Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella prima metà del secolo si svolge una accanita battaglia per l’autogoverno irlandese contro le autorità inglesi. Essa sfocia, tra il 1920 e il 1921, nella nascita di uno Stato Libero d’Irlanda ma anche nella divisione del Paese, in quanto l’Irlanda del Nord rimane nel Regno Unito. Nella seconda metà del secolo a sud si consolida lo Stato repubblicano mentre nel nord si intensificano gli scontri fra nazionalisti e unionisti durante la stagione dei cosiddetti The Troubles.
La questione dominante della storia politica irlandese del Novecento è ancora, all’apertura del secolo, quella dei rapporti con la Gran Bretagna. È dal 1800, infatti, che un Act of Union ha dato vita al “Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda” che riconosce il parlamento di Londra come unico organo rappresentativo. Nella seconda metà del XIX secolo l’allargamento del suffragio e la formazione dei moderni partiti politici favoriscono l’affermazione dell’Irish Parliamentary Party (IPP). I deputati eletti in Irlanda pongono a più riprese sul tappeto, a Westminster, la questione della Home Rule (autogoverno) irlandese e trovano una sponda significativa nel partito liberale.
È solo nel 1914, però, che la coalizione fra irlandesi e liberali riesce a far approvare un Home Rule Bill, la cui applicazione è sospesa a causa dello scoppio della guerra mondiale. Nella regione nord-orientale irlandese dell’Ulster, poi, le classi dirigenti si rivelano sempre più ostili al progettato autogoverno. Qui la maggioranza della popolazione è di discendenza anglo-scozzese e di religione protestante (presbiteriana e anglicana). Se nel corso dell’Ottocento anche le élite protestanti avevano partecipato alla battaglia per l’autonomia irlandese, ora, nell’era della politica democratica, si teme la sopraffazione da parte della maggioranza cattolica. Il Nord-Est, inoltre, è la parte più ricca e industrializzata del Paese e più legata economicamente alla Gran Bretagna. Il passaggio della Home Rule favorisce, in questa regione, la nascita di un movimento politico “unionista”, determinato a conservare l’unione alla Gran Bretagna anche con la forza delle armi. Nasce, infatti, una Ulster Volunteer Force (1912), pronta a ribellarsi in caso di attuazione della Home Rule. Anche il nazionalismo irlandese, che può contare sulla fioritura di un revival celtico intorno ad associazioni culturali e sportive quali la Gaelic League (1893) o la Gaelic Athletic Association (1884), si radicalizza. Le frange più combattive danno vita al corpo paramilitare degli Irish Volunteers (1913).
Lo scoppio della prima guerra mondiale rinvia l’emergere delle tensioni ma contribuisce anche a cristallizzarle e a renderle esplosive. Unionisti e nazionalisti combattono entrambi nell’esercito britannico, nella speranza di ricevere una contropartita a conclusione del conflitto.
Il 24 aprile 1916, un lunedì di Pasqua, un manipolo di Irish Volunteers occupa alcuni edifici strategici di Dublino e proclama l’indipendenza e la Repubblica. La rivolta, nota come insurrezione di Pasqua, è mal preparata: non ha l’appoggio della popolazione e non si estende al di là di Dublino. La repressione inglese è durissima: 3mila arresti e 15 esecuzioni in pochissimi giorni. La stampa accusa il Sinn Féin (Noi Stessi), un piccolo movimento politico fondato dal giornalista irlandese Arthur Griffith (1872-1922) nel 1905. In realtà la principale forza organizzatrice è la Irish Republican Brotherhood di Patrick Pearse (1879-1916), capo dell’insurrezione del 1916, e Tom Clarke (1857-1916), erede del movimento indipendentista ottocentesco. Nonostante il fallimento, l’insurrezione procura al nazionalismo irlandese i propri martiri e la propria mitologia, mentre la repressione britannica, unita alla minaccia di introdurre la coscrizione obbligatoria, le assicura un crescente consenso.
A emergere quale principale forza politica del nazionalismo irlandese è, paradossalmente proprio il Sinn Féin, a cui i protagonisti del 1916 aderiscono in massa e che, da moderato e monarchico, diventa radicale e repubblicano. Alle elezioni del 1918 il Sinn Féin conquista 73 seggi irlandesi su 105. I deputati del Sinn Féin, anziché recarsi a Londra, danno vita a Dublino al Dáil Éireann (Assemblea Irlandese) che nel gennaio 1919 proclama la Repubblica e si dota di un proprio esercito, la Irish Republican Army (IRA).
Contemporaneamente, il parlamento britannico approva il Government of Ireland Act (1920) che attua la Home Rule, rassicurando al tempo stesso gli unionisti. Si dà vita, infatti, a due entità separate: una, l’Irlanda del Nord comprendente le sei contee nord-orientali a chiara maggioranza protestante; l’altra, l’Irlanda del Sud, comprendente le restanti 26 contee. Ciascuna è dotata di un proprio parlamento semiautonomo. A partire da questa partition la storia politica delle due Irlande procede separatamente.
Il Parlamento del Nord si insedia regolarmente a Belfast. Nel sud, invece, il Dáil Éireann ignora la legge inglese provocando, tra il 1919 e il 1921, la cosiddetta guerra anglo-irlandese o, per gli irlandesi, la guerra di indipendenza. Si tratta, in realtà, di una guerriglia in cui reparti dell’IRA attaccano gli uomini e le caserme della polizia, la Royal Irish Constabulary, prevalentemente irlandese e cattolica. Quest’ultima reagisce impiegando reparti ausiliari particolarmente feroci: i Blacks and Tans (in inglese, neri e marroni come i colori dell’uniforme) e gli Auxiliaries. Un episodio particolarmente cruento è la cosiddetta “domenica di sangue” (Bloody Sunday), nel novembre 1920, quando, come rappresaglia per l’uccisione di undici ufficiali disarmati da parte dell’IRA i Blacks and Tans sparano nella folla riunita allo stadio provocando dodici morti.
Nel 1921 una tregua conduce alla firma del trattato anglo-irlandese, il 6 dicembre 1921. Nasce lo Stato Libero d’Irlanda, che ha lo status di dominion nel Commonwealth britannico: capo dello Stato è ancora il sovrano inglese e i parlamentari devono prestare giuramento di fedeltà alla corona; la Gran Bretagna, inoltre, si riserva il controllo dei porti strategici. L’Irlanda del Nord ha facoltà di non aderire e di rimanere nel Regno Unito.
I limiti all’indipendenza e il mancato riconoscimento della forma repubblicana dello Stato sono la scintilla che fa scoppiare una sanguinosa guerra civile (1921-1923) nello Stato Libero. Sia il Sinn Féin che l’IRA si spaccano in fazioni “pro trattato” e “anti trattato”. I primi, con leader come Michael Collins (1890-1922), William Cosgrave (1880-1965) e il già citato Arthur Griffith possono contare sul sostegno della maggioranza della popolazione e della Chiesa cattolica, nonché sull’aiuto militare inglese e si rivelano determinanti nella repressione del dissenso. I secondi, con uomini come Eamon De Valera (1882-1975) e Cathal Brugha (1874-1922), sono sconfitti anche se, formalmente, non si arrendono. Muoiono più Irlandesi che nella precedente guerra di indipendenza e Collins e Brugha, fra gli altri, restano uccisi.
Dalle divisioni del 1921-1923 nascono i due partiti che si contendono la scena politica irlandese nel corso del Novecento. Il primo, il “pro trattato” Cumann na nGaedheal (in gaelico Lega dei Gaelici), assume nel 1933 il nome di Fine Gael (Famiglia Irlandese), dopo la fusione con il movimento parafascista delle Camicie Azzurre. Il secondo, Fianna Fáil (Soldati del destino), è fondato nel 1926 da De Valera che, pur non rinunciando alla pregiudiziale repubblicana, abbandona la posizione astensionista per partecipare alla vita politica dello Stato Libero.
Il Fianna Fáil e De Valera conquistano la maggioranza nel 1932 inaugurando una lunghissima era di egemonia politica: De Valera è primo ministro ininterrottamente dal 1932 al 1948 e poi ancora più volte per un totale di 21 anni. L’ideologia del Fianna Fáil è un misto di intransigenza repubblicana, nazionalismo celtico, corporativismo, integralismo cattolico, protezionismo economico. Nel 1937 il governo vara una nuova Costituzione che riduce al minimo i legami istituzionali con la Gran Bretagna e proclama, teoricamente, la sovranità anche sulle contee settentrionali. Durante la seconda guerra mondiale l’Irlanda si dichiara neutrale anche se collabora a livello logistico con gli Alleati e molti irlandesi combattono come volontari nell’esercito britannico. Le condoglianze presentate da De Valera all’ambasciatore tedesco dopo la morte di Hitler contribuiscono, però, a rendere questa fase storica particolarmente controversa.
Nel 1948 una legge proclama, definitivamente, la nascita della Repubblica d’Irlanda. Nella seconda metà del secolo Fianna Fáil e Fine Gael si alternano alla guida del Paese, con il concorso di partiti più piccoli e i movimenti nazionalisti radicali rimangono una minoranza.
Nel 1973 la Repubblica aderisce alla Comunità Europea. Gli aiuti comunitari e una intelligente politica di incentivi per le imprese, il basso costo del lavoro e l’esistenza di una forza lavoro giovane, istruita e di lingua inglese pongono le premesse per un vero e proprio boom economico negli anni Novanta. La “tigre celtica” vanta una crescita media del 6,8 percento del PIL tra il 1991 e il 2003. Da terra di emigranti, l’Irlanda si trasforma in terra di immigrati. Gli ultimi decenni del secolo sono anche anni di crescente secolarizzazione del Paese, simboleggiati dalla risicata vittoria del divorzio in un referendum nel 1995.
In Irlanda del Nord la partition del 1920 assegna, invece, l’egemonia politica all’Ulster Unionist Party espressione della maggioranza protestante. I decenni tra il 1920 e il 1960 sono anni di relativa stabilità politica. È solo negli anni Sessanta che il conflitto politico e, in parte, religioso fra unionisti e nazionalisti riprende quota. Su modello del movimento americano per i diritti civili nasce, infatti, in Irlanda del Nord un movimento di lotta contro la discriminazione della comunità cattolica (il 35 percento circa della popolazione). Sotto accusa, in particolare, una struttura dei collegi elettorali che favorisce gli unionisti anche nelle aree a maggioranza cattolica. Le agenzie del welfare e del pubblico impiego, poi, sono accusate di discriminare i cattolici. L’establishment nord-irlandese è ostile al cambiamento e la polizia, reclutata in prevalenza fra gli unionisti, è pronta a scortare manifestazioni “arancioni” attraverso quartieri cattolici e, viceversa, a usare la mano pesante con i cortei per i diritti civili. Tutto ciò alza il livello dello scontro con le organizzazioni paramilitari di un tempo che rinascono con gli antichi nomi: l’IRA per i nazionalisti e la Ulster Volunteer Force per gli unionisti, tra le altre. Nel 1969 la violenza esplode per le strade, avviando una ventennale spirale di attentati, omicidi politici, repressione, nota eufemisticamente come The Troubles: in tutto moriranno più di 3500 persone. Nel 1971 il governo dispone l’arresto senza processo di migliaia di sospetti combattenti nazionalisti. Il 1972 comincia con una seconda “domenica di sangue” in gennaio, quando un reparto di paracadutisti britannici spara nel corso di una manifestazione uccidendo 13 persone. Il “venerdì di sangue” di luglio, quando 22 bombe piantate a Belfast uccidono nove persone, è solo uno degli attentati a base di esplosivo tipici dell’IRA, che fa largo uso della tecnica delle “macchine bomba”. La crisi induce il governo britannico ad assumere il controllo diretto dell’Irlanda del Nord, sospendendo le istituzioni locali. Nel 1981 uno sciopero della fame di alcuni detenuti nazionalisti, che rivendicano lo status di prigionieri politici, si conclude con la morte del loro leader, Bobby Sands. La commozione dell’opinione pubblica rafforza l’IRA che si dota di un braccio politico, il Sinn Féin, da affiancare alla lotta armata.
È solo negli anni Novanta che la stanchezza della popolazione per decenni di violenze e gli sforzi concentrati della diplomazia britannica, irlandese e statunitense, nonché di leader politici locali disposti al compromesso, favoriscono l’avvio di un processo di pace. I negoziati portano a un cessate il fuoco da parte dell’IRA (1994) e alla conclusione del cosiddetto “accordo del venerdì santo” (aprile 1998). Il leader unionista David Trimble (1944-) dell’Ulster Unionist Party e quello nazionalista John Hume (1937-) del Social Democratic and Labour Party ricevono il premio Nobel per la pace. Un ministero in cui sono rappresentati tutti i principali partiti, compreso il Sinn Féin di Gerry Adams, si insedia in Irlanda del Nord nel 1998. Nonostante ciò, la smilitarizzazione delle organizzazioni paramilitari e l’accordo politico fra le parti restano, a oggi, difficili da raggiungere.