L'Europa tardoantica e medievale. La nascita degli Stati fuori dei confini dell'impero. La Russia
Nel vasto areale comprendente sia le regioni della più antica etnogenesi slava – l’Ucraina e la Bielorussia – sia l’intero territorio della Russia europea, si delinea, nel corso dell’VIII e del IX secolo, la fisionomia del complesso etnico e culturale slavo-orientale.
Secondo un procedimento di identificazione retrospettiva, alle diverse culture regionali messe in luce dalla ricerca archeologica vengono associate le etnie menzionate in fonti più tarde, in particolare quelle enumerate nella Povest´ vremennych let (“Cronaca dei tempi passati”), redatta a Kiev nel 1113 circa (Sedov 1995). Tra il Dnestr e il Dnepr sono localizzati i popoli eredi delle culture paleoslave di Praga-Korčak (Voliniani, Drevliani, Poliani e Dregoviči) e Praga Pen´kovka (Horvati, Tiveri e Uliči); nella regione tra il Dnepr e il Don, dove la migrazione slava avrebbe dato luogo alla formazione della cultura Romeno-Borševskaja, i Severiani; più a nord, i Viatiči (sul fiume Oka) e i Radimiči (tra il Dnepr e la Desna). Nelle regioni settentrionali, nell’area di interferenza con le culture baltiche e finniche, troviamo Kriviči (nella zona di Pskov) e Sloveni (sull’Il´men). Una siffatta ricostruzione della presunta compagine slavo-orientale nei secoli VIII e IX può destare qualche perplessità metodologica se si considera che dalla Povest´ spesso non si ricava molto più che la localizzazione geografica dei popoli elencati e che, per contro, le indagini archeologiche rivelano un quadro piuttosto diversificato, soprattutto nel campo delle pratiche funerarie (in diverse aree l’inumazione è prevalente rispetto all’incinerazione, tradizionalmente considerata uno dei marchi culturali e archeologici degli Slavi precristiani). Tenendo conto di tali riserve, è questo, a grandi linee, il contesto in cui nel IX secolo nasce la Rus´, il primo potentato russo.
L’ipotesi che la fondazione della Rus´, nel IX secolo, si debba a un gruppo di guerrieri-mercanti (i Variaghi) di origine scandinava, ma già radicati nelle regioni prospicienti il litorale baltico, fu avanzata intorno alla metà del Settecento. Da allora il dibattito sulla genesi del primo Stato russo è stato segnato dalla contrapposizione, spesso portata all’estremo, tra “normannisti” e “antinormannisti”, ossia tra i sostenitori della tesi scandinava, cui si è fatto cenno, e i fautori (soprattutto storici russi) dell’origine slava della Rus´. Tuttavia, gli argomenti avanzati da entrambe le parti non sono dirimenti a favore dell’una o dell’altra tesi, qualora si voglia cercare nel termine Rus´ una definita accezione etnica o nazionale oppure si voglia intendere la nascita della Russia storica come frutto di una conquista militare da parte di guerrieri svedesi. L’analisi delle fonti (soprattutto arabe e bizantine) rende ragionevole l’ipotesi che la Rus´ non fosse un gruppo etnico o tribale, bensì una sorta di corporazione o, meglio, un’organizzazione mercantile multietnica. All’interno di questa prese avvio assai per tempo un processo di reciproca assimilazione tra le diverse componenti (scandinava, forse inizialmente egemone, slava, baltica e finnica) che solo gradualmente avrebbe portato la parte slava (o slavizzata) a diventare dominante.
La “compagnia” della Rus´ legò le sue fortune ai commerci che si andavano sviluppando tra le regioni baltiche e il Mar Nero, ma anche al fiorente mercato degli schiavi che già nell’VIII secolo aveva nei bacini del Volga e del Don, allora fulcro del potentato turco dei Khazari, una delle più lucrose fonti di approvvigionamento. Proprio al regno dei Khazari, seppure in maniera indiretta, è legata l’investitura politica della Rus´. Il potentato della Rus´ – non a caso anch’esso definito “kaghanato” – nasce infatti sul Volga; la sua prima menzione risale all’839. Dopo l’860, con l’instaurarsi di relazioni favorevoli con Costantinopoli, gli interessi economici della Rus´ si spostarono sul Dnepr, che, ricordato dalle fonti come “la via dai Variaghi ai Greci”, divenne l’asse portante dei commerci tra le regioni baltiche e Costantinopoli. Già guarnigione khazara, conquistata nel 930 da Igor, kaghan della Rus´ del Volga, Kiev fu a partire dalla seconda metà del X secolo centro nodale di questo itinerario fluviale e, dal 1036 al 1169, sede del gran principe della Rus´.
Durante i primi due secoli della sua esistenza – la fase del Volga (ca. 839-930) e la fase del Dnepr (ca. 930-1036) – la Rus´ esercitava il suo dominio su una popolazione piuttosto che su un territorio, tramite l’esazione di tributi, il controllo dei centri mercantili e la neutralizzazione dei concorrenti commerciali. Il prosperare dei commerci ebbe come effetto quello di favorire la nascita e il rapido sviluppo delle città, che furono sia importanti snodi commerciali sia sedi dei diversi principati in cui il primo potentato russo era frammentato. Oltre a Kiev, nel IX secolo nacquero Novgorod, Polock e Smolensk, nel X secolo Pskov, Černigov e Perejaslavl´, nell’XI Jaroslavl´, Suzdal´, Vladimir e Rjazan´. La volontà di riunire le terre russe in uno Stato unitario, perseguita dal principe di Kiev Vladimir Svjatoslaviã (980-1015), anche mediante il ricorso alla forza, non riuscì ad avere ragione della logica tribale che regolava i rapporti di potere nella Rus´. Preparò tuttavia la strada alla svolta che attendeva questo potentato durante il regno di suo figlio Jaroslav I il Saggio (1018-1054) che diede avvio alla trasformazione della Rus´ in una comunità con una base territoriale (le terre di Kiev, Černigov e Perejaslavl´) e con una cultura omogenea. La religione – il cristianesimo ortodosso, già promosso religione ufficiale da Vladimir – fu uno dei più potenti fattori di unificazione del regno. La cattedrale di S. Sofia di Kiev – proclamata capitale del potentato – divenne il fulcro simbolico della nuova Rus´ e lo slavo ecclesiastico (basato sulla variante bulgaro-macedone dello slavo-meridionale e già piuttosto diverso dall’idioma slavo-orientale da cui si sarebbe originato il russo) fu eletto ad aulico modello di riferimento della lingua letteraria.
Il lento declino della Rus´ di Kiev ebbe inizio già nella seconda metà dell’XI secolo e fu accelerato dalle guerre fratricide scatenate dalla morte di Mstislav (1132). Alla decadenza di Kiev si ritiene abbiano contribuito anche le attività predatorie e destabilizzanti dei nomadi di stirpe turca – Peceneghi, Torki e Polovzi – stabilitisi nella fascia di steppe a nord del Mar Nero, che una labile linea di confine separava dal territorio russo. I rapporti tra la Rus´ e queste popolazioni richiedono, in realtà, un giudizio storico più complesso. Tra l’XI e gli inizi del XIII secolo si era infatti consolidata una rete di alleanze tra principi russi e capi delle tribù nomadi, che mettevano a disposizione dei primi la perizia militare dei loro uomini in cambio di concessioni territoriali o di altre forme di compenso. I nomadi che in questi secoli gravitavano sui confini meridionali e orientali della Rus´ non costituivano veri potentati, bensì aggregazioni tribali piuttosto fluide. I principi della Rus´ seppero trarre profitto dal sostegno dei loro vicini (e dai loro conflitti interni) ai danni sia di principati rivali sia, qualora la situazione lo rendesse necessario, di altri gruppi nomadi. Inizialmente molto fluide ed effimere, tali alleanze furono successivamente consolidate da unioni matrimoniali tra principi russi e giovani donne dell’aristocrazia turca. Con la caduta di Kiev vennero in primo piano altre entità politiche, come la Volinia, a ovest, e la città di Novgorod, a nord, dal 1136 retta da una potente oligarchia di proprietari terrieri. Intorno alla metà del XII secolo, tuttavia, il baricentro politico della Russia si spostò soprattutto a nord-est, nel principato che aveva stabilito le sue sedi nelle città di Vladimir e Suzdal´. Questo ebbe come figure di spicco Jurij Dolgorukij, che nel 1156 diede inizio alla costruzione di Mosca, e suo figlio Andrej Bogoljubskij (1157-1174), che, forte del sostegno dei Polovzi, assaltò Kiev depredandola delle sue ricchezze. La cattedrale di S. Sofia e il Monastero delle Grotte furono dati alle fiamme e gran parte della popolazione ridotta in schiavitù.
Gli eventi della prima metà del XIII secolo segnarono profondamente il corso storico della Russia medievale. La fondazione dell’impero latino di Costantinopoli (1204-1261), all’indomani della conquista della capitale bizantina da parte dei crociati, e l’avanzata dei Cavalieri teutonici mirata alla conquista delle grandi città mercantili della regione baltica (nel 1240 si impossessarono di Pskov, ma furono arrestati da Aleksander Nevskij nella loro marcia verso Novgorod) resero più profonda la frattura tra il mondo ortodosso e l’Europa cattolica. Con l’invasione mongola, compiutasi tra il 1223 e il 1240, i territori russi entrarono nell’orbita di un potentato eurasiatico, l’Orda d’Oro, il più occidentale dei quattro ulus in cui l’impero mongolo si divise alla morte di Genghis Khan (1227). Le regioni steppose della Russia meridionale, già occupate da nomadi di stirpe turca, entrarono a tutti gli effetti nei domini dell’Orda (che nel 1342 stabilì la sua capitale a Saraj, sul Volga), ma non i territori governati dai principi russi. Su questi, tuttavia, i Mongoli esercitarono di fatto la loro sovranità tramite l’esazione di un’imposta (dan´) e riservandosi l’autorità di conferire l’investitura al gran principe. Queste ingerenze contribuirono in maniera sostanziale a plasmare i destini della Russia. Oltre ad affievolire il potere delle assemblee cittadine (veče) e dell’aristocrazia boiara, cui fece da contrappeso il crescente prestigio della Chiesa ortodossa, i secoli del dominio mongolo ridisegnarono la carta geopolitica della Russia.
Con Ivan I Kalita (1328-1341) le terre russe si trovarono in gran parte unificate sotto la supremazia di Mosca, già promossa, nel 1327, a capitale spirituale del Paese con il trasferimento della sede del metropolita da Vladimir. Nel 1395 le armate di Tamerlano posero fine al “giogo mongolo” e l’Orda si disgregò in quattro khanati minori (Astrakhan, Crimea, Kazan, Siberia). Fino all’ascesa di Mosca, e soprattutto nel periodo di Kiev, la Rus´ rimase una confederazione scarsamente coesa di possedimenti governati da principi che, pur accomunati dalla discendenza da Rurik (m. 879), capostipite della casata (l’ultimo suo rappresentante fu Dmitrij, figlio di Ivan IV il Terribile, morto nel 1591) e posti sotto la sovranità del gran principe di Kiev, furono costantemente in un rapporto di aspra rivalità che non di rado sfociò in guerre fratricide. Una delle ragioni viene indicata proprio nel sistema di successione, che prevedeva il passaggio dei poteri in linea fraterna o di padre in figlio e, in occasione della morte del gran principe di Kiev, una rotazione dei principi nell’ambito delle diverse città del regno (all’avanzamento di grado nell’ordine dinastico corrispondeva il trasferimento a una città economicamente più importante). Questa prassi, che contribuì non poco a rafforzare il sentimento di unità della Rus´, venne meno dopo Jaroslav I, quando gli esponenti dei diversi rami della stirpe di Rurik decisero di stabilirsi definitivamente nei rispettivi possedimenti di cui, oltretutto, avevano accresciuto il valore promuovendone lo sfruttamento agricolo. Il principe disponeva di una guardia personale, la družina, composta da alcune centinaia o migliaia di guerrieri liberi; i più prestigiosi esponenti di questo seguito erano i boiari, sorta di uomini influenti, i quali, oltre che nella sfera militare, facevano sentire il loro peso nella gestione della vita comunitaria. Tra i boiari – ossatura della futura nobiltà russa – il principe reclutava i funzionari destinati ai più importanti incarichi nell’amministrazione, nella polizia e nella giustizia. Anch’egli dotato di una propria družina, il boiaro si poneva volontariamente al servizio di un principe, pur conservando il diritto di rescindere il legame in qualsiasi momento e porsi sotto la protezione di un altro signore. Le concessioni fondiarie di cui i boiari godettero a partire dall’XI secolo non riuscirono a saldarne i vincoli con i principi, al contrario contribuirono a dare alla Russia medievale la fisionomia di uno Stato feudale.
Lo strato più vitale della società della Rus´ era rappresentato dai mercanti. Essi risiedevano nelle città e a loro rappresentanti erano affidati importanti incarichi civili, quello di sindaco (posadnik) o di capo della milizia urbana (tysjackij), l’elezione dei quali aveva luogo nel corso del veče, l’assemblea urbana formata da tutti i cittadini liberi, in cui i mercanti occupavano una posizione particolarmente influente. Attivi nei più importanti empori dell’epoca – Costantinopoli, Baghdad, ma anche in Germania, in Scandinavia e in Polonia – non di rado vi erano presenti in comunità stabili, così come mercanti stranieri (Armeni, Ebrei, Ungheresi, Tedeschi) erano presenti nelle città della Rus´. Città commerciale particolarmente dinamica fu Novgorod, crocevia delle attività mercantili della Russia e della Lega anseatica, che in questa città aveva una base. L’introduzione della moneta negli scambi economici risale al regno di Vladimir di Kiev (fine X sec.); il modello era costituito dal soldo aureo bizantino che, nella versione russa, d’argento, portò l’immagine del principe o il suo emblema sul recto e il tridente sul verso. Coniate unicamente a Kiev, queste monete ebbero una certa diffusione nei mercati del Baltico e del Mar Nero. Già nella seconda metà del XII secolo, con la fine della supremazia di Kiev, ebbe inizio il “periodo senza moneta” (bezmonetnyj period) che si sarebbe protratto fino agli inizi del XV secolo. Bene intermediario degli scambi, in questo lungo arco di tempo, furono le pellicce (volpe, zibellino e martora); l’argento, tuttavia, continuò a essere importato, soprattutto per ottemperare al pagamento del tributo dovuto all’Orda d’Oro, ma anche perché continuava a essere preferito come bene tesaurizzabile. Già agli inizi del XIV secolo comparve una nuova moneta d’argento, il rublo (rubl´), che nella seconda metà del secolo iniziò ad avere una discreta diffusione, senza tuttavia intaccare il primato delle pellicce.
Accanto ai commerci non meno importante nella vita economica dell’antica Rus´ era lo stretto legame esistente tra i centri urbani e il retroterra agricolo. Seppure residenti nelle città, i mercanti erano anche proprietari terrieri e del resto gran parte della popolazione urbana contribuiva attivamente (e forzatamente) allo sfruttamento e alla valorizzazione delle terre situate nel circondario della città. Con l’ampliarsi delle terre da porre in coltura ben al di là dell’immediato circondario delle città si delinea la fisionomia del mir che, componente essenziale e longeva della società e dell’economia russa, rappresenta la cellula di base della comunità rurale e di un complesso sistema di gestione collettiva dello sfruttamento agricolo della terra. Il mir si riuniva regolarmente, eleggeva i suoi rappresentanti, vigilava sulla messa a coltura dei terreni, dirimeva i contenziosi che potevano sorgere tra i suoi membri. La condizione del ceto rurale conobbe un marcato peggioramento a partire dal XIV e soprattutto nel corso del XV secolo, di pari passo con il notevole ampliamento dei terreni coltivabili. Le norme sancite dal Sudebnik, codice di diritto redatto nel 1497, vincolavano i contadini alle proprietà fondiarie, limitando considerevolmente la libertà di movimento di cui fino ad allora avevano goduto; si ponevano così le basi della condizione di asservimento del ceto rurale che sarebbe perdurata fino al XIX secolo.
Il ruolo che la religione ebbe nelle trasformazioni politiche, nella cultura e nell’arte della Russia medievale fu capitale. Benché attività proselitistiche da parte di monaci greci siano documentate in Russia già dall’860 e la religione di Bisanzio avesse cominciato a penetrare lentamente nelle terre russe seguendo a ritroso “la via dai Variaghi ai Greci”, conquistando anche la personale adesione di personaggi di grande prestigio politico – quali la principessa Olga (959) – è con il battesimo del principe Vladimir (988/9) che la fede cristiana divenne religione di stato. Il programma religioso concepito da Vladimir (di sostegno al suo programma di unificazione politica della Russia) fu accolto e mandato a effetto con slancio e determinazione dal suo successore, Jaroslav I. A partire dalla cattedrale di S. Sofia (costruita tra il 1037 e il 1050) la cristianizzazione del Paese procedette a grandi passi tramite la fondazione di sedi episcopali nelle città capitali di tutti i principati. Tra il X secolo e il 1261 furono edificate 18 chiese cattedrali, molte delle quali (soprattutto a cavallo tra il XII e il XIII sec.) si concentrarono nelle regioni occidentali a formare una sorta di sbarramento alla spinta latina. La prima cattedrale fu verosimilmente la Desjatinnaja (“decima”) di Kiev, costruita tra il 990 e il 996 (sotto Vladimir), poi sostituita da S. Sofia. Oltre alla chiesa cattedrale, altre tipologie di chiese si moltiplicarono nelle città dei principati russi, quali il sobor (“grande assemblea”), ossia la chiesa principale di un monastero o di una città, e la piccola chiesa parrocchiale (cerkov).
All’epoca di Vladimir e di Jaroslav I comparvero anche i primi monasteri, inizialmente come insediamenti eremitici in grotte. Intorno al romitaggio rupestre sul Dnepr a Kiev si costituì, nel 1062, il più celebre complesso monastico russo, la Lavra delle Grotte di Kiev (Pečerskaja Lavra); la vita monastica vi era organizzata secondo il modello bizantino, in particolare sulla regola del monastero di S. Giovanni di Studio a Costantinopoli. Durante l’XI e il XII secolo questo complesso ebbe un’importanza cruciale nella formazione della cultura russa, ma anche un ruolo di grande influenza nelle relazioni tra i principi e la Chiesa. Vi fervevano le attività di copisti e traduttori e qui visse Nestore, autore della Povest´ vremennych let, fonte di primaria importanza per la storia della Russia antica. La Chiesa, non meno dei commerci, ebbe un ruolo essenziale nella diffusione della scrittura nella Russia medievale. Di questo fenomeno uno studio recente (Franklin 2002) ha approfonditamente indagato le modalità e gli effetti nella cultura e nella società della Rus´ di Kiev. Soprattutto a partire dalla metà dell’XI secolo si moltiplicano le testimonianze scritte (manoscritti su pergamena o corteccia di betulla, iscrizioni su pareti affrescate, sigilli e oggetti d’uso quotidiano) in greco, latino e slavo (destinato a prendere il sopravvento nel corso del XII sec.) e in diversi alfabeti (greco, latino, glagolitico, cirillico e runico). È opportuno ricordare che nel periodo kievano fu messo a punto il primo codice di diritto civile della Rus´, la Russkaja pravda (“Giustizia russa”). Di questo testo, tradizionalmente attribuito a Jaroslav I il Saggio, si conservano due versioni (ma non l’originale): l’una, cosiddetta “breve”, di 43 articoli, risalente alla fine dell’XI - inizi del XII secolo, l’altra, la “lunga” e la più diffusa, di 120 articoli, datata alla fine del XII secolo. Scritta in una lingua vernacolare (slavo orientale) non influenzata dallo slavo ecclesiastico, la Russkaja pravda è palesemente ispirata a tradizioni scandinave e germaniche, mentre è del tutto assente l’impronta del diritto bizantino. Dopo l’interruzione segnata dal dominio mongolo, l’attività giuridica sarebbe ripresa con Ivan III (1462-1505).
L’architettura e le arti figurative della Russia medievale nacquero in seno alla tradizione bizantina e, soprattutto nei primi secoli, l’influsso delle scuole costantinopolitane continuò a stimolarne lo sviluppo e a determinarne gli orientamenti. Tra la fine del X e la metà del XIII secolo furono chiamati a lavorare in Russia, soprattutto a Kiev, architetti e pittori costantinopolitani e balcanici. A loro si deve l’introduzione di tecniche edilizie basate sull’impiego del mattone e della pietra, in un contesto in cui era generalizzato l’utilizzo del legno (che tuttavia non avrebbe perso terreno per molto tempo nell’architettura militare e civile), delle tipologie architettoniche tipiche del culto cristiano, della pittura e del mosaico. Riprendendo il modello a croce greca con copertura a cupola, la cattedrale di S. Sofia di Kiev si ispira senza dubbio all’omonima chiesa costantinopolitana. Di questa, tuttavia, l’edificio kievano intende emulare soprattutto il ruolo simbolico (quale “cattedrale di stato”), mentre sotto il profilo formale mostra non pochi elementi innovativi, soprattutto nella moltiplicazione dei moduli spaziali e nell’articolazione delle strutture di copertura (5 navate absidate, 12 pilastri, 13 cupole poggianti su tamburo). Lo schema della cattedrale di Kiev sarebbe stato adottato in maniera pressoché fedele da altre chiese dell’XI secolo (chiese dei monasteri di S. Giorgio e di S. Irene a Kiev, chiese di S. Sofia a Polock e a Novgorod).
La cattedrale della Lavra delle Grotte di Kiev, la già citata chiesa della Dormizione, mostra invece uno schema semplificato (3 navate, 6 pilastri e 5 cupole) che, fino alla vigilia dell’invasione mongola, servì da modello ai circa 70 monasteri che marcarono la diffusione della fede ortodossa nelle terre russe. Tratti specifici della chiesa russa sono, tra gli altri, lo schema a due sostegni, in cui i due pilastri orientali di sostegno alla cupola fanno corpo con gli spigoli delle absidi, e la frequente sostituzione di un atrio di ingresso al tradizionale nartece. Soluzioni originali si notano soprattutto negli schemi di copertura, riconducibili sostanzialmente a due varianti tipologiche. In un caso il tetto assume un profilo a onde, determinato da timpani semicircolari corrispondenti alle volte a botte delle navate (ad es., chiesa dei Ss. Boris e Gleb a Černigov). Nell’altro si ha invece un profilo trilobato, formato cioè da un timpano semicircolare affiancato da due quarti di cerchio; tra il tamburo della cupola e gli archi di sostegno viene inserito uno zoccolo indipendente (ad es., chiesa Paraskeva-Pjatnica a Černigov). Le facciate esterne presentano in genere una decorazione sobria che non altera il carattere unitario e lineare delle pareti; queste sono movimentate da lesene scarsamente aggettanti con copertura ad arco, al cui interno si aprono strette finestre o nicchie cieche ad arco. Dopo la caduta di Kiev (1169), in alcuni dei principati in cui erano state create sedi vescovili la preferenza fu accordata ad altri modelli architettonici. In uno dei più importanti, quello di Vladimir-Suzdal´, la realizzazione degli edifici di culto fu affidata a maestranze della Galizia che introdussero la tecnica muraria a sacco con doppio paramento in pietra e un tipo di decorazione della facciata di derivazione romanica (portali e decorazioni figurate, animali e vegetali a rilievo). Elementi decorativi romanici penetrarono dalla Galizia e dalla Volinia anche in altre città russe (Černigov, Smolensk) e, tramite la Scandinavia, raggiunsero Novgorod. Nel XII secolo in quest’ultima città prese vita una scuola artistica originale. Diversamente che in altri centri russi, la committenza era qui prevalentemente rappresentata dalle corporazioni di artigiani e la più diffusa tipologia di chiesa era la piccola parrocchia di modeste pretese architettoniche; di ben altro tenore erano le pitture che ne decoravano gli interni, opera di artisti bizantini e locali e che facevano di Novgorod uno dei più vitali centri artistici della Russia medievale.
La tradizione di Vladimir-Suzdal´ ebbe, tuttavia, maggior peso negli sviluppi successivi dell’architettura religiosa russa. Gli edifici di culto di questo principato si ispirano a una nuova concezione architettonica, i cui lineamenti sono efficacemente illustrati dalla chiesa dell’Intercessione della Vergine sulla Nerl´ (1165-1167). Sia nell’aspetto esteriore sia nella sua articolazione interna, la struttura non appare più come una somma di elementi (com’era invece tipico della tradizione kievana), ma come un volume unico: le facciate armoniosamente scompartite da pilastri sono coronate da una sola cupola slanciata su un alto tamburo e l’articolazione interna (a 3 navate) è più sobria. Per la decorazione scultorea delle facciate i monumenti più rappresentativi di questa scuola sono la cattedrale di S. Demetrio a Vladimir (1194-1197) e la chiesa di S. Giorgio a Jur´ev Pol´skoj (1230-1234). È proprio dalla tradizione di Vladimir-Suzdal´ che prese le mosse l’architettura protomoscovita, che della prima, tuttavia, non accolse l’apparato ornamentale romanico. Benché ispirate alla medesima concezione volumetrica, le chiese di Mosca e di Tver´, costruite a cavallo del XV secolo, denotano un’articolazione architettonica più dinamica. Il corpo dell’edificio poggia su un alto basamento con scalinate libere e l’arco carenato è il modulo decorativo più ricorrente. L’eredità bizantina, come si è detto, ebbe una parte determinante anche nel campo delle arti figurative e soprattutto nella prima fase dell’arte russa medievale, grosso modo fino alla caduta di Kiev per mano dei Mongoli nel 1240. L’influsso bizantino ebbe come tramite sia l’attività di artisti greci itineranti (o immigrati stabilmente in Russia), sia l’importazione di oggetti d’arte da Bisanzio e da centri balcanici, sia infine la formazione di artisti russi presso botteghe bizantine. I contatti con Bisanzio, tuttavia, rimasero fecondi fino al XIV secolo, epoca in cui fu attivo il più illustre dei pittori greci trasferitisi in Russia, Teofane il Greco (1330-1410 ca.).
Le decorazioni a mosaico e ad affresco dei più antichi edifici religiosi di Kiev furono realizzate da maestri greci o slavi meridionali. I paralleli stilistici più pertinenti sono stati rintracciati a Ocrida (decorazioni della chiesa di S. Sofia) e a Salonicco, per le pitture murali, a Chio, Dafni e Hosios Lukas per i mosaici. L’adesione ai canoni bizantini è palese anche nel repertorio iconografico, sebbene si constati la preferenza per i temi liturgici, illustrati sulle pareti nella zona dell’altare, mentre la rappresentazione di Jaroslav I con la sua famiglia nella cattedrale di Kiev evidenzia il ruolo che nei programmi iconografici fu assegnato, sin dagli inizi, al messaggio politico (espresso anche tramite la raffigurazione dei santi omonimi dei principi o dei santi nazionali quali, soprattutto, Boris e Gleb) e che sarebbe rimasto una costante dell’arte monumentale russa. A partire dal XII secolo si diede spazio anche ad altri soggetti, quali il Giudizio Universale o il ciclo della Passione, mirabilmente illustrato, ad esempio, nella cattedrale della Trasfigurazione nel monastero di Mirož a Pskov (1156 ca.).
Un genere pittorico che godette di particolare favore, ponendo salde radici nella devozione popolare, fu la pittura di icone. In questa produzione gli artisti russi riuscirono gradualmente ad affrancarsi dalla dipendenza dai modelli bizantini, dando vita a correnti stilistiche innovative e operando scelte iconografiche originali. Sebbene tendenze stilistiche particolari non abbiano tardato a manifestarsi nei diversi centri di produzione artistica, tanto che secondo alcuni studiosi è legittimo parlare di scuole pittoriche distinte già nella fase kievana (Novgorod, Jaroslavl´, Rostov-Suzdal´), è innegabile che fino a tutto il XIII secolo la matrice costantinopolitana rimase il fattore dominante anche in questo genere pittorico. L’importazione di icone da Bisanzio e dalla Bulgaria iniziò assai per tempo (icone del Chersoneso furono portate a Kiev dal principe Vladimir) e continuò nei secoli successivi. La Vergine di Vladimir, la più venerata delle icone russe riprodotta in un’infinita serie di repliche, è opera bizantina giunta in Russia intorno al 1130; dono di Costantinopoli, questa icona seguì emblematicamente lo spostarsi del baricentro politico della Russia medievale da Kiev a Vladimir (dove fu portata da Andrej Bogoljubskij nel 1155) e, infine, a Mosca, dove fu trasferita in modo permanente nel 1395 (oggi è conservata nella Tretjakovskaja Galerija).
In un primo tempo la disposizione delle icone nelle chiese non rispondeva a regole precise; in seguito le immagini sacre furono alloggiate nell’iconostasi, una sorta di basso parapetto di pietra o legno posto a segnare la simbolica demarcazione tra il santuario e la navata. Nel XV secolo l’iconostasi russa assunse definitivamente la sua tipica forma di alta struttura lignea con una suddivisione in registri all’interno dei quali le immagini ricevevano una collocazione permanente. Ciascun registro era dedicato a un tema specifico; quello situato più in basso (detto “del Sovrano”) includeva l’immagine del Cristo e della Vergine (rispettivamente a destra e a sinistra della Porta Regale); fulcro del secondo registro (Deesis), solitamente il più ampio e importante, era l’immagine del Cristo sul trono, affiancato da Giovanni Battista (a destra) e dalla Vergine (a sinistra); qualora vi fosse spazio sufficiente vi erano rappresentati gli arcangeli Michele e Gabriele, s. Pietro e s. Paolo. Il programma iconografico era chiuso in alto dai due registri (interscambiabili) dei Profeti e dei Patriarchi. Anche la Porta Regale, che dava accesso al santuario, era supporto ideale per rappresentazioni sacre (i Quattro Evangelisti o i Padri della Chiesa nelle ante, l’Annunciazione nella terminazione superiore ad arco).
Uno dei più vitali centri di produzione pittorica, soprattutto dopo la caduta di Kiev, fu Novgorod. Seppure numericamente esigue, le testimonianze pittoriche del XII secolo (affreschi nella chiesa del Salvatore sulla Neredica e nella chiesa di S. Giorgio a Staraja Ladoga) attestano già l’esistenza di una locale scuola di pittura, in cui, ben più che in altri centri russi, i modelli bizantini sono animati da una vena artistica vicina al gusto popolare. Le icone mostrano composizioni semplici, caratterizzate da forme ampie, da forti contrasti cromatici e da contorni netti ed energici. Il prestigio artistico di Novgorod fu certamente accresciuto dall’opera di Teofane il Greco. Ultimo dei pittori bizantini immigrati in Russia, egli soggiornò in questa città per poco più di dieci anni (fino al 1390) e lavorò alla decorazione pittorica di diverse sue chiese (chiesa della Trasfigurazione, chiesa del Volotovo Pole, chiesa di S. Teodoro Stratilate). Nelle opere di Teofane forme, colori ed espressività erano segnati da uno stile severo e drammatico. Trasferitosi a Mosca, nel 1395, egli realizzò la decorazione miniata del Libro dei Vangeli del boiaro Koška e si dedicò alla pittura di icone; tra queste si ricordano la Vergine del Don e la Dormizione della Vergine (1392, dipinte sui due lati della medesima tavola) e diverse immagini realizzate per la Deesis dell’iconostasi nella cattedrale dell’Annunciazione di Mosca nel 1405 (la Vergine, s. Giovanni Crisostomo, s. Giovanni Evangelista, s. Paolo e altri).
Alla realizzazione delle pitture della cattedrale dell’Annunciazione Teofane chiamò a collaborare il monaco Andrej Rublev (1370-1430 ca.), del quale di certo riconobbe le capacità e il genio. Seguace di s. Sergio, fondatore dell’omonimo monastero e propugnatore di un ideale di fraternità, calma, amore in Dio e perfezionamento spirituale, che ben si armonizzava con l’aspirazione di Mosca a unificare le terre russe sotto la propria egida, Rublev lasciò un segno profondo nella nascente arte pittorica moscovita. All’austerità e agli arditi accostamenti cromatici di Teofane oppose uno stile permeato da intensa spiritualità e delicatezza cromatica. Nelle sue opere si definiscono i tratti caratteristici della scuola di Mosca: una maggiore complessità nelle composizioni e nel simbolismo teologico, il marcato allungamento delle figure, una più ricca tavolozza cromatica in cui si accorda la preferenza alle tonalità calde. È nella pittura di Andrej Rublev che giunge a perfezionamento l’immagine del Cristo Salvatore – più umana e compassionevole, ingentilita da uno stile che privilegiava le delicate fusioni di colori piuttosto che il linearismo – che la Russia aveva col tempo dimostrato di preferire all’austero Pantokrator di tradizione bizantina. La Trinità del Vecchio Testamento (1410-1420 ca.), considerata il capolavoro di Rublev, è autentica pietra miliare dell’arte religiosa russa.
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