L'evoluzione costituzionale
I centocinquant'anni racchiusi tra l'inizio del secolo XV e la metà del successivo rappresentano l'epoca più importante e conosciuta nella storia del millenario stato marciano. Furono anni di assoluta - talora si vorrebbe dire febbrile - intensità: la conquista della Terraferma, dominata dall'alta e drammatica figura di Francesco Foscari, il più gran doge che la Repubblica abbia mai avuto, l'interminabile confronto nei Balcani e nei mari del Levante con l'espansionismo ottomano, le rinnovate ambizioni che portarono ai conflitti del Polesine e poi di Rovereto e quindi del Cadore su su fino alla disfatta di Agnadello, seguita dalla puntigliosa ripresa, dalla partecipazione alle guerre d'Italia sino alla loro conclusione segnata dal trionfo di Carlo V e dall'instaurarsi del "sistema" spagnolo sulla penisola. Donde il ripiegare di Venezia in una politica difensiva, l'abile orchestrazione del mito di una repubblica libera moderata virtuosa, e quindi il superamento dei pericoli insiti nelle tensioni religiose (così vive, specie nella vicina Terraferma) ed ancora il rafforzamento interno dello stato, e nel contempo l'esaltante impresa delle bonifiche, la nascita della "civiltà delle ville", l'attiva originale partecipazione alla pienezza culturale del Rinascimento...
Profondamente diversi, dunque, Venezia e il suo stato cinquecentesco, quasi irriconoscibili rispetto alla realtà di fine Trecento: non più una struttura geograficamente proiettata sul mare, ma sulla Terraferma; non dedita esclusivamente ai traffici ma volta all'agricoltura; non infine Comune, ma Dominio.
Eccoci dunque al punto: la metamorfosi verificatasi sul piano economico e politico ebbe analogo riscontro anche su quello costituzionale? Gli ordinamenti statuali conobbero a loro volta un'evoluzione di tanta ampiezza?
Gli studiosi che sinora si sono occupati della questione hanno fornito risposte prudenti, sostanzialmente inclini al negativo: certo, che l'apparato politico-amministrativo dello stato marciano quattrocentesco abbia felicemente accompagnato e sotteso l'organizzazione dei nuovi dominii padani - per limitarsi all'aspetto saliente delle trasformazioni avvenute - è fuori dubbio, altrimenti come spiegare la forza e la vitalità dimostrate dalla Serenissima anche dopo le vicende della lega di Cambrai, e l'ammirazione di cui la costituzione veneziana venne fatta oggetto dai politici e storiografi del primo Cinquecento? Eppure proprio questa costituzione, a ben guardare, non appare poi molto diversa da quella che era stata un secolo e mezzo innanzi, almeno non per quanto concerne le caratteristiche di fondo, lo spirito informativo, le principali magistrature.
"È errore scindere la costituzione veneta da quella comunale, ch'essa in gran parte riproduce": così infatti affermava il Besta, all'incirca un secolo fa, nel suo ormai classico lavoro sul senato veneziano (1); è vero che il contesto si riferiva alla situazione duecentesca, ma è altrettanto assodato che nel prosieguo cronologico del lavoro il Besta ripropose costantemente questa convinzione, la quale oltrettutto venne fatta propria anche dai successivi autori, fossero essi il Maranini, o il Cassandro oppure, in tempi ancor più recenti - ma, va detto, con qualche sfumatura - Giorgio Cracco (2).
Non v'è motivo di dubitare delle conclusioni alle quali pervennero questi studiosi; dopo la serrata del maggior consiglio e la creazione del consiglio dei dieci, nel corso del XIV secolo la struttura politico-amministrativa dello stato marciano non mutò granché: un doge dal potere progressivamente circoscritto continuava a presiedere i massimi consessi della Repubblica, vale a dire il maggior consiglio, il senato, il collegio. Affiancati dalla quarantia, dal consiglio dei dieci e dall'avogaria di comun, nella loro funzione prevalentemente legislativa questi organi rappresentavano il cuore del governo. Non diversamente sarebbe stato anche duecento, trecento anni dopo (3).
Venezia, dunque, come città-stato visceralmente conservatrice?
Questo è senza dubbio un elemento qualificante della sua civiltà e pertanto anche della costituzione, ma a stemperare effetti troppo rigidamente consequenziali di tale assunto, ad impedire insomma una inevitabile sclerosi delle strutture dirigenziali, altre componenti intervennero, di non minore importanza: in primis va ricordato il tradizionale empirismo, la duttilità pratica cui Venezia seppe costantemente ispirarsi, che nella realtà si tradusse in una (lenta) modifica degli equilibri interni circa i rapporti tra i diversi consigli e magistrature, come pure nella creazione di nuovi organi statuali (piuttosto che deliberare l'ampliamento numerico dei membri di quelli preesistenti), in risposta al continuo mutare delle esigenze politiche, sociali ed economiche, a mano a mano ch'esse andavano manifestandosi.
Dunque modifiche nei ruoli, competenze, poteri delle vecchie istituzioni, accompagnate dalla nascita di nuovi strumenti politico-amministrativi; la risposta al quesito se la costituzione di Venezia sia rimasta, dopo la conquista della Terraferma, sostanzialmente uguale a quello ch'essa era prima, limitandosi tutt'al più ad accogliere talune marginali rettifiche, a recepire qualche ininfluente aggiustamento, oppure se i numerosi interventi legislativi che alla fin fine si susseguirono in quest'arco di tempo non abbiano finito per alterarne lo spirito e la natura, questa - risposta dicevo - è racchiusa nella quantificazione (e valutazione) del rapporto che intervenne tra modifica e innovazione, tra prudente adeguamento di vecchie strutture e necessità di ricorrere a diverse creazioni.
Vogliamo allora por fine a tanto discorrere e cercare invece di stabilire, pur con sommaria verifica, se sia ancora possibile prendere per buone le conclusioni alle quali giunsero gli autori nominati qui sopra?
Presupposto il consenso del sempre paziente lettore, ecco il quadro della situazione:
1400: viene istituita la quarantia civile (5); si correggono i capitolari degli uffici (6).
1401: 17/4 gli ufficiali alla messettaria passano da 3 a 4 (7); 31 /7 i capi dei quaranta possano porre "parte" come i consiglieri ducali (8).
1402: 23/4 nasce la cancelleria segreta, separata da quella ordinaria (9).
1403: 20/5 restrizioni nella concessione ai forestieri della cittadinanza veneziana (10); 17/6 si vieta ai patrizi di accettare benefici o feudi da altro principe, e di esercitare l'ufficio di podestà fuori dei dominii dello stato (11); i savi agli ordini compaiono come membri del collegio (12).
1405: 5/11 sono istituiti i provveditori sopra le camere, denominati ufficiali alle ragioni nuovissime (13).
1406: 28/12 gli avogadori di comun controllino i consiglieri ducali, i capi dei quaranta, i rettori (14).
1407: 8/5 i sudditi possano appellarsi agli auditori contro le sentenze dei loro rettori (15); 5/7 le prove di nobiltà siano di competenza dell' avogaria (16); stesso giorno: i forestieri che vengano a risiedere a Venezia e sposino una veneziana, abbiano la sola cittadinanza de intus (17).
1408: 9/12 diminuiti i salari di tutti gli uffici, dopo gli incrementi accordati a causa della guerra (18).
1409: 5/9 si accorda agli Zaratini la cittadinanza de intus (19).
1410: 9/9 estesa la contumacia ai patroni all'Arsenal, ai provveditori alle biave, agli ufficiali alle rason vecchie (20); 29/9 il maggior consiglio avoca a sé l'elezione della zonta del senato, il cui potere aumenta progressivamente (21); 11/12 vengono istituiti tre auditori nuovi, con competenza sulla Terraferma (22).
1411: 12/3 il maggior consiglio riserva alle magistrature veneziane il diritto di appello anche per i sudditi (23); 31/7 il consiglio dei dieci esclude i papalisti dalle votazioni del senato concernenti materia ecclesiastica (24); 7/9 cade la proposta di Antonio Contarini di coinvolgere la nobiltà zaratina nell'amministrazione della Terraferma (25).
1412: 3/7 viene istituito un collegio di cento savi per la guerra, che viene abolito il 21/5 dell'anno seguente (26); 24/10 il senato avoca a sé il controllo sui beni degli ecclesiastici (27).
1413: 21/5 la zonta del senato viene raddoppiata, salendo a quaranta membri (28); 28/12 nel corso della correzione seguita alla morte di Michele Steno, si ampliano le facoltà delle rason vecchie e nuove, e si stabilisce che siano sufficienti due avogadori per incriminare il doge (29).
1414: 18/3 nuove regole per l'estrazione della Balla d'oro (30); 14/6 riforma dell'ufficio dei pesadori dell'argento (31).
1415: 15/2 istituiti pro tempore quattro riformatori dello Studio di Padova (32); 13/4 riforma della dogana da Terra (33); 24/8 riforma dei giudici del piovego (34).
1416: 11/4 contrasto maggior consiglio-senato, al quale resta confermata la competenza in materia di monete e zecca (35).
1417: 4/2 l'elezione dei consiglieri ducali torna di competenza del maggior consiglio, che l'aveva delegata al senato (36); 24/2 si eleggono cinque savi per procedere alla riforma di tutti gli uffici, sia di S. Marco che di Rialto; il 20/6 vengono emanate nuove regole per i giudici del forestier (37).
1418: 1/3 le appellazioni al di là del Quarnaro siano di competenza degli auditori nuovi (38); 17/6 e 26/6 nuove regole per gli auditori vecchi e nuovi (39).
1419: 4/4 ribadita la contumacia per tutti gli uffici (40); 24/6 cancellieri e notai di ambasciatori e rettori siano cittadini originari (41); 10/10 nuove competenze per i consoli dei mercanti (42).
1420: probabile istituzione dei savi di Terraferma (43); tocca al collegio dar vigore ai decreti del senato (44).
1421: 1/3 i salari di curia e cancelleria tornano ai livelli del 1401, che sono partitamente descritti (45).
1422: 26/5 i figli dei patrizi che abbiano contratto matrimonio con donne di bassa condizione siano esclusi dal maggior consiglio (46).
1423: 7/4 il maggior consiglio subentra all'antica "concio" e la signoria al comune (47); 10/6 i consoli dei mercanti passano da tre a quattro (48).
1425: 10/8 i rettori subiscano la contumacia (49); 21/9 viene nuovamente istituito un collegio di cento savi per la guerra, che viene abolito due anni dopo (50).
1428: 25/1 il consiglio dei dieci non possa riunirsi senza i consiglieri ducali (5'); 6/6 vengono istituiti i provveditori (in luogo dei signori) al sal (52); 26/10 sono istituiti i governatori delle entrate (53).
1429: 16/10 si affidano al senato talune riforme giudiziarie (54).
1430: 18/5 vengono nominati tre savi alle Arti (55).
1431: 12/7 i pregadi abbiano almeno trentadue anni (56).
1432: 10/2 vien data facoltà al senato di spedire sindaci inquisitori in Terraferma (57); 23/6 i savi di Terraferma portati a cinque (58).
1434: 2/1 i savi di Terraferma sono aggregati al senato (59).
1435: 21/6 istituiti gli ufficiali alle cazude (60).
1437: 20/7 il doge ottiene il vicariato imperiale su gran parte dei dominii di Terraferma (61); 15/12 istituiti i tre consiglieri inferiori (62).
1439: 6/12 Si abolisce la contumacia per i giudici di petizion (63).
1440: 13/10 vengono eletti tre savi alle acque dolci (64).
1441: 23/4 la quarantia viene divisa in civile e criminale (65); 23/11 si abbassa da 20 a 18 anni l'età per estrarre la Balla d'oro (66).
1442: 25/1 i procuratori di S. Marco sono portati a nove, con obbligo di risiedere in Piazza (67); i savi agli ordini sono aggregati al senato (68).
1443: 13/1 i sindaci e giudici estraordinari passano da tre a sei (69); 6/6 vengono eletti due provveditori ai pozzi e canali (70); 29/6 istituito un nobile per avvocato dei prigionieri (71); 8/11 viene eletta una commissione di diciassette savi alle acque (72).
1444: 10/5 le cariche amministrative di Venezia sono riservate ai cittadini (73); 2/6 le competenze sull'Istria e lo stato da Mar passano dagli auditori vecchi ai nuovi (74).
1445: 12/8 i papalisti vengono esclusi non solo dalle votazioni del senato, ma pure dai dibattiti (75).
1446: 22/5 il maggior consiglio sottrae alla signoria la facoltà di interpretare le leggi (76); 7/6 i provveditori alla giustizia vecchia passano da tre a quattro (77); il consiglio dei dieci proibisce ai patrizi di comunicare con principi o diplomatici stranieri (78).
1449: 30/6 i provveditori sopra le camere assumono questo nome ed estendono le competenze allo stato da Mar (79).
1450: 25/6 tutti gli uffici comportino due specie di contumacie (80); 7/7 precisate le competenze dei signori di notte (81); 29/9 la zonta del senato portata da quaranta a sessanta membri (82); 6/12 castellanie e uffici vengano concessi solo dal maggior consiglio (83).
1452: istituito un provveditore ai boschi (84).
1454: 17/2 i procuratori di S. Marco siano senatori a vita (85).
1455: 21/9 prolungata di un terzo la durata in carica di rettori e titolari di uffici, nel qual tempo debbano servire gratis (86); la permanenza nelle singole quarantie elevata da sei ad otto mesi (87).
1457: 21/10 il consiglio dei dieci decide l'abdicazione del doge Foscari. Nella conseguente "promissione" vien fatto obbligo al serenissimo di ispezionare ogni mese gli uffici del Palazzo (88).
1458: 24/2 limitata l'autorità in materia criminale dei signori di notte (89); 28/6 le competenze dei provveditori ai pozzi e canali passano ai provveditori di comun (90).
1461: 2/8 magistrati e rettori prestino servizio per quattro mesi senza retribuzione (91).
1462: 9/5 Venezia muti titolo da Comune a Dominio (92); 9/5 il doge non riceva ambasciatori se non in presenza della signoria (93); vengono istituite le decime del clero (94).
1463: 25/6 istituiti i savi alle decime (95).
1464: i tre capi della quarantia sono definitivamente esclusi dalle sedute del consiglio dei dieci (96).
1467: 11/5 si concede al senato la massima autorità sulle questioni economiche (97).
1468: 18 e 29/9 si limitano i poteri del consiglio dei dieci, restituendo all'avogaria
la tutela dei privilegi delle comunità di Terraferma (98); 28/10 nuove regole per i cinque alla pace (99).
1469: 25/2 istituiti i provveditori all'arsenale (100) 13/12 nuove regole per il cattaver (101).
1470: 1/7 il maggior consiglio sottrae al senato l'elezione dei sopracomiti (102).
1471: 17/2 la permanenza nelle quarantie è riportata da otto a sei mesi (103); 14/11 il doge non possa aver feudi o beni fuori del Dominio (104); 15/11 istituiti i sopragastaldi (105).
1472: 7/1 istituiti i tre savi sopra la revisione dei conti (106); 13/9 nuove regole per il collegio delle biave (107).
1473: 2/8 nelle monete il doge sia raffigurato in ginocchio davanti a san Marco; figli e nipoti del principe siano esclusi da ogni carica, ma abbiano ingresso in senato; stesso giorno: nuove regole per la cancelleria inferiore (108).
1474: 31/5 ulteriore riforma del collegio delle biave (109).
1475: 1/1 nuove regole per gli ufficiali alle cazude (110); 19/1 i preti non possano più servire nei pubblici uffici (111); 2217 nuove regole per la quarantia criminale e per l'avvocato dei prigionieri (112).
1476: 20/10 istituiti tre savi alle pompe (113).
1478: 11/5 nuove regole per i gastaldi (114).
1479: 23/7 non si possa occupare più di un ufficio (115).
1480: 18/6 nuove regole per le quarantie (116).
1481: 25/9 istituiti i provveditori sopra uffici (117).
1483: 12/12 istituiti gli auditori nuovissimi (118); 18/12 provvedimenti contro il broglio (119).
1485: 11/11 il doge visiti settimanalmente gli uffici del Palazzo (120); nello stesso giorno viene istituito il sopragastaldo (121).
1486: 7/1 istituiti i tre provveditori alla sanità (122); 15/5 il consiglio dei dieci si riappropria della tutela dei privilegi delle comunità della Terraferma, che nel 1468 era stata trasferita agli avogadori (123); 10 e 13/8 nuovi salari per i provveditori di comun e per i massari della zecca dell'argento (124).
1487: 14/1 nuove regole e salario per l'ufficio dell'estraordinario (125); 11/3 nuove regole e salario per l'ufficio dell'armamento (126); 5/4 i provveditori al sal passano da quattro a sei (127).
1488: 13/5 il consiglio dei dieci promulga i capitoli per le miniere (128); 6/8 aumenta il salario degli ufficiali alle beccarie (129).
1489: 28/6 gli avvocati in Rialto passano da due a quattro (130); 31/12 nuove regole e salario per l'ufficio del piovego (131).
1490: 31/12 tolta la pena di ducati 1.000 agli ufficiali alle cazude (132).
1492: 23/3 istituita la quarantia civil nuova; le cause giudicate dagli auditori nuovi siano inappellabili (133).
1493: 28/4 viene sciolto il collegio solenne delle biave e sue competenze passano alla quarantia civil nuova (134); 15/6 nuove regole per l'avogaria (135).
1496: 11 /6 le competenze sui beni comunali passano dagli avogadori e rettori al consiglio dei dieci (136).
1497: 28/6 nuovi provvedimenti contro il broglio (137); 17/8 l'elezione degli ambasciatori sia competenza del senato (138); 19/ 12 Si riporta a vent'anni l'età per estrarre la Balla d'oro (139).
1498: 23/12 istituiti i provveditori sopra cottimi (140); 23/9 gli ecclesiastici non possano far parte del maggior consiglio (141).
1499: 29/11 aboliti i savi alle pompe (142).
1500: 1/9 i savi sopra la revisione dei conti estendono la loro competenza a tutti gli uffici (143).
1501: 15/1 istituiti i provveditori sopra dazi (144); 7/8 il consiglio dei dieci istituisce i tre savi alle acque (145); 26/9 istituiti i tre inquisitori sopra il doge defunto (146) 1502: 5/12 il consiglio dei dieci crea una zonta alle spezie (147).
1503: 29/8 nuove regole e salario per i provveditori alle biave (148).
1505: 26/1 istituita una commissione di venti patrizi per accelerare le pratiche giudiziarie (149); 19/5 il consiglio dei dieci istituisce il collegio delle acque (150).
1506: 31/8 creato il Libro d'oro delle nascite (151); 29/9 la zonta del senato diviene ordinaria e perpetua (152).
1507: 15/1 istituiti i V savi alla mercanzia (153).
1508: 25/8 nuovi provvedimenti contro il broglio (154).
1510: 17/3 si concede ingresso in senato dietro contribuzione (155); 4/8 i provveditori al sal scendono da sei a quattro (156).
1511: 15/7 nuove regole per le cazude (157).
1512: 12/9 non si possano ricoprire uffici per interposta persona (158).
1514: 28/10 i consiglieri ducali devono risiedere nel sestiere da almeno sei mesi (159) 1515: 28/1 nuove regole per i giudici di petizion (160); 24/5 la zonta del consiglio dei dieci sia tratta dal senato (161).
1516: 29/6 nuove regole per i cattaveri (162); 617 nuove regole per eleggere i capi della quarantia (163); istituiti i sopraintendenti alle decime del clero (164).
1517: 7/5 istituiti i riformatori dello Studio di Padova (165); 8/6 creati i provveditori sopra monti (166); 13/9 istituiti i due censori (167); una legge dello stesso giorno propone di ristrutturare il sistema giudiziario veneto (168).
1519: istituito il savio alla scrittura (169).
1520: 5/10 il consiglio dei dieci istituisce il provveditore in zecca (170).
1521: 14/5 soppressi i provveditori alla camera degli imprestiti (171); 17/9 creati i provveditori sopra monasteri (172); 18/10 soppressi per un triennio i censori (173).
1522: 22/6 nuove regole e salario per i giudici del forestier (174); 9/ 11 nuove regole e salario per il cattaver (175).
1523: 9/3 i figli di un patrizio e di una serva o contadina non siano nobili (176).
1524: 4/6 creati i provveditori sopra banchi (177); 18/9 nominati tre correttori col compito di rivedere l'intera legislazione (178); 16/10 ripristinati i censori (179).
1525: 30/7 nuove regole e salario per i sindaci di S. Marco e Rialto (180).
1526: 26/4 nuove leggi per regolamentare l'appartenenza al patriziato (181); 27/9 si dà facoltà al collegio di non comunicare taluni atti al senato (182); 12/12 il consiglio dei dieci istituisce due sopraprovveditori alle biave (183).
1527: 29/4 i camerlenghi di comun passano da due a tre (184); 29/9 istituito un corpo di trenta savi (poi ridotti a venti) tra i membri usciti della quarantia, per alleggerirne i lavori (185).
1528: 28/7 nuovo tentativo di rivedere la legislazione veneta ed anche le commissioni dei rettori (186); 2/8 istituiti tre provveditori alla vittuaria (187).
1529: 26/9 la zonta del consiglio dei dieci passa da venti a quindici membri e diviene stabile (188).
1530: 17/ 12 il consiglio dei dieci ricostituisce il collegio alle acque (189); 31 / 12 una legge del maggior consiglio limita i poteri dell'avogaria (190).
1531: 8/1 si eleggono tre avogadori straordinari per rivedere i costi della guerra (191); 7/5 diverse competenze dell'avogaria passano agli auditori (192); 11/6 nuove regole per i procuratori di S. Marco (193); 24/9 soppressi i provveditori sopra la vittuaria (194); 17/12 nuova elezione di tre correttori alle leggi (195); è revocato l'ingresso in senato per soldi (196).
1532: 10/1 istituiti i provveditori sopra ogli (197).
1533: 11/5 nuove regole per eleggere i procuratori di S. Marco (198); istituiti i conservatori del denaro pubblico (199); istituito il savio cassier (120).
1535: 29/1 il collegio delle acque portato a 75 membri (201); 14/3 i debitori possano essere consiglieri ducali (202); 117 una commissione di venti nobili riformi i capitolari delle magistrature (203); 17/10 creato un secondo avvocato dei prigionieri (204).
1536: 13/8 eletti tre provveditori sopra i debitori fiscali (205).
1537: 11/3 nuove regole per i signori di notte (206); 29/4 nuove regole e mercedi per gli avvocati di Rialto e S. Marco (207); 9/11 contrasto in materia di competenze tra maggior consiglio e senato (208); 20/12 istituiti gli esecutori contro la bestemmia (209).
1538: 30/8 gli aspiranti alla cancelleria esibiscano le prove della cittadinanza originaria davanti agli avogadori (210); 11/11 gli avvocati di Rialto e S. Marco siano esenti dalla contumacia (211); i quarantuno elettori ducali siano approvati dal maggior consiglio (212).
1539: 7/1 le cariche di nomina ducale siano riservate ai cittadini originari (213); 28/5 vengano rieletti gli avogadori fiscali (214); 6/9 sulle compravendite si versi il 2% alla messettaria (215); 20/9 il consiglio dei dieci istituisce gli inquisitori di stato (216).
1540: 25/11 si accrescono le competenze dei savi alla mercanzia (217).
Le magistrature del tutto nuove ch'ebbero vita non effimera e le riforme costituzionali di carattere generale non furono poi molte, nel periodo in esame (218). Se non ho sbagliato i conti, son queste: nel 1402 nasce la cancelleria segreta, evidentemente per far fronte alle accresciute esigenze dello stato da Mar, nel momento in cui l'imperialismo veneziano in Levante si dispiegava incontrastato attraverso le annessioni di isole e piazzeforti; nel 1405 vengono istituiti i provveditori sopra camere, col compito di sovraintendere alla gestione finanziaria delle nuove province padane; nel '20 ecco i savi di Terraferma: derivati probabilmente dai savi alla guerra, creati alcuni anni prima, quando il Comune Veneciarum stava accingendosi alla penetrazione nel Friuli, essi completavano in ambito politico il compito espletato sul versante finanziario dai provveditori sopra camere. Che il loro ruolo fosse di grande prestigio lo prova l'alto numero dei suoi membri (cinque) e la brevità del mandato (sei mesi, con contumacia) (219).
Questa è probabilmente da considerare la principale novità verificatasi sul piano istituzionale nel corso del XV secolo, ed è il segno tangibile dell'impatto provocato negli ordinamenti costituzionali veneziani dalla conquista della Terraferma. La verifica ci viene fornita tre anni dopo, allorquando il 7 aprile 1423, vacante ducatu, si decide di sopprimere definitivamente la conferma dell'elezione ducale da parte della concio ed il Comune Veneciarum assume la denominazione di Dominium o di Signoria. È una rivoluzione politica e psicologica ulteriormente rafforzata, una manciata d'anni più tardi, dall'investitura del vicariato per i dominii di Terraferma (Vicenza e Verona escluse, in omaggio ai diritti degli Scaligeri), ottenuta dall'imperatore Sigismondo il 16 agosto 1437; ai nostri occhi, che una repubblica facesse proprio il diritto feudale sembra un controsenso, che diventa una vera e propria assurdità giuridico-politica ove si pensi che il doge in questione - Francesco Foscari - veniva a risultare contemporaneamente principe di uno stato (ricco e potente, ancorché misto: parte allodiale, parte in beneficio) e sul piano privato pure vassallo imperiale, in quanto titolare del feudo di Noventa e Zelarino: e quanto ci tenesse al titolo comitale che v'era annesso può di leggieri evincerlo chi volga lo sguardo alla splendida facciata gotica del palazzo in volta de Canal, nel cui piano nobile tra due putti che sorreggono lo stemma Foscari si accampa severo un elmo in foggia di celata, fattovi apporre proprio dal conte-doge (220).
L'elenco delle nuove magistrature prosegue con l'istituzione dei governatori delle entrate (26 ottobre 1428), un ufficio - secondo la definizione del Besta - destinato a rappresentare "quasi il centro dell'amministrazione finanziaria dello stato"; il 21 giugno '35 ecco un altro organismo finanziario, quello degli ufficiali alle cazude (con tale storpiatura i Veneziani volevano significare che delegavano a tre di loro il compito di recuperare le imposte inevase o scadute: improbo assunto, ma necessario per far fronte alle esigenze di una guerra che pareva non dovesse mai aver termine). E siccome allora per debiti si poteva finire in galera, ecco che il 29 giugno '43 la sempre pietosa non men che valida mano del principe creava un avvocato dei poveri prigionieri, "che abbia libertà de intrar in ogni prexon"; magistratura che avrebbe avuto un ruolo ed uno spazio rispettabili nell'ambito della costituzione veneziana, di cui può giustamente considerarsi un titolo di merito.
Carattere meramente tecnico presenta invece, nel '52, la creazione del provveditore sopra boschi: non sono solo le accresciute esigenze urbanistiche che spingono a calmierare l'approvvigionamento del legname, quanto l'inarrestabile incremento quantitativo della flotta, sulla base di un trend ascensionale che avrebbe toccato il culmine negli anni di Lepanto (e la stessa logica avrebbe suggerito al consiglio dei dieci, nel '71, di istituire un provveditore al bosco del Montello, onde tutelare meglio la riserva di legni più prossima all'Arsenale).
Lo scoppio della lunghissima e costosa guerra di Morea (1463-1479) portò alla creazione dei savi alle decime, nell'intento di predisporre la compilazione del catastico e delle aliquote fiscali da ripartirsi tra i Veneziani; era questa la prima imposta diretta istituita dalla Repubblica, che sinora anche nelle più gravi emergenze s'era attenuta al principio del prestito forzoso (221).
Il 15 novembre 1471 è la volta dei provveditori sopra gli atti dei gastaldi, al fine di sorvegliare l'esecuzione delle sentenze civili emanate dalle diverse magistrature.
Qualche mese dopo (7 gennaio '72) ecco un altro organismo finanziario, gli ufficiali sopra conti, incaricati di rivedere i libri dei governatori delle entrate. Non dissimili esigenze sottendono la creazione, il 20 ottobre 1476, dei savi alle pompe.
Costoro sono perlopiù stagionati senatori ai quali tocca di calmierare il lusso, le immodiche spese sontuarie dei concittadini: alto e meritorio assunto, che presumiamo maggiormente praticabile nelle aule del Palazzo, piuttosto che nel chiuso delle pareti domestiche, allorché si trattava di imporre il rispetto della norma a mogli, figlie e nipoti.
Circa un decennio dopo, nel gennaio '86 (forse in conseguenza della grave epidemia del 1478 e certamente a causa del costante incremento demografico), si rende stabile la magistratura dei tre provveditori alla sanità, i quali vengono dotati di ampi poteri che spaziano dal controllo delle medicine a quello dei pozzi, dei vagabondi, delle meretrici. È ancora l'aumento della popolazione, assieme all'ampliarsi dello stato di Terraferma, in conseguenza delle recenti conquiste nel Polesine e nel Trentino, ed infine l'opportunità di offrire nuovi impieghi ad un patriziato a sua volta interessato da una forte crescita quantitativa, a far accogliere con favore la proposta, avanzata nel marzo '93 dal consigliere ducale Luca Pisani, di portare a 120 i membri della quarantia mediante la geminazione della civile, ora distinta in vecchia (con competenza sulla città e Dogado) e nuova (cui toccano le decisioni sulle controversie civili dei sudditi), onde alleggerire il compito degli auditori e degli stessi quarantiotti.
L'aprirsi del nuovo secolo segna un intensificarsi dei provvedimenti in materia costituzionale: sono le conseguenze della ripresa espansionistica in Lombardia (conquista di Cremona e della Ghiara d'Adda, 1499), ma anche del deludente conflitto con il Turco (1499-1503), segnato dalla battaglia dello Zonchio; soprattutto, però, l'arrivo delle caravelle portoghesi a Lisbona, cariche di pepe indiano (1501), suscita per qualche tempo il panico nell'emporio realtino.
Ecco dunque che il 15 gennaio 1501 mediante la creazione dei provveditori sopra i dazi si intende procedere con maggior vigore contro i sempre floridi contrabbandi; in parallelo vengono esperiti nuovi strumenti per tutelare il commercio, dando vita ad una giunta per le spezierie (5 dicembre 1502) e ad altri organi provvisori, tutti però destinati ad effimera esistenza sinché non saranno definitivamente istituiti, nel gennaio 1507, i V savi alla mercanzia.
"[...] Li canali de questa laguna se vano aterrando" aveva scritto attorno al 1460 Marco Corner, padre della trattatistica idraulica veneziana (222), e più di mezzo secolo dopo (7 marzo 1517) Sanudo, di rincalzo: "ogni zorno si vede [...] esser gran seche in questa terra, adeo non si pol quasi andar più per li rii": il pericolo era di quelli che non potevano essere trascurati, al punto che era stato lo stesso consiglio dei dieci, nell'estate del 1501, a promuovere l'istituzione di una specifica magistratura permanente, quella dei savi alle acque.
Infine, nello stesso 1501, il prestigio e la potenza della Repubblica (che inducono il doge Barbarigo ad atteggiamenti giudicati poco ortodossi, addirittura prevaricatori) portano alla nomina dei tre inquisitori sopra il doge defunto, col compito di vagliarne la passata gestione soprattutto nei risvolti economici.
Poi l'incalzare degli avvenimenti fa tacere per oltre un decennio l'innovazione costituzionale: ecco nel 1503 l'occupazione della Romagna, quindi nel 1508 la fortunata campagna in Cadore e nel Carso di Bartolomeo d'Alviano, ecco infine Agnadello e i lunghi anni di guerra che portano a Noyon. Del funzionamento statale ci si tornerà ad occupare solo a partire dal 1516.
Nel febbraio vengono resi permanenti i savi alla mercanzia, quindi - nello stesso anno - il venir meno della tensione con la Santa Sede consente l'elezione dei sovraintendenti alle decime del clero, cui tocca il compito di affiancare i collettori ecclesiastici, così come il ritorno alla normalità amministrativa suggerisce qualche mese dopo l'istituzione dei tre riformatori dello Studio di Padova: magistratura che di precario non ebbe che il nome, poiché sarebbe durata sino alla fine della Repubblica, affidata per lo più alle cure di senatori dotti e prestigiosi, ai quali sarebbe spettata la sopraveglianza di tutta la vita culturale dello stato.
Ancora nel '17 abbiamo i provveditori sopra monti, che devono badare ai depositi di un debito pubblico dissestato dalla lunga guerra; quindi, il 13 settembre, vengono istituiti i censori. È un recupero di sapore classico e anomala è la loro consistenza, fissata in un binomio poiché non si affidano loro poteri deliberativi, ma puramente indiziari. Il significato di questo organismo - sul quale si tornerà più avanti - consiste nell'esser stato ideato come momento qualificante, quale espressione di una diffusa tensione ideologica nella lotta intrapresa contro il broglio e la corruzione politica, giunti ormai a livelli cronici tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, e in ambito più generale rientra nell'ampio disegno di riforma del diritto veneto promosso dal doge Andrea Gritti, di cui l'ispiratore ed il promotore del magistrato dei censori - Marco Foscari, suo primo cugino - condivideva una visione politica incline all'oligarchia.
Le trascorse vicende belliche non avevano naturalmente giovato ad una ordinata prassi amministrativa, specie nelle province suddite, come dimostra il proliferare di giunte, commissioni, collegi istituiti dal senato per alleviare i compiti delle quarantie, degli auditori e degli avogadori, oltre che i propri: fra tutti, mi limiterò qui a ricordare il collegio dei X, poi XX, savi creato nel 1520 nell'ambito dei pregadi per giudicare le vertenze amministrative concernenti il Dominio.
Ma la guerra, conclusa nel '16, sarebbe ripresa nel '21 con la partecipazione di Venezia a tutti i conflitti franco-imperiali che interessarono la Penisola sino alla pacificazione generale del '29. Donde il sorgere di nuovi organismi finanziari quali il provveditore in zecca (ottobre 1520), i provveditori sopra monasteri (settembre '21), nell'intento di controllare meglio il patrimonio di istituti chiamati a concorrere in misura crescente alle esigenze dell'erario; quindi i tre provveditori sopra banchi (giugno '24): le banche private costituivano ovviamente una delle strutture fondamentali dell'emporio realtino, destinate purtroppo a soccombere sessant'anni dopo - nonostante l'istituzione dello specifico magistrato - a causa dell'ondata inflazionistica che non risparmiò l'economia e la finanza veneziane; nel '29 infine, in conseguenza della deliberazione senatoria che istituiva la più importante gravezza diretta per le province suddite (il sussidio), venne creato un collegio di dieci savi competente sulle liti relative a privilegi ed esenzioni fiscali (223).
Natura e scopi sostanzialmente diversi da quelli finanziari troviamo invece nei sopraprovveditori alle biave, istituiti nel '26 (224), seguiti poi, nel '32, dai provveditori sopra ogli.
Da ultimo vorrei sottoporre all'attenzione del lettore la presenza di due provvedimenti, che mi sembra possibile inquadrare nel mutato contesto della politica italiana seguito al congresso di Bologna, quando cioè la Chiesa cattolica imprime maggior vigore alla lotta antiprotestante e la Spagna ha ormai sanzionato il suo predominio sulla Penisola. Si tratta della nascita degli esecutori contro la bestemmia, nel dicembre '37, espressione delle preoccupazioni con cui lo stato guarda ora alla tutela dell'ortodossia religiosa, prima affidata alle cure del consiglio dei dieci e dei signori di notte (225). Due anni dopo (settembre '39) è la volta dei tre inquisitori di stato, la cui iniziale intitolazione suonava inquisitori contro i propagatori del segreto, il che dà ampiamente ragione delle cause che ne determinarono l'istituzione. Non si trattava solo della guerra allora in corso contro il Turco, ma specialmente della paura che s'aveva degli Spagnoli, di loro possibili collusioni con i membri di un patriziato sempre più numeroso e povero, taluno dei cui esponenti - oltrettutto - poteva essere sinceramente suggestionato dal mito irenico che andava allora sviluppandosi attorno all'immagine imperiale, nella figura di Carlo V.
È la tradizionale cautela cui s'ispira la politica veneziana, certo, ma è nel contempo il segno di un irrigidirsi delle strutture statuali, di un evolversi della costituzione repubblicana verso forme di tipo oligarchico, in sintonia del resto con le esperienze che andavano realizzandosi anche nelle rimanenti regioni italiane: la riprova di questa tendenza - di questa possibile tendenza, che tuttavia non prevalse - può essere fornita dall'iniziativa assunta da quel Marco Foscari che poc'anzi si è incontrato come ispiratore del magistrato dei censori, il 17 novembre dello stesso 1539; l'emendamento da lui avanzato ad una delibera del consiglio dei dieci, tendente in sostanza a delegare ad una giunta di cinquanta senatori la condotta della politica estera, "rappresenta forse", come è stato scritto autorevolmente, "la più scoperta proposta oligarchica della storia veneziana del Cinquecento" (226): col suo fallimento si chiudeva per tanta parte lo spirito che aveva informato l'età grittiana.
In conclusione, schematizzando si potrebbe dire che le principali innovazioni costituzionali si collocano in due distinti momenti: quello "eroico" della conquista della Terraferma, all'incirca nel primo quarto del XV secolo (nascita della cancelleria segreta, dei savi di Terraferma, soppressione della concio e avvento della signoria); quindi per un lungo periodo le novità riguardano magistrature finanziarie o giudiziarie, diretta conseguenza dell'ampliarsi del Dominio; infine una seconda fase di intensa attività si manifesta tra il secondo ed il quarto decennio del Cinquecento, tra Noyon e gli anni immediatamente successivi alla pace di Bologna (istituzione dei censori, degli esecutori contro la bestemmia, degli inquisitori di stato). Questi ultimi provvedimenti consentiranno alla Repubblica di superare la fase più drammatica delle "guerre horrende de Italia", e così molte altre gravi congiunture: si rivelano infatti efficaci misure difensive.
Sono i buoni rimedi di uno stato che ormai bada a difendersi. Questo il valore, questo il loro limite: dalle riforme che accompagnarono la cavalcata verso il Mincio li separa un abisso.
In ogni caso, lungo tutto l'arco dei centoquarant'anni dei quali ci occupiamo va rilevata la mancanza di provvedimenti realmente innovativi. In altri termini, neppure l'annessione della Terraferma costituì per Venezia l'occasione per procedere alla rifondazione dello stato: la ristrutturazione di qualche organismo, la creazione di talune magistrature specifiche non modificarono insomma lo spirito e la natura della costituzione.
La riprova può essere fornita dall'esame dei provvedimenti attuati nei confronti dei corpi sociali sia della Dominante quanto dei nuovi territori. Tra il 1400 ed il 1540 nel mio elenco ne ho riportati ventiquattro (parlo dei più significativi, naturalmente), il 38% dei quali si colloca, com'è intuibile, nei primi decenni del XV secolo.
Ebbene, sin proprio alla vigilia dell'espansione in Terraferma, ancora nel 1403, possiamo registrare due deliberazioni a carattere restrittivo, volte a sancire la non ingerenza dei Veneziani nelle questioni relative alle vicine province padane e, nel contempo, il rifiuto a procedere ad una qualche integrazione dei forestieri: esse furono il divieto per questi ultimi di acquisire la cittadinanza per grazia e, per i Veneziani, di possedere feudi (tranne che nello stato da Mar) o di esercitare la carica di podestà nelle città italiane (227).
Fino al 1403, dunque, apparentemente Venezia sembra tenere le distanze con la Terraferma, paga del suo Trevigiano che basta e avanza. Quel che successe nella manciata d'anni che seguì, fra il 1404 ed il 1409, ha pertanto dell'incredibile: il Comune si avventa sul Veneto e la Dalmazia, assicurandoseli per sempre. Non è questa la sede per discutere come la cosa sia potuta avvenire, ma vediamo di riflettere per un attimo sulle conseguenze che una tale trasformazione comportò sulla configurazione delle classi sociali predominanti nella città-stato.
Tra il 1407 ed il 1409 - mi rifaccio ancora a quanto riportato nella tabella cronologica qui addietro - si tende a liberalizzare la concessione della cittadinanza de intus, concedendola a chi avesse sposato una veneziana e poi agli Zaratini: ma in fondo per tutta la prima metà del secolo la tendenza è di estendere tale categoria giuridica ai cittadini dei centri urbani annessi (228). Questa linea politica tocca il suo culmine nel 1411, allorché un savio del consiglio, Antonio Contarini, propone di far partecipare la nobiltà suddita (nella fattispecie, diciotto Zaratini) al governo della Repubblica, affidandole l'amministrazione delle città padane, istriane e dalmate; il tentativo non ebbe seguito e ben presto a Venezia non si parlò più, di fatto, di allargare la base sociale dello stato coinvolgendo in una visione "moderna" i nuovi territori, realizzando cioè il superamento del vecchio comune chiuso nel recinto delle proprie lagune (229).
Si procedette invece in direzione opposta, serrando le fila di un patriziato che si voleva sempre più sottoposto a verifiche, a controlli, alla prova di requisiti ritenuti qualificanti: tali provvedimenti potevano sembrare suggeriti dal forte incremento numerico che la popolazione veneziana - a cominciare dalla sua nobiltà - fece registrare nel corso del secolo, ma in realtà la ragione di fondo consisteva nella progressiva aristocratizzazione dello stato, come dimostra il contemporaneo passaggio dalla formula istituzionale di Comune a quella di Dominio (1423).
Ecco dunque, nel 1414, nuove regole per l'estrazione della Balla d'oro, nel '21 ulteriori accertamenti per l'appartenenza al patriziato, l'anno dopo l'esclusione dalle fila di quest'ultimo dei nati da donna di condizione servile: nel Cinquecento la cosa sarebbe parsa talmente ovvia che nessuno l'avrebbe neppur presa in considerazione, ma un secolo prima la mobilità sociale (intesa come possibilità di passaggio tra i diversi livelli della verticalizzazione comunitaria) esisteva eccome, ad un tempo causa ed effetto dello slancio vitale da cui era animata Venezia.
Poi, nel '35-'37 il già ricordato conseguimento del vicariato imperiale per i feudi dei dominii di Terraferma sancisce il riconoscimento di uno status sociale fondato su di un diritto inequivocabilmente elitario; qualche anno dopo, infine (1441), l'abbassamento dai venti ai diciotto anni dell'età prevista per l'estrazione della Balla d'oro allarga di fatto il numero dei patrizi disponibili per le accresciute esigenze amministrative dello stato, rafforzandone nel contempo il diritto-dovere all'esercizio monopolistico del potere; ancora (1442), l'accertamento delle prove di nobiltà viene delegato ad un nuovo collegio, di cui si fa garante la quarantia (230).
L'aumento demografico del patriziato e le concomitanti difficoltà che vanno manifestandosi nel mondo della mercatura, specie in conseguenza degli ingloriosi conflitti con il Turco (1463-1479, 1499-1503) e dei successi portoghesi nell'approvvigionamento delle spezie indiane (1501); queste difficoltà dicevo, unitamente alle nuove occasioni d'impiego che si offrono ai giovani patrizi in seguito all'ampliamento dei dominii della Repubblica, determinano l'emanazione di una serie di specifici provvedimenti tra la fine del XV secolo e gli inizi di quello successivo.
Si tratta, anzitutto, di combattere il broglio, la dilagante corsa all'accaparramento delle cariche con tutti i mezzi, leciti o no che siano: donde collusioni, corruzione, malcostume. Nel dicembre 1497 l'estrazione della Balla d'oro si riporta a vent'anni, un anno dopo si escludono dal maggior consiglio i nobili che possiedono benefici ecclesiastici; nell'agosto 1507 il consiglio dei dieci provvede con due leggi a disciplinare le votazioni di un'assemblea sempre più numerosa e rumorosa ("Et è da saper [scrive il Sanudo] che, fatta la descriptione, dil 1493 si ritrovamo esser patritij numero 2600 [...]; et [...] si ritrovamo esser a li nostri consegij 1400 in 1500 et più; et quando si fa procurator, che è il più degno officio che si faza, semo 1800 et più"); un anno dopo, il 25 agosto 1508, è lo stesso maggior consiglio ad emanare decreti che suonano di autocensura: "Non fiant tractatus secreti in electionibus", "Non dentur pecuniae, nec alia praemia pro vocibus" (231). Questo processo, come si ricorderà, avrebbe raggiunto il massimo della tensione nel '17, con la creazione dei censori (232).
Naturalmente, tramontata l'idea (se pur mai davvero era comparsa) di dar vita ad uno stato in qualche modo unitario, cooptando la nobiltà suddita all'esercizio della politica, diventava prioritaria l'esigenza di accompagnare al disciplinamento del patriziato il controllo della sua estrazione, ossia la purezza delle nascite: insomma, se casta doveva essere, bisognava garantirne il prestigio eliminando ogni possibile disordine. Di qui l'istituzione del Libro d'oro nel 1506, seguita vent'anni dopo (26 aprile 1526) da incisivi provvedimenti del consiglio dei dieci che avrebbero completato per sempre la chiusura del corpo aristocratico, con l'obbligo per i suoi membri di notificare all'avogaria il contratto di nozze.
La progressiva definizione del patriziato (e conseguente accentramento monopolistico della gestione politica dello stato) sarebbe stata accompagnata da parallelo analogo processo del ceto ad esso più prossimo, evoluzione culminata nella "serrata cittadinesca" del 3 luglio 1569 e relativa creazione di un Libro d'argento parimenti affidato al controllo degli avogadori.
Le tappe più significative di questa dinamica possono essere individuate, a mio avviso, nella deliberazione del maggior consiglio 24 giugno 1419, che riservava ai soli cittadini originari la possibilità di fornire il personale burocratico ai rettori ed ambasciatori del governo marciano; venticinque anni più tardi, nel '44, tutti i quadri intermedi dell'apparato amministrativo della Dominante divenivano parimenti monopolio dei cittadini, che si trovavano così a gestire alcune centinaia di impieghi prestigiosi e ben retribuiti (233). Infine, qualche tempo dopo la regolamentazione del patriziato era la volta dell'ordine inferiore a divenire protagonista di una propria serrata, quando ormai "l'età grittiana" volgeva al termine: nell'estate del '38 venne emanata una legge in base alla quale da allora in avanti gli aspiranti alla cancelleria avrebbero dovuto notificare agli avogadori gli attestati comprovanti la loro appartenenza alla cittadinanza originaria, "per la forma e modo che si osserva nelle prove di nobili", e qualche mese più tardi, agli inizi del 1539, tutte le cariche di nomina ducale finivano per essere riservate ai cittadini.
La cristallizzazione elitaria del ceto era di fatto compiuta, anche se la sanzione ufficiale sarebbe giunta solo dopo un trentennio, con il fondamentale decreto del luglio 1569, il quale ordinava che gli uffici intermedi delle magistrature veneziane "non possino esser dati se non a cittadini nostri originari, et nasciuti de legittimo matrimonio, i quali siano obligati provar all'officio dell'avogaria non solamente la civiltà sua originaria, ma il legittimo nascimento loro, et delli loro padri, et avi" (234).
Il mito della perfezione di uno stato misto, al cui vertice stava un patriziato colto giusto e saggio, avrebbe accompagnato e sanzionato il successo dell'operazione: la prima voce a porre seriamente in dubbio la perdurante validità del Libro d'oro - e del sistema sociale su esso incardinato - sarebbe stata quella di Scipione Maffei. Due secoli dopo.
Rinunciando a varare riforme radicali, a rinnovare l'assetto costituzionale, Venezia implicitamente delegava alle magistrature più direttamente pertinenti alla sfera giudiziaria ed esecutiva (come è noto, il principio della separazione dei poteri - che a partire da Montesquieu sarebbe diventato irrinunciabile assioma di ogni moderna costituzione - era estraneo alla prassi politica veneta) il ruolo di principali guide e di garanti della continuità statuale della Repubblica: insomma, le valorizzava, affidando loro ulteriori compiti.
La fortuna del consiglio dei dieci ne è la più evidente dimostrazione. A questo proposito, in relazione cioè all'azione espletata da tale magistratura nei confronti del progressivo ampliarsi dei dominii padani, Knapton ha chiaramente affermato come si rivelasse "politicamente più opportuno e agevole per la Dominante il superamento di privilegi e particolarismi tramite l'azione dell'esecutivo anziché l'imposizione di riforme legiferate e radicali. E questa caratteristica va collegata con l'impostazione fortemente conservatrice di tutta la vita politica veneziana che, spesso impedendo o ritardando un'azione organica in sede legislativa, tendeva a lasciare a organi, quali il consiglio dei dieci e il collegio, ampi spazi per la direzione e la disciplina, quanto mai necessarie, del crescente apparato amministrativo" (235).
In altri termini, Venezia preferì non affrontare il problema della realizzazione di una compagine statale unitaria, ed alla Terraferma conquistata di fresco propose l'ovvia e indolore soluzione federativa, dove il rispetto delle autonomie locali, sancite nei patti di dedizione, realizzava il massimo del consenso. Questo però non significa che il governo marciano non si sia mai (allora o in seguito) proposto di dar vita ad una struttura politica il più possibile solida ed omogenea; semplicemente, ne delegò modi forme tempi al potere esecutivo, rinunciando ad ogni disegno teorico e programmatico, e dunque rapido e risolutivo.
Donde, come si è accennato, l'ampliarsi delle strutture e dei poteri del collegio (ecco la nascita dei savi di Terraferma, nel 1420), la creazione di magistrature specifiche (e, per solito, dal campo d'azione ben ristretto, come i provveditori sopra le camere, i sindaci inquisitori in Terraferma, i provveditori sopra i boschi, i savi alla mercanzia, e tante altre), la progressiva affermazione del consiglio dei dieci, che ponendosi come centro decisionale alternativo al senato, in qualche modo finì per rallentarne la crescita.
Rispetto per la situazione consolidata, tempi lunghi per le innovazioni. E molta prudenza.
Apparentemente diverso il concomitante atteggiamento verso i dominii del Levante, dove Venezia dimostrò di saper muoversi con notevole spregiudicatezza, procedendo a conquiste, annessioni, concessioni, usando infine ed abusando del vincolo feudo-vassallatico con calcolata generosità. Eppure, a ben guardare, non v'è gran differenza: nell'Egeo gli spazi di manovra sono certo infinitamente superiori a quelli consentiti nella Padania, ma anche in quel settore Venezia rinuncia ad introdurre novità, adottando un atteggiamento del tutto consono con la sua tradizionale prassi politico-ideologica: lasciare le cose come stanno, affidando le eventuali, possibili esigenze unitarie all'apparato esecutivo e giudiziario. Pertanto non è ravvisabile, nella costituzione veneziana quattrocentesca, un salto qualitativo, un diverso spirito informatore tra le magistrature pertinenti all'amministrazione dello stato da Terra e di quello da Mar.
Donde il rilievo dato - ripeto - alla sfera esecutiva e giudiziaria. A quest'ultimo riguardo le iniziative sul piano legislativo furono senza dubbio le più numerose, ancorché prive di originalità innovativa.
Le quarantie, gli auditori, gli avogadori, i giudici del proprio, del forestier, di petizion, le rason vecchie e nuove, i signori di notte, i sindaci di S. Marco e di Rialto: son questi e sempre questi i protagonisti ed i destinatari dei provvedimenti del maggior consiglio, del senato, del consiglio dei dieci. Sono loro i depositari autorizzati della proverbiale efficienza della giustizia veneta, i legittimi ed esclusivi interpreti della missione di pace affidata a Venezia dal disegno divino per il tramite dell'evangelista Marco.
Le radici di queste magistrature per solito sono antiche. Nel corso del Quattrocento si ampliano, è vero, si moltiplicano suddividendosi, ma in fondo finiscono per rimanere sempre uguali a se stesse. Semmai cambiano le competenze, e dunque i rapporti di forza tra di esse: prendiamo per esempio la quarantia.
Per far fronte alle nuove esigenze - come si è accennato sopra - nel corso del XV secolo essa triplica (nel 1400 nasce la civile, nel 1492 la civil nuova; dopo di che l'ingresso in senato viene riservato alla primitiva quarantia, ora detta criminale, consentendo in tal modo la compresenza delle funzioni giudiziarie con quelle legislative, il che forma, come si è detto, uno dei punti di maggior differenza tra lo spirito delle moderne costituzioni e quelle del passato); i quaranta insomma diventano centoventi e nel contempo (1455) aumenta la loro permanenza nell'incarico: questa infatti sale da sei ad otto mesi per ognuno dei tre collegi, cosicché con una sola elezione si otteneva in pratica una nomina valida ventiquattro mesi.
In altri termini, la conquista della Terraferma suggerisce di adeguare alla nuova realtà l'organico delle vecchie magistrature, senza peraltro che s'avverta il bisogno di crearne altre del tutto nuove. Anche un collegio di trenta savi istituito nel settembre 1527 per decongestionare i lavori della quarantia è tratto dai suoi membri usciti, sicché ne costituisce una mera appendice (236).
In tal modo, per l'elevato numero dei suoi componenti e la lunga durata nella carica, le quarantie giungono ad essere - e rimarranno - una delle magistrature più prestigiose ed importanti della Serenissima, tanto da costituire, ancora nello scorcio della sua millenaria esistenza, la roccaforte di un patriziato di medie fortune, epperò tradizionalmente efficiente, preparato e fedele agli ordinamenti repubblicani.
All'incremento quantitativo della quarantia non corrisponde analogo processo in ambito politico, dove anzi diminuisce il suo peso specifico a vantaggio del consiglio dei dieci: ai quaranta-centoventi vengono insomma delegate le funzioni giudiziarie, mentre quelle politiche divengono competenza riconosciuta dei dieci (il cui ampliamento tramite apposite giunte è occasionale e saltuario), consiglio che non si fonderà mai istituzionalmente coi pregadi, forte com'era della delega degli affari segretissimi, ossia di tutto ciò che potesse riguardare la sicurezza dello stato: in teoria, qualunque cosa o persona.
Se alla quarantia era affidato l'inesauribile compito dell'espletamento dei processi, i tre avogadori di comun si presentavano soprattutto come i supremi custodi della legge, una sorta di jolly cui era consentito di verificare - ed eventualmente intromettere, sospendere - qualunque deliberazione di qualsiasi magistratura: se paragoniamo la costituzione veneziana al gioco del poker - dove ahimè non si ha mai l'assoluta certezza di possedere la combinazione vincente - ebbene gli avogadori rappresentavano una forza ulteriore, prevista ma incontrollabile, nella loro funzione di garanti della costituzione; nel corso del '400 la loro azione si estese automaticamente alla Terraferma, dove fu soprattutto rivolta a regolare le competenze giuridiche dei rettori nei confronti dei sudditi, dei quali vagliavano e giudicavano i ricorsi. Sotto questo riguardo la funzione da essi espletata fu di estrema importanza nel settore dei rapporti tra diritto veneto e diritto comune, ossia tra le leggi veneziane e quelle in uso in gran parte delle nuove province (237).
Quanto si è osservato a proposito della struttura portante dell'apparato giudiziario veneziano, la quarantia, potrebbe sostanzialmente ripetersi per le magistrature affini, ma minori, degli ufficiali alle rason vecchie e nuove (nel 1413 la loro giurisdizione sulle sottrazioni di pubblico denaro si estende a tutti i funzionari statali) e degli auditori (dopo che nel 1407 era stato concesso ai sudditi di potersi appellare a questa magistratura contro le sentenze dei rettori, nel dicembre del '10 il loro numero raddoppia, passando da tre a sei, in seguito alla creazione degli auditori nuovi; per tutto il Quattrocento aumentano le loro competenze, sinché nel 1531 vengono appoggiate loro alcune mansioni tradizionalmente spettanti agli avogadori: ma per entrambe queste magistrature il nuovo secolo, il XVI, segnerà un graduale declino in termini di potere e prestigio).
A spulciare i registri delle deliberazioni del maggior consiglio e del senato (specie tra lo scorcio del XV secolo e gli inizi del successivo), ci imbattiamo in un fitto succedersi di piccole riforme che coinvolgono l'intero apparato amministrativo dello stato; per lo più si tratta di ritocchi ai capitolari o di incrementi o diminuzioni dei salari. Le revisioni organiche, le innovazioni significative sono poche: il 24 febbraio 1417, ad esempio, il maggior consiglio delibera l'elezione di cinque savi ai quali affidare la correzione degli uffici giudiziari e finanziari di S. Marco e di Rialto, "cum maxima confusio sit in capitolaribus omnium officialium nostrorum ac iudicum [...], quia una pars revocat aliam et sunt tot confusiones et intricamenta in officiis et judicatibus praedictis"; allo stesso modo, il 13 gennaio 1443 si creano due "mani" di sindaci, a S. Marco e a Rialto, per rivedere l'operato degli ufficiali del comune; costoro forse non davano buona prova di sé, visto che all'indomani della pace di Lodi, nel '55, la gravità del dissesto finanziario ispira un provvedimento penalizzante nei confronti dei rettori e di tutto il corpo burocratico: si prolunga arbitrariamente di un terzo la durata del mandato, precisando tuttavia che "teneantur servire gratis per ipsum tempus". La punizione si rinnova di lì a poco: il 2 agosto '61 vien stabilito che magistrati e rettori "debeant servire gratis per spatium quattuor mensium", ma per loro buona sorte la tendenza s'inverte a partire dalla fine degli anni Ottanta (238).
Solo nell'età grittiana, negli intensi anni compresi tra le due paci di Noyon e di Bologna, possiamo registrare un completo coerente tentativo di procedere alla rifondazione della legislazione veneta, e quindi della sua costituzione.
Il 18 settembre 1524 il senato stabiliva infatti l'elezione di tre correttori delle leggi che avessero da durare in carica per un biennio, "i quali habbino a veder tutte le Leze nostre, et redur quelle che parlano de una istessa materia tutte l'una dietro l'altra, com'etiam remover quelle che siano repugnante, revocate o expirate, et far tutte quelle provision, che a tal materia li pareranno expediente per la optima regolazione et reformazione delle ditte Leze" (239); l'incarico venne rinnovato più volte e sotto diverse forme (il 17 dicembre '31 si affidò ad analoga commissione la riforma degli statuti civili e criminali e dei capitolari di tutti gli uffici e magistrati, ed ancora il 1° luglio '35 si istituì allo stesso scopo un collegio di venti nobili), ma gli effetti pratici rimasero ben lontani dagli scopi prefissati: al momento decisivo, la classe politica veneziana non seppe o non volle sconfessare la propria tradizione giuridico-costituzionale, e la maggior parte del lavoro eseguito rimase depositato nella cancelleria.
Mi chiedevo, in apertura di lavoro, se dopo il congresso di Bologna (1530) la costituzione veneziana riflettesse la radicale trasformazione intervenuta nella compagine statale a partire dalla conquista della Terraferma. Ora, al termine di questo pur sommario esame, è mia impressione che la risposta abbia da essere negativa.
Che cosa cambia infatti? I nuovi territori continuano ad amministrarsi secondo i loro particolari statuti (od ordinamenti feudali), proprio come era avvenuto per i dominii del Levante, per il Trevigiano: rispetto al passato, di diverso ci sono un podestà, un capitano, magari anche il vescovo che giungono dalla laguna, ma per quanto attiene alla sfera civile i primi due sono vincolati all'osservanza dei patti di dedizione. È pur vero che da parte della Dominante tali documenti furono ben spesso valutati alla stregua di semplici prove di sudditanza, ma è altrettanto certo che per la controparte vennero sentiti come precisi diritti discendenti da un accordo bilaterale posto a fondamento della struttura federativa (240); donde la prudenza veneziana perennemente condizionata dalla contingenza storica: ecco quindi la competenza del consiglio dei dieci a valutare i contrasti tra le istituzioni locali ed i rappresentanti del potere centrale.
Ma i dieci sono un organo soprattutto politico, che in base a calcoli di convenienza "filtra" anzitutto l'operato dei rettori, e poi quello delle specifiche magistrature create per amministrare la giustizia nelle nuove province, sulle quali Venezia starà sempre bene attenta a riservarsi il diritto di appello: i savi di Terraferma, gli auditori nuovi, le rason nuove, le quarantie...
Magari durante o dopo qualche guerra, allorché più urgente s'avverte il bisogno di riscuotere gravezze nuove od arretrate, o di smaltire il cumulo dei processi inevasi, s'inviano (ad afflizione e/o sollievo dei sudditi) avogadori straordinari o sindaci inquisitori, per far loro sentire più vicina la paterna cura del principe: ma sono magistrature eccezionali, a termine, ed in ogni caso emanazione di altre tipicamente veneziane. Le novità sono rare, e per solito quasi impercettibili; la strategia - ripeto - prevede piccoli passi e tempi assai lunghi.
Non ci sono troppe concessioni a fantasiose emozioni nella politica veneziana. Anche un atto formalmente importante come l'incoronazione ducale, tale da colpire per la sua valenza scenografica la psicologia collettiva, viene regolato solo molto tardi, quasi a preannunciare le forti figure dei dogi Barbarigo e Loredana l'11 novembre 1485 il maggior consiglio stabiliva infatti che la corona ducale fosse conferita al nuovo eletto "publice et solemniter [...], non autem occulte per manus privatarum personarum, ut hactenus servatum fuit sine aliquo decoro": pertanto d'ora in avanti "per seniorem Consiliarium ponatur biretum praedictum ducale, dicentem haec tantum verba: Accipe coronam Ducatus Venetiarum" (241).
Si diffida del nuovo: il domani non ha da essere troppo diverso dall'oggi. Una riprova può essere fornita dal forte incremento dell'attività legislativa che puntualmente si verifica nell'ambito costituzionale vacante ducatu, ossia nel vuoto politico-amministrativo che si crea tra la morte del doge e l'elezione del successore: non è solo la promissione che diviene oggetto di rettifica, ma si procede a rivedere capitolari di magistrature e uffici, a regolare i salari e le utilità dei pubblici funzionari, ad impostare in qualche modo le direttrici della nuova fase politica, a prefigurarne l'impostazione smussandone l'impatto innovativo.
Insomma, mentre si aggiusta il tiro e si regolano i conti tra i diversi centri del potere, si cerca di cautelarsi da possibili salti nel buio.
Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, tra la conquista della Terraferma e Noyon? Ma no, qualcosa cambia, soprattutto i rapporti di forza tra le principali magistrature costituzionali. La tendenza consiste nell'accentramento dell'autorità in organi sempre più ristretti, come del resto avviene in tutta Italia: il potere decisionale del maggior consiglio viene progressivamente eroso ad opera del senato, e nelle questioni più importanti la facoltà decisionale di quest'ultimo viene scavalcata dal consiglio dei dieci, che in qualche modo tende ad esautorare anche l'avogaria; ancora, proprio alla fine del periodo in esame (1539), i dieci delegano una parte significativa delle loro competenze ad una propria commissione, i cosiddetti inquisitori di stato.
In parallelo si assiste ad una diminuzione d'importanza della figura ducale, le cui facoltà vengono immancabilmente ridimensionate ad ogni rinnovo della promissione, in relazione al progressivo espandersi della potenza veneziana nelle questioni italiane (nel 1501 verranno addirittura istituiti gli inquisitori sopra il doge defunto); anche la quarantia è interessata da un processo involutivo sul piano politico, e così la signoria, le cui competenze sono via via assorbite dal collegio.
Naturalmente il processo non è automatico né indolore: contrasti tra i diversi organi costituzionali ce ne sono eccome. Consistono in ripensamenti, rivincite, colpi di coda suscitati dalla contingenza politica, dagli equilibri economici e sociali interni al patriziato, dalle strategie familiari: è famosa la lunga lotta mossa dal maggior consiglio all'accentrarsi del potere nelle mani del consiglio dei dieci, la cui ascesa alla fine, pur dopo i notevoli successi conseguiti, finirà per risultare bloccata dalle "correzioni" del 1582 e 1628.
Eppure - ripeto - sono linee di tendenza che non sfociano in riforme costituzionali davvero innovative, radicali: il travaso di potere da una magistratura all'altra è graduale, addirittura sfumato e, in fondo, sempre revocabile: soprattutto poi non mutano lo spirito informativo della costituzione veneziana, la natura e la funzione delle magistrature, la loro stessa intitolazione (mi riferisco ovviamente agli organi principali dello stato, non già a specifiche istituzioni come i provveditori sopra boschi o sopra camere, che "nascono" sì in congruo numero, ma con mansioni tecniche e circoscritte deleghe del governo: con orizzonte corto, insomma).
L'unico vero tentativo di riorganizzare legalmente lo stato ebbe a verificarsi, come si è detto, sotto il dogado di Andrea Gritti, negli anni Venti e Trenta del XVI secolo: non se ne fece nulla e la Repubblica non divenne un'oligarchia. L'equilibrio dei poteri continuò a permearne la struttura costituzionale, consentendo la nascita del "mito" di uno stato garante di libertà, fondato com'era sulla compresenza, ai vertici politico-amministrativi, di magistrature ed assemblee che sovente furono sentite e definite di natura oligarchica (il consiglio dei dieci, il collegio), aristocratica (il senato), democratica (il maggior consiglio).
Uno stato "misto ", insomma, e dunque perfetto. Vera o presunta, rispondente a realtà o prodotto di forzatura che fosse una tale equazione, è certo che - pur con molteplici distinzioni, talora con differenze anche vistose essa godette di larga fortuna non solo tra Quattro e Cinquecento, quando più frequenti e più forti si susseguirono i rivolgimenti politici, allorché più intenso fiorì il dibattito sulla forma ottimale dello stato (e basti qui ricordare i nomi di Domenico Malipiero, Marin Sanudo, Domenico Morosini, Niccolò Machiavelli, Donato Giannotti, Gasparo Contarini), ma anche ben oltre, sin nel corso del Seicento come dimostra l'ampia letteratura locale e straniera che animò la polemica sul "mito" e l'"antimito" della Serenissima, e poi ancora più avanti, sin quasi alle soglie dell'età dei lumi, sino a Nicolò Donà, a Giacomo Nani.
1. Enrico Besta, Il senato veneziano (origine, costituzione, attribuzioni e riti), Venezia 1897, p. 36.
2. Giuseppe Maranini, La Costituzione di Venezia, I-II, Firenze 1927-1931 (riprod. anast. Firenze 1974): I, p. 363; Giovanni I. Cassandro, Concetto e struttura dello Stato Veneziano, "Bergomum", 58, 1964, pp. 31-55; Giorgio Cracco, Patriziato e oligarchia a Venezia nel Tre-Quattrocento, in Florence and Venice: Comparisons and Relations, a cura di Sergio Bertelli - Nicolai Rubinstein - Craig H. Smith, I, Florence 1979, pp. 71 s. (pp. 71-98).
3. Sulla caduta della Repubblica, Scarabello scrisse una bellissima pagina donde traggo: "[nel 1797] le strutture della vecchia amministrazione giudiziaria si presentano talmente deteriorate e svuotate di contenuti e di possibilità di funzionamento che non ne è possibile alcun recupero. Nessuno degli organismi di giustizia del vecchio regime sopravvive di un sol giorno. Persino i ῾nomi' rivelano all'improvviso tutta la loro arcaicità: ῾Inquisitori di Stato', ῾Signori di Notte', ῾Quarantia Criminal', ῾Esecutori contro la Bestemmia' [...]" (Giovanni Scarabello, Figure del popolo veneziano in un processo degli Esecutori contro la Bestemmia alla fine del '700, "Studi Veneziani", 17-18, 1975-1976, pp. 393 s. [pp. 321-398]).
4. Quanto segue è stato ricostruito sulla base di: A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VI (= 1397-1418); VII (= 1419-1454); VIII (= 1455-1479); IX (= 1480-1502); X (= 1503-1521); XI (= 1522-1536); XII (= 1537-1552); Marino Sanuto, I diarii, III-LIV, a cura di Rinaldo Fulin et al., Venezia 1880-1899; E. Besta, Il senato veneziano; Maria Borgherini-Scarabellin, Il magistrato dei Cinque savi alla mercanzia dalla istituzione alla caduta della Repubblica, Venezia 1925; Ceferino Caro Lopez, Gli Auditori Nuovi e il Dominio di Terraferma, in Stato, società e giustizia nella repubblica veneta (sec. XV-XVIII), a cura di Gaetano Cozzi, I, Roma 1980, pp. 261-316; Giovanni I. Cassandro, La curia di Petizion, "Archivio Veneto", ser. V, 19, 1936, pp. 72-144; 20, 1937, pp. 1-210; Gaetano Cozzi, La politica del diritto nella Repubblica di Venezia, in Stato, società e giustizia nella repubblica veneta (sec. XV-XVIII), a cura di Id., I, Roma 1980, pp. 17-152; G. Cracco, Patriziato e oligarchia; Andrea Da Mosto, L'Archivio di Stato di Venezia, I, Roma 1937; Antonio Favaro, Notizie storiche sul Magistrato veneto alle acque, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 9/2, 1905, pp. 179-199; Giannino Ferrari, La legislazione veneziana sui Beni Comunali, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 71-72, 1918, pp. 5-64; G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II; Raimondo Morozzo della Rocca - Maria Francesca Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, in AA.VV., La civiltà veneziana del Quattrocento, Firenze 1957, pp. 185-241; Idd., Cronologia veneziana del '500, in AA.VV., La civiltà veneziana del Rinascimento, Firenze 1958, pp. 201-223 (pp. 199-249); Vincenzo Padovan, Dei magistrati che ebbero ingerenza nella Veneta Zecca, "Archivio Veneto", 14, 1877, pp. 5-28, 341-369; 16, 1878, pp. 111-157; 17, 1879, pp. 74-98; 18, 1879, pp. 109-138; 19, 1880, pp. 118-130; Paolo Selmi, Per una storia delle istituzioni della Veneta Repubblica. Consilia (1297-1797), dattiloscritto depositato presso l'A.S.V. (ringrazio l'A. per avermene gentilmente fornito copia); Angelo Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del '400 e '500, Bari 1964; Andrea Zannini, Burocrazia e burocrati a Venezia in età moderna: i cittadini originari (sec. XVI-XVIII), "Memorie dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti", 47, 1993, pp. 34-60 (pp. 7-329).
5. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, p. 145.
6. A. Da Mosto, L'Archivio di Stato, p. 78.
7. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VI, c. 36v.
8. Ibid., cc. 48v-49v.
9. A. Da Mosto, L'Archivio di Stato, p. 2.
10. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VI, cc. 67-68.
11. Ibid., cc. 72-74; G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, pp. 124 ss.
12. P. Selmi, Per una storia, p. 48.
13. E. Besta, Il senato veneziano, p. 53.
14. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VI, c. 110r-v.
15. Ibid., cc. 117-118.
16. Ibid., cc. 119-120v.
17. Ibid., c. 121 r-v.
18. Ibid., cc. 137-138v.
19. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 190.
20. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VI, cc. 165v-166.
21. E. Besta, Il senato veneziano, p. 91.
22. C. Caro Lopez, Gli Auditori Nuovi, pp. 266 ss.
23. Ibid., pp. 263 s.
24. E. Besta, Il senato veneziano, p. 215.
25. A. Ventura, Nobiltà e popolo, pp. 170 ss.
26. E. Besta, Il senato veneziano, pp. 131, 134.
27. Ibid., p. 131.
28. Ibid., p. 43.
29. A. Da Mosto, L'Archivio di Stato, p. 39; G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, p. 279.
30. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VI, cc. 224v-225v.
31. Ibid., cc. 227v-228v.
32. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 194.
33. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VI, cc. 237v-238v.
34. Ibid., cc. 245-246.
35. E. Besta, Il senato veneziano, pp. 134, 139.
36. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VI, c. 260r-v.
37. Ibid., cc. 262v-264, 266v-267.
38. Ibid., cc. 273v-275.
39. Ibid., cc. 277-278, 279v-280v.
40. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VII, cc. 3v-4.
41. A. Zannini, Burocrazia e burocrati, p. 39.
42. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 195.
43 G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, pp. 333 s.
44. Ibid., p. 354. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VII, cc. 24-32.
45. Ibid., cc. 41v-43.
46. G. Cracco, Patriziato e oligarchia, p. 79.
47. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VII, cc. 53V-55.
48. Ibid., cc. 63v-64v.
49. Ibid., cc. 65v-66v.
50. Ibid., c. 73r-v.
51. E. Besta, Il senato veneziano, p. 54.
52. Ibid.
53. Ibid.
54 A. Da Mosto, L'Archivio di Stato, p. 36.
55. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 203.
56. E. Besta, Il senato veneziano, p. 81.
57. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, p. 207.
58. A.S.V., Senato Misti, reg. 58, c. 131.
59. E. Besta, Il senato veneziano, p. 65.
60. Ibid., p. 56.
61. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 206.
62. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, p. 303.
63. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VII, c. 149r-v.
64. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 208.
65. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VII, cc. 153v-156.
66. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, pp. 46 s.
67. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VII, cc. 184-185.
68. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, p. 161.
69. G.I. Cassandro, La curia di Petizion, 19, pp. 123 S.
70. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 210.
71. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VII, CC. 188v-191.
72. A. Favaro, Notizie storiche, p. 182.
73. A. Zannini, Burocrazia e burocrati, pp. 39 s.
74. C. Caro Lopez, Gli Auditori Nuovi, p. 268.
75. E. Besta, Il senato veneziano, p. 215.
76. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VII, cc. 217-218.
77. Ibid., cc. 218v-220.
78. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, p. 126.
79. E. Besta, Il senato veneziano, p. 53.
80. G.I. Cassandro, La curia di Petizion, 19, p. 89.
81. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VII, cc. 240-242.
82. E. Besta, Il senato veneziano, pp. 43 s.
83. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VII, cc. 245-246V.
84. A. Da Mosto, L'Archivio di Stato, p. 195.
85. E. Besta, Il senato veneziano, p. 55.
86. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VIII, c. 1r-v.
87. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, pp. 147 s.
88. Ibid., pp. 280, 288.
89. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VIII, c. 25r-v.
90. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 2 19.
91. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VIII, c. 47r-v.
92. Ibid., c. 57.
93. Ibid., c. 57v.
94. A. Da Mosto, L'Archivio di Stato, p. 126.
95. E. Besta, Il senato veneziano, p. 56.
96. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, p. 407.
97. E. Besta, Il senato veneziano, pp. 136 s.
98. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VIII, cc. 111-113v.
99. Ibid., cc. 113v-114.
100. E. Besta, Il senato veneziano, p. 61.
101. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VIII, cc. 116v-117v.
102. Ibid., cc. 123v-124v.
103. Ibid., cc. 128-129.
104. Ibid., c. 143r-v.
105. E. Besta, Il senato veneziano, p. 57.
106. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, c. 73.
107. Ibid., reg. VIII, cc. 154-155v.
108. Ibid., cc. 164v-165, 168-170v.
109. Ibid., cc. 177-179v.
100. Ibid., cc. 197v-200v.
111. Ibid., cc. 201v-202.
112. Ibid., cc. 205-208v.
113. Ibid., cc. 222v-227v; A. Da Mosto, L'Archivio di Stato, p. 207.
114. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. VIII, cc. 251-252v.
115. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 229.
116. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, cc. I-7v.
117. E. Besta, Il senato veneziano, pp. 53 s.
118. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, cc. 41-43v.
119. Ibid., c. 44r-v.
120. Ibid., c. 78r-v.
121. Ibid., cc. 67v-69v.
122. E. Besta, Il senato veneziano, p. 63.
123. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, cc. 89-90.
124. Ibid., cc. 91v-93.
125. Ibid., c. 102r-v.
126. Ibid., c. 103r-v.
127. Ibid., cc. 108-110.
128. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 234.
129. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, cc. 118-119.
130. Ibid., cc. 132v-133.
131. Ibid., cc. 137-138.
132. Ibid., c. 141r-v.
133. Ibid., cc. 153v-159; C. Caro Lopez, Gli Auditori Nuovi, p. 275.
134. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, cc. 170-172.
135. Ibid., cc. 174-176.
136. G. Ferrari, La legislazione veneziana, p. 19.
137. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, c 204r-v.
138. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 240.
139. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, c. 205r-v.
140. E. Besta, Il senato veneziano, p. 60; M. Sanuto, I diarii, III, col. 249.
141. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, CC. 209V-210v.
142. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '400, p. 241.
143. E. Besta, Il senato veneziano, p. 58; A. Da Mosto, L'Archivio di Stato, p. 118.
144. E. Besta, Il senato veneziano, p. 58.
145. A. Favaro, Notizie storiche, p. 183.
146. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, cc. 227v-229.
147. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '500, p. 202.
148. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. X, cc. 5v-6.
149. Ibid., cc. 17-19v.
150. A. Favaro, Notizie storiche, p. 184.
151. Ibid., p. 204.
152. E. Besta, Il senato veneziano, p. 45.
153. M. Borgherini - Scarabellin, Il magistrato dei Cinque savi, p. 16.
154. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. X, cc. 62-64.
155. E. Besta, Il senato veneziano, pp. 71 s.
156. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. X, cc. 67v-68.
157. Ibid., cc. 74-75v.
158. Ibid., cc. 77v-79, 80-81.
159. Ibid., c. 99r-v.
16o. Ibid., cc. 102v-103.
161. Ibid., c. 111.
162. Ibid., cc. 133-134v.
163. Ibid., cc. 136-137.
164. A. Da Mosto, L'Archivio di Stato, p. 126.
165. M. Sanuto, I diarii, XXIV, col. 214.
166. Ibid., col. 340.
167. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. X, cc. 154v-159v.
168. G. Cozzi, La politica del diritto, p. 123.
169. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, p. 338.
170. V. Padovan, Dei magistrati, p. 12.
171. E. Besta, Il senato veneziano, p. 73.
172. Ibid., p. 63.
173. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. X, cc. 226v-227.
174. Ibid., reg. XI, cc. 5-6.
175. Ibid., cc. 9v- 10v.
176. Ibid., cc. 14v-15v.
177. E. Besta, Il senato veneziano, p. 58.
178. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. XI, cc. 45v-47v.
179. Ibid., cc. 49v-50v.
180. Ibid., cc. 54-56.
181. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, pp. 66 s.
182. Ibid., pp. 355 s.
183. M. Sanuto, I diarii, XLIII, col. 425.
184. Ibid., XLIV, col. 589.
185. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. XI, cc. 69-71v.
186. G. Cozzi, La politica del diritto, pp. 125 s.
187. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. XI, cc. 76-77.
188. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '500, p. 217.
189. M. Sanuto, I diarii, LIV, col. 181.
190. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. XI, cc. 111v- 114v.
191. Ibid., cc. 114v- 116v.
192. Ibid., cc. 126-128.
193. Ibid., cc. 128v-141.
194. Ibid., cc. 146v- 147.
195. Ibid., cc. 149v-152v.
196. E. Besta, Il senato veneziano, p. 72.
197. Ibid., p. 162.
198. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. XI, cc. 178-182v.
199. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, p. 259.
200. Ibid., p. 336.
201. A. Favaro, Notizie storiche, pp. 185 s.
202. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. XI, cc. 209v-210v.
203. Ibid., cc. 216v-218v.
204. Ibid., cc. 220v-222.
205. Ibid., cc. 232v-233v.
206. Ibid., reg. XII, cc. 1-4.
207. Ibid., cc. 4-23v.
208. E. Besta, Il senato veneziano, p. 141.
209. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '500, p. 221.
210. A. Zannini, Burocrazia e burocrati, p. 44.
211. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. XII, cc. 45v-46v.
212. A. Da Mosto, L'Archivio di Stato, p. 17.
213. A. Zannini, Burocrazia e burocrati, p. 41.
214. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. XII, cc. 64-65v.
215. R. Morozzo Della Rocca - M.F. Tiepolo, Cronologia veneziana del '500, p. 221.
216. G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, p. 477.
217. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. XII, cc. 85-87.
218. E questo benché - come ricorda il Besta - fosse "massima fondamentale della costituzione veneta che all'allargarsi degli affari pel crescere dello stato si provvedesse non già, come oggi parrebbe logico, aumentando il numero di coloro che attendevano all'esercizio di una determinata magistratura, ma col scindere le attribuzioni di questa affidandone alcune ad ufficii di nuova instituzione" (E. Besta, Il senato veneziano, p. 68). Per quanto attiene l'esame delle magistrature, particolarmente di natura amministrativa, delle quali ci si occuperà nelle pagine che seguiranno, oltre alle opere già citate (alle quali sono da aggiungere per completezza quelle, peraltro largamente conosciute, di Vettor Sandi, Principi di storia civile della Repubblica di Venezia, I-VIII, Venezia 1755-1772; Antonio Valsecchi, Bibliografia analitica della legislazione della Repubblica di Venezia, "Archivio Veneto", 2, 1871, pp. 50-62, 392-418; 3, 1872, pp. 16-37; 4, 1872, pp. 258-288; 6, 1873, pp. 258-284; 8, 1874, pp. 317-334; 10, 1875, pp. 302-317; 13, 1877, pp. 104-119; Antonino Lombardo, Storia e ordinamenti delle magistrature veneziane in un manoscritto inedito del sec. XVII, in AA.VV., Studi in onore di Riccardo Filangieri, II, Napoli 1959, pp. 619-688), accanto a questi fondamentali lavori vorrei dunque segnalare una breve lucida opera di ordine generale, ricca di indicazioni bibliografiche sui diversi organi di governo, in riferimento alle pubblicazioni effettuate o previste dei relativi fondi d'archivio: Raimondo Morozzo Della Rocca - Maria Francesca Tiepolo, Venezia. Serenissima Repubblica, dalle origini al 1797, in Acta Italica. Piani particolari di pubblicazione, 9, Milano 1972. Infine, a partire dal 1440 i capitolari dei principali organismi concernenti la signoria, in A.S.V., Collegio capitolare, cc. 1-8v (doge e consiglieri); cc. 9-11 (quarantia); cc. 50-52v (savi del consiglio); cc. 56-57 (savi agli ordini); cc. 59v-69v (l'intero collegio); cc. 84v-86 (avogadori di comun, auditori e sindaci).
219. Sui savi di Terraferma, G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, pp. 333 s.
220. Vittorio Lazzarini, I Foscari conti e signori feudali, Padova 1895, pp. 16 s.; Sergio Zamperetti, I piccoli principi. Signorie locali, feudi e comunità soggette nello Stato regionale veneto dall'espansione territoriale ai primi decenni del '600, Venezia 1991, p. 73.
221. Raddoppiata nei suoi componenti (saliti da 5 a 10), la magistratura divenne permanente il 15 novembre 1477, mentre era ancora in corso la guerra di Morea. Su di essa, d'obbligo il rinvio a Bernardo Canal, Il collegio, l'ufficio e l'archivio dei Dieci Savi alle Decime in Rialto, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 16, 1908, pp. 115-150, 279-310.
222. Marco Cornaro, Scritture sulla Laguna, a cura di Giuseppe Pavanello, in Antichi scrittori d'idraulica veneta, I, Venezia 1919, p. 147. Un breve, ma chiaro compendio sulla legislazione concernente la laguna fornisce Paolo Selmi, Politica lagunare della Veneta Repubblica dal secolo XIV al XVIII, in Mostra storica della laguna veneta, Venezia 1970, pp. 105-115.
223. Poiché in materia fiscale il contenzioso peccò sempre piuttosto per troppo che per manco di vigore, nel 1569 membri del collegio salirono a venti. Per il quadro politico che sottese i provvedimenti finanziari promossi dal governo marciano nel corso degli anni Venti del XVI secolo, si veda Giuseppe Del Torre, Venezia e la Terraferma dopo la guerra di Cambrai. Fiscalità e amministrazione (1515-1530), Milano 1986, in particolare pp. 59-98.
224. Il 2 agosto 1528, nella fase più acuta della grave carestia che travagliò la Terraferma, affollando la città di turbe di contadini affamati, furono affiancati da tre provveditori sopra la vittuaria, "essendo gagliardamente da proveder alla affrenata cupidità, et malizia de compravendi, appaltadori, et de tutti quelli fanno maone de più sorte victuarie in questa città, et maxime alli tempi tanto necessitosi [...]" (A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. XI, c. 76). Passata l'emergenza e non avendo dato buona prova di sé, questi ultimi furono soppressi il 24 settembre 1531 (ibid., cc. 146v-I47).
225. Su tale magistratura rinvio a Renzo Derosas, Moralità e giustizia a Venezia nel '500-'600. Gli Esecutori contro la bestemmia, in Stato, società e giustizia nella repubblica veneta (sec. XV-XVIII), a cura di Gaetano Cozzi, I, Roma 1980, pp. 433-446 (pp. 433-528).
226. Così Angelo Ventura nell'Introduzione al reprint delle Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, I, Bari 1976, p. XLIX (pp. VII-CVI).
227. Nell'agosto 1401 il Comune Veneciarum declinava l'offerta di acquistare per denaro il distretto di Latisana dai conti di Gorizia, mentre neppure due decenni più tardi avrebbe intrapreso una guerra per ottenerlo (S. Zamperetti, I piccoli principi, p. 22). Sin dal 1328 il maggior consiglio aveva proibito ai Veneziani di acquistare feudi in Terraferma, ma la legge era stata largamente evasa.
228. Si veda in proposito James S. Grubb, Alla ricerca delle prerogative locali: la cittadinanza a Vicenza, 1404-1509, in Dentro lo "Stado Italico". Venezia e la Terraferma fra Quattro e Seicento, a cura di Giorgio Cracco - Michael Knapton, Trento 1984, p. 19 (pp. 17-32). Sulla distinzione tra i diversi gradi della cittadinanza, Gaetano Cozzi, Politica, società, istituzioni, in Id. - Michael Knapton, Storia della Repubblica di Venezia nell'età moderna. Dalla guerra di Chioggia al 1517, Torino 1986, pp. 133-137 (pp. 3-271). Su ceto, funzioni e prerogative dei cittadini sono apparsi negli ultimi tempi importanti studi (Giuseppe Trebbi, La cancelleria veneta nei secoli XVI e XVII, "Annali della Fondazione Luigi Einaudi", 14, 1980, pp. 65-78 [pp. 65-125]; Ugo Tucci, Carriere popolane e dinastie di mestiere a Venezia, in Gerarchie economiche e gerarchie sociali. Secoli XII-XVIII, a cura di Annalisa Guarducci, Firenze 1990, pp. 815-851; Matteo Casini, La cittadinanza originaria a Venezia tra i secoli XV e XVI. Una linea interpretativa, in AA.VV., Studi veneti offerti a Gaetano Cozzi, Venezia 1992, pp. 133-150), tra questi il già citato A. Zannini, Burocrazia e burocrati (in particolare pp. 34-47), al quale mi sono rifatto, nell'elenco cronologico sopra riportato, come al contributo più aggiornato.
229. Angelo Ventura e Gaetano Cozzi hanno dato vita ad un importante dibattito, dove il primo sosteneva l'esistenza di un disegno uniformatore da parte di Venezia nei confronti della Terraferma, mentre il secondo sottolineava piuttosto la mancanza di un disegno organico accentratore e la creazione di una sorta di stato federativo. Rinvio in proposito alla recente puntualizzazione fornita
da Ivana Pederzani, Venezia e lo "Stado de Terraferma". Il governo delle comunità nel territorio bergamasco (secc. XV-XVIII), Milano 1992, pp. 21-24. Si licet parva componere magnis, se posso insomma dire la mia, ritengo che, dopo la mancata conquista di Milano e l'adesione alla pace di Lodi (1454), Venezia abbia di fatto dato vita ad una sorta di federazione basata su un tacito accordo quanto alla spartizione delle risorse economiche: una specie di diarchia, insomma, nella quale essa riservava per sé il monopolio della politica, del commercio, delle rendite ecclesiastiche, lasciando tuttavia buona parte dell'amministrazione della Terraferma (ad esempio l'esercizio delle cariche locali, il controllo degli estimi, dell'annona, dei monti di pietà, le prerogative feudali) alla nobiltà suddita. Tant'è vero che i Veneziani non potevano ottenere la cittadinanza delle comunità di Terraferma: l'ostracismo era reciproco.
230. Scrive in proposito il Maranini: "Ancora una volta l'aristocrazia mostrava di aver chiara coscienza della particolare maturità dei XL e della loro devozione ai supremi fini dello stato patrizio. Per opera loro si era elaborata la legge fondamentale del 1297; per opera loro l'aristocrazia intendeva salvaguardare la propria purezza e la propria coesione" (G. Maranini, La Costituzione di Venezia, II, p. 57).
231. Cf. rispettivamente: Cronachetta di Marino Sanuto, a cura di Rinaldo Fulin, Venezia 1880, p. 222; A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. X, cc. 62r-64.
232. Il lungo Incipit del decreto istitutivo testimonia a quale degrado fosse giunta la corruzione della classe politica veneziana, come pure quanto forte risultasse ormai l'insofferenza nei confronti di un fenomeno tanto pericoloso per gli ordinamenti repubblicani (si ricordi come la disfatta di Agnadello fosse stata avvertita, qualche anno prima, alla stregua di una punizione divina per le colpe dei Veneziani): "Ha usato sempre ogni Repubblica ben instituta proveder cum diversi ordeni, et leze, che essendo li onori premio della virtù, i siano conferiti cum sincerità a quelli che per meriti, probità, et bone operazion sue li hanno meritati, et non a quelli che cum inhonesti, et perniziosi modi de ambizion li cercano, et precipue in questa città nostra, nella quale se ha cercato in diversi tempi remediar alli inconvenienti preditti. Ma non avendo fin ora operato provision alcuna, come a cadaun è noto, et questo in primis per esser stà commesse le execuzion delli prefatti ordeni a magistrati, i quali impliciti in diversi altri negotij de importanzia non hanno possuto, né possono incomber all'execuzion predicte; ita che per le cause prefacte non se fa provision alcuna; adeo che l'ambizione predicta è in tanto cresciuta, che li zentilhomeni nostri non solum cum infinite intercessioni de propinqui, et amici, et altri mezi, et cum incessanti preghiere sono astretti a far election contra il voler, et conscienzia sua: verum etiam per quanto è pubblica fama, quelli, che desiderano remanir in qualche magistrato, in quelli precipue che si fanno per questo senato, astringono quelli, che li hanno a ballottar a farsi prometter la ballotta sua cum solenne sacramento, ac etiam da poi le ballottazion quelli de Pregadi li vano a jurar sacramento de averli voluti, né par che altramente se presti fede ad alcuno; il che astringendo quelli che desiderano far bona elezione, et satisfar la conscientia sua ad far molte volte la election contra il dover, sì per il juramento fatto, come per quello etiam, che da poi la ballottazione se usa far, necessario è che l'elezion procedano corrupte cum offension del nostro Signor Dio, delle conscienzie di cittadini, et danno gravissimo de questa Repubblica. Unde essendo necessario proveder alli prefatti inconvenienti, però l'anderà parte, che cum el nome dello Spirito Santo, el primo Gran Consejo elezer se debbano duo delli primarij zentilhomeni della Repubblica nostra [...], quali siano appellati Censori [...]" (A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. X, cc. 154v-159v).
233. In tal modo "incardinando il ceto dei cittadini originari all'amministrazione dello stato, lo si rese uno dei pilastri del consenso popolare all'oligarchia di governo" (A. Zannini, Burocrazia e burocrati, p. 192).
234. A.S.V., Maggior Consiglio deliberazioni, reg. 29, c. 45 (la citazione è tratta da A. Zannini, Burocrazia e burocrati, p. 45).
235. Michael Knapton, Il Consiglio dei Dieci nel governo della Terraferma: un'ipotesi interpretativa per il secondo '400, in Atti del Convegno Venezia e la Terraferma attraverso le relazioni dei rettori. Trieste, 23-24 ottobre 1980, Milano 1981, p. 259 (pp. 237-260).
236. Sulle quarantie, Giannino Ferrari, I Contradittori nelle magistrature d'appello di Venezia e nei Consigli di Padova e Verona, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 19, nr. 1, 1910, pp. 115 ss. (pp. 112-144).
237. Un decreto del 15 maggio 1486 (siamo in un difficile momento, tra due guerre: quella del Polesine e quella di Rovereto) aveva delegato al consiglio dei dieci l'osservanza dei privilegi delle comunità di Terraferma. La gran mole di lavoro prontamente manifestatasi suggerì ben presto tuttavia (1° aprile '87) di limitare la competenza dei X ai soli privilegi originari, affidando il giudizio sui conflitti suscitati dalle successive modifiche agli avogadori di comun, "sicuti fiebat ante suprascriptam partem" (A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, cc. 105v-106v). Manca uno studio organico sull'avogaria di comun. Imposta (e in parte risolve) assai bene la questione, per il periodo che qui ci interessa, Alfredo Viggiano, Interpretazione della legge e mediazione politica. Note sull'Avogaria di Comun nel secolo XV, in AA.VV., Studi veneti offerti a Gaetano Cozzi, Venezia 1992, pp. 121-131.
238. Per le citazioni, A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, cf. rispettivamente: reg. VI, cc. 262v-264; VIII, cc. 3v-7v; 47r-v. Sui sindaci di San Marco e di Rialto, G.I. Cassandro, La curia di Petizion, 19, pp. 123 s.
239. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. XI, cc. 45v-47v. Sul tentativo di riforma del diritto veneto promosso dal Gritti è fondamentale G. Cozzi, La politica del diritto, pp. 122-145.
240. Cf. in proposito Antonio Menniti Ippolito, Le dedizioni e lo stato regionale. Osservazioni sul caso veneto, "Archivio Veneto", ser. V, 162, 1986, pp. 5-30.
241. A.S.V., Libro d'oro Maggior Consiglio, reg. IX, cc. 75v-76.