L'Europa tardoantica e medievale. Le regioni dell'impero bizantino. Costantinopoli
La città (gr. Βυζάντιον, Κονσταντινούπολις; turco İstanbul) dal momento della sua inaugurazione ufficiale come nuova capitale dell’Impero d’Oriente da parte di Costantino (11 maggio 330) e fino alla sua caduta nelle mani dei Turchi ottomani di Mehmet II (29 maggio del 1453) – salvo la parentesi costituita dall’occupazione latina nel corso della quarta crociata (1204-1261) – fu per oltre un millennio, insieme con Roma, il più importante centro monumentale del mondo tardoantico e medievale, costituendo inoltre per lunghissimi periodi il più vasto agglomerato umano e il maggior centro di consumo dell’intero bacino del Mediterraneo.
di Enrico Zanini
Le fasi di sviluppo e di trasformazione della capitale bizantina possono essere seguite solo parzialmente attraverso i dati archeologici. Sufficientemente approfondita è, ad esempio, la conoscenza di alcuni settori immediatamente adiacenti all’area dell’antico palazzo imperiale, frutto soprattutto delle ricerche condotte negli anni Venti e Trenta del Novecento da studiosi francesi, tedeschi e inglesi. Rimangono invece quasi del tutto ignoti gli assetti urbani e monumentali di gran parte delle aree centrali e occidentali. Per contro, la relativa ricchezza delle informazioni desumibili dalle fonti storiche, trattatistiche e narrative (l’Urbs Costantinopolitana Nova Roma del V sec., i Patria Konstantinoupoleos di Esichio di Mileto del VI sec., le Parastaseis Syntomoi Chronikai dell’VIII sec.) ha consentito lo svilupparsi, fin dagli inizi del XX secolo, di una ricca tradizione di studi storico-topografici. Per quanto riguarda l’epoca protobizantina si rivelano di notevole utilità le opere degli storici di tradizione antica (Zosimo, Agazia, Giovanni Malala, Teofilatto Simocatta e Marcellino Comes), mentre il primo libro del De aedificiis di Procopio di Cesarea è interamente occupato da un elenco e da una descrizione spesso dettagliata degli edifici civili e religiosi fatti costruire da Giustiniano nella capitale imperiale. A partire dal IX e X secolo la ricerca storico-topografica può trovare nuove basi nelle opere dei cronachisti (soprattutto Teofane il Confessore e il cd. Teofane Continuato) e particolarmente nel trattato De caeremoniis aulae Byzantinae dell’imperatore Costantino VII Porfirogenito (912-959).
Con la designazione a capitale imperiale C. visse la sua prima fase di rapida espansione urbanistica, caratterizzata in primo luogo dalla costruzione di una nuova cerchia di mura che doveva correre quasi 3 km a ovest della cinta severiana. Il sistema viario era organizzato intorno a un asse principale (la Via Regia o Mese) che partiva dall’antico Tetrastoon e, dirigendosi verso ovest, raggiungeva prima il nuovo foro circolare costruito in onore di Costantino, sul quale si apriva il secondo degli edifici del senato, poi due importanti nodi stradali, il Tetrapylon, dove la Mese incrociava un decumano, e il Philadelphion, dove la strada si biforcava in due rami. Il ramo meridionale si dirigeva verso la porta principale delle mura (Porta d’Oro), mentre il ramo settentrionale raggiungeva un’altra porta passando dinanzi all’importante complesso religioso dedicato ai ss. Apostoli, cui era annesso il mausoleo dello stesso Costantino.
L’età di Teodosio II (408-450) è legata in primo luogo alla costruzione della nuova cinta delle mura terrestri, erette a partire dal 413 e che costituirono ancora in epoca ottomana il cardine del sistema difensivo di Istanbul. Le mura teodosiane si dispongono lungo un arco di cerchio a una distanza di circa 5,5 km dall’estremità della penisola su cui sorge la città; partendo dalla costa della Propontide, esse si sviluppano verso nord per oltre 5,6 km fino a raggiungere il quartiere delle Blacherne. La cinta teodosiana presenta una peculiare articolazione strutturale: un fossato artificiale, una prima area scoperta, l’antemurale fiancheggiato da 92 torrette, una seconda area scoperta e infine il muro principale, alto circa 11 m, dotato di un cammino di ronda e difeso da 96 torri di forme diverse. In questo tratto delle mura si aprivano inoltre 10 porte principali, cui si aggiungevano un consistente numero di posterule che davano accesso agli spazi aperti tra le mura e il fossato. Il Chronicon Pascale e lo Pseudo-Codino riferiscono a Teodosio II anche la costruzione delle mura lungo i lati prospicienti il mare, ma questo dato non sembra trovare riscontro in altre fonti e nell’evidenza dei resti conservatisi. Ancora più controversa appare la questione per quel che riguarda il sistema difensivo lungo il Corno d’Oro, costituito da un muro singolo, alto circa 10 m, rinforzato da circa 110 torri e provvisto di 14 porte. Rimangono infatti ancora da verificare sul terreno le ipotesi che, sulla base di notizie riportate dalle fonti, riconducono la costruzione di questo tratto delle difese cittadine a una fase addirittura successiva alla grande stagione giustinianea.
Il più importante asse stradale della città continuava a essere rappresentato dalla Mese, i cui rami meridionale e settentrionale vennero prolungati fino a raggiungere la nuova cinta, rispettivamente in corrispondenza della Porta d’Oro e di quella di Adrianopoli, e sul cui asse principale sorgevano una serie di piazze. Intorno all’antico Tetrastoon (noto anche come Augusteion) sorgevano gli edifici monumentali più importanti: a sud si apriva infatti la Chalkè, il monumentale vestibolo che dava accesso al Grande Palazzo imperiale; a est sorgevano il senato e il complesso detto “della Magnaura” (anch’esso facente parte del palazzo); a nord, già a partire dall’epoca di Costanzo II (337-361) sorgeva la chiesa di S. Sofia, mentre a ovest si staccava appunto la Mese il cui inizio era marcato dalla presenza del monumentale tetrapilo del Milion. Procedendo verso ovest il percorso della Mese era scandito dal foro circolare di Costantino, il cui centro era segnato dalla grande colonna onorifica in porfido ancora in parte conservata, poi dal foro di Teodosio I, detto anche Forum Tauri, quindi, dopo la biforcazione del Philadelphion, dal Forum Bovis e quindi dal foro di Arcadio.
Il centro monumentale della città ruotava intorno a tre edifici particolarmente importanti: il palazzo imperiale, l’Ippodromo e la chiesa di S. Sofia. Il Grande Palazzo sorgeva fin dall’epoca costantiniana (anche se non si può escludere una prima fase severiana) all’estremità della penisola, su di un grande terrazzamento prospiciente il Mar di Marmara. Le indagini archeologiche condotte a partire dai primi decenni del XX secolo hanno potuto chiarirne solo in minima parte la disposizione e l’effettiva consistenza, anche se i limiti del complesso risultano ben definiti dalla presenza di altri grandi monumenti pubblici: verso nord-ovest l’Ippodromo e le grandi terme di Zeuxippo; verso nord-est la piazza dell’Augusteion e, al di là di questa, la S. Sofia e il senato; verso sud-ovest il palazzo del Boucoleon e il quartiere di Hormisdas, mentre verso est e sud i grandi terrazzamenti si affacciavano direttamente sul mare. Gli edifici all’interno sono in gran parte noti solo attraverso fonti numerose ma spesso imprecise. Sul lato settentrionale del palazzo, rivolta verso l’Augusteion, si apriva la Chalkè, un edificio di impianto quadrangolare, ricostruito in seguito da Giustiniano, che prendeva il nome dalla grande porta bronzea destinata a mettere in comunicazione il palazzo con l’area della S. Sofia. Attraversata la Chalkè, si giungeva alle scholae dei corpi di guardia e quindi a una serie di sale di rappresentanza che conducevano direttamente al palazzo di Daphnè, di fondazione costantiniana, che costituiva ancora in età teodosiana il nucleo centrale dell’intero complesso.
Già con Giustino II (565-578) venne però portata a termine la costruzione del Crisotriclinio, la grande sala ottagonale cupolata e dotata di un’esedra destinata a ospitare il trono imperiale, che il De caeremoniis attesta come vero cuore del palazzo e che comunicava attraverso una serie di ambienti intermedi con la tribuna imperiale (kathisma), posta lungo il lato orientale dell’Ippodromo. La zona meridionale del palazzo sembra avesse invece una connotazione più spiccatamente religiosa, mentre la zona nord-orientale era occupata dal complesso della Magnaura, utilizzato come luogo di ricevimento degli ambasciatori stranieri. La costruzione dell’Ippodromo (dal quale molti ritengono che provenissero i cavalli bronzei di S. Marco a Venezia), avviata sotto Settimio Severo, venne portata a termine in età costantiniana. Benché le indagini archeologiche degli anni Venti e Trenta del Novecento ne abbiano interessato solo una parte limitata, le fonti letterarie e iconografiche permettono di riconoscerne l’impianto tradizionale con la doppia corsia separata dalla spina (decorata da una imponente collezione di colonne e obelischi portati a C. dalle diverse regioni dell’Impero) e conclusa verso nord-est dai carceres e all’estremità opposta dalla grande curva della sphendonè.
Il terzo grande polo del centro monumentale della C. protobizantina e bizantina era costituito dalla chiesa della S. Sofia. L’avvio dei lavori di edificazione si deve probabilmente già a Costantino, anche se la prima chiesa – che le fonti consentono di ricostruire ipoteticamente come impianto basilicale a tre o cinque navate, coperto a tetto e forse dotato di gallerie – venne consacrata solo nel febbraio del 360 sotto Costanzo II. Le fonti e gli scarsi dati archeologici non consentono di stabilire quanta parte della chiesa originaria andò distrutta in un incendio del 404 e non è quindi possibile determinare se il successivo intervento di Teodosio II, culminato con la riconsacrazione del 415, sia consistito in un semplice restauro o in una radicale ricostruzione. All’epoca teodosiana debbono comunque essere certamente assegnati i resti del monumentale portico colonnato venuto alla luce nel corso degli scavi condotti nell’area antistante l’esonartece della chiesa attuale, mentre probabilmente ancora al IV secolo risale la costruzione dello skeuophylakion che sorge accanto all’angolo nord-orientale dell’edificio.
Ai decenni centrali del V secolo si datano inoltre una serie di importanti chiese (S. Giovanni di Studio, Theotokos Chalkoprateia, basilica del Topkapı Sarayı) in cui il tradizionale impianto basilicale appare aggiornato attraverso una serie di soluzioni peculiari: l’adozione di un impianto rettangolare sensibilmente raccorciato nel suo asse longitudinale e ampliato in quello trasversale, con la navata centrale fortemente dilatata in larghezza; la presenza di un’abside semicircolare all’interno e poligonale all’esterno, che segna il debutto di una tipologia che ebbe in seguito grande fortuna nel mondo bizantino; infine la creazione di un sistema di accessi assai articolato, forse da mettere in connessione con le necessità della celebrazione liturgica. Per quanto concerne le infrastrutture urbane, a partire dalla seconda metà del IV secolo si moltiplicano le installazioni portuali sulle rive della Propontide e del Corno d’Oro, destinate a ricevere le enormi quantità di derrate alimentari provenienti soprattutto dall’Egitto. L’insufficiente acquedotto venne sostituito da quello fatto costruire da Valente nel 373, mentre, in epoche diverse, vennero allestite tre enormi cisterne scoperte (dette “di Ezio”, “di Aspar” e “di S. Mocio”) che da sole garantivano una riserva idrica pari a oltre 1.000.000 di m3, più un numero imprecisato di cisterne coperte. Fra la metà del V secolo e la metà del successivo, prima della grande peste del 542 che dimezzò la popolazione, si colloca infine probabilmente il momento di massimo sviluppo demografico della città, che raggiunse in questo periodo il numero di circa 300.000 abitanti.
Il primo libro del De aedificiis di Procopio attribuisce a Giustiniano restauri, ricostruzioni e nuove edificazioni di importanti monumenti civili, a partire dalla ricostruzione del vestibolo del Grande Palazzo, delle terme di Zeuxippo e di una delle sedi del senato, distrutti dall’incendio del 532, per giungere all’edificazione di enormi cisterne, di portici, di ospedali e di palazzi urbani e suburbani. Benché rilevanti, tali interventi appaiono certamente minoritari rispetto al grande impulso che gli imperatori della prima metà del VI secolo (Anastasio, Giustino I e Giustiniano) diedero all’edilizia religiosa. Il catalogo di Procopio assegna alla sola committenza giustinianea l’edificazione di 33 chiese, vale a dire circa il doppio di quelle attestate un secolo prima dalla Notitia Urbis Constantinopolitanae. Questo processo di rapida cristianizzazione degli spazi pubblici appare evidente anche su scala urbanistica: due dei nuclei fondamentali della città antica e tardoantica, quello ruotante intorno all’Augusteion, al Grande Palazzo e all’Ippodromo e quello circostante il Philadelphion, appaiono infatti in questa fase oggetto di uno specifico interesse, che si traduce in un moltiplicarsi di grandi fondazioni religiose. Testimoni principali di questo processo sono innanzitutto S. Sofia e S. Irene poste sull’acropoli, entrambe interamente ricostruite subito dopo le devastazioni seguite alla rivolta di Nika del 532, che andarono a inserirsi come elementi dominanti in un panorama caratterizzato dalla presenza di un gran numero di edifici minori sedi di istituzioni caritatevoli.
Un fenomeno analogo si evidenzia nei quartieri centrali della città, nelle adiacenze dell’antico Philadelphion dove le indagini archeologiche degli anni Sessanta del Novecento hanno portato all’individuazione del nucleo religioso di S. Polieucto. Edificata tra il 524 e il 527 su commissione della ricca aristocratica Anicia Giuliana, la chiesa andò totalmente distrutta probabilmente alla fine del XII secolo. Nessuna traccia archeologica è invece finora riemersa della grande chiesa dedicata ai ss. Apostoli, ricostruita sul sito dell’omonimo complesso di età costantiniana, il cui impianto a croce libera con copertura a cupole, destinato a divenire un modello per molti edifici cristiani, è comunque ricostruibile sulla base della precisa descrizione fattane da Procopio (Aed., I, 4, 9-18). Per quanto riguarda l’edilizia civile, oltre agli interventi all’interno del Grande Palazzo, particolare rilievo assunsero la ristrutturazione e l’annessione al palazzo del Boucoleon, posto lungo le mura marittime della Propontide e residenza privata di Giustiniano, di cui si conservano ampi resti della facciata prospiciente il mare. Alla committenza giustinianea va infine assegnata anche la realizzazione delle due grandi cisterne coperte note con i nomi turchi di Yerebatan Sarayı e di Binbirdirek, grandi spazi ipogei, scanditi in moduli quadrangolari da serie di colonne di reimpiego che sorreggono volte a crociera in mattoni.
La profonda crisi attraversata dall’impero bizantino nel VII e VIII secolo sembra segnare anche la storia urbana della capitale. I dati desumibili dai materiali ceramici degli scavi del S. Polieucto testimoniano di un sensibile decremento della circolazione delle merci, anche se non sembrano registrarsi brusche cesure nel modello di approvvigionamento della capitale. D’altro canto, la fonte principale per quest’epoca, le Parastaseis Syntomoi Chronikai, restituisce l’immagine di una città in grave decadenza. Il secondo quarto del IX secolo dovette segnare una prima inversione di tendenza. Ricca e articolata sembra essere l’opera di Basilio I (867-886), cui possono essere riferiti, secondo l’anonimo continuatore di Teofane, ben 31 interventi su edifici religiosi, a cominciare dall’edificazione della Nea Ekklesia dedicata alla Vergine (880), posta nella zona meridionale del palazzo imperiale, che le fonti permettono di ipotizzare con pianta a croce greca coperta da cinque cupole. Solo agli inizi del X secolo, e quindi nel momento forse più alto del rinnovamento complessivo legato alla dinastia macedone, si datano i primi due edifici religiosi conservatisi di questa fase, entrambi legati in diversa misura alla cerchia imperiale: la chiesa settentrionale del monastero di Costantino Lips (Fenari Isa Camii), dedicata nel 907, e quella del Myrelaion (Bodrum Camii), fatta costruire intorno al 920 dall’imperatore Romano I Lecapeno. Il complesso voluto da Costantino Lips, alto ufficiale al servizio di Leone VI (886-912), ubicato nel settore centro-occidentale della città, segna il definitivo consolidarsi della pratica della costruzione di monasteri urbani legati alla committenza aulica. La chiesa del Myrelaion, che sorge nel moderno quartiere di Aksaray, nell’area compresa tra il segmento centrale della Mese e la Propontide, venne fondata come cappella annessa alla residenza privata dell’imperatore Romano I Lecapeno, sfruttando in parte, al pari del palazzo cui era collegata e oggi perduto, i resti di un edificio di V secolo.
I cento anni di regno dei tre grandi esponenti della dinastia comnena, Alessio I (1081-1118), Giovanni II (1118-1143), Manuele I (1143-1180), coincisero con un periodo di notevoli trasformazioni del tessuto urbano di C., rese evidenti in particolare da due fenomeni tra loro strettamente collegati: il progressivo abbandono del Grande Palazzo in favore della nuova residenza imperiale fatta costruire nel quartiere delle Blacherne – di cui non rimangono tracce archeologiche certe – e lo sviluppo dei quartieri settentrionali della città prospicienti il Corno d’Oro a scapito di quelli meridionali affacciati sul Mar di Marmara. Lo spostamento della sede imperiale all’estremità nordoccidentale della città non fu estraneo alla grande rivitalizzazione che vissero in quest’epoca i quartieri settentrionali di C. e che è dimostrata dall’ubicazione delle nuove chiese: l’aula dedicata al Cristo Philanthropos costituisce l’unica testimonianza di intervento nei quartieri occidentali e meridionali della città, mentre tutti gli altri edifici religiosi di quest’epoca – Vefa Kilise Camii, complesso del Pantokrator, Cristo Pantepoptes e S. Maria Pammakaristos – appaiono infatti concentrati sulle alture che dominano il Corno d’Oro. A questo fenomeno dovettero concorrere più cause: l’affermarsi di nuovi assi viari sulla direttrice che collegava il Grande Palazzo alle Blacherne; lo sviluppo dell’urbanizzazione civile e di una nuova vocazione mercantile nei quartieri a sud e a nord del Corno d’Oro; l’attrazione ancora esercitata dal grande polo religioso dei Ss. Apostoli, sia pure in rovina. Ancora in quest’area insistono infine le due chiese conosciute con i nomi turchi di Gül Camii e di Kalenderhane Camii e il nucleo originario del Salvatore in Chora, la cui datazione a epoca comnena può essere stabilita sulla base dell’esame della tecnica costruttiva.
Dopo la fase di stasi coincisa con il sessantennio della dominazione latina, che non lasciò nel panorama costantinopolitano tracce significative, se non quelle della sistematica sottrazione di opere d’arte, la riconquista della capitale da parte degli esponenti della dinastia paleologa segna una nuova fase dell’evoluzione urbana, contrassegnata da tre fenomeni concomitanti. In primo luogo la nascita di un nuovo insediamento satellite nel quartiere di Pera, sulla costa settentrionale del Corno d’Oro, assegnata ai Genovesi in cambio dell’aiuto prestato ai Paleologhi nella riconquista della capitale. Dotata di una autonoma cinta di mura a partire dal 1335 e poi ampliata dopo il 1348, la colonia genovese assunse un carattere di entità urbana autonoma. Per quanto riguarda l’antico centro monumentale, le sparse notizie delle fonti sembrano indicare il completamento di un processo di occupazione dei grandi spazi aperti dei monumenti antichi, con un sostanziale rovesciamento del rapporto tra spazi liberi e spazi edificati. Al definitivo abbandono dell’antico centro direzionale ruotante intorno al Grande Palazzo fa infine riscontro lo spostamento nella fascia a ridosso delle mura teodosiane e soprattutto nell’area delle Blacherne dei nuovi insediamenti privilegiati. Le mura terrestri furono oggetto di una lunga serie di restauri, in particolare in corrispondenza della Porta d’Oro e lungo il tratto settentrionale, puntualmente testimoniati dalle iscrizioni, che assegnano un ultimo intervento all’epoca di Giovanni VIII (1425-1448). Subito a ridosso delle mura, a non grande distanza dal palazzo comneno delle Blacherne, il figlio di Michele VIII, Costantino, fece edificare un nuovo palazzo, noto con il nome turco di Tekfur Sarayı. Si tratta di un edificio di pianta rettangolare, articolato su tre piani, che costituiva la parte nobile di un complesso di maggiori dimensioni disposto intorno a un vasto cortile ricavato riutilizzando un tratto delle mura terrestri, con i cui camminamenti era posto in diretta comunicazione. Sempre a ridosso delle mura sorge anche la chiesa del Salvatore in Chora, il cui originario impianto del XII secolo venne radicalmente trasformato e ampliato su commissione del gran logoteta Teodoro Metochite, uno dei più alti dignitari della corte paleologa degli inizi del XIV secolo.
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di Michael Rogers
Le fonti suggeriscono l’esistenza di una piccola moschea all’interno del praetorium, accanto al foro di Costantino, eretta forse dietro richiesta dell’ambasceria abbaside dell’860. Probabilmente essa non sopravvisse alla conquista latina del 1204, dato che il viaggiatore Ibn Battuta, che visitò la città nel XIV secolo, non segnala alcun edificio religioso islamico. Nonostante ciò, la diffusa convinzione che voleva C. città musulmana era fortemente radicata e già in periodo omayyade furono lanciate campagne di conquista nel 655 d.C., nel 668 d.C., nel 674 d.C. e nel 715 d.C. A queste campagne fu associato il culto, praticato anche dai primi Ottomani, delle tombe dei compagni del Profeta morti fuori le mura di C. Tra i martiri, uno dei più celebrati fu Abu Ayyub al-Ansari, caduto, secondo alcune fonti, durante l’assedio del 667-673 d.C. La sua tomba, appena fuori le mura settentrionali della città verso il Corno d’Oro, fu rivelata al sultano Mehmet II dal derviscio Akşemseddin e nel 1458 d.C. vi fu edificata una moschea, oggi il santuario di Eyüp. Queste “riscoperte” di luoghi sacri furono piuttosto numerose, in particolare a ridosso del millennio islamico (1591/2), quando vi fu un sollevamento di sentimenti anticristiani, alimentato anche dall’arrivo di musulmani spagnoli cacciati durante la Reconquista cristiana. È interessante notare che la chiesa dei Ss. Domenico e Paolo fu trasformata nella Moschea degli Arabi con il pretesto che in quel luogo, durante l’assedio del 672-679 d.C., era stata fatta erigere una moschea. Questi santuari rafforzavano le rivendicazioni degli Ottomani sui territori conquistati, ma poche sono le prove che luoghi cristiani fossero espropriati a tali scopi.
Il passaggio dalla C. bizantina alla Istanbul ottomana fu determinato dalle circostanze della conquista. Sebbene per vincerne la resistenza la città sia stata saccheggiata per tre giorni, nei secoli successivi i sultani ottomani, per non turbare la convivenza con le comunità non musulmane, spesso diffusero la voce che la città si fosse arresa pacificamente. Essa aveva raggiunto un tale livello di desolazione e decadimento che l’ulteriore danno provocato dall’assedio richiese una serie di misure per renderla nuovamente una capitale vivibile per l’impero di Mehmet II e allo stesso tempo trasformarla in una città islamica. Primo atto fu quello di proclamare un’amnistia: i fuggitivi che fossero rientrati entro un determinato periodo avrebbero potuto rioccupare le loro abitazioni e professare liberamente la propria religione; Greci e Armeni furono incoraggiati a eleggere un patriarca a capo delle rispettive comunità. Sebbene si provvedesse ad assicurare la maggioranza numerica alla popolazione musulmana, si ripopolò la città con genti provenienti da tutti i territori dell’impero, in particolare Greci e Armeni. S. Sofia fu immediatamente proclamata Grande Moschea, seguita da altre chiese bizantine che furono trasformate in moschee; le mura sul mare vennero riparate con urgenza per fare fronte a una possibile minaccia della flotta veneziana, una fortezza fu costruita presso la Porta d’Oro e un palazzo, successivamente chiamato Eski Sarayı, venne edificato nei pressi del Forum Tauri. Non fu un caso che Mehmet II scegliesse di costruire il suo complesso religioso sul sito della chiesa dei Ss. Apostoli, che, sebbene all’epoca in rovina, era stata il mausoleo degli imperatori bizantini. Mehmet II Fatih tracciò la strada alla trasformazione della città bizantina: ripopolò i quartieri e li assegnò ai suoi ufficiali che avrebbero dovuto costruirvi una moschea con edifici annessi e un mercato affinché divenissero il centro religioso ed economico del quartiere. L’unità cittadina fu mantenuta grazie all’utilizzo della Mese bizantina (Divan Yolu), che dava accesso a una fitta rete di strade il cui tracciato irregolare fu scrupolosamente seguito durante la ricostruzione, e alla riappropriazione della zona del mercato e del porto di fronte al Corno d’Oro a cui i quartieri erano intrinsecamente legati. Le modifiche urbanistiche dei secoli successivi furono quasi interamente il risultato di lavori imperiali: la Şehzade (1548); la Süleymaniye (1557) nei terreni dell’Eski Sarayı che, pare, fosse stato danneggiato pesantemente dall’incendio del 1540; la moschea di Sultan Ahmet (1617) nell’Ippodromo presso il Grande Palazzo dei Bizantini; la Yeni Camii (completata da Turhan Valide Sultan nel 1663) sul Corno d’Oro e la Nuruosmaniye (1755) presso il foro imperiale di Costantino.
La storia dei monumenti bizantini in periodo ottomano è esemplificata dalla vicende della chiesa di S. Sofia. Nel decennio successivo alla conquista ottomana sulla chiesa di Giustiniano, unica tra i monumenti bizantini di C., si era accumulato un ricco ventaglio di leggende islamiche: queste combinavano vecchie notizie su C. che nei primi tempi giravano tra i musulmani con un corpo di testi tardobizantini basati sul manoscritto del IX secolo Diegesis perì tes Hagias Sophias, spesso conosciuto come Patria tes Konstantinoupoleos. Una copia in greco prodotta per Mehmet II nel 1474 fu seguita da una traduzione turca del 1479 che fu poi copiata a sua volta e tradotta in persiano. La popolarità di questi manoscritti testimonia quanto S. Sofia, stimolo per gli architetti ottomani come lo era stato per quelli bizantini, fosse centrale nella concezione architettonica ottomana. Storici ottomani, come Selaniki, consideravano il restauro di S. Sofia portato a termine da Sinan come la più importante opera architettonica del regno di Selim II.
Particolarmente significative erano le associazioni che S. Sofia aveva col tempio di Salomone. Il tempio di Adriano a Cizico (Edincik/Aydincik), ad esempio, saccheggiato da Giustiniano per recuperare il marmo per S. Sofia e successivamente da Süleyman per il complesso a suo nome, era ritenuto un palazzo eretto per Salomone. Così si pensava che S. Sofia fosse stata costruita sulle prigioni da lui create per i jinn ribelli (certa è la confusione con le vicine cisterne sotterranee a colonne). Al momento della conquista S. Sofia conteneva un enorme numero di reliquie e icone: molte di queste caddero nelle mani di Mehmet II, sebbene nessuna di esse sia stata conservata fino ai nostri giorni. Il sultano le sostituì con trofei islamici, tra cui gli stendardi della conquista di C. e un tappeto da preghiera che si riteneva fosse appartenuto al Profeta. Nel 1526 il sultano Süleyman installò due grandi candelabri di bronzo provenienti dalla cattedrale di Budapest. Sopravvissero altresì alcune leggende bizantine, come la leggenda che vedeva le porte della chiesa costruite con il legno dell’Arca di Noè.
In periodo ottomano S. Sofia subì diverse modifiche. Furono aggiunti quattro minareti: il primo all’angolo sud-est eretto da Mehmet II (prima del 1481), quello a nord-est da Beyazit II (1481-1512) o, più probabilmente, da Selim II, e i due a nord-ovest e a sud-ovest furono completati durante il restauro di Sinan cominciato nel 1573 e completato sotto Murat III. Il minareto originale si trovava sopra la torre della scala meridionale che fiancheggiava la grande finestra occidentale. S. Sofia divenne poi il luogo prediletto dei mausolei imperiali. Per costruire quello di Selim II (terminato da Sinan nel 1576/7) fu necessario demolire parte del palazzo del patriarca che era presso la chiesa. Poi seguirono i mausolei di Murat III (realizzato dal successore di Sinan, Davud Ağa, dopo il 1595) e di Mehmet III (1608). Il battistero fu convertito in una tomba per Mustafa I e successivamente per Sultan Ibrahim. Una veduta di J. Grelot (1680) mostra l’atrio della chiesa come un giardino e i mausolei nella zona meridionale recintata da un muro. Nel 1738 la navata sud-occidentale della chiesa fu trasformata da Mahmud I in una biblioteca. All’esterno, sempre sul lato sud-occidentale, alla metà del XVIII secolo furono costruiti una scuola coranica e una fontana per le abluzioni. Alla metà del XIX secolo nell’atrio si trovava una medrese (ar. madrasa).
Nel 1847 l’edificio fu ristrutturato da Gasparre e Giuseppe Fossati, che aggiunsero la camera del sultano nell’esedra nord-orientale, a cui si accedeva dall’antico portico, e posizionarono nei pendenti della cupola i grandi dischi calligrafici realizzati da Kazasker Mustafa Izzet Efendi. Il mihrab (ar. miḥrāb, nicchia di preghiera), il minbar (pulpito da cui l’imām dirige la preghiera) e due gigantesche urne di marmo nell’esedra occidentale furono installati durante il restauro di Sinan (1573-1576) sotto Murat III. I mosaici di S. Sofia in periodo ottomano hanno storie diverse: Mehmet II risparmiò quelli della cupola e dei pendenti, ma fece ricoprire con l’intonaco i mosaici nella parte inferiore dell’abside dove poi fece inserire il mihrab. Un registro in cui vengono citati i lavori di pittura del mobilio, di restauro delle iscrizioni, di rivestimento con piastrelle ceramiche del mihrab, che ancora reca la data del 1607/8, c’informa che l’esterno e l’interno della chiesa dovevano essere imbiancati: altri mosaici, tra cui quello che raffigurava il Pantokrator nella cupola, furono quindi ricoperti, sebbene, come dimostrano i disegni di J. Grelot e di Loos (1710/1), altri mosaici rimasero ancora visibili. Lo spazio occupato dal Pantokrator fu lasciato bianco e l’odierna iscrizione coranica risale al tardo XVIII secolo. Alcuni mosaici dovettero essere presumibilmente coperti quando Sinan restrinse le aperture delle finestre per stabilizzare la costruzione. I rimanenti furono imbiancati tra il 1740 e il 1755 e fu necessario attendere la trasformazione dell’edificio in museo nel 1934 per poterli esibire nuovamente senza restrizioni.
Durante l’occupazione latina il centro cittadino si era spostato verso occidente lasciando la zona del Serraglio largamente svuotata. Al momento della conquista la chiesa di S. Irene non fu trasformata in moschea forse anche perché era l’unico monumento ancora agibile e fu quindi utilizzato come arsenale imperiale. Dopo la conquista la spina dell’Ippodromo continuò a essere utilizzata per esibire trofei. Altri monumenti pubblici bizantini come le varie colonne, tra cui quella di Costantino, la colonna dei Goti e la colonna tortile di bronzo, non furono danneggiati. Sebbene materiali di spoglio recuperati da monumenti bizantini fossero utilizzati in gran copia e incorporati negli edifici ottomani, non vi è motivo di ritenere che questa pratica nascondesse un significato politico. La richiesta di materiali da costruzione, in particolare di marmo, aumentò a causa della scarsità dovuta alla inattività delle cave di Marmara dal periodo di Giustiniano fino all’epoca di Murat III. Questo spiega il saccheggio di molti monumenti in rovina come il monastero di S. Giorgio alla Mangana. Nel 1750 due sarcofagi di porfido e un coperchio di sarcofago in breccia verde furono portati alla luce durante i lavori nelle cucine del secondo cortile del Topkapı Sarayı.
Dopo la caduta dell’Egitto nelle mani dei Persiani prima, degli Arabi poi, la breccia verde cominciò a essere utilizzata per i sarcofagi imperiali. Altri sarcofagi intatti, oggi al Museo Archeologico di Istanbul, e l’uso di ambedue i materiali per i rivestimenti marmorei delle stanze del Padiglione del Sacro Mantello e del Revan Köşkü, ambedue nel Topkapı Sarayı, indicano che forse già dal regno di Mehmet II il palazzo fosse un deposito di marmi pregiati. Da qui provenivano sicuramente le gigantesche rotae di porfido utilizzate per la Süleymaniye (1557) i diametri delle quali, rispettivamente 2,65 m e 3,08 m, suggeriscono colonne alte dai 17 ai 21 m. L’utilizzo di materiale di spoglio per la Süleymaniye fu così consistente da far credere che il sultano avesse in mente l’esempio di Giustiniano il quale, per la realizzazione di S. Sofia, aveva ampiamente saccheggiato i templi pagani. Un caso più ambiguo è rappresentato dall’utilizzo di due grandi pannelli di marmo iscritti con gli editti del concilio del 1166 per rivestire la tettoia del portico del mausoleo di Süleyman; poiché le iscrizioni non erano visibili è probabile che il motivo della scelta fosse dipeso solo dalla loro dimensione. Oggi sono ritornati all’esonartece della chiesa di S. Sofia. L’origine dei materiali di spoglio reimpiegati in edifici ottomani è per lo più difficilmente identificabile, ma frammenti della colonna di Teodosio presso il Forum Tauri erano stati riutilizzati nelle fondazioni e nei bagni del complesso di Beyazit II; la colonna era crollata in seguito a un temporale nel 1517, sebbene il Forum Tauri fosse già da molto tempo utilizzato come una cava di marmi.
Per quanto riguarda le ricerche archeologiche sulla Istanbul ottomana, queste sono nate da scavi fortuiti e sono scarsamente pubblicate. Nel tardo XV secolo la zona in cui, in epoca giustinianea, era sorta la chiesa di S. Polieucto fu rioccupata e nella parte meridionale fu costruita una moschea, la Karagöz Camii (demolita nel 1940). L’occupazione ottomana del sito è testimoniata da abbondanti ritrovamenti di ceramica “di Iznik”, celadon cinese e maiolica italiana, oltre a numerosi depositi, pozzi o buche; il ritrovamento di monete ottomane è singolarmente scarso. Il gruppo di ceramica non invetriata, di cui una gran quantità a impasto siliceo, comprende anche pipe da tabacco. Tra le prime ceramiche invetriate compaiono in gran numero quelle cosiddette “di Mileto” (alcune sicuramente provenienti da Akçaalan, nei pressi di Ezine nella Troade), alcune delle quali con una decorazione molto simile alla ceramica del XV-XVI secolo di Kubaçi dipinta in nero su turchese. Le tipologie “di Iznik” sono tutte ben rappresentate fatta eccezione per quelle dipinte con il rosso ceralacca; ceramiche di Kütahya precedenti il 1700 sono state ritrovate in abbondanza e sono altresì presenti testimonianze di importazioni da Dimetoka (Didymoteichon in Tracia). La porcellana cinese è costituita soprattutto da prodotti d’importazione del XVI e XVII secolo.
Gli scavi nella chiesa bizantina del Pantokrator (Zeyrek Camii), datata al 1120-1136, hanno riportato alla luce vetri colorati, probabilmente attribuibili al XII secolo, e frammenti di cristallo di rocca fatimide, prova evidente che al momento della dispersione del tesoro fatimide del Cairo negli anni Sessanta dell’XI secolo alcuni cristalli di rocca furono portati a C. La chiesa del Myrelaion (Bodrum Camii) subì dei danneggiamenti nel grave incendio del 1203, come attestano i livelli stratigrafici, e fu ristrutturata intorno al 1300, quando fu aggiunta una cappella funeraria. Secondo una teoria, l’edificio fu convertito in una moschea da Atik Ali Paşa (m. 1501), ma, fatta eccezione per l’aggiunta del minareto, non subì modifiche strutturali. Il rinvenimento più significativo, portato alla luce nella rotonda adiacente alla Bodrum Camii, fu il frammento mancante della statua di porfido, ora inserita nella facciata sud-occidentale di S. Marco a Venezia, nota come “ritratto dei tetrarchi” (sebbene l’identificazione sia tuttora discussa) che si era a volte ritenuta proveniente dal Philadelphion.
La ceramica ottomana rinvenuta è databile al XV - inizi XVI secolo ed è stata trovata insieme a porcellana cinese bianca e blu e maiolica italiana. Scavi condotti tra il 1966 e il 1979 nell’edificio oggi identificato come chiesa della Vergine Kyriotissa (Kalenderhane Camii) hanno dimostrato, grazie al rinvenimento di ceramica sigillata, che la struttura predata la conquista latina di C. Secondo l’atto di fondazione Mehmet II la donò alla congregazione mistica dei dervisci kalender. Sebbene agli inizi fosse solo un convento per dervisci (zaviye) con associata una mensa pubblica con cucine (imaret), fu presto trasformata in moschea e coabitata, non è chiaro in che termini, da una confraternita di dervisci mevlevi. Tra i padiglioni a torre del Topkapı Sarayı che si trovano nella quarta corte, l’edificio rettangolare detto Hekimbaşı/Başlala Kulesi, con muri spessi 1,7 m, è antico e il suo reimpiego data al periodo di Mehmet II. Le costruzioni ottomane realizzate sulle mura romane e bizantine includevano un padiglione a torre ordinato dall’architetto di corte, Davud Ağa, a nord dello Yalı Köşkü, il Sepetçiler Köşkü (1643), costruito probabilmente su un padiglione a torre di Beyazid II, e l’Incili Köşkü (1591), costruito per Murad III da Davud Ağa alle spese del gran visir Sinan Paşa.
All’arrivo degli Ottomani il Grande Palazzo degli imperatori bizantini era in condizioni rovinose e Mehmet II scelse un’area differente per l’erezione del suo palazzo. Persino il Tekfur Sarayı, che era stato ristrutturato nel 1262-1271 e successivamente abitato dagli ultimi imperatori bizantini, fu trascurato nonostante il buono stato di conservazione. Alla fine del XV secolo vi furono installate alcune famiglie ebree giunte da Salonicco e nel XVI secolo il serraglio del palazzo fu trasferito in una cisterna adiacente. Sulle mappe del corso d’acqua del Kírkçeşme- Kağıthane, datate al 1568/9, è segnato in questa zona un laboratorio di manifattura di piastrelle: l’utilizzo di queste ceramiche per scopi ufficiali sembra non precedere il 1719 quando il gran visir, Damad Ibrahim Paşa, vi installò ceramisti provenienti da Iznik.
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di Maria Antonietta Marino
Sebbene gli Ottomani avessero già intrapreso l’occupazione dei territori europei con la presa di Edirne del 1361, la conquista di Costantinopoli fu ritardata dalle invasioni di Timur Lang (Tamerlano, 1370-1405), il quale, a cavallo tra XIV e XV secolo, si era impadronito dell’Anatolia e aveva interrotto l’avanzata ottomana in Occidente. La città di Costantinopoli fu definitivamente conquistata nel 1453 sotto il comando del sultano Mehmet II Fatih, o “il vincitore” (1444/5; 1451-1481).
Nel preparare l’assedio Mehmet II fece costruire in meno di cinque mesi un’imponente fortezza sulla sponda europea del Bosforo, a nord della città, in corrispondenza di quella eretta alla fine del XIV secolo sulla sponda asiatica da Beyazit I. La fortezza, detta Rumeli Hisar, ha una pianta irregolare dominata da tre torri circolari collegate da una muraglia: da qui una guarnigione di giannizzeri controllava, con la minaccia di potenti cannoni, il passaggio sul Bosforo. Primo atto di occupazione urbanistica del territorio della nuova capitale fu la costruzione, nel 1463-1470, su una collina visibile da gran parte della città, della moschea a nome del conquistatore Mehmet II, la Fatih Camii. Questa era circondata da un complesso di edifici a essa associati tra cui comparivano scuole (medrese), ostelli (tabhane), ospedali (bimarhane), bagni (hamman, ar. ḥammām), mense (imaret).
Il palazzo del Topkapı Sarayı fu fondato da Mehmet II e concepito inizialmente come sede del governo. Ancora oggi si conservano alcune costruzioni del XV secolo come la porta della prima corte, la Babi Hümayun (o Sublime Porta), alcune cucine, il Tesoro, costruito nel 1468 e certamente uno dei più raffinati padiglioni fatti costruire da Mehmet II, e infine due appartamenti, successivamente inglobati in altre costruzioni. Uno dei migliori esempi di architettura civile dell’epoca è rappresentato dal Çinili Köşkü (o Padiglione delle Ceramiche), un edificio a pianta quadrata con impianto a croce decorato esternamente da un rivestimento di piastrelle che trova i suoi modelli più prossimi in simili architetture persiane e centro-asiatiche.
Il regno di Beyazit II (1481-1512) vide la creazione di alcuni dei capolavori che possono essere considerati il preludio al periodo classico dell’architettura ottomana. La moschea fatta costruire da Beyazit II a Istanbul tra il 1501 e il 1506 fu la conclusione di quell’attività edilizia sperimentale da questi intrapresa nelle città di Edirne, Amasya e Tokat. A questo periodo di sperimentazione architettonica appartiene la moschea del successivo sultano ottomano, Selim I (1512-1520), fondata da quest’ultimo, ma terminata in suo onore dal figlio Süleyman, il futuro Solimano il Magnifico (1520-1566), nel 1522. Ma la gloria dell’impero, che ormai stava per raggiungere l’apice della sua potenza, doveva essere celebrata dalle opere monumentali del più noto architetto ottomano, Sinan. Di origini probabilmente balcaniche, aveva preso servizio nei corpi militari come ingegnere, esperienza che gli valse una straordinaria capacità nel risolvere i problemi strutturali causati dai terreni più difficili. Con varie opere architettoniche sparse nei territori dell’impero si conquistò in breve tempo la fama di grande architetto, ottenendo presto il titolo onorifico di Architetto dell’Impero. Con questa carica gli venne affidato il compito di costruire il complesso monumentale dedicato dal sultano Süleyman al figlio primogenito defunto, Şehzade Mehmet.
Il vasto insieme edilizio, terminato nel 1548, comprendeva la moschea, il mausoleo di Şehzade, una medrese, un mekteb (scuola coranica per bambini) e un imaret. Nonostante le novità e le soluzioni architettoniche più armoniose, Sinan doveva ancora cimentarsi con le possibilità offerte da un progetto di così grande portata come quello che gli verrà assegnato dal sultano Süleyman per costruire il più grande complesso della capitale.
L’impero aveva raggiunto all’epoca la sua maggiore espansione territoriale e accumulato ingenti ricchezze. Per il sultano Süleyman, ormai cinquantaquattrenne, ritirato dalla vita militare dopo le sue vittoriose campagne e dedito al governo del suo immenso impero, era giunto il momento di celebrare la gloria con una fondazione a suo nome. Questa doveva risultare nel più imponente complesso architettonico mai realizzato nei territori imperiali e la scelta del luogo cadde sulla terza collina di Istanbul; questo era infatti il punto più visibile per chiunque giungesse a Istanbul dal mare, affacciato com’è sul Corno d’Oro e su Galata, centro degli affari e cuore palpitante di traffici e commerci allora come oggi. Quando, nel 1550, l’architetto dell’impero, Sinan, fu chiamato all’opera, aveva già a suo seguito una équipe di manovali esperti da lui personalmente istruiti durante i lavori precedenti. L’impresa era ardua non solo per le dimensioni, ma per il terreno scosceso su cui dovevano impiantarsi la moschea e tutti gli edifici che l’avrebbero circondata, in particolare sul versante settentrionale che scendeva bruscamente verso il mare. Il genio urbanistico non mancò al famoso architetto che dispose gli altri edifici su terrazze create da sostruzioni a volta, diminuendo proporzionalmente le altezze degli edifici in modo da far risaltare la moschea in tutto il suo splendore.
Al centro di questo complesso, circondata da un recinto, si erge maestosa la moschea di Süleyman, detta per l’appunto Süleymaniye, costituita da una sala di preghiera preceduta da un cortile porticato e dal cimitero recintato. La moschea propone uno schema diverso rispetto a quello centralizzato della Şehzade e recupera, seppure molto liberamente, l’antica pianta di S. Sofia: un immenso spazio su pianta quadrangolare suddiviso da quattro piloni in tre navate di cui quella centrale occupa la maggior parte della sala di preghiera. Dai pilastri partono i quattro archi su cui poggia la grande cupola centrale; i lati nord e sud, sull’asse che dall’entrata conduce verso il miéràb, sono occupati da semicupole, mentre le pareti degli archi laterali sono aperte da numerose finestre che consentono grande luminosità. Le semicupole poggiano a loro volta su esedre angolari. Le navate laterali sono coperte da cinque cupole per lato dalle grandezze diverse, mentre gli spazi angolari della moschea sono valorizzati dalle quattro entrate. Le facciate laterali esterne acquistano maggiore monumentalità grazie ai loggiati a due piani che occupano gran parte delle pareti: sono contenuti lateralmente dai possenti contrafforti che sopportano le spinte della cupola e dai portali d’entrata a triple arcate che occupano le estremità delle facciate. Le diverse misure degli archi, sempre basate su proporzioni armoniche, donano all’insieme un grande senso di movimento.
La decorazione architettonica è di estrema sobrietà e si concede quasi solamente alla policromia della pietra e all’utilizzo di muqarnas. Nonostante i pilastri e la divisione in navate, l’impatto che si riceve all’interno della moschea è di grande spazialità. Nel giardino recintato sul retro della moschea sorgono i mausolei del sultano Süleyman e della moglie Haseki Hürrem. La moschea fu completata nel 1557, dopo solo sette anni dall’inizio dei lavori, ma il mausoleo fu più probabilmente terminato alla morte del sultano nel 1566. Eretto in corrispondenza del mihrab (ar. miḥrāb), con l’entrata sul lato orientale, il mausoleo ha un impianto ottagonale suddiviso esternamente in due piani e coperto da doppia cupola di cui quella interna poggiante su colonne. Ha la particolarità di essere circondato da una veranda con tetto a spiovente sostenuto da colonne. L’interno è ampiamente rivestito di splendide piastrelle di Iznik con motivi floreali su fondo bianco. Anche in questo piccolo gioiello la forza resta nella perfetta geometria delle proporzioni.
L’infaticabile Sinan, oramai apprezzato e riconosciuto da tutti, era costantemente richiesto da vari personaggi della corte in ogni parte dell’impero. Tra le opere successive realizzate nella capitale troviamo la moschea di Rustem Paşa, alto funzionario dell’impero nonché genero del sultano Süleyman che gli aveva concesso in sposa la sua figlia prediletta, Mihrimah Sultan. La moschea, la cui fondazione data al 1561, fonda la sua bellezza non tanto nella sua struttura, quanto nella sua ricchissima decorazione costituita da un abbagliante manto di piastrelle di ceramica che riveste quasi tutte le superfici fino alla partenza degli archi che sostengono la cupola.
La morte del marito non sminuì l’amore di Mihrimah Sultan per l’architettura: la commissione di una moschea alle spalle delle mura teodosiane, vicino alla porta di Edirnekapı, fu l’opera successiva di Sinan. Altro edificio che rivela il genio di Sinan nell’affrontare situazioni difficili è la moschea a lui commissionata da Sokollu Mehmet Paşha, gran visir alla corte del successore di Süleyman, il sultano Selim II (1566-1574).
Il primo grande complesso realizzato dopo la morte di Sinan fu la moschea detta Yeni Valide, commissionata da Safiye Sultan, madre del sultano Mehmet III (1595-1603), sulla sponda del mare di fronte a Galata. Essa venne terminata solo nel 1663.
Ma l’opera più ambiziosa di questo periodo fu certamente la costruzione della nota Moschea Blu, o Sultan Ahmet Camii, voluta, nonostante le opposizioni degli ulema (dottori della legge islamica) e dei visir, dal giovane sultano Ahmet (1603-1617) e portata a termine, dopo sette anni di lavori, nel 1616. La scelta del luogo da edificare cadde sfortunatamente proprio sul lato meridionale dell’Atmeydan (l’antico ippodromo), dove si trovavano la sphendonè bizantina e i palazzi dei visir che, per lasciare spazio all’enorme edificio, fu necessario abbattere. La moschea ha anch’essa una pianta simile a quella della Şehzade.
Una menzione a parte va fatta per il palazzo del Topkapı che, dopo la sua fondazione, avvenuta all’indomani della conquista della città, venne incessantemente ampliato e modificato. Il palazzo ha una struttura a corti che si succedono l’una dopo l’altra ed è formato da vari padiglioni che hanno subito durante i secoli, spesso a causa degli incendi che facilmente divampavano, i più vari rifacimenti. Passata la prima corte, detta “corte dei giannizzeri” poiché questi vi si riunivano quando erano di servizio al palazzo, si arriva alla porta della seconda corte, detta Orta Kapı, la vera porta del Topkapı il cui attraversamento era concesso solo con autorizzazione e obbligatoriamente a piedi. L’immensa corte era adibita a funzioni cerimoniali e in particolari occasioni poteva contenere circa diecimila persone. L’estremità sinistra era occupata dal Divan, o Consiglio Imperiale, edificio a tre cupole che ospitava le riunioni dei visir. Adiacente a esso era il Tesoro, tra i pochi edifici databili al tardo XV secolo, dove confluivano le tasse e i tributi dell’impero. L’ala destra era riservata alle cucine, gran parte delle quali furono ricostruite da Sinan dopo il devastante incendio del 1574. Un portale alla sinistra del Divan dava accesso ai quartieri dell’harem: per un lungo periodo iniziale questa zona non fu parte integrante del palazzo, essendo stato questo disegnato per scopi amministrativi, ma già Süleyman aveva permesso alla moglie favorita, Roxelane, di trasferire qui la sua residenza. Le prime strutture permanenti datano comunque all’epoca di Murat III (1574-1595) e l’iscrizione sul portale reca la data del 1588. Questa era la residenza del sultano, delle sue mogli, delle concubine e della madre, la Valide Sultan, la donna più potente e influente del palazzo.
La terza corte del Topkapı Sarayı si apre direttamente con la Sala del Trono; in realtà la funzione di questo edificio è strettamente legata alle attività che si svolgevano nella seconda corte essendo l’ultimo atto dei consigli vizirali la richiesta di approvazione al sultano delle decisioni concertate. Anche le cerimonie di accoglienza delle missioni diplomatiche terminavano con l’udienza del sultano nella Sala del Trono. Fondata da Mehmet Fatih fu completamente ristrutturata da Selim I (1512-1520) e ripetutamente restaurata. La quarta corte è in realtà un giardino su vari livelli che rappresenta la punta estrema della città di fronte al mare: qui si trovano diversi padiglioni riccamente decorati e una terrazza di marmo, da cui si gode una magnifica vista sul Bosforo, occupata per buona parte da un bacino d’acqua con fontana a cascata. Il padiglione del Rivan Köşkü, fatto costruire dal sultano Murat IV nel 1636 per commemorare la conquista della città caucasica di Erivan, ha una struttura cruciforme ed è all’esterno sfarzosamente ricoperto da lastre di marmi policromi, mentre le pareti interne presentano un rivestimento di piastrelle. Il Sünnet Odası, padiglione costruito dal sultano Ibrahim nel 1641, era adibito a sala della circoncisione: le splendide piastrelle che lo rivestono sia all’interno che all’esterno non risalgono al periodo di costruzione, ma appartengono in buona parte al XVI secolo, periodo di maggior fioritura della ceramica di Iznik. Il Baghdad Köşkü, di maggiori dimensioni rispetto agli altri padiglioni, fu costruito per celebrare la conquista di Baghdad avvenuta a opera di Murat IV nel 1637: realizzato su pianta cruciforme cupolata, è circondato da un elegante portico ottagonale ad arcate su colonne e possiede una raffinata decorazione interna ed esterna. Il Topkapí rimase in uso come palazzo dei sultani ottomani fino al 1855, quando Abdülmecit (1839-61) decise di trasferire la corte nel nuovo palazzo di Dolmabahçe, grande edificio in stile francese fatto costruire sulla riva del Bosforo a nord della città.
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