L’immagine di Costantino Magno nella storiografia ecclesiastica fra tardo Illuminismo e Novecento
La discussione su Costantino e la sua epoca nella storiografia ecclesiastica protestante di lingua tedesca va ricordata per due motivi: innanzitutto, il suo stato è continuamente avanzato sulla base sia di un’analisi dettagliata e storico-filologica sia di strutture argomentative storico-critiche; ancora oggi, alcuni contributi di questo periodo si leggono con grande profitto. Dall’altra parte, questa discussione scientifica – i cui singoli contributi sono intrecciati tra loro in modo tale da poter parlare di un discorso unico – riflette in modo esemplare lo stato d’animo della politica ecclesiastica contemporanea nei diversi schieramenti teologici del protestantesimo. Chi voglia trattare la ricerca sull’interpretazione di Costantino Magno nella teologia protestante moderna non può farlo senza ricorrere espressamente a un importante saggio dello storico della Chiesa di Lipsia, Kurt Nowak, prematuramente scomparso. Nowak descrive, utilizzando un largo numero di fonti, in primo luogo le «dispute accanite» che si erano succedute dalla metà dell’Ottocento sull’interpretazione della persona, della politica e dell’influenza di Costantino; oltre a occuparsi del tema specifico queste dispute rendono visibile, secondo Nowak, «una lotta, istruttiva sotto molti punti di vista, sulla direzione e sulla forma del cristianesimo moderno»1. Il presente saggio si dedicherà in primo luogo, da una prospettiva storico-epistemologica, agli approcci e ai metodi che hanno diretto la ricerca e ai risultati degli studi di storia ecclesiastica sull’epoca costantiniana tra il 1800 circa e il 1945. Successivamente, esso seguirà il suggerimento di Nowak, ricostruendo la base politica e ideologica della discussione; esso mostrerà in che modo gli storici della Chiesa protestanti collegarono la presentazione letteraria dei risultati della ricerca con una diagnosi implicita o esplicita della situazione contemporanea.
Per poter chiarire il panorama ideologico contemporaneo, il presente contributo si concentra innanzitutto su due dibattiti che ebbero un ruolo centrale per i contemporanei, e che si prestarono a fornire dei paradigmi per una discussione storico-ecclesiastica sulla persona e sulla politica di Costantino: da una parte la discussione sul rapporto tra Stato e Chiesa, dall’altra la tendenza, che si comprende al meglio con il termine storicismo, verso una completa storicizzazione delle discipline scientifiche storico-filologiche, e con queste anche della storiografia ecclesiastica. Entrambe le discussioni hanno formato dei campi di forze secondo i quali si è orientato l’ampio spettro delle posizioni teologiche dell’epoca. La grande quantità di posizioni culturali, politiche e sociali, fortemente divergenti, in competizione l’una con l’altra per imporre la propria influenza nella Chiesa, nella società e perfino nella ricerca scientifica, è una caratteristica della teologia protestante dell’Ottocento. Un giudizio letterario della persona di Costantino si spiega spesso solo ricostruendo la posizione teologica dell’autore in questione. Il tema del rapporto tra Stato e Chiesa all’interno di una società di stampo cristiano fu uno degli argomenti più importanti nella discussione protestante durante l’intero Ottocento. Mentre nella prima metà del secolo l’autonomia istituzionale delle Chiese evangeliche regionali diminuì progressivamente in seguito alle riforme neoassolutistiche dello Stato, si aprì la strada un movimento che rivendicava, sulla base di un’approfondita riflessione teologica e giuridica, una fondamentale autonomizzazione delle Chiese. Era iniziato il processo del cosiddetto churchbuilding, ovvero di un ‘costituzionalismo ecclesiastico’ che, concludendosi nel 1918, portò alla formazione di un diritto canonico e di un’autonomia maggiore degli organi di governo della Chiesa. Gli argomenti discussi nei giornali ecclesiastici e durante le riunioni delle associazioni protestanti entrarono sotto una veste storica anche nella rappresentazione delle epoche passate della Chiesa cristiana: un fatto che è particolarmente evidente nell’inserimento continuo e nell’esposizione storica di concetti anacronistici quali quello di diritto e di politica ecclesiastica, i quali però erano chiari ai lettori dell’epoca. Quest’osservazione vale tanto per la storiografia sulla Riforma quanto per lo studio del cristianesimo costantiniano.
Lo sviluppo di una storiografia implicitamente riferita al presente si comprende solo con un occhio rivolto alla storia delle idee: l’Ottocento, nella sua complessità, è stato descritto come «epoca del riferimento storico»2, durante il quale l’argomentazione storica ha avuto un valore particolare. Innanzitutto, la scienza di lingua tedesca si è rivolta in modo intenso, sotto l’influenza dell’idealismo e del romanticismo, a concetti di comprensione e interpretazione nei quali il termine ‘storia’ ha avuto un ruolo determinante. Ciò si spiega anche con le numerose esperienze di discontinuità: la fine dell’Ancien Régime, le guerre napoleoniche e il cambiamento del mondo quotidiano attraverso l’industrializzazione. Anche e soprattutto la ricerca storica – sia all’interno della ‘corporazione’ che si andava formando nell’ambito della facoltà di Filosofia, sia in due discipline con uno statuto specifico come la Storia ecclesiastica e la Storia del diritto – sviluppò in questo periodo un nuovo rapporto con la storia. Come etichetta generale per descrivere una grande quantità di idee eterogenee, di ideologie e di programmi di ricerca che si occupavano in modo innovativo ed empatico dei fenomeni storici, si è stabilito alla fine dell’Ottocento il concetto di ‘storicismo’. L’approccio storicistico alla storia era caratterizzato, da una parte, da una consapevolezza pronunciata del carattere peculiare di ogni accadimento passato; dall’altra parte le ricostruzioni storiografiche acquisirono un grande significato sia per la creazione di norme e di valori attuali sia per la costruzione dell’identità della società borghese dell’epoca. Lo stesso vale per una parte importante di questa società: le discussioni di natura accademica e quelle a carattere più divulgativo all’interno del protestantesimo.
Queste stesse discussioni andarono oltre l’ambito della storiografia ecclesiastica in senso stretto: nonostante si trovino, nelle pubblicazioni degli storici della Chiesa di formazione teologica, alcuni approcci e modi di vedere che hanno un carattere diverso rispetto alla ricerca generale contemporanea sull’età tardoantica, esistevano molti punti di contatto tra i rappresentanti di entrambe le discipline. Il fondamento prevalentemente protestante delle scienze dello spirito nell’area di lingua tedesca ha contribuito alla creazione di un ambito di discussione scientifica all’interno del quale anche i biografi di Costantino di formazione non teologica hanno potuto esprimere liberamente dei giudizi religiosi e teologici. Infatti, molti battistrada della discussione come Schroeckh, Manso, Burckhardt e Schwartz – anche se possedevano un’alta cultura teologica e accademica – non erano teologi nel senso dell’appartenenza a una facoltà universitaria. Ciononostante, devono essere trattati almeno brevemente per la loro importanza nella discussione storico-ecclesiastica su Costantino.
Secondo Kurt Nowak tutti i motivi della moderna discussione storico-ecclesiastica su Costantino erano già stati abbozzati nell’opera del pietista Gottfried Arnold:
la ‘questione Costantiniana’ della pietà dell’imperatore, quella del carattere della visione della croce e della persistente tolleranza del paganesimo, del rapporto tra politica statale e religiosa, del nuovo orientamento della chiesa, dell’intervento dell’imperatore nella teologia e nella politica ecclesiastica, la questione del motivo dietro la costruzione di edifici sacri ecc.3
Nowak riteneva determinante, per l’immagine protestante di Costantino in quello scorcio di Ottocento, soprattutto l’esposizione fatta da Edward Gibbon. La sua opera The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, scritta dal 1776 al 1788, fu pubblicata nel 1800 anche in lingua tedesca e rappresenta la fine di un’interpretazione moderna di Costantino che si era orientata a modelli tipologici e figurativi4. L’impressione suscitata dall’opera epocale di Gibbon fece presto sbiadire anche il ricordo delle «innumerevoli e sfrenate dispute sui meriti e sul carattere di Costantino» succedutesi dal 1750 nell’area linguistica tedesca a partire dalle premesse illuministiche5. Va ricordato, invece, che già qui le argomentazioni si basavano in gran parte su una prospettiva storica interamente priva di simboli.Ciò vale anche per la storiografia ecclesiastica del soprannaturalismo, i cui metodi, all’inizio, non differivano da quelli del contemporaneo razionalismo, e che valutava i motivi degli attori storici prevalentemente sulla base di un’analisi del potere politico. Lo studioso di Gottinga Gottlieb Jakob Planck (1751-1833)6 individua come motivo centrale della politica religiosa di Costantino il fatto che egli, per mantenere il suo potere, «ha dovuto continuamente avere il partito cristiano dalla sua parte»7, fatto che spiegherebbe, almeno all’inizio, il riconoscimento del cristianesimo. Dalla metà degli anni Venti si sarebbero probabilmente «identificati in Costantino l’inclinazione personale e la politica, la convinzione religiosa e la prudenza di governo a favore del cristianesimo»8, ed essi avrebbero condotto alla decisione di farne «la religione di Stato dominante»9. Infine, egli dovette eliminare del tutto il partito opposto, quello pagano, per evitare l’esplosione delle tensioni politiche nell’Impero romano10. Tuttavia, non si potrebbe negare a Costantino una convinzione personale rispetto alla verità del dogma cristiano11. La tolleranza nei confronti del paganesimo sarebbe stata una questione di ovvia prudenza politica poiché, essendo il cristianesimo «la religione della corte», la sua trasformazione in «religione della nazione» ovvero in «religione popolare e universale» sarebbe comunque stata solo una questione di tempo12. Risulta evidente il riferimento di Planck alla semantica con la quale il diritto territoriale generale prussiano, seguendo le teorie di un collegialismo interpretato su base territoriale, ha regolato la costituzione religiosa: anche nella sua esposizione della situazione storica nella tarda antichità, egli non parla di una Chiesa (o di più Chiese), ma di «partiti religiosi» che hanno ricevuto dallo Stato i loro privilegi in modo graduale.
La prima biografia autonoma specificamente dedicata a Costantino, scritta da un autore protestante dell’Ottocento, il filologo di Breslavia Johann Kaspar Friedrich Manso (1759-1826)13, è legata allo spirito di un mite tardorazionalismo. Egli ritenne naturale il fatto che il giudizio storico su Costantino fosse stato così diverso nel corso del tempo: il giudizio dell’interprete è sempre stato dipendente dal suo punto di vista sulla fede confessata da Costantino14. Manso, che rivendicava di essere arrivato alle sue conclusioni attraverso un metodo «puramente storico», credeva che la causa delle riforme costantiniane non fossero stati né il disegno divino né un disegno politico consapevole. Costantino avrebbe piuttosto espresso lo spirito del suo tempo. Come per i principi del periodo della Riforma tedesca, anche per l’imperatore si potrebbe affermare che egli «per prima cosa seguì un determinato impulso e poi, preso dalle circostanze, proseguì impercettibilmente e infine arrivò lì ove difficilmente aveva pensato di arrivare»15.
In modo tipicamente razionalista, Manso spiega i temi controversi della tradizione attraverso un sobrio appello alla ragione quotidiana: si potrebbe, per esempio, rinunciare a ritenere reale la visione della croce semplicemente per il fatto che la supremazia militare di Costantino nei confronti di Massenzio sarebbe stata palese: l’imperatore senz’altro non avrebbe avuto bisogno di un sostegno celeste16. Per quanto riguarda il motivo della conversione di Costantino dal paganesimo al cristianesimo, Manso prende posizione tra le due possibili interpretazioni: la convinzione personale e la prudenza di governo, da lui chiamate «visione ecclesiastica» e «visione laica». L’imperatore, con il suo allontanamento dal culto pagano, inizialmente avrebbe voluto separare «Chiesa» e «Stato»; avrebbe favorito il cristianesimo per la sua influenza positiva sulla «tranquillità pubblica e il benessere»17 e per il suo contributo nel campo della morale e dell’istruzione18, che fece apparire ingiustificate le persecuzioni da parte dei suoi predecessori. Con l’avanzare dell’età, però, l’imperatore avrebbe favorito il cristianesimo in modo sempre più unilaterale. Come motivo della sua conversione, accanto alla vanità personale del principe, Manso ritiene probabile anche la versione riportata dagli scrittori pagani, secondo i quali Costantino semplicemente avrebbe voluto avere una possibilità di espiazione dopo l’esecuzione del proprio figlio, da lui stesso ordinata19. Questa la conclusione di Manso: l’unico motivo presente in tutte le misure dell’imperatore nei confronti del cristianesimo sarebbe stata l’ambizione di creare «tranquillità e ordine all’interno dello Stato»20. In quel momento, la semantica politica dell’epoca della Restaurazione, subito dopo la soppressione dei moti di liberazione, trova la sua applicazione quale mezzo d’interpretazione storiografica.
La separazione tra Chiesa e Stato da parte di Costantino, già ricordata da Manso – un’interpretazione probabilmente ancora priva di senso per Planck – è stata ripresa spesso nei decenni seguenti, parallelamente all’intensificarsi del dibattito sull’emancipazione della Chiesa protestante dalla sovranità statale nelle questioni di culto. Alla luce delle discussioni contemporanee sulla politica ecclesiastica, l’argomentazione è stata però capovolta: anche dove – al contrario di Manso – si attribuiva alla persona di Costantino un alone di grandezza indiscutibile, il panorama intero della cristianizzazione dell’Impero romano fu considerato in modo sempre più critico.
Nell’opera del teologo del Risveglio Johann August Wilhelm Neander (1789-1850)21 il periodo del governo costantiniano rappresenta un momento paradigmatico a favore della tesi «che lo Stato, il quale attraverso i mezzi laici a sua disposizione intende favorire la causa del cristianesimo, può creare molti più danni alla santa causa di quanto l’abbia potuto danneggiare il potere laico nel combatterlo così ferocemente»22. Per spiegare la conversione di Costantino (che secondo lui avvenne tardi), Neander sviluppa un modello graduale, partendo dal presupposto che nell’individuo religioso della tarda antichità si possa chiaramente distinguere il pagano dal cristiano, operando con uno schema di comprensione critico che, in fondo, rimane legato al soprannaturalismo: egli non esclude esplicitamente la possibilità di miracoli, ma controlla la loro esistenza non solo attraverso i suoi strumenti ermeneutici – distinguendo i fatti esposti «dall’opinione soggettiva e dall’immaginazione del narratore»23, relativizzando la credibilità dei testimoni con l’utilizzo della psicologia24 e paragonando il narrato con tradizioni esterne25 –, ma anche attraverso delle presunzioni storico-teologiche: per Neander, Dio rimane un protagonista autonomo nella storia mondiale. In linea di principio, Egli avrebbe potuto, per esempio, causare la visione e conversione di Costantino sotto forma di un segno celeste universalmente visibile. La possibilità che essa sia avvenuta in tal modo sarebbe innanzitutto inverosimile, perché una conversione valida davanti a Dio non può avere una forma che convinca l’uomo, illuso dall’apparenza. In secondo luogo, non è certo che le conseguenze della conversione imperiale – cioè il susseguente potere e la splendida pompa della Chiesa visibile – fossero state salutari per il «progresso del Regno di Dio»26. Molto, allora, farebbe propendere a favore di una classificazione della visione della croce come di una «leggenda popolare». Allo stesso tempo, Neander vuole trovare dei motivi, anche nel giovane Costantino, che non si spiegano con un «piano politico», ma solo «con un interesse religioso personale»27. In un ultimo slancio interpretativo, l’autore mette perciò in discussione il fatto che l’imperatore fosse disposto a prestare attenzione ai sacra soprannaturali e ai segni miracolosi, fossero essi pagani oppure cristiani. L’interpretazione finale di Neander è quindi la seguente: avendo attribuito forza al Dio dei cristiani e conoscendo il «potere miracoloso della croce», Costantino con grande sforzo avrebbe tratto la sua visione da fenomeni puramente naturali28. Con questa interpretazione, che segue in modo chiaro e insolito i modelli razionalisti generalmente rifiutati, Neander vuole difendere la connotazione chiaramente cristiana del simbolo della croce in Costantino contro storici come Joseph Hilarius Eckhel e Manso29. Costantino è stato associato al tipo di conversione in cui «la superstizione diventa la strada per la fede»30.
In generale, nasce un ritratto tutto sommato positivo dell’imperatore. Neander riesce ad apprezzare anche la tolleranza nei confronti dei culti pagani come «saggia tolleranza», nella «consapevolezza dei limiti naturali del potere statale»31; pur favorendo il culto cristiano, Costantino non avrebbe mai costretto le coscienze32. D’altra parte, non sarebbe possibile assolverlo «dall’accusa di essere ricaduto nella superstizione pagana»33. Su questo punto, anche Neander squalifica Eusebio come teologo che, «come sua guida spirituale, non [fu] in grado di parlare all’imperatore nello spirito del Vangelo»34.
La monografia dal titolo Die Zeit Constantin’s des Großen dello storico della cultura Jakob Burckhardt (1818-1897), pubblicata per la prima volta nel 1853, ha avuto un carattere epocale nell’interpretazione di Costantino nei paesi lingua tedesca35. Ciò vale innanzitutto per la storiografia ecclesiastica protestante, che ha subito reagito, sia richiamandosi al paradigma di Burckhardt sia prendendone chiaramente le distanze36. Solo pochi storici protestanti hanno seguito il programma laico e umanistico di Burckhardt di una «storiografia senza segni metastorici»37. La presupposizione, da parte di Burckhardt, di un grave squilibrio creato dalla svolta costantiniana tra due delle tre potenze da lui stesso postulate – lo Stato e la religione, potenze con un significato per la storia mondiale – rappresenta invece un’interpretazione che entra pienamente nella discussione contemporanea tra gli storici ecclesiastici: la sua visione della storia, critica nei confronti del potere, contribuì a radicalizzare la riprovazione della politica costantiniana nei confronti della Chiesa, che era già presente nella storiografia ecclesiastica di quel periodo, con i suoi riferimenti impliciti alla situazione attuale della politica ecclesiastica. Con ciò è facilmente passato in secondo piano che Burckhardt non intendeva in alcun modo diffamare la politica di potenza di Costantino, e che egli intendeva – pur considerando la sua critica distruttiva nei riguardi della persona dell’imperatore – di poter semmai condannare la fusione tra l’Impero e la Chiesa da una prospettiva particolare e spirituale. Con la prospettiva oggettiva dello storico, Burckhardt le ha attribuito il carattere di un atto di grande portata per la storia universale38, rovesciando quasi completamente il giudizio su Costantino rispetto agli interpreti precedenti. Allo stesso modo, molti critici dell’opera di Burckhardt erano poco disposti a riconoscere che egli respingeva sì «la zizzania dogmatica» della giovane Chiesa imperiale, ma aveva un gran debole per «le belle conseguenze morali dell’introduzione del cristianesimo»39, che vedeva realizzate innanzitutto dagli anacoreti, i quali rifiutavano ogni obbligo sociale40.
Dato che si darà conto della figura di Burckhardt in un altro contributo di questa opera, qui basta riassumere le sue posizioni più importanti per la sua ricezione nella scienza storico-ecclesiastica: Burckhardt presume che Costantino, come uomo di potere e come genio politico, non poteva essere a priori un uomo religioso41. La devozione nell’imperatore, constata Burckhardt trattando dell’editto di tolleranza, è solo «il vuoto deismo di un conquistatore, che ha bisogno di un Dio per potersi riferire a qualcos’altro oltre a sé stesso durante i suoi colpi di mano»42. Lo storico nega che Costantino fosse responsabile, in senso stretto, dell’innovazione nel rapporto tra Chiesa e Stato. Egli avrebbe «preso atto di tutto ciò che esisteva anche senza di lui» e lo avrebbe «sistemato»43, limitandosi a seguire la tendenza di quel tempo nella storia universale e facendo sì che Chiesa e Stato si identificassero a vicenda in una teocrazia44. Burckhardt smaschera come una tecnica di dominio lo stretto intreccio della corte imperiale con il personale della Chiesa imperiale45 e, allo stesso tempo, rivela come le prediche dello stesso Costantino fossero un «mezzo di potere»46. Verso la fine della sua vita, secondo la tesi provocatoria di Burckhardt, l’imperatore si sarebbe personalmente riavvicinato alle religioni pagane47. La conclusione di Burckhardt, che si può leggere senz’altro alla luce della tradizione della critica costantiniana nella teologia del Risveglio, è un’arringa a favore dell’abbandono dei riferimenti positivi a Costantino cristiano: «La Chiesa cristiana non ha nulla da perdere da quest’uomo terribile ma politicamente grande, così come il paganesimo non ne avrebbe avuto nulla da guadagnare»48.
L’opera di Burckhardt è stata direttamente recepita dalla storiografia ecclesiastica protestante; primo fra tutti, dal fondatore della scuola storico-critica di Tubinga, Ferdinand Christian Baur (1792-1860)49. Costantino non fu mai l’oggetto principale della sua ricerca. Tuttavia, nella sua trattazione generale della storia ecclesiastica, egli gli dedica ampio spazio, seguendo da vicino Burckhardt50: il politico Costantino sarebbe caratterizzato in primo luogo da un «interesse per l’unità autenticamente cattolico»51, che sarebbe l’espressione conseguente della sua tendenza monarchica52. Favorire il cristianesimo, che secondo Baur già dal 313 fu considerato la «religione di Stato»53, servì a Costantino a consolidare la traballante unità dell’Impero. L’organizzazione interna di questa religione avrebbe raggiunto un livello talmente alto che essa ha perfino «potuto dare un nuovo corpo allo Stato in decadimento»54. La causa della vittoria del cristianesimo – Baur non ha timore a chiamarla «uno dei miracoli più grandi della storia mondiale»55 – fu quindi la forma tradizionalmente sperimentata della comunità cristiana o, più precisamente, il sistema episcopale, interpretato in senso cristologico56. Con questa ricostruzione di un modello di fondo ideale, tipica dello storicismo della Scuola di Tubinga, Baur, che si faceva solo beffe dello psicologismo personalizzante di Neander, credé di aver storicamente compreso il «carattere dell’epoca»57.
Baur ritenne irrilevante la questione se la conversione di Costantino al cristianesimo sia stata dovuta alla sua devozione personale oppure a calcoli politici. La biografia dell’imperatore non conterrebbe nessun evento personale significativo che ne dimostrerebbe la conversione58. L’importanza ormai raggiunta dal cristianesimo dell’epoca sarebbe stata dovuta interamente a lui stesso, ed esso sarebbe «diventato un potere oggettivo del tempo, che recava in sé la necessità del suo riconoscimento»59. Già da molto tempo il politeismo pagano non avrebbe più potuto plasmare la consapevolezza religiosa della maggioranza della popolazione; nel «ceto medio», nel «ceto borghese» – così scrive ancora lo storico della Chiesa di Tubinga, servendosi di categorie sociologiche a lui contemporanee – sarebbe cresciuta una nuova generazione, che si era silenziosamente aperta alla fede cristiana e che, all’improvviso, avrebbe «aperto gli occhi ai potenti sull’abisso sul bordo del quale si trovava lo Stato pagano»60. La grandezza di Costantino nella storia universale si sarebbe manifestata nel fatto che egli avrebbe capito i segni dei tempi e avrebbe legato attivamente un evento straordinario come il cristianesimo alla sua persona61. Per questo, la decisione a favore del cristianesimo sarebbe stata da una parte una decisione politica: d’altra parte, essa potrebbe essere interpretata come una decisione di natura religiosa, perché Costantino avrebbe concepito la situazione storica e oggettiva come un compito divino, e questa sensibilità per la volontà di Dio, manifestatasi nella storia, sarebbe «la vera sostanza della sua consapevolezza religiosa»62.
In modo simile a Baur, lo storico della Chiesa e studioso di filosofia morale Wilhelm Gaß (1813-1889), che allora insegnava a Greifswald, fece in sostanza proprie le conclusioni di Burckhardt al momento di scrivere, nel 1855, il suo articolo su Costantino per la più importante enciclopedia teologica protestante63. Costantino, tuttavia, è messo in una luce migliore rispetto a quanto fa Burckhardt: innanzitutto, Gaß apprezza il calcolo politico-ecclesiastico dell’imperatore di favorire il cristianesimo, allora in ascesa, ritenendolo una «superiore saggezza di governo». Inoltre, Costantino avrebbe mostrato anche un «interesse positivo nei confronti di alcune dottrine cristiane», vale a dire «Dio, la provvidenza e la venerazione di Cristo»64. Senza giudicare l’importanza di Costantino nella storia universale esplicitamente sulla base di un parametro storico, Gaß conclude che l’imperatore si sarebbe reso benemerito «per aver dato vita a uno Stato cristiano», che Gaß definisce in modo insolitamente formale come esercizio del potere secondo principi che, in fondo, sarebbero stati fondati «sulla benevolenza nei confronti della religione cristiana», ma che avrebbero equiparato i sudditi cristiani e pagani65. Il rovescio della medaglia sarebbe stato la nascita di una «signoria ecclesiastica» eccessiva66.
La prima esposizione completa del rapporto di Costantino con il cristianesimo, e che si è confrontata esplicitamente con la monografia di Burckhardt, uscì solo alcuni anni dopo: lo storico ecclesiastico e studioso del Nuovo Testamento Karl Theodor Keim (1825-1878), un allievo di Baur che era stato chiamato alla facoltà teologica di Zurigo poco tempo prima, aveva già pubblicato diversi saggi sull’argomento67, quando, in una conferenza pubblica del 1861, espose il suo punto di vista sulla conversione costantiniana e sulla successiva politica religiosa68. Egli imputava alla «splendida esposizione» di Burckhardt di non riuscire a mascherare che la sua monografia non soddisfaceva del tutto i parametri di equilibrio, di oggettività e di precisione scientifica. Dal punto di vista del contenuto Keim dichiara, per quanto attiene all’interpretazione di Costantino come politico e come personalità religiosa, la sua «decisa obiezione» al punto di vista di Burckhardt69, stigmatizzandolo come «soggettivo, […] pieno di contraddizioni e antistorico»70. Anche all’interno del dibattito teologico Keim prende le distanze, innanzitutto, dalla teologia neoconfessionalista del Risveglio, contestando che nella biografia costantiniana fosse stato visibile un qualsiasi miracolo divino: l’imperatore sarebbe stato al riguardo «di moralità troppo bassa» e «troppo poco religioso»71. Dopo una decostruzione storico-critica della visione della croce narrata da Eusebio, per esempio, non rimarrebbe altro che una «serie di leggende», il cui nocciolo rappresenterebbe, nel migliore dei casi, il dato di fatto di una «manifestazione sostanzialmente interna di Dio»72. Allo stesso tempo, Keim si appropria del modello esplicativo storico-universale: la grandezza spirituale di Costantino consisterebbe nel fatto di essersi piegato autonomamente e volontariamente alle «sollecitazioni della storia»73. Secondo Keim, questa sollecitazione dei tempi ha continuamente favorito la vittoria del cristianesimo, che dovette essere considerato «il potere spirituale dell’epoca»74.
Keim offre due spiegazioni parallele per la svolta costantiniana: da una parte, Costantino avrebbe imparato ad apprezzare la forza particolare e magica del simbolo della croce e del nome di Cristo75; dall’altra, l’aver riconosciuto l’«imbattibilità del cristianesimo»76 e l’aver preso delle misure conseguenti – vale a dire l’aver trasformato la Chiesa da nemica ad «amica dello Stato» – sarebbe stata una questione di «arte di governo», al fine di evitare «la bancarotta morale e politica dello Stato» in seguito all’autodissoluzione della società pagana77. In tal modo, la «grande forza morale e unitaria» della Chiesa poté aiutare lo Stato indebolito78. La differenza dell’interpretazione di Keim da quella di Burckhardt non è quella di imputare a Costantino di aver avuto dei motivi egoistici. Tuttavia, al contrario dello storico di Basilea, egli vede nell’editto di Milano del 313 non solo una «proclamazione della libertà religiosa», ma trova generalmente anche un’opzione decisa e pianificata a favore del cristianesimo79.
Keim vede tre periodi nella biografia costantiniana: un periodo iniziale di attesa; poi, dal 313, il «periodo dei grandi miracoli cristiani, ma prevalentemente del miracolo di una politica autonoma e nuova»80, nel quale tuttavia Costantino (qui Keim finisce per essere in contraddizione con sé stesso) punta ancora a una riconciliazione graduale tra cristianesimo e religione pagana, nel senso di una «fusione delle religioni dei popoli»81 – in questa fase si potrebbe parlare di due «religioni di Stato»82; infine, dalla battaglia contro Licinio nel 323, i fronti sarebbero tuttavia divenuti chiari, e l’imperatore avrebbe imparato ad apprezzare la Chiesa, predominante innanzitutto nella parte orientale dell’Impero, come una «casalinga ubbidiente all’interno dello Stato, come religione di Stato buona e duratura»83. Collegata a questa periodizzazione – sempre in chiara opposizione a Burckhardt – è una certa riabilitazione del personaggio Costantino, considerati i giudizi prevalentemente negativi da parte della storiografia contemporanea: a poco a poco, Costantino avrebbe superato il suo atteggiamento superstizioso e si sarebbe convinto, imponendo una religione universale, di compiere una missione divina. Partendo da motivi puramente utilitaristici a favore della protezione della Chiesa, nell’arco del tempo si sarebbe sviluppata «una simpatia interiore per le verità lampanti e per i beni spirituali ed etici che la Chiesa teneva dentro sé»84.
Il liberale moderato Keim sottolinea che la vera eredità dell’imperatore non è la Chiesa di Stato (questa costruzione non si sarebbe ancora sviluppata in senso bizantino durante il regno di Costantino; nell’Ottocento, invece, sembrava essere soltanto un anacronismo85), ma il modo con cui l’imperatore unì nella sua persona sia la politica sia la religione. Egli era il garante di uno «Stato culturale», che all’indomani della svolta costantiniana avrebbe sempre considerato la religione «come compagna inseparabile dei suoi compiti più elevati»86. Dal punto di vista della Chiesa, l’epoca costantiniana avrebbe portato con sé un imbavagliamento; tuttavia, non avrebbe potuto comunque toglierle la libertà insita nella religione87.
Per avere un’idea più completa del panorama delle diverse interpretazioni durante il periodo aureo della teologia posizionale, si presentano qui, per prima cosa, due importanti manuali. Essi non sono, com’era già il caso di Baur, dei risultati di ricerche condotte specificamente sull’argomento, ma danno un’impressione del modo in cui la persona di Costantino e il suo tempo sono stati trattati dalla dottrina storico-ecclesiastica nel periodo successivo alla rivoluzione tedesca del 1848-1849 e durante il periodo della fondazione del secondo Impero tedesco.
Rappresentativa di un approccio storico-ecclesiastico e di una teologia della mediazione, di tendenza lievemente liberale, ma che argomentava da un punto di vista teologico e ‘credente’, è l’opera dello storico della Chiesa Karl Rudolph Hagenbach, di Basilea (1801-1874)88. Nei passaggi del suo manuale dedicati a Costantino, egli dà spazio a Burckhardt, a Baur e a Keim; rispetto al tema della devozione di Costantino, egli si allontana soltanto dalla posizione – non sostenuta all’interno del discorso accademico – che affermava che Costantino «non impose in nessun modo il cristianesimo in quanto potere, che egli ne era ben oltre, nello spirito dell’Illuminismo libertino, e che si fece beffe del sacro e dei vescovi cristiani»89. Dopo una breve discussione dei problemi storici, Hagenbach introduce una riflessione sostanziale e metastorica sulla questione se il favore statale concesso al cristianesimo, a lungo termine, abbia avuto un effetto positivo o nocivo90. In modo caratteristico, Hagenbach lascia aperta la questione e constata soltanto che Costantino, nonostante le sue debolezze, «sia stato uno strumento nelle mani di Dio per realizzare le grandi idee della storia universale»91.
Karl von Hase, storico liberale del cristianesimo presso la facoltà teologica di Jena, anch’essa di orientamento liberale, nella sua ricerca e nell’insegnamento apparentemente non ebbe alcun interesse per Costantino; ciò si dimostra paragonando un altro argomento molto simile: Hase, nell’edizione delle sue lezioni di storia ecclesiastica in più volumi da lui stesso rivista, ha dedicato sei pagine al personaggio di Giuliano, che l’ha affascinato incomparabilmente di più, mentre a Costantino ha dedicato soltanto quattro pagine e mezzo. Se non altro, egli concede a Costantino di dover «assolutamente» rappresentare un limite epocale nella trattazione di una storia generale della Chiesa92. La grande sintesi della storia del cristianesimo di Hase, fino al Novecento molto diffusa tra la borghesia colta e liberale, si orienta nell’esposizione e nell’interpretazione del regno di Costantino, in modo simile all’opera di Baur, sostanzialmente a Burckhardt. Anche qui Hase applica il suo modello interpretativo della ‘lotta spirituale’, influenzato sì dalla filosofia della storia di stampo idealista, ma declinato in modo molto personale, che deve sciogliere dialetticamente la contraddizione tra la pretesa ideale della religione da una parte e la sua funzionalizzazione politica dall’altra: volente o nolente, Costantino sarebbe stato al servizio del pensiero che invece pensava di aver assoggettato93. Sua intenzione sarebbe stata quella di stabilire il cristianesimo come una «religione popolare» omogenea in tutto l’Impero, che avrebbe potuto essere il supporto del monoteismo, che Costantino avrebbe da sempre preferito94. Il cristianesimo, però, non sarebbe diventato una «forza morale» significativa per l’imperatore; tuttavia, egli avrebbe fatto molto di più in suo favore di quanto avrebbe consigliato la mera prudenza politica: in ciò simile alla sua nuova capitale, dice Hase cinicamente, per Costantino la religione cristiana sarebbe diventata «la sua passione», «il suo magnifico giocattolo»95.
Hase giudica antistorica la visione della croce raccontata da Eusebio, perché la preghiera pubblica di Costantino da lui riportata, nella quale l’imperatore avrebbe chiesto a Dio di svelargli la sua identità, si opporrebbe alla «nota prudenza politica» dell’imperatore96. Hase giudica poco importante il divieto di celebrare i culti pagani. Per risolvere il noto problema dell’immagine numismatica con i suoi attributi e l’incisione del Sol Invictus, Hase ipotizza delle «idee passeggere su una possibile unione delle due religioni» da parte di Costantino; per lo meno, egli non avrebbe voluto togliere ogni speranza al paganesimo97.
Gli storici della Chiesa hanno avuto a più riprese l’occasione di trattare in modo generale l’argomento ‘Costantino e la religione cristiana’. Theodor Brieger (1842-1915)98, allora storico della Chiesa a Marburgo e conosciuto piuttosto come studioso della Riforma, ha riassunto la discussione in un saggio. Brieger, allievo di Hermann Reuter, che può essere considerato rappresentante di un approccio rigorosamente scientifico e che si rifiuta di prendere una posizione teologica, all’inizio fa la caricatura dell’esposizione leggermente apologetica di Keim, che presume una rigida periodizzazione nella biografia di Costantino, descrivendola come un «travisamento» metodologico: «qui non siamo davanti a una storiografia critica, ma fantastica»99. Anche Burckhardt, però, con la sua condanna morale di Costantino, avrebbe «nettamente esagerato»100. Di fronte ai giudizi contraddittori sulla religiosità personale di Costantino, le fonti non permetterebbero altro che una valutazione della sua politica religiosa in una prospettiva universale; Brieger riconosce che anche Gibbon, Manso e Burckhardt hanno messo in primo piano quest’approccio.
Riallacciandosi all’interpretazione dello storico dell’antichità poco noto Heinrich Richter101, Brieger prova a proporre una sua tesi sulla costituzione religiosa dell’epoca del governo costantiniano: sotto Costantino né il cristianesimo sarebbe stato innalzato a religione di Stato, né l’editto di Milano avrebbe proclamato la libertà assoluta di religione e di coscienza102: queste letture dovrebbero essere considerate antistoriche. Costantino invece avrebbe introdotto lo ‘Stato paritetico’. Tuttavia, nel corso del tempo, la parità avrebbe dovuto oscillare, in modo prevedibile, «a favore della Chiesa»103; in tal modo, sarebbero state pur sempre gettate le basi per lo sviluppo della «Chiesa di Stato» e dello «Stato cristiano»104. Di fatto Brieger non apporta alcuna innovazione rispetto alla tesi di Keim delle ‘due religioni di Stato’; semmai, la teoria di Brieger si collega in modo più chiaro alla discussione moderna sul diritto religioso costituzionale. In questo modo si ostacola l’ambizione di raggiungere finalmente, anche da parte della storiografia ecclesiastica, un’interpretazione ‘obiettiva’ che corrisponda ai criteri contemporanei sulla tarda antichità, anche perché Brieger ha una particolare predilezione per un giudizio risoluto e moraleggiante nei confronti delle persone e degli avvenimenti. Egli parla per esempio di Eusebio come dell’«ipocrita più disgustoso […] che sia mai comparso nella storia»105. Il saggio di Brieger è comunque interessante perché – probabilmente con un riferimento al giovane Harnack – mette sul piatto, in modo più chiaro rispetto alla maggior parte dei suoi predecessori, l’interpretazione secondo la quale Costantino avrebbe privilegiato il cristianesimo soprattutto tenendo conto della crescente convergenza istituzionale tra Stato e Chiesa nella tarda antichità106.
Una mezza generazione più tardi, il patrologo e studioso del Nuovo Testamento Theodor Zahn (1838-1933)107, le cui ricerche raramente si spinsero fino alla tarda antichità, si occupò in un saggio del rapporto di Costantino con la Chiesa. Il contributo dello studioso di Erlangen è particolarmente interessante, perché nel gruppo delle diverse opinioni teologiche egli rappresenta il neoconfessionalismo luterano di stampo teologicamente conservatore. Zahn, che in larga parte rifiutava l’approccio della scuola libertina e storico-critica, può essere considerato in un certo senso il pendant conservatore di Adolf von Harnack, pur a dispetto della loro amicizia personale. Egli si interessò in primo luogo di una questione che a molti dei suoi contemporanei probabilmente pareva abbastanza convenzionale: «Costantino ha risolto il dilemma che ai cristiani del passato sembrava irrisolvibile, vale a dire il compito di essere cristiano e imperatore in una persona?»108. La risposta data in conclusione è negativa; Zahn constata una «menzogna della politica ecclesiastica costantiniana», che secondo lui era soprattutto consistita nell’aver «fatto diventare legge il Vangelo per tutti quelli che non ci credono»109. Con ciò, il cristianesimo sarebbe diventato estraneo alla sua stessa essenza. Dalla prospettiva di un luterano che mira all’autonomia ecclesiastica più larga possibile, Zahn nomina i problemi ancora attuali causati dalla svolta costantiniana: la Chiesa sarebbe stata permanentemente sospettata di perseguire in realtà degli obiettivi politici; similmente, la Chiesa sarebbe stata indotta ad applicare altri mezzi di potere che non fossero solo quelli spirituali, mentre lo Stato, invece, a regolamentare gli affari interni della Chiesa secondo le proprie esigenze.
Trattando la questione per lui centrale Zahn discute anche il canone, ormai quasi affermato, degli argomenti controversi: prima prende chiaramente posizione contro una datazione precoce della conversione personale di Costantino al cristianesimo110. Poi definisce lo status della costituzione religiosa di Costantino – anche Zahn si rifiuta di chiamarla tollerante nel senso moderno; all’inizio, egli avrebbe mirato piuttosto nella direzione di una «religione di Stato che si ispira al cristianesimo», partendo dalla «venerazione monoteista del sole»111. Con il passare del tempo, egli sarebbe passato da quel ‘monoteismo impreciso’ a una forma, seppur idiosincratica, della fede cristiana, sempre guidato dall’«idea della Chiesa di Stato»112. Si dovrebbe senza dubbio supporre che l’imperatore abbia promulgato un «divieto generale contro l’idolatria»113 – Zahn, al proposito, non adduce alcuna fonte.
In sintonia con la sua generale ritrosia nei confronti della critica storica, Zahn si ricollega agli interpreti che per principio ritengono autentici tutti i testi tramandati riferibili a Costantino come autore, e presuppone solo dei processi redazionali114. Anche Zahn lavora, come se fosse ovvio, con una semantica attualizzante; ad esempio, definisce il vescovo Ossio di Cordova «quasi l’addetto personale dell’imperatore nelle questioni di culto»115. In modo tipico per il neoluteranesimo, che di solito è estraneo al frasario del Kulturkampf, il teologo di Erlangen riflette sulla leggenda della donazione di Costantino quasi senza polemica anticattolica: l’ascesa della Chiesa romana a potenza egemone dell’Occidente è dovuta alla lontananza di Roma dalla nuova capitale e «dagli abbracci dell’impero cristiano», motivo per il quale i vescovi romani «hanno spesso conservato un’indipendenza e una dignità morale che nella Chiesa bizantina si è salvata solo attraverso il martirio»116. Nella sua lode del monachesimo ascetico nell’Impero orientale come risposta alla laicizzazione della Chiesa117, Zahn segue Burckhardt118.
Nel suo saggio più volte citato sulla storia della ricerca costantiniana, Kurt Nowak ha affermato che una sua nuova fase sarebbe stata aperta non tanto dal revisionismo di Norman H. Baynes, ma già a cavallo tra Ottocento e Novecento con lo storico della Chiesa Victor Schultze e l’antichista Otto Seeck119. Secondo Nowak, entrambi hanno intrapreso, rivolgendosi esplicitamente contro Burckhardt, una «ricostruzione critica e differenziata dell’immagine di Costantino», reclamando il punto di vista di un positivismo storico privo di pregiudizi120.
L’esposizione qui presentata ha invece chiarito che il confronto critico con gli argomenti di Burckhardt – che è stato collegato spesso alla decisione di attribuire un grande valore a una fonte quale la Vita Constantini eusebiana – iniziò già negli anni Sessanta dell’Ottocento con Theodor Keim. Come si è visto, le posizioni della storiografia ecclesiastica non furono certamente tutte rivolte contro Burckhardt; l’accettazione o il rifiuto della sua visione dei fatti dipese in misura maggiore dal posto che lo studioso occupava nel novero delle posizioni teologiche ed ecclesiastiche. La discussione su Costantino Magno da parte della teologia protestante si concentrò per un lungo periodo, dal 1850 in poi, su un repertorio chiaro di argomentazioni, e trattò sempre gli stessi problemi interpretativi, che sostanzialmente risalivano a Burckhardt. Approcci interpretativi radicalmente nuovi si imposero solo dopo la Seconda guerra mondiale e al di fuori della ricerca storico-ecclesiastica121.
L’autopercezione degli studiosi fu però un’altra: su tutti, lo storico ecclesiastico di Greifswald e archeologo cristiano Victor Schultze (1851-1937) era convinto del carattere innovativo delle sue ricerche. Un obiettivo dei suoi contributi alla ricerca sulla vita di Costantino, di alto livello metodologico, era quello di dimostrare «quanto siamo ancora in ritardo nella ricerca storico-ecclesiastica sui dettagli della vita di Costantino Magno»122. Di fatto, però, l’analisi dettagliata delle fonti da parte di Schultze non presenta sempre delle innovazioni di contenuto: esse si trovano piuttosto nella sua trattazione della politica religiosa di Costantino. È cambiato, invece, lo stile scientifico: Schultze cita continuamente e con precisione grandi passaggi di fonti e di letteratura storica, ma anche archeologica, numismatica e scientifico-religiosa. Egli argomenta muovendosi a piccoli passi e senza pretese retoriche.
Il complesso dei risultati ottenuti in questo modo dà però l’impressione che un interesse apologetico guidi Schultze ovvero la sua volontà di presentare Costantino come un convinto cristiano. Schultze presume uno stretto collegamento tra la devozione personale di Costantino e la sua politica religiosa: per esempio, egli ritiene storicamente affidabile la notizia di Eusebio secondo la quale Costantino, dopo la vittoria su Massenzio, avrebbe donato a Roma una colonna che lo raffigurava con la croce nella mano destra, e conformemente a ciò bisognerebbe presumere che Costantino, già nel 312, avesse fatto una «dichiarazione personale a favore della religione cristiana»123. Schultze rende più solida l’idea di anticipare la conversione all’inizio della campagna del 312, presentata in un primo momento come semplice proposta, utilizzando un largo numero di fonti e trasformando così la proposta in un’affermazione124. Parallelamente, Schultze ha ridotto l’importanza dei motivi politici della conversione di Costantino125. Egli è invece convinto che Costantino abbia seguito, una volta convertitosi al cristianesimo per convinzione personale, una politica religiosa pianificata: riassumendo il periodo del governo costantiniano, egli arriva alla conclusione che il significato universale dell’imperatore si trova nell’intento riuscito «di mettere in atto il passaggio dai vecchi tempi verso quelli nuovi senza ripercussioni sull’impero»126. Né il concetto di una ‘parità’ né quello di uno Stato privo di confessioni avrebbero determinato Costantino: entrambi sarebbero stati impossibili nella tarda antichità. Schultze rifiuta anche le soluzioni di solito favorite fino a quel momento, come la crescente preferenza accordata al cristianesimo dopo una fase di parità, oppure la supposizione di una fase di monoteismo generale nella politica religiosa dell’imperatore; Costantino avrebbe mirato chiaramente «all’annullamento di una religione a favore di un’altra»127, e a ciò avrebbe corrisposto anche la sua sincera devozione personale.
Si possono nominare tanti altri esempi della visione positiva di Costantino da parte di Schultze; sorge l’impressione che egli abbia usato spesso la critica delle fonti per sgravare l’imperatore dai rimproveri provenienti da Burckhardt: Schultze mette addirittura in dubbio la storicità della notizia che Costantino avrebbe fondato dei templi pagani nella nuova capitale128. Nowak ha perciò criticato Schulze per aver nuovamente teologizzato l’immagine di Costantino. La sua esposizione aspirerebbe soltanto a «un’apologia della marcia trionfale, di stampo universale, del cristianesimo»129. A tutto ciò si aggiunge, dal punto di vista etico, un’apologia dell’imperatore, motivata tuttavia da Schultze sulla base delle concezioni morali contemporanee130.
L’esperto di patristica più famoso dell’epoca, Adolf von Harnack (1851-1930)131, fruì per il suo giudizio appena positivo su Costantino della ricca base offerta dalla discussione protestante sulla storia ecclesiastica. Egli non solo fa tesoro delle ricerche di Schultze, ma segue spesso anche quelle di Burckhardt. Non è improbabile che si sia fatto ispirare, in particolare, anche dall’argomentazione schematica di Baur. Il posto di Harnack, nel panorama delle diverse posizioni ecclesiastiche e teologiche all’interno del protestantesimo della tarda epoca guglielmina, è difficile da individuare nei suoi dettagli: il suo liberalismo è molto diverso da quello dei liberi pensatori ottocenteschi; rispetto a questi ultimi, l’esperienza della crescente clericalizzazione delle Chiese unite e luterane nei territori tedeschi, dopo che esse avevano ottenuto una maggiore autonomia a partire dal 1850, lo rese molto più scettico nei confronti dell’idea di separare completamente Chiesa e Stato. Kurt Nowak arriva alla conclusione che bisogna interpretare la «stima protestante culturale» di Harnack verso Costantino e la Chiesa di Stato da lui fondata e privilegiata come «somma delle cifre e somma totale provvisoria di una ricerca diretta contro Burckhardt»132. Si può concludere, divagando leggermente: si tratta del succo di una discussione consolidatasi da molto tempo, che contemporaneamente si rifà e si allontana dalle affermazioni di Burckhardt. Nel caso di Harnack, questa ricapitolazione è nata però nell’ambito di una basilare opera d’avanguardia, nella quale il cambio di religione costantiniano rappresenta soltanto il punto di fuga dell’esposizione. Nella prima edizione della sua monografia sulla missione e diffusione del cristianesimo nei primi tre secoli, a Harnack bastano due brevi paragrafi per descrivere il ruolo avuto da Costantino nell’imporre il cristianesimo. Secondo questa sintesi, la sua vittoria era già decisa, al di là delle misure politico-religiose di Costantino: «Sarebbe dovuto per forza venire un qualsiasi Costantino, solo che sarebbe stato più facile esser quel Costantino con ogni decennio che passava». Ciononostante, perspicacia geniale e dinamismo contraddistinguerebbero, secondo Harnack, il Costantino storico, e anche il fatto che egli «ha interiormente partecipato alla situazione religiosa»: «non creò le basi della Chiesa di Stato attraverso dei mezzi artificiali o con la forza, ma diede alle province preminenti la religione che esse volevano, e le altre hanno dovuto adeguarsi»133.
Diversamente da Schultze, Harnack accetta il calcolo politico come uno dei motivi di Costantino per favorire il cristianesimo, ma anch’egli rimane convinto che, sebbene non si possa dire niente di sicuro riguardo all’origine delle idee religiose dell’imperatore, esse devono essere state, in ogni caso, il punto di partenza della sua conversione134. Anche Harnack adopera il parametro interpretativo dell’importanza universale: a suo parere, Costantino rientra in questa categoria, perché tradusse in azione le sue idee di fede con energia nella sua efficace azione di uomo di Stato; avendo realizzato l’alleanza tra Chiesa e Stato, che nelle sue strutture era stata preparata da tempo, Costantino avrebbe contribuito a raggiungere un nuovo livello di civiltà.
Harnack ha riassunto in modo acuto la sua visione di Costantino in una pubblicazione collettanea, il cui scopo era quello di trasmettere alla borghesia colta contemporanea una visione generale delle radici – in quel caso delle radici cristiane e religiose – della cultura moderna135. Egli ha tratteggiato a forti linee i fattori strutturali – come la «denazionalizzazione» e l’«orientalizzazione» dello Stato, una nuova cultura giuridica e la dinamica storico-ecclesiastica, nel senso di un crescente cosmopolitismo morale sulle fondamenta del monoteismo136 – che avevano preparato la decisione di privilegiare la Chiesa cristiana. Conseguente sarebbe anche il passaggio dalla tolleranza generale alla validità del solo cristianesimo, sia a causa del carattere esclusivo della confessione cristiana, sia per la naturale pretesa di Costantino ad aver diritto, come imperatore, «alla supervisione e alla direzione di questa Chiesa»137. Anche salendo nell’altra direzione della scala temporale, Harnack inserisce Costantino in un processo di sviluppo storico più ampio: sulla strada verso l’inserimento completo della Chiesa nel primo Stato teocratico bizantino – conclusosi nell’anno 380, «l’anno di nascita della Chiesa di Stato cristiana» – il suo dominio rappresenta evidentemente soltanto un periodo di passaggio138.
Non mancarono contestazioni a questa visione a livello strutturale e personale relativamente positiva di Costantino: l’antichista Eduard Schwartz (1858-1940), che, come abbiamo già detto, si è ricollegato alla discussione storico-ecclesiastica su Costantino senza provare soggezione davanti a un giudizio di valore religioso e teologico, ha sottolineato più volte, sulla scorta di Burckhardt, come il motivo del favore concesso al cristianesimo sia ragionevolmente da ricercarsi solo nel calcolo di potere dell’imperatore, che, da parte sua, avrebbe mirato a una nuova monarchia universale139. Come sintesi provvisoria Schwartz, nell’anniversario del 1913, pubblicò una monografia a carattere saggistico e divulgativo, nella quale non rinnega la sua visione critica dell’alleanza fra trono e altare fondata da Costantino140. Va inteso bene il giudizio di Kurt Nowak, secondo il quale Schwartz con la sua pubblicazione ha tirato «una torcia ardente nel salone cattolico delle feste costantiniane del 1913»141: la critica del protestante Schwartz è rivolta in prima linea alla Chiesa che, ingannata dallo splendore imperiale, avrebbe perso ogni sensibilità per «le perdite immense con cui ha dovuto pagare l’innalzamento a Chiesa di Stato»142. Al confronto, Costantino è pienamente apprezzato come personalità eccezionale; egli avrebbe riconosciuto con la «perspicacia demonica del dominatore universale» quale valore ebbe il «patto con la Chiesa» per la monarchia universale da lui perseguita143. In fondo, per l’imperatore non si trattava però di «favorire la fede cristiana, ma le istituzioni ecclesiastiche»144. Anche la monografia di Schwartz, scritta in uno stile eccellente, si conclude con uno sguardo conclusivo, diventato nel frattempo un motivo ricorrente, sui movimenti ascetici della tarda antichità.
Complessivamente, si può constatare una tendenza verso una monotonia sempre più forte nella discussione su Costantino da parte della ricerca storico-ecclesiastica protestante. Al più tardi con Harnack, sembrava che ci si fosse scambiati tutte le argomentazioni. Gli allievi di Harnack che si occuparono dell’argomento, come Hans von Soden (1875-1942), Karl Müller (1852-1940) e Hans Lietzmann (1881-1945), presentarono soprattutto delle variazioni degli argomenti già conosciuti, ma anche le condizioni intellettuali generali erano ormai meno favorevoli a una riflessione approfondita sulla persona di Costantino e sul suo tempo da parte della storiografia ecclesiastica: per la teologia protestante, il rapporto tra Chiesa e Stato è sempre rimasto un problema fondamentale. In Germania, i teologi come von Soden e Lietzmann parteciparono con impegno alle discussioni sul rinnovamento della costituzione ecclesiastica, necessaria dopo la fine dello Stato monarchico con la sua sovranità ecclesiastica territoriale, e alla costruzione di una Repubblica neutrale rispetto a una particolare visione del mondo: discussioni che sono continuate dopo il 1933, alla luce delle tendenze monopolizzanti dello Stato nazionalsocialista. Nel frattempo, però, solo una minoranza di teologi condivideva ancora la presupposizione storica fondamentale che l’occuparsi di storia avesse un valore sui generis in grado di generare identità, e che fosse quindi in grado di contribuire alla soluzione di tali problemi; perciò, la discussione protestante su Costantino dopo il 1918 non riflette più nello stesso modo il frazionamento delle posizioni politico-ecclesiastiche all’interno della teologia accademica. Altri temi furono al centro della discussione portata avanti dai rappresentanti delle nuove posizioni, soprattutto quelli della teologia dialettica; a medio termine si impose anche il dibattito metastorico sulla fine dell’epoca costantiniana145, al quale, non casualmente, parteciparono solo pochissimi storici della Chiesa.
La storiografia ecclesiastica accademica aveva ormai preso le distanze, almeno a livello programmatico, dall’interpretazione della storia mascherata da ricostruzione storica: von Soden, per esempio, all’inizio del suo saggio divulgativo sul rapporto tra Chiesa e Stato, pubblicato nel 1919, sottolinea esplicitamente di non poter approfondire nella sua esposizione le «urgenti preoccupazioni contemporanee del nostro popolo» sul futuro delle Chiese protestanti, lasciate nell’autonomia da uno Stato ormai repubblicano e laico146.
Lo storico ecclesiastico Karl Müller, emerito di Tubinga147, in una conferenza accademica tenuta a Berlino nel 1929 ha riassunto l’intero spettro tematico della discussione protestante su Costantino. Egli vede la ‘svolta’ sostanziale nella politica costantiniana nel senso di un favoreggiamento unilaterale del cristianesimo nell’anno 323148 e, seguendo anche lui Eusebio, ritiene affidabile il nocciolo della tradizione sulla conversione; Costantino si sarebbe deciso a adottare la fede cristiana ancora prima della decisione di muovere guerra contro Licinio, ma comunque contestualmente a essa. Nella visione di Costantino, la fede e il calcolo politico non sarebbero stati delle contraddizioni, perché secondo lui la qualità religiosa del Dio cristiano si sarebbe manifestata nel suo aiuto a favore della vittoria militare149. Costantino non avrebbe avuto nessun motivo utilitaristico, come l’idea di una fruibilità politica della Chiesa; basandosi su Schultze, Müller descrive la decisione di Costantino come «arditezza» politica150. Appare contraddittoria l’argomentazione sviluppata subito dopo, seguendo Harnack, secondo la quale Costantino sarebbe stato lusingato dalle splendide prospettive della Chiesa che, ormai compattata nelle sue istituzioni dopo le persecuzioni, «sarebbe potuta diventare un altro pilastro dell’unità imperiale accanto all’esercito e alla burocrazia»151.
Senza nominare il topos, coniato da Seeck, sulla devozione da lanzichenecco di Costantino, Müller aderisce alle letture che presuppongono che Costantino abbia concepito il segno della croce come «un santuario militare e dinastico e [come un] mezzo per la vittoria». Secondo Müller, questo modo di vedere è talmente tipico per l’imperatore e i suoi contemporanei che si può presumere che le fonti riportino «veramente ciò che ha vissuto e ciò che l’ha condotto verso il cristianesimo»152. La contemplazione divina, magica e filosofica di Costantino non avrebbe mai raggiunto il livello di una fede soteriologica con fondamenti cristologici153. Per quanto riguarda l’importanza storica di Costantino, Müller arriva a una conclusione leggermente positiva; egli non usa più il modello di spiegazione storico-universale, ma ricorda in modo scettico la prospettiva controfattuale: «non dobbiamo dimenticarlo: non sappiamo che fine avrebbe fatto la Chiesa se Costantino l’avesse abbandonata a sé stessa. Alla fine di ogni riflessione storica c’è, comunque, il grande mistero e il non poter sapere»154.
Il successore berlinese di Harnack, Lietzmann155, provò ancora una volta, durante gli anni Trenta, a ricollegarsi alle questioni della discussione precedente. L’epoca costantiniana non faceva parte del novero più stretto dei suoi numerosi interessi scientifici particolari. Nel terzo volume del suo grande manuale sulla storia ecclesiastica antica, Lietzmann arriva a una visione arguta: sorpassando Schultze, vede in Costantino un atteggiamento personale inequivocabilmente cristiano già nel periodo critico, dopo il 313156. Essendo autentica la più antica corrispondenza di Costantino, ed essendo provata l’affidabilità di Eusebio, non ci sarebbero dubbi che Costantino abbia apprezzato il cristianesimo157. La chiave di lettura per la comprensione del comportamento di Costantino, in apparenza spesso contraddittorio, secondo Lietzmann consiste nel fatto che egli non avrebbe mai costretto nessuno, per i suoi principi tolleranti, ad accettare la fede cristiana nonostante il suo legame personale con questa fede158. Lietzmann riconosce a Costantino una generale «omogeneità del suo atteggiamento teologico in tutte le sue dichiarazioni»159, e anche «l’onestà di una convinzione cristiana»160.
Anche a Lietzmann la forma piuttosto divulgativa di una conferenza accademica è evidentemente sembrata adatta per discutere nel dettaglio i problemi classici della ricerca su Costantino; poco prima della pubblicazione del suo manuale, egli scelse come argomento della sua relazione la questione: «Costantino – era un uomo religioso o soltanto un politico calcolatore?»; e, se Costantino era davvero religioso, «ha reso omaggio a una religione generale e indeterminata», com’era tipico per i dotti del suo tempo, o «ha apprezzato il cristianesimo attraverso una confessione positiva?»161. Al contrario di Müller, Lietzmann discute la doppia questione attraverso la lettura intensa delle fonti relative e attraverso la consultazione dei recenti risultati della ricerca numismatica. Egli illustra al suo pubblico colto un cambio di paradigma nella ricerca: una «critica accorta» avrebbe di nuovo guadagnato «una fiducia crescente nella tradizione», sia rispetto ai documenti imperiali riportati nella Vita Constantini di Eusebio, sia rispetto agli atti sulle controversie nel donatismo162.
Lietzmann arriva a un risultato differenziato: Costantino – «lo spirito più forte della tarda antichità», un uomo «compiuto» che sapeva fin dall’inizio che cosa voleva raggiungere e che aveva anche le forze per farlo – avrebbe avuto già da prima una «consapevolezza missionaria personale», che avrebbe interpretato come un «incarico che il Dio cristiano gli ha affidato»163, e che avrebbe nascosto agli altri finché dovette temere degli svantaggi politici. In un primo periodo, la sua «posizione personale positiva nei confronti del cristianesimo» non gli avrebbe impedito di adottare una retorica pagana, e perciò andrebbero separate con cura la sua «politica e le prese di posizione ufficiali» dalle «affermazioni sulla sua religiosità personale, fatte davanti a intimi o a uomini della Chiesa», che esprimerebbero la sua «vera opinione»: un’opinione ben diversa da «quello che la Chiesa chiama cristianesimo corretto e teologia»164.
Sarebbe molto congetturale imputare alla relazione di Lietzmann, che è scritta con un linguaggio vigoroso, un accento critico nei confronti dei propri tempi. Tuttavia, il testo dell’ultimo passaggio propone una critica implicita alla caotica politica ecclesiastica dei nazionalsocialisti, che nel 1937 sostanzialmente era già fallita: i nazionalsocialisti, all’inizio, si presentavano con la seducente formula di un cristianesimo positivo, ma nel frattempo agivano sempre più chiaramente contro le organizzazioni ecclesiastiche. A Lietzmann, nemico dichiarato del nazifascismo165, un leader politico come Costantino è probabilmente sembrato un ideale contrario alla realtà dello Stato del Führer e nemico del cristianesimo. Un anno dopo la relazione qui descritta, Lietzmann parlò nuovamente all’Accademia di Berlino, questa volta sul tema «Gli inizi del problema Chiesa e Stato». Egli descrive, seguendo Harnack e di nuovo usando, di tanto in tanto, una semantica attuale166, i guasti gravi e ricchi di conseguenze per lo Stato e anche per la Chiesa, che furono il risultato dell’intervento di Costantino nelle controversie donatiste. Una possibile critica implicita nei confronti del proprio tempo è ancora più difficile da provare, ma per lo meno Lietzmann ha usato un modello storico sviluppato da Harnack: vale a dire, che la magistratura dello Stato dovesse condurre automaticamente alla soppressione violenta di «un’opposizione» ormai continuamente crescente all’interno della Chiesa a favore di un orientamento teologico167. Il passaggio della relazione avrà sicuramente evocato, tra gli ascoltatori, il ricordo della battaglia ecclesiale, allora ancora ben presente all’interno del protestantesimo, tra i sostenitori dell’ideologia nazionalsocialista e i loro nemici.
Complessivamente, la discussione da parte della teologia protestante moderna sulla persona e sulla politica dell’imperatore Costantino fra il tardo Illuminismo e la metà del Novecento si è rivelata relativamente chiusa. Ciò vale in modo particolare per il periodo successivo alla pubblicazione della memorabile descrizione di Burckhardt della cultura e della religione tardoantiche, con la sua ruvida critica di Costantino, alla quale ha fatto riferimento esplicitamente o implicitamente l’intera ricerca successiva; non si trattava affatto di rifiutare unicamente la critica morale e religiosa nei confronti di Costantino, anche se predominano le voci apologetiche, soprattutto dalla fine dell’Ottocento. L’obiettivo di ottenere un’immagine il più reale possibile dell’imperatore non è mai stato un fine in sé stesso per la storiografia protestante; si trattava anche, sempre, di prendere posizione, partendo dalla propria ottica teologica e storico-ecclesiastica, sul dato di fatto di uno stretto collegamento tra Chiesa e Stato, che nacque grazie a Costantino e che ha determinato la storia tedesca ed europea fino ai nostri tempi, oltre a tutte le rotture politiche dell’epoca moderna.
1 K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große und das ‘Konstantinische Zeitalter’ im Widerstreit der neueren Kirchengeschichte, in Die Konstantinische Wende, hrsg. von E. Mühlenberg, Gütersloh 1998, pp. 186-233, in partic. 186. In questa sede ci si limiterà a riportare una bibliografia essenziale.
2 J. Nordalm, Historismus im 19. Jahrhundert. Zur Fortdauer einer Epoche des geschichtlichen Denkens, in Historismus im 19. Jahrhundert. Geschichtsschreibung von Niebuhr bis Meinecke, hrsg. von J. Nordalm, Stuttgart 2006, pp. 7-46, in partic. 11.
3 K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., p. 189.
4 Ivi, p. 193; sulla prima ricezione teologica di Gibbon si veda W. Nippel, Edward Gibbon, das antike Christentum und die anglikanische Kirche, in Wege der Neuzeit. Festschrift für Heinz Schilling zum 65. Geburtstag, hrsg. von S. Ehrenpreis, U. Lotz-Heumann, O. Mörke et al., Berlin 2007, pp. 241-267. Il modello di regolari reformationes (nel senso di un superamento del presente in crisi attraverso il richiamo a un passato valutato migliore; si veda K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., p. 193), attribuito in questo contesto, sempre da Nowak, al pensiero storico dell’epoca premoderna, è passato nettamente in secondo piano dopo il 1800, ma è stato applicato ancora da Manso (si veda infra, nel testo).
5 Era questo il commento e la conclusione dello storico Johann Matthias Schroeckh, di Wittenberg, la cui biografia di Costantino riassume per qualche aspetto la discussione precedente: Johann Matthias Schroeckh, Allgemeine Biographie, Vierter Theil, Berlin 1772, introduzione (senza paginazione); il «Leben des Kaysers Constantin des Großen» è trattato nelle pagine 1-190; si veda anche K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., p. 203.
6 Su di lui si veda F. Lücke, Dr. Gottlieb Jacob Planck. Ein biographischer Versuch: Nebst einem erneuerten, hie und da verbesserten Abdruck einer biographischen Mittheilung über Heinrich Ludwig Planck, Göttingen 1835.
7 G.J. Planck, Geschichte der christlich-kirchlichen Gesellschafts-Verfassung, I, Hannover 1803, p. 234.
8 Ivi, p. 245.
9 Ivi, p. 240.
10 Ivi, pp. 242 segg.
11 Ivi, pp. 242-245.
12 Ivi, p. 246.
13 Su di lui si veda K. Lux, Johann Kaspar Friedrich Manso, der schlesische Schulmann. Direktor und Historiker, Leipzig 1908.
14 J.C.F. Manso, Leben Constantins des Großen nebst einigen Abhandlungen geschichtlichen Inhalts, Breslau 1817, p. 4.
15 Ivi, p. 65.
16 Ivi, p. 70.
17 Ivi, p. 84.
18 Ivi, pp. 89-91.
19 Ivi, pp. 97-99.
20 Ivi, p. 101.
21 Su di lui si veda: K.-V. Selge, August Neander – ein getaufter Hamburger Jude der Emanzipations- und Restaurationszeit als erster Berliner Kirchenhistoriker (1813-1850), in 450 Jahre Evangelische Theologie in Berlin, hrsg. von G. Besier, C. Gestrich, Göttingen 1989, pp. 233-276.
22 J.A.W. Neander, Allgemeine Geschichte der christlichen Religion und Kirche, II, parte prima, Hamburg 1828, p. 63; si veda anche ivi, pp. 277-284, e K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., pp. 203 segg.
23 Si veda per esempio J.A.W. Neander, Allgemeine Geschichte, cit., p. 15.
24 Ivi, pp. 16-18.
25 Ivi, pp. 17 segg.
26 Ivi, p. 16; Neander utilizza qui una formula fissa della teologia della storia del Risveglio.
27 Ivi, p. 19. Secondo Neander, non c’entra per esempio la seconda guerra contro Licinio (ivi, p. 35).
28 Ivi, p. 21.
29 Ibidem.
30 Ivi, p. 23.
31 Ivi, p. 41.
32 Ivi, p. 53.
33 Ivi, p. 42.
34 Ivi, p. 62.
35 Si veda il contributo di C. Raschle, Burckhardt e la storiografia di lingua tedesca, in questa stessa opera.
36 Di altra opinione K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., p. 207, che non vede nessun effetto immediato. Il presente contributo – come sarà dimostrato in seguito – parte dal presupposto di una reazione abbastanza veloce a Burckhardt da parte della storiografia protestante, che non fu solamente negativa o di rifiuto; perciò la posizione di Ferdinand Christian Baur, al contrario di quanto crede Nowak, non va vista come un’eccezione nella discussione della restante storiografia ecclesiastica.
37 Ivi, p. 194.
38 Ivi, pp. 201 segg.
39 J. Burckhardt, Die Zeit Constantin’s des Großen, Basel 1853, p. 425.
40 Ivi, p. 431.
41 Ivi, p. 389; si veda anche p. 431.
42 Ivi, p. 396.
43 Ivi, p. 411.
44 Ivi, p. 412.
45 Ivi, p. 398.
46 Ivi, p. 401.
47 Ivi, p. 405.
48 Ivi, p. 402.
49 Si veda K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., p. 206. Su Baur si veda U. Köpf, Ferdinand Christian Baur als Begründer einer konsequent historischen Theologie, in Zeitschrift für Theologie und Kirche, 89 (1992), pp. 440-461.
50 Baur deve aver recepito immediatamente la monografia di Burckhardt visto l’inserimento, già nel medesimo anno, di alcuni riferimenti nella prima edizione della sua opera. Si veda F.C. Baur, Das Christenthum und die christliche Kirche der drei ersten Jahrhunderte, Tübingen 1853, pp. 433 segg., 435 e 444-446. Il collega di Baur a Basilea, Karl Rudolph Hagenbach, al contrario non poté farlo nella prima edizione della sua esposizione della storia ecclesiastica antica, ed espresse il suo rammarico al riguardo: K.R. Hagenbach, Die christliche Kirche der drei ersten Jahrhunderte. Vorlesungen, Leipzig 1853, prefazione (su Hagenbach si veda infra).
51 F.C. Baur, Geschichte der christlichen Kirche, III, Kirchengeschichte der drei ersten Jahrhunderte, Tübingen 18633, p. 460.
52 Ivi, p. 463.
53 Ivi, p. 460.
54 Ivi, p. 465.
55 Ivi, p. 466.
56 Ivi, p. 467.
57 Ivi, p. 463.
58 Ivi, p. 465.
59 Ivi, p. 464.
60 Ivi, p. 470.
61 Ibidem.
62 Ivi, p. 466.
63 Real-Encyklopädie für protestantische Theologie und Kirche, hrsg. von J.J. Herzog: W. Gaß, Constantin der Große und seine Söhne, III, Stuttgart-Hamburg 1855, pp. 130-138; Id., Konstantin der Große und seine Söne [sic], VIII, Leipzig 18812, pp. 199-207.
64 W. Gaß, Constantin der Große und seine Söhne, cit., p. 133.
65 Ivi, p. 136.
66 Ivi, p. 137.
67 Tra gli altri il seguente saggio, che non era stato preso in considerazione da Burckhartdt: K.T. Keim, Die römischen Toleranzedikte für das Christenthum, 311-313, in Theologische Jahrbücher, hrsg. von E. Zeller, F.Ch. Baur, Tübingen 1852, pp. 207-259.
68 K.T. Keim, Der Uebertritt Constantin’s des Großen zum Christenthum. Akademischer Vortrag, gehalten am 12. Dez. 1861 im Großrathssaale in Zürich, nebst geschichtlichem Nachweis, Zürich 1862.
69 Ivi, p. VI; sulla critica erudita si veda ivi, p. 76.
70 Ivi, p. 104; non da ultimo, anche il valore della fonte Eusebio andrebbe considerato maggiormente (ivi, pp. 103 segg., e passim).
71 Ivi, p. 2; si veda anche ivi, p. 67.
72 Ivi, p. 24.
73 Ibidem.
74 Ivi, p. 7.
75 Ivi, p. 31.
76 Ivi, p. 34.
77 Ivi, p. 35.
78 Ivi, p. 36.
79 Ivi, p. 37; sulla «geniale idea, di portata storica mondiale, della libertà religiosa universale», si veda anche ivi, p. 48.
80 Ivi, p. 18.
81 Ivi, p. 45.
82 Ivi, p. 41.
83 Ivi, p. 51.
84 Ivi, p. 66.
85 Ivi, p. 68.
86 Ivi, p. 39.
87 Ivi, pp. 48 segg.
88 Su di lui si veda: A.U. Sommer, Die Ambivalenz der “Vermittlung”. Karl Rudolf Hagenbach (1801-1874), in Im Spannungsfeld von Gott und Welt. Beiträge zu Geschichte und Gegenwart des Frey-Grynaeischen Instituts, hrsg. von A.U. Sommer, Basel 1997, pp. 91-110.
89 K.R. Hagenbach, Kirchengeschichte von der ältesten Zeit bis zum 19. Jahrhundert. In Vorlesungen, I, Kirchengeschichte der ersten sechs Jahrhunderte, Leipzig 18693, p. 332.
90 Ivi, pp. 333-341. Secondo Nowak, l’interpretazione di Costantino da parte di Hagenbach, nella quarta edizione della sua opera, è indirizzata con acume contro Burckhardt (K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., pp. 205 segg.), opinione che qui non si può condividere.
91 K.R. Hagenbach, Kirchengeschichte von der ältesten Zeit bis zum 19. Jahrhundert, cit., p. 333.
92 M. Herbst, Karl von Hase als Kirchenhistoriker, Tübingen 2012, p. 244.
93 K. Hase, Kirchengeschichte auf der Grundlage akademischer Vorlesungen, I, Alte Kirchengeschichte, Leipzig 1885, p. 444.
94 Ibidem.
95 Ivi, p. 446.
96 Ivi, p. 443.
97 Ivi, p. 445.
98 Su di lui si veda M. Lenz, Theodor Brieger zum Gedächtnis, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 36 (1916), pp. I-X.
99 T. Brieger, Constantin der Große als Religionspolitiker. Kirchengeschichtlicher Essay, Gotha 1880, p. 10.
100 Ibidem.
101 H. Richter, Das weströmische Reich besonders unter den Kaisern Gratian, Valentinian II. und Maximus (375-388), Berlin 1865.
102 T. Brieger, Constantin der Große als Religionspolitiker, cit., p. 24.
103 Ivi, p. 21.
104 Ivi, p. 32.
105 Ivi, p. 6.
106 Ivi, pp. 25-29.
107 Su di lui si veda U. Swarat, Alte Kirche und Neues Testament. Theodor Zahn als Patristiker, Wuppertal-Zürich 1991.
108 T. Zahn, Konstantin der Große und die Kirche, in Id., Skizzen aus dem Leben der Alten Kirche, Erlangen-Leipzig 1894, pp. 241-266; qui di seguito si cita la ristampa in Konstantin der Große, hrsg. von H. Kraft, Darmstadt 1974, pp. 85-108, in partic. 85.
109 Ivi, p. 107.
110 Ivi, p. 95.
111 Ivi, p. 97.
112 Ivi, p. 103.
113 Ivi, p. 101.
114 Ivi, p. 100: «Così, anche i segretari privati avranno saputo abbigliare le idee dell’imperatore con una veste più aderente possibile ai modi di dire preferiti del loro sovrano».
115 Ivi, p. 98.
116 Ivi, p. 105.
117 Ivi, pp. 106 seg.
118 Si veda anche il riferimento di Nowak a un’affermazione di Zahn, presa dalla seconda edizione di Burckhardt. K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., p. 215.
119 Ivi, p. 213 e passim; egli si differenzia da G. Haendler, Das neue Bild des Kaisers Konstantin und der sogenannte ‚Konstantinismus‘, in Theologische Versuche, 4 (1972), pp. 71-87. Su Seeck e la sua caratterizzazione di Costantino come homo religiosus di stampo tipicamente militare si veda ivi, p. 219.
120 Ivi, p. 216; si veda anche p. 222. Nella ricerca di interpretazioni contrarie a Burckhardt, Nowak fa riferimento alla monografia di W. Kölling, Geschichte der arianischen Häresie bis zur Entscheidung von Nikäa 325. Nebst einem Anhange: Die Kirchenpolitik Constantin des Großen und Friedrich Wilhelm IV., eine historische Parallele, Gütersloh 1874. Nowak ha ipotizzato che nell’ambito clericale al di fuori dell’università «la sensibilità per le implicazioni ecclesiastiche e culturali» della svolta costantiniana fosse stata più grande (K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., p. 214). L’opera di Kölling offre un confronto storico con il passato recente, paragonando la politica ecclesiastica costantiniana con quella del re prussiano Federico Guglielmo IV, il romantico sul trono estremamente conservatore, non senza creare parallelismi canonistici forzati.
121 Si veda anche J. Vogt, Bemerkungen zum Gang der Constantinforschung, in Mullus. Festschrift per Theodor Klauser, Münster 1964, pp. 374-379.
122 V. Schultze, Untersuchungen zur Geschichte Konstantin’s d. Gr., in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 7 (1885), pp. 343-371, in partic. 343, e 8 (1886), pp. 517-542. Tra le pubblicazioni di Schultze sul tema si veda, oltre a quelli citati di seguito, in particolare Id., Geschichte des Untergangs des griechisch-römischen Heidentums, 2 voll., Jena 1887-1892.
123 V. Schultze, Untersuchungen zur Geschichte Konstantin’s d. Gr., cit., p. 344.
124 Id., Konstantin d. Gr. und seine Söhne, römische Kaiser, in Real-Encyklopädie für protestantische, cit., X Leipzig 1901, pp. 757-773, in partic. 762; l’articolo, come è noto, si contrappone con forza ai risultati di Otto Seeck.
125 «Senza dubbio si sopravvaluta il lato politico [della conversione religiosa di Costantino]; probabilmente, esso non ha avuto nessun ruolo importante» (ibidem).
126 Ivi, p. 765.
127 Ivi, p. 768.
128 Ivi, pp. 358 segg.
129 Ivi, pp. 217 segg.
130 V. Schultze, Konstantin d. Gr. und seine Söhne, römische Kaiser, cit., p. 765.
131 Riguardo al personaggio si veda K. Nowak, Theologie, Philologie und Geschichte. Adolf von Harnack als Kirchenhistoriker, in Adolf von Harnack. Theologe, Historiker, Wissenschaftspolitiker, hrsg. von K. Nowak, O.G. Oexle, Göttingen 2001, pp. 189-237.
132 K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., p. 221.
133 A. Harnack, Die Mission und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei Jahrhunderten, Leipzig 1902, p. 545.
134 A. Harnack, Die Mission und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei Jahrhunderten, I, Die Mission in Wort und Tat, Leipzig 19244, p. 513.
135 A. Harnack, Kirche und Staat bis zur Gründung der Staatskirche, in Die Kultur der Gegenwart, I/4, Die christliche Religion mit Einschluß der israelitisch-jüdischen Religion, hrsg. von P. Hinneberg, Berlin-Leipzig 1906, pp. 129-160.
136 Ivi, p. 156.
137 Ibidem.
138 Ivi, p. 157.
139 Si veda per esempio E. Schwartz, Zur Geschichte des Athanasius, in Nachrichten von der königlichen Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen. Philologisch-historische Klasse, 5 (1904), pp. 518-547.
140 E. Schwartz, Kaiser Constantin und die christliche Kirche. Fünf Vorträge, Leipzig-Berlin 1913, p. 170.
141 K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., p. 209.
142 E. Schwartz, Kaiser Constantin und die christliche Kirche, cit., pp. 149 e 171.
143 Ivi, p. 2.
144 Ivi, p. 78; per un riassunto si veda ivi, pp. 169 segg.
145 Per il contesto protestante di questa discussione, svoltasi in tutta Europa a opera delle due grandi confessioni, si vedano K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., pp. 222-233, e P.C.A. Morée, “Unsere Kirchen sind die Verkörperung, ein Extrakt der Kleinbürgerlichkeit”. Die politische Funktion der Idee vom Ende des konstantinischen Zeitalters in der tschechischen Theologie, in Die Politisierung des Protestantismus. Entwicklungen in der Bundesrepublik Deutschland während der 1960er und 70er Jahre, hrsg. von K. Fitschen, Göttingen 2011, pp. 302-325.
146 H. Freiherr von Soden, Vom Urchristentum zum Katholizismus. Die frühkatholische Entwicklung der christlichen Kirche bis zum Konstantinischen Kirchenfrieden, Leipzig-Berlin 1919, p. 6.
147 K. Müller, Konstantin der Große und die christliche Kirche, in Historische Zeitschrift, 140 (1929), pp. 261 e 278.
148 Ivi, p. 266.
149 Ivi, p. 267.
150 Ivi, p. 270.
151 Ivi, p. 271; il seguente sguardo conclusivo sullo sviluppo, nella prima età bizantina, verso un «perfetto dominio dello Stato nella Chiesa» segue da vicino Harnack (ivi, p. 276).
152 Ivi, p. 269.
153 Ibidem.
154 Ivi, p. 278.
155 Su di lui si veda W. Kinzig, Hans Lietzmann (1875-1942), in Theologie als Vermittlung. Bonner evangelische Theologen des 19. Jahrhunderts im Porträt, hrsg. von R. Schmidt-Rost, S. Bitter, M. Dutzmann, Rheinbach 2003, pp. 220-231. Sulle pubblicazioni di Lietzmann dedicate a Costantino si veda K. Nowak, Der erste christliche Kaiser. Konstantin der Große, cit., pp. 221 segg. (si veda anche la nota 99). È però da mettere in dubbio che l’immagine costantiniana di Lietzmann sia da interpretare come puramente storica e priva di riferimenti alla contemporaneità (ivi, p. 222).
156 La notizia di Lattanzio, secondo la quale Costantino prima della battaglia di ponte Milvio avrebbe fatto applicare agli scudi dei suoi soldati il monogramma di Cristo, è commentata con le parole «C’era qualcosa di vero»; H. Lietzmann, Geschichte der Alten Kirche, III, Die Reichskirche bis zum Tode Julians, Berlin 1938; qui è citata la terza edizione del 1961, p. 144; l’espressione, pressoché identica, si trova in Id., Der Glaube Konstantins des Großen, in Sitzungsberichte der Preußischen Akademie der Wissenschaften, phil.-hist. Klasse, Berlin 1937, pp. 263-275; si cita di seguito la ristampa in Id., Kleine Schriften, I, Studien zur spätantiken Religionsgeschichte, Berlin 1955, pp. 186-201, in partic. 197.
157 H. Lietzmann, Geschichte der Alten Kirche, cit., p. 147.
158 Ivi, p. 45.
159 Ivi, p. 151.
160 Ivi, p. 152.
161 H. Lietzmann, Der Glaube Konstantins des Großen, cit., p. 186.
162 Ivi, p. 194. «Eusebio, che in passato è stato spesso considerato un imbroglione, è in realtà uno dei più affidabili storici che conosciamo; raccoglie dei documenti con assoluta accuratezza, riferisce con scrupolosità e si rivela, ogni volta che riusciamo a controllarlo – e ci capita spesso –, assolutamente affidabile» (ivi, p. 196; si veda anche p. 200, e passim).
163 Ivi, p. 201.
164 Ibidem.
165 W. Kinzig, Evangelische Patristiker und Christliche Archäologen im “Dritten Reich”. Drei Fallstudien: Hans Lietzmann, Hans von Soden, Hermann Wolfgang Beyer, in Antike und Altertumswissenschaft in der Zeit von Faschismus und Nationalsozialismus, hrsg. von B. Näf, Mandelbachtal-Cambridge 2001, pp. 535-629.
166 Per esempio, quando parla dell’«allineamento di Chiesa e Stato»: H. Lietzmann, Die Anfänge des Problems Kirche und Staat, in Sitzungsberichte der Preußischen Akademie der Wissenschaften, phil.-hist. Klasse, Berlin 1938, pp. XXXVII-XLVI; citato secondo la ristampa in Id., Kleine Schriften, I, Studien zur spätantiken Religionsgeschichte, Berlin 1955, pp. 202-214, in partic. 203.
167 Ivi, p. 213.