vicino agli xenodochi di tradizione siriana, edifici tuttora attestati nel massiccio calcareo del Belus. La congerie di usi diversi e l’eccessiva autonomia giuridica e religiosa acquisita dai monasteri nei primi secoli della loro vita resero però necessario l’intervento legislativo di Giustiniano, il quale, in alcune Novellae (5, 1; 7, 12; 133, 5), riprendendo precedenti pronunciamenti sinodali, impose limiti e restrizioni nel regime di vita delle comunità e pretese da queste il pieno riconoscimento dell’autorità episcopale e patriarcale. In ragione di queste risoluzioni, sono rari gli interventi di Giustiniano a favore dei monasteri. La regolamentazione giustinianea non pose comunque un freno alla loro diffusione: senza peraltro scomparire dalle regioni conquistate dagli Arabi, il monachesimo bizantino acquisì particolare favore nelle regioni anatoliche e balcaniche, che costituirono, con alterne vicende, il nucleo dell’impero fino al termine della sua storia.
Il maggior prestigio e la più alta autorità morale dei monaci nei confronti del clero furono sanciti in maniera definitiva e netta dall’epilogo delle lotte iconoclaste, nel corso delle quali i primi si dimostrarono i più fermi oppositori della politica sostenuta dall’imperatore e dalla gerarchia ecclesiastica che al volere di questi si era piegata. A cavallo tra i secoli VIII e IX assunse particolare rilievo la Bitinia, regione dell’Anatolia posta a non grande distanza dalla capitale, dove influenti famiglie costantinopolitane contribuirono alla fondazione e allo sviluppo di numerosi monasteri. Molti monaci della Bitinia furono anche personaggi preminenti nella vita politica e religiosa di Costantinopoli: il più celebre fu Teodoro, già igumeno del monastero di Sakkudion, che nel 798 si stabilì a Costantinopoli nell’antico monastero di S. Giovanni di Studio. La riforma dell’organizzazione monastica segnò il netto prevalere delle formule cenobitiche, con le quali venivano abbandonate le forme esasperate di ascetismo ed erano esaltati invece il ruolo della disciplina interna e il lavoro materiale e intellettuale dei monaci. Tale riforma incontrò il favore generale e i suoi dettami vennero ripresi largamente negli statuti (typikà) di molti monasteri fondati a partire dal IX secolo. Dalle opere di Teodoro non è possibile trarre indicazioni precise circa l’organizzazione architettonica dei monasteri mediobizantini, anche se l’attenzione particolare posta sulle attività lavorative e la vita comunitaria dovettero portare a una maggiore elaborazione degli spazi abitativi e funzionali.
Purtroppo per molte importanti fondazioni del periodo i dati disponibili si limitano a citazioni, spesso laconiche, nelle fonti, o alla conservazione dei soli katholikà (chiese principali) di importanti complessi (a Costantinopoli il monastero fondato da Costantino Lips nel 907 e il Myrelaion eretto nel 920 circa; presso Salonicco quello di S. Andrea a Peristerai e a Orchomenos, in Beozia, quello della Dormizione della Vergine, entrambi del IX sec.). Qualcosa di più è possibile sapere sui monasteri della Bulgaria, grazie ad alcuni scavi condotti a Pliska e a Preslav che hanno fatto luce sulle più antiche fondazioni sorte tra i secoli IX e X sotto il diretto patrocinio dei regnanti locali e per l’opera di apostolato dei monaci bizantini, primi fra tutti Cirillo e Metodio. Notevole in questi monasteri è la presenza sia di spaziosi edifici rettangolari che, in base ai materiali rinvenuti, dovevano ospitare scriptoria e scuole per la diffusione di testi sacri in paleoslavo (monastero presso la grande basilica di Pliska; monastero di Manastira a nord del palazzo di Preslav), sia di unità residenziali monumentali improntate al cerimoniale di corte bizantino (palazzo dell’arcivescovo direttamente collegato alla basilica di Pliska), sia infine di officine e laboratori, come nei monasteri di Patlejna e Tuzlalúka, presso Preslav, e in quello di Manastira.
A partire dal X secolo si intensificò l’iniziativa di committenti privati che, unendo aspirazioni spirituali e interessi materiali, erigevano a proprie spese nuovi monasteri o si prendevano cura di complessi già esistenti, restaurandone le strutture fatiscenti e dotandoli di proprietà fondiarie e altre forme di rendita. Questo sistema (charistikè) nacque per assicurare sostegno economico a fondazioni religiose cui l’amministrazione ecclesiastica non era in grado di provvedere, ma spesso esponeva i monasteri all’arbitrio dei proprietari laici, i quali erano liberi di sfruttare a proprio piacimento le risorse dell’immobile e influire liberamente sull’organizzazione interna della comunità. Contro simili abusi si levarono vibrate proteste da parte di rappresentanti delle comunità monastiche o della gerarchia ecclesiastica, così come contro il dilagare delle fondazioni di monasteri privati, che sottraevano le proprietà fondiarie al controllo della pubblica amministrazione, intervennero alcuni imperatori (Niceforo II Foca, 903-969; Manuele I Comneno, 1143-1180).
Vi è incertezza per quanto riguarda l’interpretazione di alcuni insediamenti rupestri, come Ayazın in Frigia o il santuario di Midye in Tracia, interessante complesso di discussa datazione (secc. VI-IX), comprendente una chiesa, un haghiasma (fonte consacrata) e una grande camera mortuaria, ma apparentemente privo di ambienti residenziali. È comunque a Costantinopoli, nelle zone limitrofe e nella Penisola Balcanica che in maggior misura sono attestate fondazioni di epoca mediobizantina. Nella capitale numerosi monasteri vennero eretti all’epoca dei Comneni (1081-1185), direttamente da membri della famiglia regnante oppure da committenti privati sostenuti dagli imperatori. Anche per monumenti di straordinaria importanza storica e religiosa – come il monastero della Theotokos Euerghetes, fondato dal monaco Paolo nel 1049 e ampliato in seguito dall’igumeno Timoteo – accade che si conservino copiose notizie dalle fonti ma nessuna documentazione archeologica e nessun indizio dell’esatta ubicazione topografica. Per altri monasteri restano i soli edifici di culto trasformati in moschee dagli Ottomani, mentre il tessuto insediativo circostante è scomparso, come il monastero di Cristo Pantepoptes (Eski Imaret Camii), eretto alla fine del IX secolo. In altri casi rimane la testimonianza, diretta o mediata dalle fonti, di un eclatante fulgore artistico esibito dalla decorazione degli edifici di culto e dalla conservazione di lussuosi codici miniati prodotti negli scriptoria monasteriali, tra i quali sono celebri soprattutto quelli di S. Giovanni di Studio e del monastero delle Blacherne. Estremamente preziosi si rivelano quindi i typikà che, in molti casi, indicano per lo meno la presenza, se non la disposizione, di strutture e ambienti pertinenti al complesso: di particolare interesse è il typikòn del monastero del Pantokrator (Zeyrek Kilise Camii), fondato da Irene Comnena e completato dal marito Giovanni II (1118-1143), di cui restano oggi le 3 chiese affiancate, erette su sostruzioni inglobanti cisterne. Secondo lo statuto di fondazione, su una vasta area monasteriale dovevano trovarsi alloggi per circa 80 monaci, uno xenodochio, un ospedale, una scuola di medicina e ben 2 impianti termali.
In Grecia, il centro monastico in assoluto più importante fu il monte Athos, nella Penisola Calcidica, dove l’arrivo di s. Atanasio (ca. 925-1001) infuse nuovo slancio a un monachesimo di tipo eremitico già attestato sulle pendici del monte. Atanasio, nonostante l’opposizione dei monaci più tradizionalisti, orientò l’organizzazione delle comunità atonite verso modelli di ordinamento liturgico e amministrativo più moderni e questo indirizzo influì anche sull’impianto architettonico degli insediamenti. Lo sfruttamento intensivo delle risorse agricole delle proprietà fondiarie appartenenti ai monasteri richiese infatti la creazione di determinate infrastrutture, come canalizzazioni, acquedotti, installazioni di tipo industriale, note solo dalle fonti. La riflessione sul rituale liturgico di ascendenza studita portò poi all’elaborazione di particolari varianti nello schema dell’edificio di culto: secondo alcuni studi, la pianta del katholikòn della Grande Lavra, partendo dal suo nucleo originario a semplice croce inscritta (963), si arricchì agli inizi dell’XI secolo delle due absidi laterali per i cori dei monaci (chorostasia), riprese quasi contemporaneamente nel katholikòn di Iviron e, poco dopo, in quello di Vatopedi. Con l’aggiunta delle cappelle funerarie laterali (parekklesia) e l’ampliamento del nartece (litè), la Grande Lavra si impose come il modello caratteristico del katholikòn atonita adottato in numerosi monasteri di età tardobizantina (Chiliandari) e postbizantina entro e al di fuori della montagna sacra (chiesa del profeta Elia a Salonicco). Anche l’impianto complessivo del monastero cominciò ad assumere un aspetto più omogeneo: un possente muro di cinta, con torri e bastioni, delimitava il perimetro del monastero, rettangolare o di altra forma a seconda della conformazione del terreno; addossati alla cortina interna del muro di cinta si disponevano i dormitori dei monaci e gli ambienti di servizio, mentre al centro della corte, isolato dal resto degli edifici, sorgeva il katholikòn, che quasi sempre era correlato al refettorio (trapeza).
In molti casi, la fisionomia di questi insediamenti è stata profondamente alterata da interventi di età moderna, che però per alcuni aspetti riprendono probabilmente soluzioni distributive e architettoniche di epoca mediobizantina. Importante sotto questo aspetto è il recente studio di un documento che fornisce un elenco delle proprietà appartenenti nel 1104 al monastero di Iviron. Nella descrizione degli edifici conventuali sorprendono in particolare alcuni dati, come il consistente numero di strutture costruite con l’impiego di soli mattoni – tecnica ritenuta esclusiva di pochi monumenti costantinopolitani (Myrelaion) o tessalonicesi (Panaghia ton Chalkeon) –, nonché la diffusione di un tipo di copertura a falsa cupola, detta “a sorbo”, attestata particolarmente per chiese e celle monasteriali atonite di epoca postbizantina.
Molti monasteri greci dei secoli XI e XII, specialmente nell’ambito dell’Attica, della Beozia e delle isole, seguirono nell’impianto generale un modello analogo, ma non adottarono la pianta del katholikòn atonita, riprendendo invece lo schema a croce inscritta o a cupola su trombe angolari. Il più importante complesso è senz’altro quello di Hosios Lukas nella Focide, sorto sul luogo dove visse un santo eponimo e sviluppatosi tra la fine del X e la prima metà dell’XI secolo fino a comprendere il katholikòn con la cripta sottostante, la chiesa della Theotokos, la trapeza e le celle dei monaci, disposte in corpi di fabbrica fino a tre piani di altezza lungo il perimetro murario del complesso. Vanno poi ricordati i monasteri di Kaisariani e di Dafni, entrambi presso Atene e fondati agli inizi del XII secolo su insediamenti di epoca protobizantina, e quello di Hosios Meletios sul monte Citerone in Megaride, fondato nel 1081 da Melezio il Giovane e ampliato nel corso del XII secolo. La fioritura di insediamenti monastici è manifesta anche in altre aree, come a Cipro, dove si segnalano il monastero di Haghios Chrysostomos presso Kutsovendi (1092-1103) e il curioso insediamento troglodita di Haghios Neophitos presso Pafo (fine XII sec.), disposto su diversi livelli lungo una scoscesa costa rocciosa e costituito da una zona d’ingresso con portale e ambienti di servizio, da una terrazza – dove sono concentrate la chiesa della S. Croce, la trapeza e altre strutture – e infine, più in alto, dalla cella della Nea Sion, estremo rifugio di Neofito contro l’affollamento del suo eremo. In questo periodo la fiorente tradizione monastica bizantina non mancò di influire anche sullo sviluppo dei monasteri dell’Italia meridionale e centrale, soprattutto per quanto riguarda la scelta delle tipologie architettoniche e decorative degli edifici di culto.
Sul volgere del XIII secolo molte comunità monastiche bizantine dovettero abbandonare le loro fondazioni per essere sostituite dal clero latino; in questo difficile clima la creazione di nuovi monasteri si perpetuò solo per quelle regioni (despotato dell’Epiro ad Arta; impero di Nicea) dove ciò era richiesto da precise esigenze di legittimazione dinastica. Nel successivo periodo paleologo, committenti di rango imperiale, aristocratico e anche episcopale si impegnarono a risarcire le fondazioni monastiche spogliate dai Latini; si ridusse quindi il numero di nuovi monasteri, mentre molti complessi di epoca comnena vennero restaurati, soprattutto a Costantinopoli e a Salonicco, con una particolare attenzione per gli spazi funerari di respiro monumentale (ad es., Parekklesion nel monastero di S. Salvatore in Chora a Costantinopoli, inizi XIV sec.), ma anche per le strutture abitative e assistenziali, come, ad esempio, il restauro delle celle per i monaci e la costruzione di un muro di cinta nel monastero di S. Giovanni di Studio (seconda metà XIII sec.). Nella penisola greca il persistere dello stato di frammentazione politica nei secoli XIV e XV determinò un’alternanza di esiti e sviluppi nella formazione dei monasteri bizantini. Un centro culturalmente e politicamente legato a Costantinopoli come Mistrà si arricchì, già a partire dalla fine del XIII e fino alla metà del XV secolo, di nuove fondazioni concentrate in prevalenza nel katochorion (il settore più basso e forse meno inurbato della città), come, ad esempio, il monastero di Brontochion (1296-1310), complesso articolato in due nuclei attorno alla chiesa cimiteriale dei Ss. Teodori e al katholikòn dedicato alla Vergine Odighitria, nel cui recinto trapezoidale si individua il refettorio rettangolare absidato con pareti interne mosse da numerose nicchie, addossato al lato meridionale del complesso. Una particolare cura per la realizzazione architettonica e decorativa degli spazi destinati alla refezione comunitaria è ravvisabile anche in altri monumenti di epoca tardobizantina, come le trapezai di Didymoteichon in Tracia e del monastero di Apollonia in Albania.
Durante il XIV secolo, mentre sull’Athos i monasteri tornavano a espandersi e arricchirsi con nuove fondazioni (monastero del Pantokrator, 1357; monastero di Dionisio, terzo quarto del XIV sec.) dopo la crisi generata dalla lotta alla politica unionista di Michele VIII Paleologo (1259-1282), in Tessaglia sui giganteschi ammassi rocciosi delle Meteore venivano fondati i primi insediamenti che diedero vita a una complessa organizzazione monastica, estremamente fiorente in epoca postbizantina, di cui si conservano sette monasteri principali. Grandi patroni di questa nuova federazione monastica, che intenzionalmente emulava quella dell’Athos, furono i nuovi dinasti serbi, i quali si erano ritagliati un centro di potere nel cuore della Grecia e, anche nei territori balcanici di loro appartenenza, a legittimazione del proprio rango, promuovevano fondazioni monastiche (monastero di Mileèeva, XIII sec.; monastero di Sopoćani, XIII sec.) che, sia nella decorazione degli edifici di culto sia nella distribuzione degli ambienti funzionali e di rappresentanza, riprendevano i modelli bizantini, contribuendo a conservare la grande tradizione religiosa e artistica ortodossa nelle regioni dell’Europa orientale anche dopo l’eclissi dell’impero di Costantinopoli.
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