di Edoardo Berionni Berna*
Alle origini delle Comunità europee, la tutela dell’ambiente non era menzionata nei trattati istitutivi. Soltanto attraverso il ricorso alla clausola che permette di espandere i campi d’applicazione dell’azione comunitaria fu possibile per al Cee, a partire dagli anni Sessanta, adottare sporadiche azioni di politica ambientale. Nata dunque come ‘figlia illegittima’ (Krämer), la politica ambientale europea riguardò inizialmente ambiti settoriali piuttosto limitati come la classificazione delle sostanze pericolose e la protezione degli uccelli selvatici. La tutela dell’ambiente assunse una base giuridica soltanto nel 1986, grazie all’Atto unico che inserì l’obiettivo di miglioramento della qualità dell’ambiente fra gli scopi perseguiti dalla Comunità. Dal 1986 la tutela dell’ambiente è stata così progressivamente elevata a scopo essenziale dell’Unione, inscritto all’interno di quell’orizzonte di prospettiva più ampio e dinamico che è lo sviluppo sostenibile dell’Europa e della terra, introdotto dal Trattato di Maastricht nel 1992 ed espressamente richiamato tra gli obiettivi interni ed esterni dell’Unione (art. 3 del Tue) dal Trattato di Lisbona 2007. Il Tfuededica un intero titolo all’ambiente, affermando che la politica dell’Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire gli obiettivi di miglioramento della qualità dell’ambiente, protezione della salute umana, uso accorto e razionale delle risorse naturali e la promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. Sotto il profilo procedurale, la politica ambientale rientra tra le materie di competenza concorrente, assoggetta alla procedura legislativa ordinaria. Sotto il profilo sostanziale, una delle novità più significative del Trattato di Lisbona è l’esplicita menzione dei cambiamenti climatici e il ruolo dell’Eu nel combatterli sul piano internazionale.
In termini di public policies, gli elementi di gradualismo e incrementalismo sono stati i tratti principali del processo di costruzione della politica ambientale europea. In tal senso alcuni autori hanno parlato di europeizzazione della politica ambientale, definita come macro-processo di mutual learning capace di armonizzare i diversi stili nazionali di policy-making. L’europeizzazione può essere vista anche come immagine riflessa del processo d’integrazione politica europea, caratterizzato da interessanti fenomeni d’ibridazione reciproca, downloading e uploading di politiche nazionali tra membri.
Tale processo, che sembrava almeno all’inizio marginale, si sta dimostrando un elemento assai prezioso al fine di contribuire all’approfondimento di un possibile percorso d’integrazione politica. In questo senso, la politica ambientale ha, passo dopo passo, conquistato striscianti e trasversali spazi d’influenza trasformandosi da issue di low politics a una di high politics. L’ambiente ha silenziosamente assunto un ruolo chiave nel processo d’integrazione politica europea, trasformandosi in un ambito dove l’integrazione ha raggiunto livelli molto avanzati e successi inaspettati. Ciò è stato possibile perché la politica dell’ambiente è stata a lungo ritenuta come una policy area largamente consensuale tra gli stati membri. E fu proprio questa percezione di un’immagine benigna e fondamentalmente innocua dell’ambiente a consentire un’evoluzione spiccatamente sovranazionale della politica ambientale europea, nonché dell’integrazione politica attraverso quest’ultima.
Quanto agli scenari futuri, la politica ambientale e il cambiamento climatico possono offrire all’Eu la storica opportunità di dimostrare a se stessa e al resto del mondo che l’Unione è un’idea ben più multidimensionale della mera creazione di un mercato. Quest’opportunità si traduce in una nuova sfida: quella dell’integrazione politica anche attraverso la politica ambientale da studiare e approfondire soprattutto nelle sue interessanti implicazioni esterne e internazionali. In tal senso, l’Eu rappresenta per il mondo un interessante laboratorio di governance ambientale regionale da prendere come riferimento e dal quale ripartire alla ricerca di risposte innovative e realistiche alla sfida globale del cambiamento climatico. Segnaliamo in particolare le seguenti iniziative:
- il Pacchetto clima e energia 2008, che ha perfezionato il sistema di scambio delle quote di emissione e fissato l’obiettivo 20-20-20 (riduzione delle emissioni di gas a effetto-serra del 20%; 20% del fabbisogno di energia assicurato da fonti rinnovabili; aumento del 20% dell’efficienza energetica entro il 2020);
- l’inserimento dell’ambiente e della crescita sostenibile nella strategia di Lisbona del 2000 e nella Strategia Europa 2020, fondata sull’idea di green economy;
- le conclusioni del Consiglio europeo di ottobre 2014 sul 2030 Climate and Energy Policy Framework contenenti sia l’impegno unilaterale di riduzione del 40% delle emissioni entro il 2030 sia l’impegno politico al massimo sforzo nella conduzione dei negoziati Unsul cambiamento climatico in vista della Cop21 a Parigi nel dicembre 2015.
Si tratta di importanti dimostrazioni di una tendenza che vede l’Eu direttamente impegnata come leader mondiale sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici, proponendo all’esterno (non senza ostacoli e sconfitte) quell’esperienza di sovranità condivisa già istituzionalizzata all’interno tra i suoi stati membri in materie d’importanza crescente quali la politica ambientale e la lotta al cambiamento climatico.
*Le opinioni dell’autore non sono riconducibili al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.