di Maria Chiara Rizzo
Il contenzioso per la gestione delle acque del Giordano e dei suoi affluenti è uno dei principali ostacoli all’avvio di negoziati tra Israele e i paesi co-rivieraschi del bacino. Le diverse fasi del conflitto arabo-israeliano hanno coinciso con un crescente controllo israeliano delle fonti idriche superficiali e sotterranee, legando così il conflitto per la terra a quello per l’acqua. Attualmente, un terzo dei consumi idrici di Israele proviene dalle zone annesse durante la Guerra dei Sei giorni nel 1967. Al termine del conflitto, Israele assunse il controllo delle principali fonti idriche del bacino: le ricche falde acquifere di montagna nella Cisgiordania occidentale e le alture del Golan. Tali rilievi, oltre a essere un avamposto militare importante, rappresentavano un’area idrografica strategica, poiché assicuravano l’accesso alla riva est del lago Tiberiade. La contesa sull’acqua è poi uno dei nodi irrisolti delle relazioni tra Libano e Israele e un aspetto che condiziona la riapertura di un dialogo. In una regione caratterizzata da una strutturale mancanza di acqua, il Libano presenta una buona dotazione di risorse idriche. Dalla regione del Monte Libano e, in misura minore, dal monte Hermon, situato al confine siro-libanese, ha origine un sistema idrografico particolarmente ricco. Israele rivendica da anni il controllo delle risorse presenti nella parte meridionale del paese, occupata dal 1978 al 2000, dove scorrono i fiumi Litani, Hasbani e Wazzani. Il Litani, con un corso di 140 chilometri, è il fiume più lungo del Libano. Dalla sorgente, localizzata al centro del paese, attraversa la fertile pianura della Bekaa e orienta le sue acque verso la foce sul Mediterraneo, a nord di Tiro. Nonostante scorra esclusivamente in territorio libanese, Israele ha ripetutamente rivendicato la possibilità di sfruttarne le acque. La contesa sul Litani ha origine negli anni Cinquanta, quando Israele cercò di ostacolare l’utilizzo da parte del Libano del corso d’acqua a fini agricoli, traendo vantaggio dall’intervento degli Usa e della Banca mondiale per la ricostruzione e lo sviluppo. Infatti il piano di aiuti americani concessi tra il 1951 e il 1957 sotto il nome di Punto IV della dottrina Truman, non menzionava il Litani come risorsa per l’agricoltura, bensì per la produzione di energia elettrica, in contrasto con la posizione degli esperti libanesi che volevano valorizzare la vocazione agricola dell’area. L’opposizione israeliana al potenziamento del sistema irriguo ebbe successo: le pressioni americane portarono la presidenza libanese, allora molto vicina all’amministrazione statunitense, a destinare il fiume alla produzione di energia elettrica. Tra i diversi progetti libanesi di sfruttamento del Litani, soltanto uno venne realizzato, con la costruzione della diga di Qaraoun per l’utilizzo delle acque a scopo agricolo e la realizzazione di tre centrali idroelettriche negli anni Sessanta. Nel decennio successivo, lo scoppio della guerra civile e l’occupazione israeliana del sud del Libano interruppero ogni iniziativa. Dopo il ritiro israeliano dal sud del Libano nel 2000, il paese accusò Israele di aver convogliato le acque del Litani verso il suo territorio con una canalizzazione sotterranea che deviava le acque da Deir Mimas, villaggio libanese a ridosso del Litani, verso la valle Huleh. Durante gli anni di occupazione, fu registrata una sensibile diminuzione della portata del fiume proprio all’altezza della suddetta località libanese. Nel 2006, durante il conflitto tra i due paesi, l’esercito israeliano distrusse parte del ‘canale 900’, costruito dal Libano per incanalare le acque della diga Qaraoun verso la zona centrale della Bekaa a scopo irriguo. Oggi la zona a sud del Litani non registra un’intensa attività agricola, a causa del continuo scambio di missili tra i due paesi che colpisce le aree più fertili localizzate nei pressi del fiume. L’interesse di Israele per le acque libanesi continua tutt’oggi, con l’occupazione delle fattorie di Chebaa, presidio israeliano non abbandonato dalle truppe sioniste al momento del ritiro dal sud del Libano. Questa striscia di 40 km2 si trova nella zona di confine tra Israele, Siria e Libano, sui pendii sud-occidentali del monte Hermon, e rappresenta un’area strategica per motivi idropolitici e militari. La zona consente a Israele il controllo di una falda alimentata dalle nevi del Monte Hermon, le cui acque, seppur parzialmente, confluiscono nel fiume Hasbani, nel Dan e nel Banias (tre affluenti del Giordano) e permettono l’approvvigionamento idrico delle colonie sul Golan. Dal punto di vista militare, inoltre, l’insediamento permette di esercitare un controllo sulle attività del partito libanese sciita Hezbollah. A pochi chilometri dalle fattorie di Chebaa scorre il fiume Hasbani che, dopo aver ricevuto le acque del Wazzani, si dirige verso Israele per riversarsi nel lago di Tiberiade. Durante i ventidue anni di occupazione, Israele ha sfruttato le acque del fiume Hasbani. Soltanto dopo il ritiro dell’esercito israeliano il Libano ha realizzato un progetto che prevedeva l’utilizzo del fiume Wazzani, allo scopo di garantire la fornitura di acqua potabile a una cinquantina di villaggi libanesi, con un prelievo di circa un milione di metri cubi annui su una portata massima del fiume pari a centotrentacinque milioni. Il progetto libanese ha provocato l’immediata reazione di Israele, tanto che, nel 2002, Ariel Sharon lo ha definito un casus belli, vista l’importanza dei fiumi Hasbani e Wazzani per Israele. Le acque dei due fiumi rappresenterebbero un’importante fonte di integrazione di acqua dolce per il lago Tiberiade che, oltre a essere soggetto a una forte evaporazione, riceve acque sotterranee ad alta concentrazione di sale. Il lago Tiberiade riveste un’importanza fondamentale per Israele in quanto punto di stoccaggio delle acque che alimentano l’acquedotto nazionale che garantisce l’approvvigionamento idrico delle zone costiere e del sud del paese.