L'Europa tardoantica e medievale. L'Europa del Nord e i territori non romanizzati. L'Islanda
Isola vulcanica di 103.000 km2 nell’Atlantico settentrionale. Costituisce la più ampia area potenzialmente abitabile, ma in realtà rimasta disabitata fino ai tempi storici.
La più antica menzione del suo nome si trova su una pietra runica del Gotland dell’inizio dell’XI sec. d.C. L’unicità dell’Islanda nell’Europa del Nord è dovuta alla cospicua documentazione medievale che si è conservata, consistente in annali riguardanti la storia dei primi insediamenti (Islendingabók, Landnámabók) e in opere letterarie e poetiche (le saghe islandesi). Tali opere vennero scritte tra il XII e il XV secolo, quasi tutte nella lingua locale e non in latino, come usuale all’epoca. Lo Islendingabók venne redatto tra il 1122 e il 1133 d.C. da un prete chiamato Ari Thórgilsson e rappresenta la più antica fonte conservatasi sull’Islanda. Questa opera narra l’arrivo nell’isola dei coloni scandinavi e data questo evento attorno all’870 d.C. Secondo Ari, gli uomini cristiani irlandesi (cioè i monaci) si erano già stanziati in Islanda prima dell’arrivo degli Scandinavi, ma essi non sarebbero rimasti nelle stesse località quando, ben presto, i pagani lasciarono l’isola. Il pressoché contemporaneo Landnámabók riporta una storia simile, stabilendo la data dell’arrivo all’874 d.C. Entrambe le fonti descrivono i coloni in prevalenza come capitribù norvegesi che avevano lasciato la loro terra di origine ribellandosi al dominio di Harald Hårfager (cioè “dai lunghi capelli”), che durante questo periodo si era proclamato unico capo della Norvegia.
L’apparente precisione delle fonti scritte a proposito dei tempi e dei modi della prima colonizzazione ha fatto sì che si tendesse a porre in secondo piano l’evidenza archeologica. Di conseguenza, l’ipotesi, fondata su base archeologica, che ci potrebbero essere stati almeno sporadici insediamenti in Islanda già nel VII sec. d.C. ha incontrato una forte opposizione. Questi primi dati sono comunque discutibili: molti di essi sono costituiti dalle datazioni al 14C dell’area di Reykjavík e di Vestmannaeyar (le isole presso la costa meridionale) e sono stati ricavati dal legno utilizzato per i focolari; in un Paese nel quale gli alberi sono tanto scarsi, ci si aspetterebbe che i detriti lignei siano stati utilizzati al massimo. Un particolare metodo di datazione per l’archeologia islandese è la teprocronologia, cioè la successione dei livelli di ceneri vulcaniche. Si suppone che a partire dai cronisti medievali siano state ricordate tutte le principali eruzioni. Sono importanti soprattutto le eruzioni dei maggiori vulcani come Katla e Hekla, le ceneri dei quali si sono disperse su gran parte dell’isola, poiché i livelli di tali ceneri sono spesso tanto differenziati che è possibile determinarne l’origine; ciò consente un confronto con le eruzioni ricordate dalle fonti scritte e di stabilire su questa base una datazione. Recentemente, la teprocronologia ha acquistato ulteriore importanza come metodo di datazione attraverso il confronto con nuclei ghiacciati datanti, cioè l’anello dei livelli ghiacciati dell’entroterra della Groenlandia. Un caratteristico livello di un’eruzione dell’Hekla ha un’importanza particolare per l’archeologia islandese: è il cosiddetto “livello Landnám”, uno strato di ceneri che ricopre larga parte dell’isola, mentre al di sotto di esso ci sono ben poche tracce di insediamento. Anche la flora originale della regione si è conservata sotto di esso, non disturbata dalle coltivazioni umane o dallo sfregamento delle navi. Questo livello è stato recentemente datato, mediante la cronologia del nucleo gelato, all’871 d.C., datazione che concorda molto bene con quella dei primi insediamenti riportata dai cronisti medievali. L’archeologia islandese presenta condizioni di lavoro spesso particolari e fino a tempi recenti non era stata condotta alcuna indagine. I primi obiettivi di scavo sono stati spesso scelti sulla base delle fonti scritte che ricordavano l’uno o l’altro capotribù o colono che si supponeva fosse vissuto in quel determinato luogo. È stato questo il caso di Njál (da La Saga di Njál), dove è stata scavata una grande fattoria altomedievale, comprensiva di stalle con ambienti per almeno 30 mucche, indice di una considerevole ricchezza. Non ci sono tuttavia prove archeologiche che questa sia identificabile proprio con la fattoria di Njál.
Secondo le saghe, i primi Islandesi si stanziarono lungo tutte le coste dell’isola, ma gli insediamenti si concentrarono soprattutto in tre aree: tra l’attuale Reykjavík e la costa occidentale, dove ci sono un porto naturale ampio e ben protetto, acque pescose e un suolo particolarmente fertile, oltre che lungo le coste meridionali e settentrionali, entrambe zone che offrivano buone opportunità per la pratica dell’agricoltura e della pesca. L’economia veniva inoltre incrementata da modeste forme di commercio; le pecore venivano importate dai Paesi scandinavi e la loro lana costituì la principale fonte di esportazione nel corso del Medioevo. Le evidenze archeologiche confermano che i primi insediamenti erano concentrati in queste aree dove sono state scavate più di 300 tombe terragne, molte delle quali con inumazioni datate tra la fine del IX e l’inizio dell’XI secolo. I corrispondenti insediamenti con capanne seminterrate sono stati rinvenuti ad esempio a Grélutottir, nei fiordi occidentali, a Hvítárholt e Hjálmsstadir, lungo la costa meridionale, e a Granastaéir, sulla costa settentrionale; in queste zone sono state scavate long-houses con muri longitudinali curvi, lunghe circa 20 m e larghe massimo 6 m. Altri stanziamenti oggetto di indagini archeologiche sono Herjólfsdalur a Vestmannaeyar, Pjórsárdalur a Stöng, Dritvik e Selatanger (questi ultimi due sono villaggi di pescatori), oltre naturalmente alla città di Reykjavík. Le saghe e le cronache descrivono l’Islanda medievale come una società di piccoli capiclan e contadini, uniti nel governo del Paese. Già dal 930 circa esistono testimonianze di incontri annuali della durata di due settimane a metà estate a Pingvellir, a est di Reykjavík; tale assemblea costituiva la più alta autorità in Islanda e decideva dei diritti e dei doveri dei suoi abitanti. Fu qui, ad esempio, che nel Mille il cristianesimo venne definito come nuova e unica religione, anche se si trattò più di una decisione politica che religiosa. A partire da questo periodo, gli Islandesi adottarono sepolture prive di corredi in necropoli presso le numerose, nuove chiese costruite in tutta l’isola. Dal 1056 l’Islanda ebbe la sua prima sede episcopale: Skálholt, nella parte meridionale dell’isola, mentre nel 1106 venne istituita la diocesi di Hólar, a nord. La cattedrale di Skálholt è lunga 50 m, con una navata larga 27 m; è la seconda chiesa in ordine di grandezza costruita in Scandinavia nel Medioevo, dopo la cattedrale di Nidaros (Trondheim, Norvegia). Come tutte le altre chiese islandesi, è costruita in legno, preferito alla pietra probabilmente per ragioni di prestigio, visto che si trattava di un materiale importato dalla Norvegia. Dall’XI al XV secolo vennero costruiti in Islanda almeno 9 monasteri e 2 cenobi femminili. Un monastero agostiniano, edificato nel 1226 sull’isola di Viđey presso Reykjavík, è stato indagato negli anni 1987-88, con scavi che hanno restituito il primo insediamento cristiano della località, risalente all’VIII secolo. La reale indipendenza politica dell’Islanda durò fino al 1020, quando venne stabilito un patto di mutua difesa con la Norvegia, che rimase in vigore fino al XVI secolo, dopo di che venne stipulato un trattato esclusivo con la Gran Bretagna con lo scopo di promuovere il commercio.
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