Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel 1808, dopo l’invasione francese della Spagna, il grande impero coloniale spagnolo si sgretola rapidamente. La conquista napoleonica della Spagna spezza infatti i legami tra la madrepatria e le colonie, accelerando il processo di distacco delle province ispano-americane, desiderose di conquistare la loro autonomia, mentre in pochi decenni l’Inghilterra diventa padrona dell’Atlantico.
All’inizio del XIX secolo, l’Inghilterra aspira ormai da molto tempo a costruire il suo primato commerciale nel vasto continente sudamericano, liquidando ciò che resta della potenza spagnola. Nei secoli precedenti l’ostilità ispano-britannica si era rivelata spesso una costante nel determinare le alleanze e la politica estera dei maggiori Stati europei; la corona inglese, da parte sua, si era sempre mostrata decisa e priva di scrupoli nell’affermare gli interessi della nazione britannica oltremare. Nessuno ignorava infatti che le navi corsare inglesi, che infestavano i mari e minacciavano la sicurezza dei porti spagnoli, razziavano merci e denari con la tacita approvazione dei regnanti e della corte.
Un primo passo avanti verso la liberalizzazione del commercio con le colonie si verifica nell’ottobre del 1805, quando la sconfitta della flotta franco-spagnola a Trafalgar apre le rotte dell’oceano Atlantico alle merci inglesi. La Spagna, che si dibatte in grandi difficoltà, si vede costretta a concedere anche a navi neutrali e non belligeranti il commercio con le colonie: mercantili carichi di merci straniere o spagnole partono per l’America del Sud con l’unico obbligo di ritornare in Spagna alla fine del viaggio.
Attraccare nei porti americani, dunque, non è più un’esclusiva della flotta spagnola e anche le merci inglesi penetrano nelle vaste regioni dell’impero, nascoste sotto la bandiera portoghese o nordamericana.
Appena tre anni più tardi, nel 1808, la situazione precipita. Nell’America del Sud, infatti, la crescente insoddisfazione dei gruppi di potere locale verso il centralismo politico e amministrativo imposto dalla Spagna favorisce la diffusione di forti rivendicazioni autonomiste. Le fila della nascente borghesia mercantile di origine europea, ingrossate dall’arrivo di nuove correnti migratorie spagnole proprio all’inizio del XIX secolo, si sentono di fatto escluse dalla gestione economica delle ricchezze locali e fortemente danneggiate dal sistema di barriere doganali che isola le colonie dal resto del mondo.
La prima fase della lotta per l’indipendenza si apre poco dopo l’invasione francese della Spagna. A partire dal 1808, nelle province si costituiscono le prime giunte di autogoverno che inizialmente giurano fedeltà all’erede legittimo Ferdinando VII di Borbone, scacciato in seguito da Giuseppe Bonaparte. Con il passare del tempo, però, l’impraticabilità di un rapporto con la madrepatria, che si trova nell’impossibilità di inviare truppe nel Nuovo Mondo, lascia sempre più ampi spazi alle giunte che si sentono di fatto libere dal vincolo di obbedienza alla corona.
A Caracas, a Buenos Aires e nelle principali città del Sud America i fautori dell’autonomismo depongono la monarchia e assumono il potere, dando vita alla radicalizzazione del movimento indipendentista e ad alcuni esperimenti di rivoluzione sociale. È quanto avviene per esempio in Messico e in Venezuela, dove all’inizio del 1810 alcuni sacerdoti ribelli, decisi ad abolire la schiavitù e a proclamare l’uguaglianza di tutte le razze, guidano l’insurrezione armata contro gli Spagnoli; gli insorti vengono però sconfitti, consegnati alle truppe regie spagnole e fucilati.
L’indipendenza delle colonie, di fatto, va costruendosi come un fenomeno essenzialmente politico, caratterizzato da un generale trasferimento di potere che non comporta alcun miglioramento delle condizioni di vita della popolazione india o alcun tentativo di sanare gli enormi squilibri sociali ereditati dall’età coloniale.
Con il passare degli anni il movimento indipendentista sudamericano acquista una caratterizzazione spiccatamente militare; sono infatti due condottieri, due grandi generali, i principali leader del movimento d’indipendenza che trova proprio nell’azione militare e nell’organizzazione strategica della guerra di liberazione il suo principale momento di forza.
Dal sud, da Buenos Aires e dalle province del Rio de la Plata (Argentina), la rivoluzione si propaga al nord, ed è un giovane ex ufficiale dell’esercito spagnolo, il creolo José di San Martín, a guidare l’esercito di liberazione prima in Cile, attraverso una difficilissima traversata delle Ande, e poi in Perú, roccaforte degli Spagnoli.
Nel 1821 il viceré spagnolo è costretto ad abbandonare Lima e a rifugiarsi sulle montagne.
Dal nord, invece, e precisamente dal Venezuela, sono gli eserciti di Simón Bolívar, il Libertador, a scendere a sud verso il Perú, per venire in aiuto di San Martín e costringere gli Spagnoli alla capitolazione. La vittoria di Ayacucho (1824) viene salutata in tutta l’America con grandissimo entusiasmo.
Fino al 1815 la guerra in Europa e la potenza di Napoleone costituiscono una grave minaccia per l’Inghilterra, che dopo il 1808 si ritrova alleata della Spagna, che resiste all’invasione delle truppe napoleoniche.
Soprattutto prima del 1812, i suoi principali sforzi militari e politici appaiono finalizzati esclusivamente a rompere l’isolamento nel quale l’imperatore francese vuole costringerla, ma questo non impedisce agli Inglesi di incrementare il commercio clandestino con l’America spagnola e di stringere vantaggiosi accordi economici con i nuovi Stati.
Senza prendere alcuna posizione ufficiale, per non irritare gli Spagnoli loro alleati nella guerra europea, gli Inglesi temporeggiano di fronte alle richieste d’aiuto dei ribelli, senza scoraggiare né incoraggiare apertamente il movimento indipendentista. Ma la neutralità ostentata inizialmente dall’Inghilterra non intralcia in alcun modo i suoi progetti nel Nuovo Mondo, poiché di fatto la sua supremazia navale e commerciale le consente di esercitare un’influenza decisiva in America Latina nel difficile periodo di transizione verso l’indipendenza. Non si può negare, del resto, che la politica del non-intervento – che Inghilterra e Stati Uniti cercano di imporre ai maggiori Stati europei – lasci ai ribelli una concreta possibilità di decidere autonomamente del loro futuro.
Nel 1814, ritornato sul trono di Spagna, Ferdinando VII intende riconquistare l’impero coloniale ricorrendo all’aiuto delle potenze della Santa Alleanza. L’Inghilterra, allora, si oppone fortemente ai progetti interventisti di quest’ultima, temendo un coinvolgimento di molti Stati in quell’avventura e un esito più che scontato dell’impresa.
Dopo anni di guerra in Europa, con la conclusione di una pace duratura, la potenza inglese si sente finalmente libera di tutelare come crede i suoi interessi commerciali nell’Atlantico e – senza inimicarsi apertamente la corona spagnola – stringe rapporti sempre più stretti con i ribelli, garantendo il suo appoggio navale, economico e militare alla loro causa. Veterani inglesi delle campagne contro Napoleone partecipano alle imprese militari di Simón Bolívar, contribuendo al loro straordinario successo. Anche i vascelli della flotta britannica vanno in aiuto degli insorti e dal Brasile, governato dai Portoghesi, tradizionali alleati degli Inglesi, inizia la capillare penetrazione dei mercanti britannici nelle regioni dell’America Latina.
All’inizio degli anni Venti, prima della sconfitta finale degli Spagnoli ad Ayacucho, gli Stati Uniti e l’Inghilterra avviano il processo di riconoscimento politico dei nuovi Stati americani, strappando vantaggiosissimi trattati commerciali; grandi privilegi, inoltre, vengono accordati ai sudditi britannici residenti nelle regioni sudamericane.
Rio de Janeiro diventa ben presto un centro di immagazzinamento e distribuzione delle merci britanniche destinate all’Atlantico meridionale, ma l’esportazione di grandi quantità di manufatti europei in America Latina provoca una forte crisi dell’economia locale: la tecnologia primitiva delle sue industrie non le permette di competere con la produzione europea. Grande libertà di spostamento e di commercio viene lasciata ai mercanti inglesi che alzano e abbassano i loro prezzi nei periodi di carestia e abbondanza dei principali beni di consumo.
Alla fine degli anni Quaranta la politica di espansione dell’Inghilterra in America latina – perseguita con grande scaltrezza nel corso del XVIII e del XIX secolo – raggiunge ottimi risultati. L’Inghilterra è infatti riuscita ad accumulare grandi ricchezze con gli altissimi interessi percepiti per i suoi prestiti finanziari e ha anche potuto approfittare delle condizioni economiche imposte ai nuovi Stati sudamericani, costretti a svendere le loro materie prime per acquistare a prezzi elevatissimi i manufatti importati dall’Inghilterra nella regione.