Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel tentativo di mantenere memoria e insieme ridefinire la propria identità, nel secondo dopoguerra la Germania e l’Europa intera si sono dovute confrontare con gli ingombranti e imbarazzanti residui del recente passato, ovvero i grandi edifici di rappresentanza del Reich e le strutture del sistema concentrazionario. Con la divisione in blocchi, la ricostruzione e l’elaborazione vivono tempi e modi differenti che, dopo la caduta del Muro nel 1989, è stato possibile considerare e delineare.
Il 1945 segna la possibilità della distruzione totale e della sua riproducibilità: il 6 agosto viene sganciata la bomba atomica su Hiroshima; tre giorni dopo si ripete con Nagasaki, bomba atomica. È una distruzione silenziosa e istantanea, affidata a una luce innaturale. In questo annientamento totale, di molti uomini restano solo le impronte annerite sul selciato e sui muri, ma le conseguenze sono destinate a manifestarsi nel tempo, contaminando la terra e i non-nati.
Sebbene nella guerra europea non si fece uso di un’arma così devastante, le bombe incendiarie riducono ugualmente le città al “grado zero”: la seconda guerra mondiale è stato il primo conflitto a rivolgersi direttamente alle città, ai civili, secondo una visione di guerra totale condivisa da entrambi gli schieramenti. In Germania, il termine per definire quella condizione urbana è trümmer, che trova l’equivalente nell’italiano “macerie”: ciò che resta è ridotto in frammenti, è ritornato alle secche pietre di composizione degli edifici. Non si tratta più di “rovine”, in cui l’intero è ancora riconoscibile ed emana un’aura romantica di nostalgia del passato, ma piuttosto di un materiale informe da riplasmare. Nascono neologismi come trümmerfrau, espressione coniata per indicare il ruolo delle donne nella ricostruzione; la stessa letteratura del dopoguerra prende il nome di trümmerliteratur.
La ricostruzione delle città è un fenomeno complesso; ogni caso è differente e segnato dalle particolari condizioni economico-politiche dell’area in questione. Tuttavia si possono individuare alcuni episodi emblematici per il rapporto fra evento e memoria, soprattutto per ciò che riguarda le città tedesche.
Nei primi anni Trenta Norimberga venne scelta come sede per il Parteitag, l’adunata annuale del partito nazionalsocialista. Per accogliere le masse dei membri e conferire una scenografia monumentale all’evento, nella sua periferia fu edificata dal 1933 al 1938 la Stadt der Reichsparteitage su progetto di Albert Speer: una “città” composta da due grandi aree per le adunate, ovvero lo Zeppelinfeld e la Luitpold Arena (che si venne ad affiancare al preesistente monumento ai caduti della Grande Guerra), la Kongresshalle in forma di Colosseo, disegnata dagli architetti Ludwig (1878-1934) e Franz Ruff, la Grosse Strasse (lastricata di granito, enfatizza il legame fra la città delle Diete imperiali e la nuova città dei fasti nazionalsocialisti). Il progetto prevede anche la costruzione del Märzfeld e dell’imponente Deutsche Stadium, ma lo scoppio della guerra ne impedisce la realizzazione. Nel 1934 Leni Riefenstahl gira in quest’area il famoso Triumph des Willens, il film che ha contribuito a costruire e diffondere l’immagine di ordine, perfezione ed esaltazione trionfale del Terzo Reich. Per lasciare posto ai nuovi edifici, si decide l’abbattimento dell’autostazione costruita solo pochi anni prima: la visione dei resti di questo edificio sollecita in Speer l’elaborazione della Theorie vom Ruinenwert, ovvero la teoria del valore che un edificio può avere, visto come rovina. Da quei “cumuli di macerie polverose”, scrive Speer nelle sue memorie, non si sarebbe potuto sviluppare nessun sentimento di grandezza. Per questo motivo, gli edifici che dovranno durare nel tempo ed eternarsi come rovine del Reich millenario devono essere fatti di materiali nobili come granito e mattoni, non con il moderno calcestruzzo armato, il cui aspetto nella distruzione/abbandono gli appare estremamente misero.
La teoria del valore delle rovine convince Hitler, divenendo una delle linee progettuali per i grandi edifici di rappresentanza: granito e mattoni dovevano essere prodotti in ingente quantità per eternare il Terzo Reich. Per farvi fronte furono creati nuovi lager presso cave di granito (Mauthausen, Flossenbürg, Sachsenhausen, Gross-Rosen e altri) o presso depositi di argilla, dove veniva sfruttata la massa di Zwangarbeiter, l’illimitata manodopera coatta e schiava, per l’estrazione e la lavorazione.
Alla fine della guerra si determina un paradosso: gli edifici in granito e mattoni divengono residui imbarazzanti del progetto megalomaniaco del Reich, mentre le deperibili baracche dei campi restano come segni del sistema di annientamento finalizzato al progetto eugenetico nazista. Mantenere le seconde diviene con il tempo sempre più difficile, ogni intervento conservativo provoca un’alterazione, una trasformazione migliorativa delle strutture, fino all’edulcorazione: il luogo dove ciò appare con più evidenza è Auschwitz, prodotto finale del processo di ottimizzazione dello sterminio ebraico, che ora rischia di apparire un parco, con i prati curati e le baracche restaurate. I grandi edifici del Reich sono stati in parte abbattuti dopo la fine della guerra, come è accaduto a Berlino: l’imponente Neue Kanzlei, la nuova Cancelleria progettata da Speer, è stata rasa al suolo, i suoi marmi sono stati utilizzati per costruire il Sowjetisches Ehrenmal Treptower Park, il monumento all’Armata Rossa vittoriosa eretto nel parco di Treptow nel 1946-1949; probabilmente parte delle sue macerie è stata utilizzata anche per erigere il Muro nel 1961.
A Norimberga, diversamente da altre città, gli edifici per il Parteitag erano sostanzialmente intatti. Per motivi di statica, negli anni Sessanta si procedette ad abbattere le colonne della tribuna dello Zeppelinfeld. In seguito si cercò di destinare altrimenti gli edifici, ma qualsiasi uso, da quello fieristico a quello sportivo, provocava sentimenti di imbarazzo, fra la rivalsa e il rigetto. Solo nel 2001, grazie all’intervento leggero dell’architetto Günther Domenig, è stato possibile riaccostarsi con consapevolezza ad almeno uno degli edifici: una freccia di vetro e metallo – i materiali del moderno rigettati dal Reich – attraversa ora la Kongresshalle dove è stato creato un centro di ricerca e allestita una mostra sugli anni del nazismo.
Con la divisione in blocchi, la ricostruzione ha vissuto tempi e modi differenti: la diversificazione fra le due Germanie si è mostrata a pieno dopo la caduta del Muro nel 1989. Nella parte ovest si è ricostruito in fretta, spesso eliminando le macerie degli ingombranti passati (l’autoritaria Prussia guglielmina, oltre al nazismo), affidandosi a progetti di architetti contemporanei sia per le nuove realizzazioni che per restaurare le vestigia del passato. Berlino è il luogo dove l’architettura è stata maggiormente chiamata in causa per ripensare aree e identità: si ricordano le varie edizioni dell’IBA (Internationale Bauaustellung), ovvero le esposizioni internazionali di architettura, e i progetti del Kulturforum (la Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe, la Staatsbibliothek e la Berliner Philharmonie di Hans Scharoun).
Nella DDR, invece, la situazione economica non permette una ricostruzione adeguata: in molti casi si archivia il passato lasciandolo in cumuli di macerie che solo dopo il 1989 sono state dissepolte e usate per ricostruire.
Emblematico è il caso di Dresda, città fra le maggiormente colpite dalla strategia di moral bombing messa in atto dagli alleati per spezzare il consenso popolare nei confronti del nazismo. Alla fine della guerra, della splendida capitale della Sassonia rimangono solo macerie annerite dalle bombe incendiarie del febbraio 1945. Sebbene già negli anni Settanta l’amministrazione comunale intraprenda un progetto di ristrutturazione del centro storico, solo una parte degli edifici – fra cui lo Zwinger, sede della famosa pinacoteca – vengono riportati al loro splendore. In particolare la Frauenkirche, il duomo evangelico simbolo della città, rimane per quasi 50 anni un cumulo di macerie, troppo importante per essere rimosso e insieme impossibile da ricostruire per motivi economici. Il 14 febbraio 1990, anniversario del bombardamento celebrato a pochi mesi dalla caduta del Muro, viene resa pubblica l’iniziativa civica che prevede la ricostruzione integrale della Frauenkirche: si affronta uno scavo delle macerie, i reperti estratti vengono catalogati e in parte restaurati, per poi procedere a una riedificazione del duomo sulla base dei progetti originali, dipinti e fotografie d’epoca. I frammenti anneriti recuperati sono stati inseriti nella struttura in arenaria nuova, e quindi chiara, conferendo all’insieme l’effetto di un enorme puzzle. La ricostruzione è terminata nel 2005: quello che a livello architettonico e delle discipline del restauro appare quindi come un “orrore” ha tuttavia un fortissimo peso simbolico-identitario.