Zika, l’incubo della microcefalia
Il virus, isolato in Uganda già nel 1947 e riaffacciatosi in Micronesia nel 2007, viene ora definito, dopo i molti casi dell’America del Sud, un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale. E l’Europa trema per i primi casi.
Zika, un virus a RNA appartenente al genere flavivirus, viene isolato per la prima volta in Uganda nel 1947 da ricercatori della fondazione Rockefeller che stavano studiando la febbre gialla in scimmie della foresta Zika (più precisamente chiamata Ziika), che si trova vicino al lago Victoria. Il primo caso di infezione identificato nell’uomo risale però al 1968 in Nigeria, dopodiché casi sporadici di Zika sono stati riportati nel corso degli anni sia in Africa centrale sia nel Sud-Est asiatico.
In Africa, Zika è mantenuto in natura attraverso un ciclo ‘selvatico’ che coinvolge zanzare e primati non umani. Ciò restringe i casi umani a piccoli numeri e la maggioranza delle infezioni non produce affatto sintomi o, quando ci sono sintomi, questi ricordano quelli di altre infezioni virali comuni nei tropici. La zanzara che trasmette il virus Zika da persona a persona, quando il virus viene introdotto e inizia a diffondersi in un contesto urbano, è la Aedes aegypti, che è anche in grado di trasmettere dengue e chikungunya.
La nostra zanzara tigre (Aedes albopictus) è un vettore competente – ossia capace di acquisire il virus da un ospite e trasmetterlo a un altro ospite –, anche se trasmette con minore efficienza rispetto alla zanzara tropicale. Inoltre, l’infezione può essere trasmessa per via sessuale, e il virus è stato trovato nello sperma di persone che avevano sviluppato la malattia fino a 6 mesi prima.
Nel 2007 viene identificato un focolaio epidemico di Zika sull’isola di Yap (Micronesia), con almeno 185 casi sospetti. L’evento desta una certa sorpresa, in quanto è la prima volta che viene riconosciuto un outbreak – vale a dire un focolaio epidemico – di dimensioni importanti.
Poi, a partire dal 2013, vengono segnalati fenomeni epidemici nelle isole del Pacifico (Polinesia francese – dove si registra il focolaio più esteso con circa 30.000 infezioni –, Nuova Caledonia e Isole Cook).
All’inizio di febbraio 2015, in Brasile, viene notato un aumento nel numero di persone affette da una malattia a volte caratterizzata da febbre per lo più di modesta entità, eruzioni cutanee, astenia, dolori articolari e congiuntivite, a decorso breve e guarigione spontanea. I test eseguiti su campioni di sangue delle persone colpite risultano negativi per dengue e chikungunya, ma all’inizio di aprile un laboratorio di Bahia riscontra delle positività per il virus Zika.
La comparsa di un virus in un’area geografica nuova è sempre causa di preoccupazione, in quanto la popolazione non ha immunità preesistente, e quindi la sua diffusione può essere esplosiva.
Infatti, le dimensioni che l’epidemia di Zika assume in Brasile, nel resto dell’America Latina e nei Caraibi sono impressionanti, specie se si considera che quest’evento fa seguito alla diffusione della dengue, avvenuta nei decenni precedenti, e al recente outbreak di chikungunya, malattia virale trasmessa anch’essa da zanzare e introdotta nel paese solo un paio di anni prima. È probabile che ciò sia la conseguenza dello smantellamento dei programmi di controllo delle zanzare, che avevano conseguito uno spettacolare successo nel contenimento della febbre gialla negli anni Quaranta e Cinquanta dello scorso secolo.
Una nuova epidemia affligge paesi tropicali già provati da altre minacce sanitarie, dunque, ma Zika sembra pur sempre rappresentare una malattia ‘minore’. Nonostante ciò, già in occasione dei focolai epidemici del 2013 erano giunte alcune segnalazioni di complicanze neurologiche potenzialmente associate all’infezione. È però solo durante la diffusione del virus Zika in America centrale e meridionale, e in particolare in Brasile, che viene documentato per la prima volta un aumento dei casi di microcefalia nei feti e nei bambini nati da donne che avevano sviluppato l’infezione nel corso del primo trimestre di gravidanza.
È così che, in data 1° febbraio 2016, l’OMS dichiara che l’associazione fra Zika e l’aumento di casi di microcefalia e altri disordini neurologici costituisce una Public health emergency of international concern, vale a dire un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale. Quella che si riteneva una banale malattia virale diviene quindi una nuova minaccia alla salute globale, conquistando le prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
In effetti, che Zika potesse causare complicanze neurologiche nell’adulto lo si era già ipotizzato durante l’epidemia in Polinesia francese, allorché si era osservato un numero di casi di SGB (Sindrome di Guillain-Barré, una malattia immunomediata del sistema nervoso periferico) 20 volte superiore rispetto a quello dell’anno precedente – fra l’altro, un incremento dei casi di SGB viene poi rilevato a Bahia, epicentro dell’epidemia di Zika in Brasile –, ma bisogna attendere la fine di ottobre del 2015 per scoprire quanto Zika possa essere insidioso: l’OMS riceve infatti dal Brasile la segnalazione di 54 casi di microcefalia diagnosticati nel giro di pochi mesi. È così, dunque, che ci si confronta con la possibilità che una malattia acquisita tramite puntura di zanzara durante la gravidanza possa causare gravi
anomalie cerebrali nei neonati. La notizia fa il giro del mondo, cogliendo di sorpresa la comunità scientifica e allarmando la popolazione. L’esame dei risultati di studi retrospettivi evidenzia un aumento dei casi di gravi malformazioni cerebrali in neonati della Polinesia francese. Inoltre, una serie di studi eseguiti soprattutto in America Latina permette di rilevare la presenza del virus Zika sia nel liquido amniotico, nella placenta, nel cordone ombelicale e nel sangue di madre e figlio, sia nel tessuto cerebrale di neonati o di aborti con anomalie cerebrali. In un caso di malformazioni cerebrali gravi, il virus Zika vivo è stato coltivato a partire da tessuto cerebrale di feto.
È così che, a poco a poco, si va configurando il concetto di una ‘sindrome congenita da virus Zika’ che include microcefalia grave, calcificazioni e altre anomalie cerebrali, a volte accompagnate da danni alla vista e perdita di udito. A fine marzo 2016 l’OMS conclude che esiste un ampio consenso sul fatto che il virus Zika sia causa di microcefalia e di SGB, mentre un successivo articolo di ricercatori dei Centers for disease control and prevention di Atlanta, pubblicato ad aprile sul New England journal of medicine, fuga ogni dubbio residuo sull’associazione tra l’infezione da virus Zika durante la gravidanza e la microcefalia nei neonati.
L’emergere del virus Zika nelle Americhe e la scoperta delle sue possibili conseguenze, prime fra tutte le gravi anomalie neurologiche nei neonati, determina la necessità di agire per prevenire. Purtroppo, però, non avendo vaccini a disposizione, ciò che si può offrire alle donne in età fertile non è molto, al di là della raccomandazione di evitare punture di zanzare, ritardare la gravidanza o rinviare viaggi verso le aree con trasmissione in atto.
Ciò vale anche per le preoccupazioni delle donne gravide, dal momento che l’ecografia è in grado di rilevare anormalità cerebrali solo nel terzo trimestre di gravidanza.
Inoltre, pochi paesi fra quelli più colpiti offrono un accesso universale ai servizi di pianificazione sessuale e familiare. Alla luce di tutto questo, è logico che ci si pongano domande circa la possibilità che il virus Zika si diffonda in Italia e nei paesi dell’Europa mediterranea. Come detto, da noi è presente un vettore competente, la cosiddetta zanzara tigre, in grado di trasmettere il virus Zika, oltre a dengue e chikungunya. La possibilità che pazienti provenienti da paesi affetti possano trasmettere il virus a zanzare a loro volta in grado di contagiare altri esseri umani non è da escludere. La probabilità che si verifichino catene di trasmissione lunghe è però bassa, visto che la nostra zanzara è meno efficiente di Aedes aegypti e la stagione calda, durante la quale le zanzare sono attive, è relativamente breve. Il nemico però non va mai sottovalutato, ed è per questo che le autorità sanitarie hanno rafforzato le misure di sorveglianza delle infezioni trasmesse da vettori e i programmi di controllo delle zanzare.
Microcefalia: che cosa è
La microcefalia è una malformazione causata da una mancata crescita della scatola cranica rispetto ai parametri delle popolazioni di riferimento. La patologia si accompagna a insufficienza mentale e, a volte, a paralisi cerebrale. Tra i soggetti con scarso sviluppo del cranio e del cervello si distingue il soggetto affetto da microcefalia sopravvenuta per cause ereditarie da quello in cui l’arresto di sviluppo cerebrale è stato provocato da malattie che colpiscono l’organo durante la vita fetale, come sta avvenendo ora nel caso del contagio da Zika.
Le abilità cognitive e motorie sono in generale compromesse a un livello che varia di caso in caso. Sul piano storico la microcefalia è stata da sempre una patologia rara, tanto da assicurare nel passato ai microcefali il triste ruolo di ‘fenomeni da baraccone’ nei circhi.
È iniziata la sperimentazione di un vaccino
Due case farmaceutiche, la statunitense Inovio pharmaceuticals Inc. e la sudcoreana GeneOne Life Science, che hanno già collaborato allo sviluppo dei vaccini contro l’Ebola e contro la MERS, hanno annunciato l’avvio della sperimentazione sull’uomo di un promettente vaccino, denominato GLS-5700, il quale ha dato risultati incoraggianti negli studi preclinici effettuati su animali. Il vaccino verrà studiato su 40 soggetti volontari sani per valutarne la sicurezza, la tollerabilità e la immunogenicità, cioè la sua efficacia nel provocare una risposta immunitaria. Se questa prima fase darà buoni risultati allora si passerà alla sperimentazione del vaccino direttamente su soggetti colpiti dal virus.
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secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, sono i fondi che si stima siano necessari, nel periodo luglio 2016-dicembre 2017, per attivare un piano strategico mondiale in grado di far fronte all’epidemia di Zika.