Lo Stato islamico (Is) si è ormai imposto come attore cruciale della violenza sia in Iraq, dove è nato, sia nell’intera regione mediorientale e mediterranea. La fondazione del califfato ad opera di al-Baghdadi risale a fine giugno 2014 quando, dopo una spettacolare quanto rapida avanzata, le sue milizie sono riuscite a conquistare la città di Mosul e ampie zone del centro-nord iracheno, ma in realtà le origini del gruppo vanno ricercate più indietro nel tempo. Il suo primo leader è stato, infatti, Abu Musab al-Zarqawi che dopo l’addestramento in Afghanistan sotto l’ala protettrice di al-Qaeda fondò la sua prima organizzazione, Jamaat al-Tawhid wal-Jihad, a fine anni ’90. Tale gruppo riuscì poi a imporsi in Iraq a seguito dell’invasione americana del 2003 e nel 2004 assunse il nome di al-Qaeda in Iraq (Aqi). Il legame con il gruppo guidato da bin Laden è però sempre stato problematico a causa delle differenti visioni strategiche, in particolare per ciò che riguarda l’uso degli attacchi suicidi: utili per Zarqawi come strumento per colpire gli sciiti e scatenare una guerra civile, mentre per al-Qaeda era una tattica per colpire la Coalizione. Aqi fu quindi protagonista assoluta non solo dell’insorgenza che seguì il 2003, ma anche della guerra civile del 2006 e dei video delle decapitazioni degli ostaggi (pratica poi tornata a essere ampiamente impiegata da Is). A seguito del cambio di strategia americano del 2007 e grazie al movimento del “Risveglio” delle tribù sunnite della provincia di al-Anbar, che si ribellarono al giogo del gruppo terroristico e appoggiarono il governo centrale, Aqi venne progressivamente marginalizzato e limitato nelle sue capacità operative fino quasi a scomparire.
Due fattori però ne favorirono il ritorno e la trasformazione nelle milizie attuali. Il primo fu il ritiro americano dall’Iraq nel 2011, in questo modo non solo la strategia di contrasto portata avanti fin dal 2007 perse l’elemento più forte lasciando da sole le forze di sicurezza irachene che non erano ancora pronte per un tale compito, ma tornarono inoltre a pesare le fratture profonde tra sciiti e sunniti con questi ultimi che in alcune regioni ripiegarono nuovamente su posizioni particolarmente estremiste. Al contempo, ed è questo il secondo elemento, scoppiò la guerra in Siria che permise al gruppo sia di trovare uno spazio operativo più permissivo, dove poteva muoversi con più libertà, sia di aumentare la propria esperienza bellica. Non è infatti un caso che tra l’estate del 2012 e quella del 2013 il gruppo si sia rafforzato costantemente in Iraq riuscendo a lanciare una serie di attacchi sempre più efficaci e complessi. Si trattava della cosiddetta operazione Breaking the Walls con la quale l’allora Isi (Islamic State of Iraq) ottenne almeno tre obiettivi: liberò elementi di spicco dalle prigioni irachene; affinò le sue tattiche operative; dimostrò ai suoi supporter di essere un attore credibile nel quadro regionale. A questo punto ormai la sua presenza sia in Iraq sia in Siria era forte e radicata, un fatto attestato dalla conquista della cittadina siriana di Raqqa (gennaio 2014) con cui il gruppo ha potuto mostrarsi come un’organizzazione territoriale in grado di controllare e amministrare porzioni di territorio tra Siria e Iraq e da cui poi è seguita la denominazione di Isis. Nel corso del 2014 le sue operazioni sono sempre più aumentate seguendo due linee operative principali. In Siria con modalità più vicine alla guerriglia ha colpito sia le truppe lealiste di Assad sia altri gruppi ribelli compresa la stessa al-Nusra, l’emanazione locale di al-Qaeda con cui nelle prime fasi della guerra civile c’era stata una sostanziale collaborazione e alleanza. In Iraq ha, invece, combinato azioni più guerrigliere ad attacchi terroristici (autobombe e azioni suicide che sono il marchio di fabbrica dell’organizzazione) e omicidi mirati meno mediatici ma molto efficaci per colpire elementi di spicco locali legati al governo centrale al fine di indebolire quest’ultimo. Tutto ciò sommato alla debolezza del governo centrale iracheno ha permesso all’Is di iniziare campagne operative più ampie e complesse culminate a inizio giugno 2014 nella conquista della città di Mosul e nell’avanzata fermata solo alle porte di Baghdad.
Tali operazioni con il conseguente sgretolamento dello stato iracheno hanno spinto gli Stati Uniti e la comunità internazionale a intervenire con raid aerei. Questo supporto ha sì permesso alle forze irachene (esercito regolare e milizie sciite) di riconquistare parte del territorio perduto come la città di Tikrit, ma non ha potuto evitare la caduta della capitale della provincia di al-Anbar, Ramadi, poi riconquistata dalle forze irachene nel dicembre 2015. La lotta contro IS ha così messo ancora più in evidenza la spaccatura tra sunniti, che pure con notevoli differenze al loro interno appoggiano l’insurrezione, e sciiti che invece la combattono grazie anche agli aiuti provenienti dall’Iran.
Tutto ciò ha esacerbato le tensioni, locali e internazionali, e complicato una situazione politica già estremamente complessa e fragile. Is si è ormai radicato a cavallo di Iraq e Siria creando ciò che ormai viene definito ‘Siraq’ e controlla alcune aree in Libia ed Egitto. Può essere quindi considerato un pericoloso attore della regione del Mediterraneo che ha saputo sfruttare sia i vuoti di potere che si sono venuti a creare in alcuni Stati a seguito delle cosiddette Primavere arabe sia la situazione conflittuale irachena per prosperare e creare così una seria minaccia alla stabilità regionale e all’Europa.