Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Grazie alle tecniche sempre più avanzate di astronomia e alla comprensione sempre più profonda della teoria gravitazionale di Einstein, molti degli oggetti celesti osservati oggi possono essere spiegati: le prime classificazioni degli ammassi stellari sono state proposte nella prima metà del Novecento, sulla base del grado di dispersione e di densità di gas e polveri. La formula di Einstein sul rapporto tra massa ed energia dà conto di come il processo di fusione nucleare dell’idrogeno in elio possa essere all’origine dell’attività di una stella, come teorizzato da Arthur Eddington nel 1920. La teoria dell’evoluzione stellare è quindi oggi ben consolidata. Nel corso del Novecento è stata ipotizzata, e quindi provata, l’esistenza di oggetti teorici affascinanti come i buchi neri.
Stephen Hawking
La temperatura dei buchi neri
Il determinismo fu messo in discussione quando io scoprii che i buchi neri non erano completamente neri. [...] Se è presente un buco nero, una particella di una coppia virtuale potrebbe cadervi dentro, lasciando l’altra libera di sfuggire verso l’infinito. A un osservatore lontano dal buco nero, le particele in fuga paiono irradiate dal buco nero. Lo spettro del buco nero è esattamente quello che ci aspetteremmo da un corpo caldo, con una temperatura proporzionale al campo gravitazionale sull’orizzonte. In altre parole, il buco nero ha una temperatura che dipende dalle sue dimensioni. Un buco nero con una massa pari ad alcune masse solari avrebbe una temperatura di un milionesimo di grado superiore allo zero assoluto, mentre uno più grande l’avrebbe ancora più bassa.
S. Hawking, L’Universo in un guscio di noce, Milano, Mondadori, 2002
Il nostro Sole è una stella. Una stella è una gigantesca sfera di gas caldissimo. Per capire di quali gas una stella è formata dobbiamo ricorrere a concetti di chimica-fisica. Un atomo è formato da un nucleo, costituito da un certo numero di protoni e neutroni, e da una nube di elettroni orbitanti intorno a esso. L’elemento chimico che richiede meno energia per essere prodotto è l’idrogeno, poiché formato da un solo protone e un solo elettrone. Durante la fase di nucleosintesi – ossia nella fase in cui all’interno di una stella avvengono reazioni nucleari in grado di produrre i nuclei degli elementi chimici – la probabilità di generare l’idrogeno è quindi molto più alta che la probabilità di formazione di altri elementi chimici. Dato che le stelle costituiscono la maggior parte della materia visibile nell’universo, queste, di conseguenza, sono formate principalmente da idrogeno. L’energia necessaria per mantenere in vita una stella è dovuta alla fusione nucleare che nella parte più centrale della stella per effetto dell’altissima pressione e dell’attrazione gravitazionale fonde l’idrogeno in elio (elemento chimico formato da due protoni). Se l’idrogeno che inizialmente forma la stella è in quantità sufficiente o, allo stesso modo, se la stella è abbastanza “pesante”, la pressione esercitata sul nucleo centrale della stella è sufficientemente grande da far fondere anche l’elio e formare altri elementi chimici. Queste reazioni nucleari generano la pressione necessaria per frenare il collasso della stella dovuto all’attrazione gravitazionale.
L’universo è formato da un continuo di gas e polvere. Alcune regioni in cui la densità di gas e polvere può essere maggiore che nella media, sono chiamate nebulose. Le nebulose costituiscono la culla nel quale le stelle si formano. La luminosità di una nebulosa dipende dalla sua temperatura, oltre che dalla sua superficie. La temperatura misura la velocità quadratica media delle particelle costituenti un gas e quindi è legata alla pressione del gas stesso; la pressione è, infatti, legata agli “urti” medi tra le particelle del gas. Se la nebulosa è quindi abbastanza scura (temperatura di circa 10 Kelvin), la forza di gravità non è contrastata in modo efficace e un collasso gravitazionale è inevitabile, come provato da Jeans (1902). Storicamente le due prime classificazioni delle più comuni nuvole di gas sono state stilate da Edward Emerson Barnard nel 1916 e Bart Jan Bok (1906-1983) nel 1947. Se la nuvola di gas è molto dispersa è spesso chiamata stella di Barnard. Nel caso invece che la nebulosa sia abbastanza concentrata, è chiamata globulo di Bok. La maggior parte della massa del globulo di Bok si trova entro un diametro di un parsec (vedi cosmologia per la definizione) e può avere una massa tra 1 e 1.000 volte quella del sole. Mentre una stella di Barnard pesa circa 10.000 volte il peso del Sole e si estende per circa 10 parsec. Durante il collasso la parte più centrale della nebulosa tende a divenire sempre più calda. Nella fase iniziale il calore della parte centrale è disperso per convezione all’esterno mantenendo la nebulosa sotto i 100 gradi Kelvin. Quando la densità diviene abbastanza alta, la dissipazione di calore diviene sempre più difficile. In questo modo la temperatura del nocciolo della stella aumenta e reazioni nucleari capaci di fermare l’effetto gravitazionale cominciano a prevalere. Il seme di una stella, la protostella, nasce quando il nucleo raggiunge i 10 milioni di gradi. Una protostella è ancora in fase di collasso, anche se molto lento. Quando l’energia prodotta dalla fusione nucleare all’interno della protostella eguaglia l’energia gravitazionale, in altre parole dopo circa 10 milioni di anni dalla nascita della protostella, si dice che è nata una stella. Esistono due limiti di formazione di una stella. Una protostella di massa maggiore a 200 volte quella del Sole non può formare una stella, poiché la gravità non riesce a equilibrare la pressione interna. Viceversa una protostella con massa minore di 80 volte la massa di Giove (nane brune) non riesce a raggiungere i 10 milioni di gradi essenziali per iniziare la fusione nucleare.
Abbiamo discusso che una protostella diviene una stella quando il nucleo comincia il processo di fusione dell’idrogeno in elio. Questo processo fu per primo proposto da Eddington nel 1920. Per formare dell’elio dall’idrogeno, abbiamo bisogno che i nuclei di due atomi di idrogeno si portino a una distanza molto vicina. Ogni nucleo è però caricato positivamente, quindi due nuclei a temperatura ambiente tenderebbero ad allontanarsi a vicenda, un po’ come la repulsione che avviene tra due magneti. Per fare in modo che questi si avvicinino, abbiamo bisogno di grandi velocità e quindi alte temperature. A 15 milioni di gradi, come per esempio è il nucleo del Sole, un protone si muove alla velocità di 1 milione di chilometri l’ora! Nella fusione dell’idrogeno in elio avviene una perdita di massa del prodotto finale, elio, rispetto a quello iniziale, idrogeno. Per esempio il Sole converte circa 600 milioni di tonnellate di idrogeno in 596 milioni di tonnellate di elio ogni secondo. I 4 milioni di tonnellate di massa mancante sono convertite in energia, parzialmente la luce che osserviamo sulla Terra, secondo la famosa formula di Einstein (1905) Energia= massa per velocità della luce al quadrato.
La chimica ci dice che per formare un nucleo di elio abbiamo bisogno di quattro nuclei di idrogeno (per essere precisi sei nuclei di idrogeno formano uno di elio, due di idrogeno ed energia libera). Dunque, durante il processo di fusione, il nucleo della stella diminuisce il suo volume aumentando la sua densità. Questo succede in un tempo di centinaia di migliaia di anni, secondo la massa della stella. Aumentando la densità, la pressione che il nucleo esercita sugli strati superiori della stella aumenta e quindi la stella incrementa il suo volume. Dato che la luminosità è legata alla superficie dell’ultimo strato della stella, stelle più vecchie brilleranno di più che stelle più giovani. Quando tutto l’idrogeno è stato convertito nel nucleo della stella, il nucleo si raffredda e la pressione sugli strati esterni diminuisce. In questo modo l’attrazione gravitazionale non è più bilanciata e la stella comincia a ricollassare. Questo processo comprime il nucleo e aumenta di nuovo la sua temperatura, non più per fusione nucleare ma per energia gravitazionale. Il nucleo diviene così caldo da indurre fusioni nucleari di idrogeno in elio in uno strato appena sovrastante. Questo strato genererà quindi alte pressioni che faranno ingrandire di nuovo la stella. Rispetto al caso precedente la velocità di espansione è ora maggiore e lo strato più esterno è molto più freddo che precedentemente. Il colore della stella in questo stadio è sul rosso e quindi è chiamata gigante rossa.
Lo stadio finale di una stella dipende dalla sua massa iniziale.
a) Masse minori di 4 masse solari
Dopo la prima fase di gigante rossa, il nucleo comincia a formare, per compressione, carbonio e ossigeno. Queste nuove reazioni nucleari generano una seconda fase di gigante rossa dove la stella incrementa di volume e luminosità. Date le dimensioni gigantesche di questo nuovo stadio, lo strato più esterno diviene meno legato al nocciolo. In questo modo lo strato esterno può disperdersi nello spazio sovrastante formando una nube di gas di idrogeno e polvere (nebulosa planetaria). Il nocciolo ha ora pochissimo idrogeno intorno a sé e quindi rapidamente spegne le reazioni nucleari di fusione. Quello che rimane è un nucleo molto caldo di elementi pesanti, la nana bianca, che contrappone la forza di gravità grazie alla pressione esercitata dagli elettroni atomici, come fu spiegato da Fowler nel 1926. La sorte finale di questa stella sarebbe un raffreddamento molto lento. Questa stella può però incrementare la sua massa, estraendo materia da una stella compagna, fino ad arrivare a 1,44 masse solari (limite di Chandrasekhar, 1930). In questo limite si innesca una tremenda esplosione che finisce in una supernova.
b) Masse maggiori di 4 masse solari
In questo caso la massa è abbastanza grande da fondere il carbonio e l’ossigeno del nucleo per compressione gravitazionale. Con un meccanismo simile a quello descritto sopra per la seconda fase della gigante rossa, si possono formare nuovi elementi pesanti nel nucleo. Nell’ultimo stadio di fusione, il nucleo è formato da ferro e circondato da strati d’altri elementi. Dopo questa fusione, non essendoci più reazioni nucleari, le uniche forze che si possono contrapporre alla gravità sono dovute alla pressione degli elettroni intorno al nucleo. Come dimostrò Chandrasekhar nel 1930 a queste masse, la pressione elettronica non riesce a fermare il collasso gravitazionale. Questo collasso aziona un processo chiamato di neutronizzazione dove i protoni ed elettroni, costituenti degli atomi, sono convertiti per compressione gravitazionale in neutroni e neutrini. Il nucleo diminuisce in pochi secondi il suo diametro da migliaia di chilometri a circa cinque chilometri. Il nucleo più interno, formato da neutroni arresta repentinamente il collasso provocando un rimbalzo degli strati più esterni il quale induce un’esplosione violentissima, la supernova. A questo punto i neutroni, non potendo essere più compressi, riescono a resistere alla compressione gravitazionale, e una stella di neutroni nasce dal nucleo più interno. Queste stelle furono predette da Baade e Zwicky (1933) ma furono capite solo più tardi da Oppenheimer e Volkoff nel 1939 i quali ipotizzarono anche un limite per la massa di queste stelle. Infatti, se la stella di neutroni ha una massa maggiore di tre masse solari, allora nemmeno la pressione dovuta ai protoni può fermare il collasso gravitazionale e la stella forma un buco nero. Un buco nero è una stella completamente collassata dove l’attrazione gravitazionale è talmente grande che nemmeno la luce può scapparne. Fu per primo teorizzata dal Schwarzschild nel 1915. Questa soluzione fu una delle prime soluzioni esatte della teoria gravitazionale di Einstein.