L'Impero bizantino: la dinastia comnena
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo decenni di caos dal punto di vista politico e militare, la situazione dell’impero all’ascesa al trono di Alessio Comneno è disperata sotto ogni punto di vista. Le massicce riforme adottate, che costituiscono una vera e propria cesura con il periodo precedente, permettono di rimettere in piedi l’apparato statale. Il dato più importante del periodo è tuttavia l’incontro/scontro con la crescente potenza economica e militare dell’Occidente latino, che culmina nel 1204 con la presa di Costantinopoli nel corso della quarta crociata.
Dopo il brevissimo regno del fratello di Basilio II, Costantino VIII, sono le attempate principesse sue figlie, soprattutto Zoe, a divenire la chiave per l’accesso al potere. Inizialmente Zoe si sposa con Romano III Argiro, esponente dell’alta burocrazia della capitale, che lascia mano libera ai grandi latifondisti, e poi nel 1034, alla morte (non accidentale) di questi, con il suo amante, Michele IV detto Paflagonio. Michele muore nel 1041 e gli succede il nipote Michele V, adottato dall’imperatrice, che tuttavia viene ben presto deposto dalla popolazione costantinopolitana quando tenta di spodestare la madre adottiva. Dopo alcuni mesi di governo congiunto delle sorelle Teodora e Zoe, nel 1042 quest’ultima sposa Costantino IX Monomaco.
Tutta una serie di minacce comincia a palesarsi ai confini dell’impero e particolarmente complicata si rivela la situazione nell’Italia meridionale, dove l’avanzata normanna risulta incontrollabile. In una prima fase i Normanni sono pericolosi anche agli occhi di papa Leone IX, che nel 1054 invia a Costantinopoli una delegazione capeggiata dal cardinale Umberto, incaricato innanzitutto di trattare di un’alleanza antinormanna, e poi anche di discutere di alcune divergenze dottrinali che dividono le due Chiese. La personalità intransigente del legato e del suo antagonista, il patriarca Michele Cerulario, porta alla celebre reciproca scomunica, che al momento non appare così epocale (le trattative riprenderanno successivamente), ma che in seguito sarà additata come la cesura che contrassegna definitivamente la separazione tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente.
Alla morte di Costantino IX regna ancora per breve tempo (1055-1056) Teodora, la figlia di Costantino VIII, che prima di morire lascia il potere al funzionario civile Michele Bringa, le cui iniziative volte a contenere il potere dei generali suscitano una ribellione negli alti ranghi militari, che porta al potere nel 1057 Isacco Comneno. Isacco, dopo una non brillante spedizione nei Balcani contro i nomadi Peceneghi, lascia a sua volta il potere al proprio vecchio compagno d’armi Costantino X Ducas nel 1059. Sotto questo sovrano la pressione ai confini continua ad aumentare senza che si riesca a risolvere la situazione, e quando muore, nel 1067, si deve ricorrere all’ennesimo consiglio di reggenza. L’intriseca debolezza di questo tipo di soluzione e le minacce esterne sempre più pressanti inducono tuttavia l’imperatrice Eudocia a sposare, nel 1068, il generale Romano IV Diogene.
Quando però Romano torna nella capitale dopo essere stato sconfitto dai Turchi Selgiuchidi a Mantzikert nel 1071, è immediatamente accecato e deposto dai partigiani dei Ducas a favore del figlio di Costantino X, Michele VII. I Selgiuchidi prendono quest’azione come pretesto per iniziare l’invasione dell’Anatolia, che viene quasi completamente perduta in brevissimo tempo; e sempre nel 1071 i Normanni conquistano Bari, ultimo caposaldo bizantino in Italia. Michele VII non rimane del tutto inerte, ma la sequela di disfatte che si susseguono durante il suo regno comporta l’ennesima rivolta di un generale, Niceforo Botaniate, che entra trionfalmente a Costantinopoli nel 1078. La situazione rimane tuttavia estremamente instabile anche a corte. In particolare, risulta attiva Anna Dalassena, molto abile a tessere legami e a promuovere gli interessi dei suoi figli, Isacco e Alessio Comneno; è, infine, quest’ultimo che, dopo essersi impadronito di Costantinopoli e averla brutalmente saccheggiata, viene incoronato imperatore a 24 anni, nel 1081, in uno dei momenti più bui nella storia dell’impero.
Quando Alessio Comneno sale al trono, una delle sue prime preoccupazioni è quella di consolidare il proprio potere conciliandosi la potente famiglia dei Ducas, alla quale appartiene la moglie Irene. Se l’Asia Minore è ormai quasi interamente caduta nelle mani dei Selgiuchidi, anche l’Occidente risulta esposto a gravissimi pericoli. I Normanni, guidati da Roberto il Guiscardo e da suo figlio Boemondo, dopo aver completato la conquista dell’Italia meridionale attraversano l’Adriatico.
Nel tentativo di arginarne l’invasione Alessio è dunque costretto, a quanto pare nel 1082, a stipulare un patto con i Veneziani (anch’essi allarmati dall’espansione normanna, che rischia di chiudere l’Adriatico). Nella sua celebre crisobolla, l’imperatore concede ai suoi alleati inauditi sgravi fiscali in materia di commercio (che li avvantaggiano decisivamente sugli stessi mercanti bizantini), e tra l’altro, dà loro il diritto di stabilire una colonia permanente a Costantinopoli. Neppure con l’alleanza veneziana, del resto, si riesce a contenere l’avanzata normanna, che ha termine solo con la morte del Guiscardo nel 1085.
Se la situazione occidentale (soprattutto dopo la vittoria sui nomadi Peceneghi nel 1091) risulta a questo punto stabilizzata, l’Anatolia invece continua a essere occupata dai Selgiuchidi. Impossibilitato per il momento ad intraprendere la riconquista dell’Asia Minore, Alessio vara una serie di profonde riforme statali (in molti casi si può parlare di vera e propria cesura con i secoli precedenti) che tengono conto della situazione profondamente mutata, e che spaziano dalla moneta, ai titoli di corte, alla burocrazia, dove l’accesso ai posti più importanti viene ristretto ai Comneni e ai membri delle famiglie a questi affiliate (e ciò comporta comunque un certo ricambio delle élite). Viene definitivamente stroncata, in particolare, la “democratizzazione” e l’apertura del Senato favorita dall’alleanza tra ceti medi e aristocrazia civile, non a caso definita “rivoluzione mancata”, attestata per il periodo precedente. Si assiste anche a un notevole irrigidimento della vita culturale, con una serie di persecuzioni che colpiscono i pensatori dissidenti (come il filosofo neoplatonico Giovanni Italo) e i cristiani eterodossi.
È probabile che le richieste d’aiuto inviate da Alessio a papa Urbano II, con il quale è in atto una politica di distensione, siano finalizzate ad attirare nuovi contingenti di mercenari; ne risulterà, invece, l’arrivo delle grandi masse mobilitate per la prima crociata, che giungono a Costantinopoli tra il 1096 e il 1097.
Dopo una serie di trattative non sempre facili con i capi della crociata, accusati dalle fonti orientali di essere arroganti e pieni di sospetto, si giunge a un accordo secondo il quale Alessio fornirà supporto logistico e, ove possibile, militare ai crociati, che in cambio gli restituiranno le città conquistate già appartenenti all’impero. Alessio può così riottenere Nicea nel 1097, ma in seguito non mancano i malintesi tra le due parti, e nel 1098 il normanno Boemondo di Taranto riesce ad appropriarsi di Antiochia a titolo personale. Le frizioni proseguono anche dopo la conquista di Gerusalemme nel 1099, in particolare con Boemondo, che dopo aver lasciato Antiochia al nipote Tancredi tornerà in Occidente, per intraprendere una vera e propria campagna di diffamazione nei confronti di Alessio, nonché un nuovo tentativo di invasione (sbarca a Durazzo nel 1107) che tuttavia risulterà fallimentare. Negli anni successivi i Bizantini riescono a recuperare l’intera fascia costiera dell’Anatolia, ma l’ineliminabile presenza del sultanato turco di Rum negli altopiani interni (da cui partono frequenti incursioni sulle coste) è destinata a far gravare una pesante e durevole ipoteca su tutte le regioni riconquistate, afflitte da insicurezza e da scarsezza di popolazione.
Ad Alessio succede nel 1118 (non senza opposizioni all’interno del suo stesso clan familiare) il figlio Giovanni Comneno, sovrano guerriero che, pur senza successi eclatanti, riesce a consolidare le posizioni bizantine in Asia Minore e a contenere alcune minacce ungheresi e peceneghe nei Balcani, che ormai costituiscono il principale serbatoio fiscale e umano dell’impero. Mentre l’esercito di terra è grandemente sviluppato, la marina si trova invece a essere assai trascurata, al punto che Giovanni II si trova costretto, dopo un iniziale rifiuto, a rinnovare nel 1126 i privilegi concessi dal padre ai Veneziani.
La politica del figlio Manuele, che gli succede nel 1143, è fin dall’inizio condizionata dal grande sviluppo economico e demografico dell’Occidente latino. Per quanto questo comporti anche una serie crescente di minacce e di frizioni, Manuele cerca sempre di cogliere le numerose opportunità che la situazione indubbiamente offre. Proprio il carattere in definitiva “filo occidentale” del lungo regno di Manuele ha indotto molti studiosi, anche per l’influsso di una visione eurocentrica, a sopravvalutarne i risultati, così come quelli dell’intera età comnena, forse troppo spesso dipinta come aurea. Infatti, sebbene il confronto con l’Occidente sia inevitabile, la gravitazione assunta dall’impero in questa direzione, come avrebbero dimostrato i fatti del 1204, non produce risultati positivi.
Nel 1147 Ruggero II di Sicilia intraprende una nuova invasione, impadronendosi di Corfù e spingendosi fino a Tebe e Corinto: per far fronte alla situazione, Manuele deve rinnovare i privilegi per i Veneziani e, dopo essere riuscito a respingere gli invasori, nel 1154 invia due generali (significativamente meglio provvisti di denaro che di truppe) a tentare invano l’occupazione della Puglia, dove peraltro i Bizantini ricevono un’accoglienza spesso positiva da parte della popolazione locale. Ultimamente si tende a sottolineare la portata locale del progetto di Manuele, che avrebbe soprattutto mirato a ostacolare l’accesso dei Normanni all’Adriatico, ma uno dei modelli cui si ispira il sovrano, latore di una visione universalistica dell’impero, è senz’altro la riconquista giustinianea. Manuele in seguito cerca anche di contenere la politica di Federico Barbarossa, il cui interesse per l’Italia comincia a suonare minaccioso, e per far ciò finanzia largamente la Lega Lombarda e la ricostruzione delle mura di Milano.
L’imperatore riesce inoltre con successo a rintuzzare le ambizioni ungheresi nei Balcani e si impegna metodicamente per risolvere il persistente problema del sultanato di Rum nell’Asia Minore. Innanzitutto cerca di rinsaldare i possedimenti bizantini e le vie di comunicazione che li uniscono, intraprendendo una campagna di fortificazione e trasferendo prigionieri di guerra balcanici in Bitinia. In secondo luogo adotta una politica di amicizia e alleanza (anche matrimoniale) con gli Stati crociati di Terrasanta, la cui situazione si fa nel frattempo sempre più precaria, e con i quali arriva anche a intraprendere spedizioni congiunte contro l’Egitto.
Nel corso degli anni, Manuele ricrea una marina imperiale degna di questo nome, e ciò lo rende in grado, nel 1171, di far arrestare tutti i Veneziani dell’impero e di confiscare i loro beni: la mossa, tuttavia non risolutiva, intende contrastare lo strapotere economico dei Veneziani che, profittando delle esenzioni fiscali concesse da Alessio Comneno e più volte rinnovate, privano il tesoro bizantino di cospicui dazi commerciali. Risulta caratteristico, nel quadro della “politica di potenza” di Manuele, anche l’atteggiamento del sovrano nei confronti della Chiesa, verso la quale adotta un atteggiamento egemonico, non senza atti di forza nei confronti dei patriarchi. Nel 1176, infine, Manuele intraprende una spedizione in grande stile che nei suoi piani dovrebbe eliminare per sempre la minaccia del sultanato selgiuchide di Rum, mirando alla sua capitale Iconio. Una grave sconfitta subita a Miriocefalo, pur non essendo forse stata così disastrosa come talora viene dipinta, impone però una brusca battuta d’arresto ai progetti di espansione del basileus, che morirà quattro anni più tardi lasciando l’impero nelle mani di un consiglio di reggenza, guidato dall’imperatrice Maria di Antiochia nel nome del giovane Alessio II.
La situazione dello stato bizantino all’epoca è tutto sommato piuttosto solida, ma il vuoto di potere causato dalla reggenza finisce per catalizzare, come già avvenuto altre volte in passato, una serie di tensioni preesistenti che esplodono provocando una gravissima crisi.
Nel 1182 finisce per impadronirsi del potere (sbarazzandosi rapidamente della reggente e del legittimo imperatore) un cugino di Manuele, Andronico Comneno, avventuroso personaggio che incarna e cavalca le tendenze filo orientali e antilatine ben presenti nella società bizantina e che fomenta, tra l’altro, un massacro di occidentali nella capitale. Questo, insieme all’assassinio di Alessio II (della cui sicurezza il padre Manuele aveva dichiarato garanti diverse potenze estere), finisce per provocare l’intervento di Ungheresi e Normanni (che prendono e saccheggiano Tessalonica nel 1185). Andronico, vecchio avventuriero peraltro non privo di qualità personali, ma spietato e sospettoso fino alla paranoia, semina il terrore con arresti ed esecuzioni tra l’aristocrazia costantinopolitana, e finisce per essere deposto e orribilmente massacrato in una rivolta capeggiata, quasi per caso, da Isacco II Angelo.
Andronico si rivela assolutamente inetto a fronteggiare la crisi dell’impero, nel quale sono in atto potenti forze centrifughe. La situazione non migliora con la deposizione di Isacco, sostituito dal fratello Alessio III Angelo, al termine del regno del quale si distinguono peraltro i generali Alessio Paleologo e Teodoro Lascaris. Alessio III sembra peraltro intuire che il pericolo maggiore provenga da Occidente, e già nel 1198 rinnova i trattati con i Veneziani, stringendone altri con Pisa e Genova. La situazione precipita nel 1202, quando il giovane Alessio, figlio del deposto Isacco II, fugge dalla sua prigione costantinopolitana e chiede, promettendo di pagare una cifra spropositata, l’aiuto dei partecipanti alla quarta crociata, che in quell’anno si sono radunati e si trovano a corto di mezzi per pagare la flotta veneziana ingaggiata per trasportarli in Terrasanta.
Veneziani e crociati (questi ultimi però non unanimemente) decidono dunque di muovere contro Costantinopoli. Dopo un breve assedio, di fronte alla fuga di Alessio III, i cortigiani, per evitare una catastrofe, rimettono sul trono Isacco II ed il giovane Alessio IV. La necessità di pagare ai Latini l’enorme somma promessa in cambio del loro aiuto rende però i due sovrani estremamente impopolari, al punto che sono spodestati, sull’onda dell’ostilità nei confronti degli occidentali, da Alessio V Murtzuflo. A questo punto i crociati decidono di impadronirsi senza indugio della città e di arrogare a se stessi l’impero, secondo un piano di spartizione ben preciso. Dopo un brevissimo assedio, il 12 aprile 1204 i Latini dilagano in città dalla parte delle mura marittime: Alessio V è già fuggito. Inizia dunque lo sfrenato saccheggio di quella che fino ad allora è stata la città più ricca della cristianità.