L'Europa tardoantica e medievale. L'Europa del Nord e i territori non romanizzati. L'area slava. La Polonia
Polska è il nome del Paese dei Polani, poi della Grande Polonia e di tutta la monarchia polacca (lat. Polonia). Il nome originale era all’inizio un aggettivo con sottinteso il sostantivo ziemia (“terra”) e costituisce concettualmente una coppia col nome Polanie, proveniente dal vocabolo pole (“campo”). La più vecchia estensione geografica del termine Polonia corrispondeva al territorio dei Polani. Già all’inizio dell’XI secolo Polonia regio, Polonia, indicava il regno di Boleslao l’Intrepido in sostituzione dei termini Sclavania, Sclavia, che venivano adoperati nel X secolo principalmente per la Polonia. Il nome della Polonia e dei Polacchi è diventato noto ai cronisti esterni al mondo polacco solo alla fine del X secolo.
Gli Slavi occidentali (compresa la popolazione polacca) fanno parte di un ceppo etnico comune designato col primitivo e antico nome di Slavi nell’ambito della grande famiglia linguistica indoeuropea. Esistono attualmente nell’archeologia polacca due scuole di pensiero, la “scuola neoautoctonista” con una tradizione di ricerca risalente alla metà del XIX secolo e la “scuola alloctonista” formatasi in Polonia negli ultimi decenni del XX secolo. La prima localizza i processi di formazione della comunità linguistica originaria degli Slavi nell’area che si estende fra la vallata dell’Oder e quella del Dnepr centrale. Secondo quest’ipotesi gli Slavi occidentali comparvero qualche secolo prima di Cristo in un’area occupata precedentemente da un più antico gruppo di abitanti indoeuropei, da cui essi presero probabilmente il nome di Vendi o Veneti. L’ipotesi che i Veneti, conosciuti dalle testimonianze lasciateci dagli scrittori romani, siano d’origine slava sembra presentare attualmente il maggiore numero di elementi in suo favore. I seguaci della scuola alloctonista, invece, negano la tesi di una continuità dell’insediamento nell’area tra i fiumi Oder e Vistola nel periodo precedente all’emergere di una cultura a carattere eminentemente slavo. Il ruolo delle migrazioni viene in questa scuola evidentemente sopravvalutato. L’ipotesi di base della scuola alloctonista ammette che l’area tra Oder e Vistola, dopo essere stata abbandonata dalle tribù germaniche, abbia visto, nella seconda metà del V e all’inizio del VI secolo, l’insediarsi della popolazione slava proveniente dal territorio della cultura kieviana sul medio Dnepr, Desna e Berezyna.
Due centri maggiori hanno avuto un ruolo di particolare importanza nella nascita delle strutture statali polacche. Uno di questi si formò sull’area dell’alta Vistola dove i Vislani cominciavano a formare un’unità sovratribale, il secondo sorse, secondo le opinioni prevalenti, attorno a Gniezno, la capitale dei Polani. Nella seconda metà del IX secolo i Vislani si sono opposti inutilmente all’espansione politica e ai tentativi di conversione al cristianesimo che provenivano dalla Grande Moravia, che era la prima organizzazione statale pluritribale di carattere protofeudale tra gli Slavi occidentali. Le terre dei Vislani furono incorporate nella Grande Moravia. Le pressioni politiche e le invasioni da sud da parte dei potenti vicini moravi e boemi e, più tardi, da nord, per l’influenza dei Polani, fanno sì che non la Polonia meridionale, nonostante la sua situazione geografica favorevole, ma il territorio sul medio corso del fiume Warta abbia svolto il ruolo di primo nucleo dello Stato nascente. Il termine Polani attesta la natura agricola del loro insediamento in un’area coltivata in maniera permanente per quanto circondata e interrotta da foreste, boschi e zone boschivo- campestri. La grande espansione dei Polani nel X secolo starebbe a indicare che il suo inizio risalga alla metà del IX secolo. Tale ininterrotta espansione, partita dall’antica Gniezno tribale, che i documenti scritti nel X secolo indicano come la capitale della Polonia, riuscì a riunire in uno Stato di considerevole estensione le piccole unità tribali attorno ai grandi centri fortificati come Poznań, Ostrów Lednicki, Kruszwica, Bnin, Ląd e Kalisz. Questi centri insieme con i castra minori indicano il nucleo territoriale dello Stato di Gniezno nel X secolo. Questa e la successiva fase del consolidamento territoriale dello Stato dei primi Piasti – Mieszko I (m. 992) e Bolesław Chrobry (992-1025) – sono testimoniate dai dati archeologici.
Secondo A. Gieysztor (1983, p. 21) “la formazione dello Stato polacco ebbe inizio probabilmente un centinaio di anni prima del 963, l’anno in cui Mieszko I portò la Polonia alla ribalta della scena europea”. Nel processo di organizzazione e consolidamento dello Stato si possono distinguere vari componenti e fattori che operavano insieme. Tra questi vi erano gli scopi e gli interessi di una ristretta cerchia dell’élite sociale, la tendenza a imporre l’ordine sui conflitti tra vari ceti sociali nati dai processi di differenziazione all’interno della società, le funzioni protettive dello Stato centralizzato contro le pressioni politiche e militari esterne che assicuravano, tra l’altro, un’autonoma evoluzione etnica e culturale delle popolazioni locali. Nel X secolo lo sviluppo politico degli Slavi polabiani, situati tra i Polani e lo Stato germanico, era ormai giunto al termine. La perdita di indipendenza portò alla loro graduale ma irreversibile scomparsa dalla carta geografica d’Europa. Dopo il 955, in seguito alle vittorie di Ottone I, i Polani si scontrarono con la crescente influenza del forte potere dello Stato germanico. I Polani hanno dimostrato un considerevole senso politico nel momento della nascita del loro Stato.
La cultura intellettuale e religiosa agli albori dell’unificazione dello Stato polacco è stata oggetto di intensi studi da parte di archeologi e storici. I culti pagani avevano la funzione di supporto rispetto ai bisogni della popolazione agricola. Un importante elemento del culto restava l’adorazione del Sole che era probabilmente derivata da un passato molto remoto. Le testimonianze arabe del IX secolo informano che nei riti del raccolto praticati dagli Slavi una manciata di grano veniva lanciata verso il cielo per propiziarsi gli dei. Il culto degli dei e dei fenomeni naturali era inizialmente praticato a livello familiare o locale ed esercitato sia dal capo di famiglia, sia da uno degli anziani per tutta la comunità. Con la trasformazione della struttura sociale ci furono tentativi di attribuire ad alcuni culti un significato politico o di collegarli ai centri di potere. Tra gli Slavi polabiani osserviamo lo sviluppo di più elaborati riti sacrificali e “l’istituzione di speciali sacerdoti intorno alla personificazione del Dio-Capo” (Gieysztor 1983, p. 23). Si costruiscono templi legati a culti locali e dotati anche di funzioni fiscali nei più importanti centri tribali: Radogoszcz, ad esempio, con il tempio di Svarožič (Zuarasici), centro di culto della federazione dei Vilzi, era tra i primi testimoniati dalle fonti scritte (Cronica di Thietmar, vescovo di Merseburgo). All’interno c’era un tempio in legno con le statue degli dei pagani.
Non è chiaro se Radogoszcz, che appare nella relazione di Adamo di Brema come civitas vulgatissima Rethre, fosse un centro di carattere protourbano o invece un luogo di culto frequentato solo durante le cerimonie religiose. Siccome finora il sito non è stato identificato, non sappiamo se vicino al tempio ci fosse un centro fortificato a carattere politico. Radogoszcz, distrutta nel 1068 dai Tedeschi, era attiva probabilmente ancora fino agli inizi del XII secolo, ma il centro del culto pagano più importante per gli Slavi sul Baltico diventò Arkona sull’isola Rügen. Anche sul territorio polacco in alcuni centri vi erano templi legati ai culti locali. A Stettino in uno dei templi c’era la statua trifronte di Triglaw. Un idolo dello stesso genere doveva essere venerato anche a Brenna (Brandeburgo). Notiamo che il culto di Triglaw di Stettino, conosciuto dalla relazione di Otto di Bamberg, mostra alcune somiglianze con il culto di Ṡwiętowid. A Wolin gli scavi hanno fornito le prove tangibili di un tempio pagano e un idolo quadrifronte di legno è stato rinvenuto in un contesto stratigrafico intatto.
Le ricerche archeologiche in Polonia indicano anche altri centri di culto. La montagna Ślęża - Sobótka, la cui vetta domina la pianura della bassa Slesia, che aveva vecchie tradizioni risalenti alla prima età del Ferro, era il centro di un culto pagano alla fine del X secolo. Funzioni di culto pagano aveva sicuramente anche Łysa Góra (Monte Calvo), più tardi chiamato Ṡwięty Krzyż (Santa Croce), nel massiccio centrale polacco. La vetta del monte era circondata nel IX-X secolo da un terrapieno simile a quello di Ôlèäa. Il rituale funebre subì, nel tempo, una radicale trasformazione, probabilmente sotto influenze provenienti dall’area cristiana della Moravia: la cremazione venne sostituta progressivamente dall’inumazione, con alcuni costumi locali, ad esempio quello masoviano di circondare e coprire il defunto con pietre. Solo eccezionalmente la sepoltura veniva dotata di un tumulo eretto come omaggio a un grande capo dell’organizzazione politica regionale. Tra i pochissimi monumenti di questo genere, conservati fino a oggi, sono da notare il tumulo di Krakus sovrastante Cracovia sulla sponda destra della Vistola, eretto nel VII secolo, e il meno conosciuto e più misterioso tumulo di Vanda. L’evoluzione del culto pagano non riusciva, però, a rispondere ai bisogni e alle necessità del nuovo ordine sociale e alle esigenze dello Stato centralizzato.
Nella seconda metà del X secolo le strutture dello Stato polacco poggiavano su ben assestate basi territoriali. Il Paese di Mieszko I era più esteso di tutti i quattro Stati slavi conosciuti in quel periodo: quelli degli Obodriti e dei Polabiani, dei Boemi e dei Bulgari. Lo Stato disponeva di un elaborato sistema fiscale e un tributo veniva versato alla corte ducale che amministrava lo Stato centralizzato e pagava i contingenti militari. Proprio alla coesione interna di questa struttura e al consolidamento dell’organizzazione statale, rafforzato poi ulteriormente dalla conversione al cristianesimo nel 966, è dovuta la stabilità delle frontiere della Polonia il cui territorio già nel regno di Mieszko I arrivava da una parte alle coste baltiche fra le foci dell’Oder e quelle della Vistola e, dall’altra parte comprendeva tutta la Polonia meridionale, dai confini occidentali della Slesia fino al corso superiore del fiume Wieprz.
I dati archeologici rivelano che la crescita demografia del IX e del X secolo portò alla nascita di nuovi insediamenti. L’aumento della popolazione e i mutamenti nel modello di insediamento in cui, per la prima volta accanto ai villaggi, appaiono i centri pre- e protourbani, sono accompagnati da innovazioni agro-tecniche, dall’introduzione di nuovi metodi di coltivazione, di nuovi mezzi di trasporto e dallo sviluppo della specializzazione artigianale. L’introduzione della religione cristiana in Polonia era molto vantaggiosa e costituiva quasi una conditio sine qua non del successo per il gruppo sociale che stava costruendo uno Stato centralizzato. Come in altri Paesi slavi e scandinavi, questa élite attendeva dalla Chiesa un avallo al nuovo ordine sociale e politico. Si aspettava inoltre un supporto per consolidare l’autorità centrale e in conseguenza, a lungo andare, esercitare un’influenza sulla società nel suo insieme al fine di integrarla con le nuove strutture dello Stato. La Chiesa aveva anche una potente influenza culturale e politica sull’organizzazione e sul funzionamento delle strutture statali nascenti. Offriva modelli organizzativi e personali per reggere l’amministrazione di uno Stato centralizzato. Rendeva libero l’accesso all’eredità culturale antica e altomedievale introducendo la scrittura, stabilendo i contatti e mantenendo le relazioni internazionali.
Il battesimo della Polonia è stato compiuto nel 966 in accordo con i boemi Przemyslidi – la dinastia con cui Mieszko I si era imparentato sposandone una discendente, la principessa Dobrava – e con l’approvazione dell’imperatore Ottone I che confermò la nomina del primo vescovo Jordan. La prima missione era formata da ecclesiastici venuti dal Sacro Romano Impero e direttamente subordinata alla Santa Sede Apostolica. Inizialmente fu istituita un’unica diocesi che comprendeva tutto lo Stato di Mieszko I. Solo successivamente l’organizzazione della Chiesa polacca si è uniformata al modello in vigore nel Sacro Romano Impero. La scelta tra Chiesa orientale e occidentale fu determinata dagli stretti legami culturali e politici con la Boemia cattolica e dalla vicinanza della Polonia ai Paesi che avevano già adottato la liturgia latina. È vero che in Boemia resistevano ancora qua e là ultimi, deboli focolai della liturgia slava, ma la corte e la Chiesa boeme erano strettamente legate all’organizzazione della Chiesa bavarese. In questo contesto sono da notare alcuni, poco documentati, tentativi di collegare alcune scoperte archeologiche nella Polonia meridionale con la missione morava, peraltro inefficace, che giunse nelle terre dei Vislani alla fine del IX secolo. Un secolo più tardi, invece, fu la missione boema che raggiunse il suo scopo. La Chiesa di Praga mantenne infatti per un certo periodo l’influenza boema nella zona a nord dei Carpazi.
I materiali archeologici indicano che un gran numero dei centri fortificati fu sia rimaneggiato secondo le nuove esigenze verso la metà del X secolo, sia costruito ex novo. Ci furono anche importanti cambiamenti nella distribuzione territoriale dei centri fortificati secondo criteri strategici, amministrativi, fiscali e giuridici. Per varie ragioni questo fenomeno può essere trattato – toute proportion gardée – come paragonabile ai processi dell’incastellamento studiati da P. Toubert (1973) nella sua esemplare analisi sul Lazio. Anche nei Paesi slavi una fondazione castrense presupponeva la riuscita di due operazioni simultanee di cui alcune caratteristiche, per i due territori in esame, sembrano molto vicine. Alcuni elementi di queste operazioni sono costituiti da una parte, dalla concentrazione del popolamento basata sulla precedente crescita demografica e sull’intensificazione delle attività agricole, dall’altra, dalla parallela ristrutturazione dello spazio coltivato nel suo insieme, ottenuta con la creazione di terre a cultura intensiva nelle vicinanze dei nuovi centri e con la conquista di terre marginali a spese dell’incolto.
Nei Paesi slavi si accentua, in modo particolarmente chiaro, il contrasto tra due elementi di questo processo: i castra cioè gli insediamenti fortificati, che spesso diventano centri protourbani, e la campagna. Sono due elementi contrari ma intimamente uniti e attivi e questo legame reciproco assume una particolare importanza nell’analisi del processo di urbanizzazione. I dati archeologici sembrano indicare che la prima facies più articolata di castra sia databile all’VIII-IX secolo. A partire da quel periodo il castrum comincia a distinguersi dall’insediamento rurale aperto, per la sua superficie, per il suo potenziale demico e per le sue funzioni specifiche. Nel IX-X secolo il numero complessivo di siti fortificati diminuisce rispetto alla fase precedente. I castra cominciano a rappresentare, sempre di più, centri del potere. La costruzione di piccoli centri fortificati è indice che molti di essi si limitano alla mera funzione militare. Ma nel contempo nel paesaggio culturale appare – per diventare presto dominante – una nuova forma d’insediamento: un castrum sede signorile e centro militare, accanto al quale viene a concentrarsi, in uno o più sobborghi, la popolazione. Con lo sviluppo, nei suburbia, della produzione artigianale, dei servizi e del commercio, questi centri demici complessi erano destinati ad assumere, per primi, un carattere urbano: dapprima nel IX secolo nelle zone economicamente più attive, come, ad esempio, sul territorio dei Vislani e sul Baltico, poi, nel X-XI secolo, in altre parti dello Stato polacco. Le prime capitali Gniezno, Poznaï e inoltre centri come Breslavia, Cracovia, Sandomierz e Stettino, Wolin, Kołobrzeg, Danzica appartengono alla categoria dei castra grandi e ben documentati dalle fonti scritte e archeologiche. Nell’ambito di questi centri complessi si accentuava una netta divisione sociale.
Il gród (castrum, castellum) come centro del potere con le sue funzioni politiche, militari, amministrative, giuridiche e culturali, costituiva un ambiente chiuso, accessibile solo all’élite sociale. Qui soggiornava temporaneamente il principe con la sua corte e con le sue milizie (drużyna); qui, fra gli altri, risiedevano ecclesiastici e castellani. Il podgrodzie (suburbium) era invece centro dell’attività produttiva e commerciale, ma col tempo vennero qui localizzate anche dimore signorili e chiese accessibili alla popolazione. Il suburbium, munito spesso di un fossato e di un terrapieno aggiunti al castrum, formava con esso un unico complesso aumentandone le capacità difensive. Con la formazione e con il consolidamento delle strutture statali avvennero anche profondi mutamenti nell’organizzazione del territorio. Gli opola (strutture dell’ordine tribale fondate su rapporti di vicinanza) venivano subordinati all’apparato amministrativo dei castra. In Polonia, come anche in Boemia, appare una nuova funzione del castrum. Esso è centro di un distretto castellano, sede di un comes oppure castellanus ducis, a capo di ogni distretto. Ai distretti castellani sono legati i vecchi termini polacchi: grodztwo (“castellania”) e gród (prestazione imposta ai rustici di costruire e riparare i terrapieni e fossati dei castra). Intorno ai castra, tra la metà del X e la fine dell’XI secolo, si formarono alcuni villaggi di servizio abitati da singole categorie di rustici addetti a prestazioni o servizi di carattere specializzato. Le denominazioni di alcune di oltre 40 categorie di questi ministeriales si trasformarono non di rado in un toponimo. Più di 400 località nella sola Polonia portano tuttora i nomi di varie categorie di questo genere: ad esempio, Rybaki (pescatori), Owczary (pecorari), Kowale (fabbri), Złotniki (orefici), Sokolniki (falconieri). La rete di questi villaggi di servizio copriva l’intero territorio dello Stato al tempo dei primi sovrani della dinastia dei Piasti. Un fenomeno simile si attesta contemporaneamente anche nell’ambito della monarchia dei Przemyslidi in Boemia e degli Arpadi in Ungheria. Era un adattamento e un’applicazione su larga scala del sistema carolingio per soddisfare i bisogni del potere senza ricorrere alla intermediazione del mercato, del resto non ancora pienamente formato.
Per l’Alto Medioevo, non solamente slavo, un fattore decisivo per le trasformazioni economiche e sociali fu la divisione duratura del lavoro. Le attività di tipo sia artigianale che commerciale si sono staccate dalla produzione agricola. Per Paesi come Russia, Polonia e Boemia questo è la conseguenza delle nascenti eccedenze (surplus) della produzione agricola, disponibili per uno scambio regolare con i prodotti dell’artigianato sia locale che esterno. Nella zona lungo il Baltico già nella seconda metà del IX secolo sorsero i primi agglomerati protourbani legati ancora alle strutture organizzative tribali. Le scoperte archeologiche indicano che Stettino e Wolin presso la foce dell’Oder e, più a est, Koùobrzeg si trasformarono in insediamenti caratterizzati in generale da una edilizia regolare e fitta, rafforzati da solide fortificazioni difensive. Erano centri artigianali e commerciali legati sia a un ambiente agricolo (come Stettino e Kołobrzeg) sia al commercio (come Wolin). Wolin era prima di tutto un emporio commerciale dove, oltre agli Slavi, abitavano molti stranieri, tra i quali i Vichinghi. Tutti – come dimostra la relazione di Adamo di Brema quando parla della Wolin dei secoli X-XI – avevano una certa libertà d’azione. Ai centri protourbani del IX secolo doveva appartenere anche Cracovia. Era un centro dei Vislani, che cercavano di controllare l’importante via commerciale diretta dalla Porta di Moravia verso la Rus´ kieviana e il Mar Nero. Come per le origini e lo sviluppo della organizzazione protostatale dei Vislani anche per quanto riguarda il suo vero ruolo politico sappiamo ben poco dalle fonti. I dati archeologici sembrano invece indicare in una maniera univoca da una parte gli stretti legami del territorio dei Vislani con la Grande Moravia e dall’altra le solide basi materiali di questo primo duraturo organismo politico in terra polacca.
Alle più grandi scoperte archeologiche di questo tipo appartiene il tesoro messo in luce nel 1978 a Cracovia, nell’ambito del suburbium Okół ai piedi della collina di Wawel. Per lo studio degli inizi e dello sviluppo del commercio la fonte principale, infatti, sono i ritrovamenti dei mezzi di scambio sia monetari sia costituiti dagli oggetti che sostituivano le monete sui mercati locali in statu nascendi. Esistevano sul mercato locale scambi che potevano realizzarsi attraverso forme di baratto come attesta Ibrahim ibn Jakub. Secondo la sua descrizione, in Boemia nel X secolo ci si serviva di panni di lino come mezzi di pagamento. Mezzi di pagamento paragonabili venivano usati anche nel XII secolo dalla popolazione slava sulla Rugia. Per lo studio dello sviluppo degli scambi e in particolare dei mercati locali i reperti monetari costituiscono però una base documentaria di un indiscutibile valore conoscitivo. La struttura dei ritrovamenti monetari presi nel loro insieme può essere concepita, se ben identificata, come una rappresentazione attendibile e adeguata del ruolo economico e sociale delle monete. Ogni cambiamento di questa struttura corrisponde ai cambiamenti nella sfera della tesaurizzazione e della circolazione delle monete e in particolare al rapporto tra le funzioni statiche (tesaurizzazione) e quelle dinamiche (circolazione), essendo tutte e due in costante rapporto inversamente proporzionale. La diminuzione del numero dei tesori è quindi sempre accompagnata (in un determinato contesto spazio-temporale) dall’aumento delle monete in circolazione, testimoniato in modo diretto dalla loro presenza negli strati di abitazione e in modo indiretto nelle tombe come offerte postume. È proprio sulla base di questo tipo di analisi che siamo in grado di seguire empiricamente il processo che si svolge in Polonia a partire all’incirca dalla metà dell’XI secolo. È questo il processo d’inclusione nella sfera della circolazione monetaria (riservata inizialmente ai soli ceti sociali privilegiati) dei produttori diretti res suas vendentes sui mercati locali.
Contrariamente al commercio estero del X - inizi dell’XI secolo, basato sulle relativamente rare ma notevoli transazioni di oggetti di lusso e sui pagamenti in argento multiforme a peso (frammenti di monete straniere, gioielli, argento fuso), sui mercati locali settimanali circolavano piuttosto le monete la cui relativa uniformità rendeva più facili anche le transazioni di minore portata. La nascita dei mercati locali è giustamente considerata un’importante cesura nel processo di urbanizzazione e un’alternativa al sistema di prestazioni e servizi da ottenere senza ricorrere all’economia del mercato. Così si possono individuare sulla base delle fonti archeologiche le tre principali tappe dello sviluppo iniziale del processo di urbanizzazione. Il primo momento è ovviamente la nascita stessa del fenomeno urbano con modalità variabili a seconda delle zone e dell’intensità degli influssi esterni. Il secondo marca la transizione dalle forme insediative preurbane a quelle più mature della vita urbana e si contraddistingue per la presenza dei mercati locali che progressivamente sostituiscono l’organizzazione economica basata principalmente sulle prestazioni offerte dai villaggi di servizio. Il terzo è legato alla locatio civitatis, il diritto tedesco considerato, fino ancora a non molto tempo fa, come fatto basilare che inizia la vita urbana in Polonia, ora invece piuttosto come un momento che chiude un lungo processo di formazione dei centri urbani. Di questi tre momenti il secondo sembra il più interessante e può essere oggetto di discussione in quanto basato su un certo tipo di interpretazione archeologica.
Nella prima metà dell’XI secolo, secondo stime attendibili, esistevano nei territori polacchi (esclusa la Pomerania) circa 80 città fortificate. Nelle fonti scritte dell’epoca, per i centri di grande rilevanza come capitali o come significativi centri provinciali, viene usato il termine civitas col quale s’intende un’ampia comunità con diverse funzioni. Le città fortificate (castra, gorod) dei primi Piasti svolgevano tutta una serie di nuovi compiti amministrativi e militari dello Stato centralizzato. Avevano un ruolo economico e commerciale, religioso e culturale ed erano collegate fra loro da una rete di strade e dalle vie commerciali. La posizione di queste città veniva accentuata dalle prime fastose costruzioni in pietra risalenti all’epoca della conversione al cristianesimo. Il complesso di chiese nei sobborghi di Poznań, tra cui una basilica cattedrale a tre navate, fu costruito, secondo i risultati dell’indagine archeologica, subito dopo il 968. Allo stesso periodo risalgono gli inizi dell’architettura religiosa di Gniezno e i monasteri benedettini a Trzemeszno e Łęczyca. Alla fine del X secolo sull’isola del lago Lednica, nelle vicinanze di Gniezno, fu costruita un’ampia residenza principesca la cui cappella adiacente al palatium riecheggia lo stile dell’Italia settentrionale. Gli scavi hanno messo in luce le tracce di altre otto residenze di questo genere. A partire dall’XI-XII e soprattutto nel XIII e XIV secolo si nota nei territori a est dell’Elba l’esistenza di piccoli castelli muniti di una motta artificiale, un’innovazione importante del sistema di fortificazione, in atto nell’Occidente a nord delle Alpi già nel corso dei secoli X e XI. Anche se mancano finora dati completi per tutte le regioni della Polonia, una particolare concentrazione di motte si nota in Slesia (ca. 400) e nella Grande Polonia (144). Nella Polonia centrale ne sono state registrate finora 40 e nella Pomerania Occidentale, una dozzina. Questa evidenza archeologica ancora incompleta può essere integrata dagli studi dei toponimi derivati dal nome slavo slup (“palo”) utilizzato nei documenti per definire una casa-torre come forma abituale di dimora nobiliare di proprietari terrieri nel corso del XIII-XIV secolo. La casa-torre costruita in legno, qualche volta con il basamento di pietre legate da argilla, era diffusa in buona parte del territorio polacco nel XIII-XIV secolo come forma di abitazione signorile. Munita di motta artificiale e difesa da terrapieni e fossati, altimetricamente differenziata da altre strutture, essa era tipica dei ceti medi della nobiltà di campagna.
Secondo A. Gieysztor (1983) il numero dei centri manufatturieri e dei servizi commerciali esistenti nel XII secolo era raddoppiato rispetto alla fine del X secolo. L’incremento demografico annuale dello 0,16% era pari alla media europea. La base di questi progressi era costituita da una parte dall’aumento delle terre coltivate accompagnato dall’intensificazione dell’allevamento del bestiame e, d’altra parte, dalla crescente produzione artigiana nei centri urbani, di cui abbiamo ricchissima documentazione archeologica. Oltre alla metallurgia e all’industria mineraria, praticate anche nelle aree rurali come occupazioni sussidiarie, nei centri urbani si identificavano una ventina di mestieri. Tra questi vi sono la lavorazione del ferro e di altri metalli, la produzione di ceramica, la conciatura, la lavorazione dell’osso, del corno e, sulle coste baltiche, dell’ambra, l’arte dei carradori e dei carpentieri navali, la produzione vetraria e la lavorazione della pietra.
Le trasformazioni delle città polacche sono notate anche dagli osservatori stranieri. Un interessante aspetto di questa rapida evoluzione della vita urbana in Polonia vede la partecipazione degli stranieri, specie di mercanti germanici, sin dall’inizio del XIII secolo, nelle trasformazioni dei centri quali Cracovia, Breslavia, Poznaï e Danzica. L’adozione della legge germanica (locatio civitatis) nel XIII secolo ebbe influenza sulla struttura organizzativa e sociale delle città polacche, ivi compreso un nuovo modello spaziale urbano, composto da un’area edificata molto densamente e con un tracciato regolare, un mercato quadrangolare su cui affacciava un edificio, con un’officina o una bottega di mercanti, con un vasto cortile e fabbricati annessi sul retro. Nel corso del XIII e all’inizio del XIV secolo iniziò anche la costruzione delle torri in muratura, in genere fondazioni principesche e signorili. Nel corso del XVI secolo nelle dimore signorili di campagna le funzioni di carattere residenziale cominciarono a prevalere su quelle difensive. Tale tipo di abitazione del XVI secolo, nonostante molti elementi e dettagli rinascimentali, può essere considerata come l’ultimo anello nell’evoluzione dei piccoli castelli medievali.
B. Guerquin (1974) divide il processo di passaggio dal gorod in legno e terra al castello in muratura in due fasi. La prima (1230-1320) è caratterizzata dalla coesistenza di entrambe le forme e dalla progressiva trasformazione o sostituzione della prima con la seconda. Nel corso del secondo periodo (1320-1410), col rinnovamento del regno, per difendere meglio le frontiere e per motivi di amministrazione interna, i castra come pure i sobborghi cittadini formatisi fuori dai recinti fortificati, venivano muniti di fortificazioni più solide; fu in particolare l’opera di Casimiro il Grande (1333-1370), durante il regno del quale furono eretti circa 80 castelli, di cui una parte era collocata sulle frontiere con l’Ordine Teutonico e con la Boemia. Dopo l’unione con la Lituania (1386) gli Jagelloni costruiscono castelli anche sulla frontiera orientale, contro gli Osmani e i Tartari. La maggior parte dei castelli fu però eretta all’interno del Paese nelle regioni più popolate ed economicamente avanzate, nella fascia che si estende dalla capitale, Cracovia, fino alle terre della Grande Polonia e della Cuiavia. Alla fine dell’Impero romano, quando appena si disegnavano i futuri contorni etnici del continente, sorse in Europa un’entità etnica slava, della quale l’area polacca rappresenta una parte costitutiva, potendo pertanto essere considerata come esempio significativo della formazione di questo quadro storico.
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