L’Istituto italiano per gli studi storici
L’Istituto italiano per gli studi storici, costituito il 16 luglio 1946, è una delle opere alle quali Croce dedicò gli ultimi anni della sua vita e del suo pensiero. Come si legge in una lettera da lui indirizzata a Ivanoe Bonomi il 3 marzo 1947:
Posso affermare che [l’Istituto] è fondato in un concetto al quale noi italiani siamo pervenuti; ma che manca in tutti gli altri paesi di cultura, un concetto che può affrontare l’avvenire. [...] [L’Istituto fu] ideato tanti anni fa, prima del fascismo, quando non avevo ancora sessant’anni, ma ho potuto iniziare l’attuazione pratica ora che ho varcato gli ottanta (Archivio della Fondazione ‘Biblioteca Benedetto Croce’, d’ora in poi AFC).
Divenuto più forte nel lungo periodo di isolamento e di opposizione al fascismo, quel disegno si arricchì, negli anni del secondo dopoguerra, di una motivazione interiore, legata alla sua maturazione di studioso, che si tradusse nell’auspicio di limitare la sua operosità scientifica e di impegnarsi a trasmettere alle giovani generazioni gli strumenti del mestiere, che egli si era forgiati, e a indirizzarle nei campi di studio che aveva coltivati. Ne sono testimonianza le considerazioni che chiudono la nota autobiografica del 5 ottobre 1934, aggiunta al Contributo alla critica di me stesso (scritto nel 1915, ma pubblicato nel 1918) a partire dall’edizione del 1945:
Avevo vagheggiato pei miei ultimi anni, se non una totale rinunzia, una diminuzione della mia fatica di ricercatore, critico e scrittore, e di circondarmi di giovani ai quali avrei comunicato le mie esperienze di studioso e, per così dire, i piccoli segreti di mestiere, dato a loro indirizzo per la formazione scientifica nelle cose della filosofia, della storia e della letteratura, e cercato di far loro intendere e sentire il legame che queste hanno con la disposizione morale e religiosa dello spirito; sempre seguendo l’impulso che ci porta a volere i nostri figli migliori di noi, o almeno non impacciati dagli impacci dai quali noi con difficoltà ci siamo liberati (a cura di G. Galasso, 1989, p. 92).
A questa stagione della giovinezza spirituale e umana di Croce, circondata dagli allievi che da Napoli, da più parti d’Italia e dall’estero, furono ammessi a frequentarlo, appartiene l’Istituto italiano per gli studi storici: nella sua genesi, svolgimento e maturazione fino alla costituzione e ai primi anni di vita, che hanno improntato la sua storia.
Seguiamo il filo che ci conduce alla genesi dell’Istituto nelle riflessioni, propositi, esperienze e programmi tracciati da Croce: dai testi autobiografici del 1902, 1907 e 1912 (poi raccolti in Memorie della mia vita. Appunti che sono stati adoprati e sostituiti dal “Contributo alla critica di me stesso”, a cura dell’Istituto italiano per gli studi storici, 1966, rist. anast. 1992) al Contributo, con la citata nota autobiografica del 1934. Dal Curriculum vitae (1907) apprendiamo che negli anni 1888-90 egli condusse la «vita di un vecchio» e che nel 1891-92 il «bisogno di una vita intellettiva più intensa» si manifestò «col dubbio sul valore della storia e dei metodi storici» (in Memorie della mia vita, cit., p. 15).
I viaggi in Italia e in Europa fra il 1886 e il 1892 furono molto importanti nella sua formazione, e diedero inizio a «una vita più intensa»: «dagli studi di mera erudizione locale» a «quelli di più vasta erudizione», agli studi di filosofia come «soddisfacimento del mio bisogno di orientarmi, per tornare da essa agli studii storici» (p. 17). Visse allora le prime esperienze di una pubblica amministrazione: nel Consiglio direttivo dei Regi Educatori di Napoli fino al 1896 e, dal novembre del 1900 al maggio del 1901, collaboratore per la pubblica istruzione del commissario del Comune di Napoli. Il 1894 fu l’anno di «polemiche letterarie» per «spirito battagliero giovanile», per
violenta ripugnanza e ribellione intellettuale e morale contro l’abbandono delle migliori tradizioni del pensiero italiano, e contro l’esaltamento ipocrita e adulatorio di persone mediocri, che rovinano le menti dei giovani e gli animi che asserviscono e pervertono per gli scopi della propria vanità (p. 18).
Il 1900 fu l’anno di «polemiche culturali e impegno civile»: con articoli che misero fine alla pessima amministrazione del Museo nazionale di Napoli condotta da Giulio De Petra; e contro «l’amministrazione della Biblioteca Nazionale» che condussero al suo «pieno rinnovamento» (p. 19).
Il Piano di studii dell’aprile del 1902 si apre con il «libro sulla Teoria e la Storia dell’Estetica» (p. 25), che segna la maturità della sua produzione scientifica. Da qui l’impronta al programma dei lavori futuri:
Essendomi svolto liberamente, senza dover ubbidire a rispetti esterni e senza lasciarmi sedurre da essi, ho pure raggiunto il risultato non spregevole di essermi esercitato ed addestrato così nella ricerca ed esposizione storica, come nella indagine e meditazione filosofica; ed ho accumulato nella mia mente problemi e materiali, che mi terranno forse occupato tutto il resto della mia vita [...] [e] che si possono dividere in due categorie: filosofici e storici (p. 25).
E il proposito di iniziare la pubblicazione di una rivista mensile «fatta da me con pochi amici, che partecipino delle mie vedute fondamentali», dal «carattere critico ben determinato» e con la quale «concorrere a risvegliare la coscienza filosofica, illanguidita in Italia (e non solo in Italia) nell’ultimo mezzo secolo» (p. 27). L’«ampio programma di lavoro» e di opere lo costringe a concentrarsi «nella vita degli studii, rinunziando ad altre forme di attività civile» (p. 30): mosso
dalla buona intenzione di contribuire all’elevamento delle coscienze. Avevo avuto qualche pensiero di prendere, anche a questo scopo, un pareggiamento all’Università, per svolgere il mio programma con l’aiuto della cattedra. Ma ci ho rinunziato, perché mi son convinto che l’università di Napoli non è ora ambiente favorevole per le menti indipendenti, e perché credo di potere riuscire più efficace con l’opera della penna. [...] Del resto, cómpiti ai quali non mi son potuto sottrarre pel passato, e non mi sottraggo ora, non mancheranno sia in opere collettive, sia in amministrazioni pubbliche; e nel limite delle mie forze e del mio tempo, porterò in esse un qualche contributo (p. 31).
Nel gennaio del 1912 Croce traccia un bilancio di ciò che è riuscito a fare nell’«ultimo decennio»: dare un nuovo orientamento agli «studii letterarii in Italia congiungendo l’erudizione con la filosofia»; con Gentile «fondare il nuovo indirizzo degli studii filosofici, come Filosofia storica», per il quale ha «sistematizzato nella “Filosofia dello spirito” la maggior parte dei problemi filosofici» (p. 37). Un programma per lo svolgimento del quale e per le cui conseguenze assumono particolare importanza «gli studii storici promossi nel campo della filosofia» (su Giambattista Vico e su Georg Wilhelm Friedrich Hegel), con l’intento di «formare una coscienza filosofica italiana, che sia europea e nazionale insieme» (p. 38), e il nuovo concetto della storiografia. E a essi, bilancio e programma, si congiunge lo sguardo sul futuro per il quale si propone di «continuare nel lavoro per la formazione di una coscienza italiana moderna, non socialistica e non imperialistica o decadentistica, che riproduca in forma nuova quella del risorgimento italiano» (p. 39).
Lungo questa linea è la fondazione della «Critica» (1902) alla quale Croce dedica le pagine dell’8 aprile 1915 del Contributo, segnando con essa il superamento della «scissione fra l’uomo pratico e il teoretico» (1989, cit., p. 41) – di cui aveva sofferto per lunghi anni –, tra studi che non rappresentavano «l’utilità» di contribuire alla vita civile, e la «voce della coscienza» che lo «rimproverava» e «spronava» (p. 42) ad altro. Giova qui sottolineare, per le tracce che ci conducono alla genesi della ragion d’essere dell’Istituto nella coscienza e sensibilità ideale di Croce, quanto scrive ancora nel Contributo: che con il lavoro per «La Critica» «mi si formò la tranquilla coscienza di ritrovarmi al mio posto» (p. 42), realizzando il compimento di due esigenze, «dare il meglio di me» e «compiere opera politica, di politica in senso lato: opera di studioso e di cittadino insieme» (p. 42), socialmente operoso.
E se mi udii chiamare dopo alcuni anni e per alcuni anni maestro e guida spirituale dei giovani, ciò non fu senza mia meraviglia, commista talvolta di fastidio: ma ero soddisfatto di venire ormai spiegando tutte le forze che possedevo, grandi o piccole che fossero, tutte. L’ideale che vagheggiavo era tratto non già dalla mia persona, ma bene dalla mia varia esperienza, [...] avendo vissuto nel mondo accademico abbastanza da conoscerne virtù e difetti, e serbato insieme il sentimento della vita reale, e della letteratura e della scienza come nascenti da essa o rinnovellantesi in essa (p. 42).
Dalla «Critica» si sviluppa quella linea dell’autorità culturale e operosità sociale di Croce che, attraverso il sodalizio con Giovanni Laterza dall’inizio del secolo agli anni bui del fascismo, giunse a compimento nella fondazione dell’Istituto italiano per gli studi storici. «La direzione e la collaborazione alla “Critica” – scrive nel Contributo – erano un servigio che più direttamente rendevo alla cultura italiana» (p. 42); così come lo furono poi «in modo assai più largo ed efficace mercé l’ardita volontà di un giovane editore pugliese, il Laterza di Bari» (p. 43) le collane Classici della filosofia moderna, Scrittori d’Italia e Biblioteca di cultura moderna. In questi anni, «che sono stati sinora i più fecondi», egli ha appreso, «movendo da bisogni interiori, guidato da principii, consapevole delle difficoltà, paziente nell’attendere e lasciar maturare», il processo pedagogico dell’«arte dell’imparare» (pp. 44-45). Nell’unione del discepolo e maestro, sperimentata e vissuta in se stesso, giunge a maturazione la sua dottrina pedagogica, «che concepisce la vita intera come continua educazione, e il sapere come unità del sapere e dell’imparare» (p. 45). E nell’assioma «quando si sa senza più poter imparare, quando si è educati senza possibilità di meglio educarsi, la vita si arresta e non si chiama più vita ma morte» (p. 45) – è in nuce la ragione vitale da cui nacque e prese forma, nella mente di Croce e nella sua concreta attuazione trent’anni dopo, l’Istituto italiano per gli studi storici. Nella nota autobiografica del 1934 si profila già chiaramente il nucleo teorico e l’idea guida dell’Istituto medesimo:
abbracciando con lo sguardo questa mia molteplice e pur unitaria opera scientifica, con la quale ho anche adempiuto il mio ufficio sociale, mi sembra di aver offerto agli italiani (ai quali, in prima linea, ho sempre rivolto il pensiero) una comprensiva trattazione di tutti i problemi attuali delle varie scienze filosofiche; e di aver segnato un metodo onde la filosofia e la storia si rinfrescano di continuo l’una nell’altra, e il presente si stringe tanto più forte al passato quanto più s’indirizza all’avvenire (p. 81).
Dalla profonda ricostruzione effettuata nel 1991 da Gennaro Sasso (Sulla genesi dell’Istituto. La ricerca del primo direttore, «Annali dell’Istituto italiano per gli studi storici», 1991, 10, 1987/1988, pp. 327-91, poi in L’Istituto italiano per gli studi storici nei suoi primi cinquant’anni, 1997, pp. 3-72) emerge chiaramente come – alla luce di un passo dei Taccuini di lavoro datato 31 gennaio 1939 (4° vol., 1937-1943, 1987, p. 176), posto a confronto con l’articolo di Croce in memoria di Adolfo Omodeo (Adolfo Omodeo, «Quaderni della “Critica”», 1946, 2, 5, pp. 1-4, poi in L’Istituto [...] nei suoi primi cinquant’anni, cit., pp. 195-99) – il progetto di fondare un Istituto di studi storici sorse nella mente di Croce in un periodo cruciale della sua opera storica e filosofica: «prima che nel campo della teoria egli fosse pervenuto alla piena maturità delle sue idee» fra il 1909 e il 1911-12, gli anni della Logica come scienza del concetto puro (1909) e della elaborazione di Teoria e storia della storiografia (ed. tedesca 1915, ed. it. 1917), o negli anni fra il 1912 e 1922-23 in cui compose i suoi libri di storia «intonati al nuovo metodo», dalla Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, del 1921, alla Storia del regno di Napoli, del 1925 (Sulla genesi, cit., in L’Istituto italiano, cit., pp. 14-15). Nelle pagine dedicate a Omodeo, che dell’Istituto avrebbe dovuto essere il primo direttore e per il quale in un certo senso egli «lo aveva concepito», Croce fa risalire agli anni anteriori alla Prima guerra mondiale il proposito di fondare un istituto di preparazione ed esercitazione alla storia propriamente detta, alla quale le università offrono bensì la necessaria e indispensabile disciplina filologica, ma per il resto solo sparse e accidentali e superficiali cognizioni (Adolfo Omodeo, cit., in L’Istituto italiano, cit., p. 198).
Un proposito, prosegue Croce, reso poco dopo inattuale, per «l’avvento del regime oppressivo che impediva o pretendeva di asservire a sé ogni associazione di carattere scientifico ed educativo». Quel disegno «rimase allora sospeso o piuttosto io vi feci interiore rinunzia, deponendone le speranze» (p. 198).
Questione ardua, afferma Sasso, quella di capire
come mai, e perché, e sul fondamento di quali modelli, in quegli anni lontani Croce pensasse ad un istituto, nel quale anche a lui [...] sarebbe accaduto di dover assumere il compito dell’insegnante, sopportandone gli inevitabili fastidi (Sulla genesi, cit., in L’Istituto italiano, cit., p. 16).
E ancor più difficile quest’altro interrogativo: come mai, a cavallo tra gli anni Dieci e i Venti,
egli pensò alla fondazione di un istituto nel quale avrebbe bensì insegnato liberamente, ma pur sempre in un quadro, rispetto al suo consueto, alquanto estrinseco? Forse [...] perché, come l’Università era ai suoi occhi il luogo della semplice conservazione e tradizione, il suo Istituto avrebbe invece potuto di continuo essere rimodellato sul ritmo stesso del pensiero e dell’originale ricercare? (p. 16).
Era probabilmente, la sua, un’idea
chiara; ma, in quanto tale, [...] prevedeva, nel suo fondo, non più che il libero rapporto che, in concreto e di volta in volta, egli avrebbe stabilito con i giovani studiosi ammessi a frequentare le sale della sua biblioteca e a lavorarvi (p. 17).
Altrettanto difficile è per Sasso rispondere alla domanda sulle ragioni per le quali Croce pensò di fondare un istituto di studi storici: escludendo la più facile – «e cioè che fu in vista e in considerazione del consolidamento e dell’espansione della sua ‘egemonia’», anche per contrastare quella di Gentile, «sopra tutto nelle Università» (p. 17) –, si può dire che attraverso l’Istituto «forse Croce pensava di rendere più concreto, diretto e autentico l’apprendimento di quel che [...] la sua idea filosofica della storia implicava e recava in sé» (pp. 17-18). La questione toccava dunque un altro piano: quello della comprensione e del non fraintendimento del suo pensiero. Se, conclude Sasso, «della deformata e semplificata ‘ricezione’ del suo pensiero Croce era consapevole», allora forse nell’Istituto vedeva «non solo un luogo di superiore apprendimento delle ‘regole’ intrinseche dell’‘alta storiografia’», ma «lo strumento [...] mediante il quale potessero esser rese più determinate e complesse, le questioni che [...] dibatteva» sulle pagine della «Critica». «Compito di una scuola e istituzione scientifica è, non tanto di riplasmare i valori, ma conservarli e tramandarli», e l’Istituto che egli vagheggiava era «qualcosa di più di una scuola, bensì un luogo nel quale i ‘pari’ si impegnassero fino in fondo nella ricerca e nel pensiero» (p. 20). È il modello socratico-platonico ateniese, ci chiediamo noi oggi, riaffiorato per rivivere nel cuore antico della città sotto il Vesuvio e al fianco delle antiche acropoli del golfo di Napoli?
Negli scritti di Croce e negli epistolari, molteplici sono i riferimenti alla genesi, al delinearsi, alla maturazione e all’attuazione di quel disegno, con la fondazione dell’Istituto: a cominciare dalla bellissima pagina del Contributo che abbiamo citata all’inizio. Il dialogo costante e vivo con le giovani generazioni rappresenta una delle motivazioni profonde della creazione dell’Istituto, e ne sono testimonianza i carteggi editi e inediti. Essi rivelano la disposizione a entrare in contatto con studiosi giovani e giovanissimi, discutendo e mettendosi in discussione, in quella forma di conversazione epistolare che caratterizza le sue lettere e che fu ripresa nei testi raccolti nel volume Storiografia e idealità morale: conferenze agli alunni dell’Istituto per gli studi storici di Napoli, e altri saggi (1950, a cura di G. Sasso, 1993).
Un esempio è la lettera del 27 luglio 1949, indirizzata a un destinatario ‘sconosciuto’ (Egidio D’Alessandri) che gli aveva offerto lo spunto per una riflessione sul suo percorso intellettuale; nella lettera Croce delinea come «progetto pedagogico unitario l’intera opera sua: dalla nascita della Critica alla fondazione dell’Istituto italiano per gli studi storici», nel segno della «plurisecolare battaglia civile e culturale che aveva combattuta per una nuova Italia» (Lettera autobiografica di un ottuagenario, a cura di E. Cutinelli-Rendina, «Belfagor», 2012, 67, 6, pp. 722 e 724). Ne riportiamo un significativo brano:
Adesso l’università non è più quella, tutt’altro che priva di fervore, della mia gioventù: è un mortorio: e troppi uomini ne fanno parte che non hanno né serietà morale, né amore per la verità, né dignità dell’ufficio loro. Io non ho alcun modo di operare entro di essa o su di essa. Lavoro perciò fuori di essa o cerco di darle qualche complemento o supplemento, come ho fatto con l’Istituto storico fondato in Napoli, che credo ben concepito e abbastanza bene avviato; e ho la speranza che dagli alunni stessi dell’Istituto verranno coloro che ne continueranno l’opera (pp. 721-22).
Un progetto pedagogico che garantì, anche negli anni del fascismo, la formazione di una cultura laica e libera, grazie alla rete di collaborazioni e imprese che Croce riuscì a far vivere. Del resto, un tentativo di realizzare quell’idea Croce lo intraprese con la Società di cultura politica che inaugurò il 19 maggio 1924 nella sede dell’Università di Napoli. Il nesso fra questa iniziativa e la fondazione dell’Istituto è evidente: non a caso, quando pubblicò in opuscolo il discorso tenuto il 16 febbraio 1947 per l’inaugurazione dell’Istituto, Il concetto moderno della storia, vi aggiunse quello tenuto tanti anni prima per l’inaugurazione della Società (Gli studi di teoria della politica), a indicare il legame non solo ideale, ma delle premesse teoriche che ne erano a fondamento (Il concetto moderno della storia. Discorso per l’inaugurazione dell’Istituto italiano per gli studi storici, seguito da altri scritti attinenti all’argomento, 1947). La Società, promossa da ex combattenti con parecchi insegnanti dell’Università napoletana, dopo pochi mesi fu soffocata dal regime fascista e costretta a sciogliersi. «Ma i criteri che in quel discorso si ragionavano per lo studio della politica in quanto scienza [...] restano ancor saldi, e possono servire forse ancor oggi», ricorda Croce (p. 5): il filo del suo discorso, i valori ideali, i propositi in esso contenuti, l’accento posto sulla storia come componente essenziale della scienza della politica e della coscienza civile e morale di coloro che avrebbero un giorno guidato «i destini della nostra patria» non fu smarrito, e fu ripreso nelle premesse dell’Istituto che fondò nel secondo dopoguerra. Il duplice riferimento alla scienza della politica e alla storia, che esso ebbe all’origine, si richiamava all’antica idea della Società per la cultura politica, ma allo stesso tempo rispecchiava le preoccupazioni e aspirazioni del periodo in cui l’Istituto vide la luce, durante il quale Croce sentì il dovere di aprire una parentesi nella sua attività di studioso, e di prestare la sua opera alla ricostruzione del Paese dalle ceneri della guerra, e alla sua rinascita politica, civile e morale dopo il crollo del fascismo.
Nel nesso fra lavoro storico e coscienza morale, Croce individuò uno degli scopi che l’Istituto si proponeva di raggiungere, «intrinseco al concetto moderno della storia»: l’idea direttiva e fondante, della quale nel suo discorso del 1947 espose «la genesi storica e la giustificazione logica» (Il concetto moderno della storia, in L’Istituto italiano, cit., p. 154). Tali principi furono ripresi nella premessa allo statuto dell’Istituto, scritta nel febbraio del 1946: formare negli alunni «la coscienza che l’intelligenza della storia va di pari con la formazione della propria personalità morale»; indirizzare «l’opera alla quale ora si dà avviamento», «al rinvigorimento e al progresso, in Italia e oltre l’Italia, del pensiero storico, premessa di seria e feconda vita sociale e politica» (Statuto 1947, in Il concetto moderno della storia. Discorso, cit., p. 39). Esplicita in questo senso è la lettera che Croce scrisse il 25 dicembre 1946 al colonnello dell’aviazione britannica J.W. Robert Thompson:
Nel nostro colloquio di Napoli io le dissi come ero perfettamente d’accordo sulla necessità di rinvigorire l’idea liberale e renderla sicuro possesso della cultura odierna e armarla per la difesa politica, con la fondazione di un Istituto che facesse concorrere a quell’insegnamento le varie discipline filosofiche e morali. E le dissi che qui a Napoli stiamo per inaugurare un Istituto per gli studi di alta storia. E avendole dato il programma del nostro Istituto, Ella, dopo averlo letto, ne riconobbe l’identità del concetto ispiratore. Io ebbi anche gran piacere all’udirla proporre per l’Istituto internazionale che intende fondare una città tedesca, sebbene non sappia se si possa opportunamente designare senz’altro Berlino, la cui sorte, anche culturale, è così ancora incerta. Lieto della futura collaborazione che potrà nascere tra il nostro Istituto napoletano e la vostra Facoltà umanistica internazionale (AFC).
Si comprende come l’originaria denominazione «di studi politici e storici»/«teoria della politica e di storia» – con la quale l’Istituto fu inizialmente concepito nel sodalizio, da cui prese vita, fra Croce e il dirigente d’azienda Raffaele Mattioli – si mutasse in «studi di alta storia» – cfr. le pagine dedicate al 1945 nei Taccuini di lavoro (5° vol., 1944-1945, 1987, pp. 250, 269-70) – per assumere infine, nell’atto costitutivo e nello statuto, la forma definitiva di «Istituto italiano per gli studi storici». L’elemento politico divenne uno degli aspetti del «concetto moderno della storia», che avrebbe ispirato e guidato l’attività dell’Istituto nel corso degli anni a venire.
I primi passi per la fondazione dell’Istituto risalgono all’estate del 1944 e ai primi mesi del 1945: nel riprendere l’antico progetto, per dare a esso forma concreta e solido avviamento, Croce fu incoraggiato e sostenuto, come detto, da Mattioli, «senza la cui comprensione e senso pratico, la creazione dell’Istituto di Studii Storici non sarebbe stata in nessun modo possibile» – come scriverà in una nota inedita del 12 marzo 1950, indirizzata a Mattioli per esprimergli la sua «gratitudine per tutto l’affetto che avete dimostrato per me in questi anni di comune operosità» (Per Mattioli, 12 marzo 1950, Archivio storico dell’Istituto italiano per gli studi storici, d’ora in poi AI). L’impegno e la volontà di Mattioli furono determinanti nel porre le fondamenta di quello che Croce concepì come «un corollario istituzionale dei suoi lunghi e vari studii sulla storia» (Croce a Bonomi, 3 marzo 1947, AFC). L’11 novembre 1945 fu sottoscritta da Croce, dalle sue quattro figlie (Elena, Alda, Lidia e Silvia) e da Mattioli e Antonio Rossi, amministratori delegati della Banca commerciale italiana, una convenzione per la «creazione di un Istituto di studi di alta storiografia il quale abbia a ripigliare in Napoli la tradizione del Vico, che B. Croce con lunghi anni di studio ha sviluppata e integrata e resa conforme ai progressi del pensiero moderno»; la convenzione riguardava l’impegno della Banca a «dare opera a titolo gratuito col concorso di enti e persone volenterose» alla creazione dell’Istituto, ad «assicurare la conservazione per l’avvenire, a vantaggio degli studiosi, della Biblioteca e archivio letterario di Benedetto Croce, nella sua sede attuale» e l’uso da parte dell’Istituto dei locali dati da Croce (Convenzione con la Banca Commerciale Italiana, in L’Istituto italiano per gli studi storici dal 1997 al 2012, 2012, pp. 249-51).
Il passo successivo fu l’atto costitutivo, che Croce annota nei Taccuini di lavoro alla data del 21 luglio 1946:
È venuto il Mattioli con l’Einaudi e con rappresentanti di altri istituti che concorrono alla fondazione dell’Istituto storico. È stato firmato il contratto di fondazione e si inizieranno le pratiche per l’erezione in Ente morale. Ma anche questo che era un mio ideale mi è ora motivo di preoccupazione e turbamento. Io sono nell’81° anno, e non solo non ho il tempo e le forze, ma non sono preparato all’opera didascalica e pedagogica di dirigere una scuola e insegnare. Come se ne uscirà? Quasi non ho il coraggio di pensarvi. E intanto locali, finanze, biblioteche, tutti i mezzi materiali sono pronti (6° vol., 1946-1949, p. 54).
«Motivo di preoccupazione e turbamento» furono allora le difficoltà sorte, dopo la morte di Omodeo, per la nomina del direttore: questione nota, nel suo complesso svolgimento e nella soluzione cui si giunse, dalla ricostruzione di Sasso. Nel già citato ricordo di Omodeo, Croce illustra, attraverso il ritratto dell’amico, la scelta «di affidargli la direzione dell’Istituto» per la sua capacità di «entrare nello spirito di taluni fatti e personaggi» e di passare con la mente dalla storia antica a quella moderna e contemporanea: il che, accadendo per il suo intrinseco «bisogno di uomo moderno» (Adolfo Omodeo, cit., in L’Istituto italiano, cit., pp. 196-97), ne faceva un maestro unico per chi si fosse accinto agli studi di storia, intesi in questo senso pieno e alto. I tentativi che furono intrapresi da Croce e Mattioli, nella ricerca di un direttore che avrebbe potuto sostituire Omodeo, si scontrarono con numerose difficoltà: Carlo Antoni, Arnaldo Momigliano e Walter Maturi non se la sentirono, per diversi motivi, di assumere l’incarico. Nel momento in cui l’Istituto fu formalmente costituito, il problema della direzione scientifica e didattica non era stato ancora risolto. L’atto costitutivo fu stipulato il 21 luglio 1946 per iniziativa di cinque enti bancari: la Banca d’Italia, il Banco di Napoli, la Banca commerciale italiana, il Credito italiano e il Banco di Roma. Nel corso degli anni successivi, all’iniziativa e all’autorevolezza di Mattioli e di un altro fedelissimo amico di Croce, Alessandro Casati, si deve il coinvolgimento in determinati settori delle attività dell’Istituto, con contributi straordinari, di un numero considerevole di enti, società e privati, sia in Italia sia all’estero (cfr. M. Herling, L’Istituto dal 1946 al 1995, in L’Istituto italiano, cit., pp. 109-11).
I principi ai quali l’Istituto si ispirava e il suo programma furono esposti nella già citata premessa del 1946 allo statuto. Considerando che nelle Università «la preparazione all’opera dello storico si compie in relazione quasi esclusiva con la filologia» (Statuto 1947, cit., in Il concetto moderno della storia, cit., p. 37), il compito dell’Istituto doveva essere di «risanare» (p. 38) «codesta unilateralità e deficienza di preparazione», dalle quali «vengono fuori filologi ed eruditi, diligenti ricercatori e indagatori di documenti e costruttori di dotte cronache» (p. 37), che non hanno la capacità, né gli strumenti, per «interpretare e giudicare pensieri, azioni e avvenimenti» (pp. 37-38). Quella «utile opera, precipuamente filologica» è «adottata e difesa come strumento indispensabile di lavoro» (p. 38), per volgersi all’altra in cui si riassumevano le finalità e i programmi dell’Istituto: l’approfondimento della storia nel suo «rapporto sostanziale» «con le scienze filosofiche, della logica, dell’etica, del diritto, dell’utile, della politica, dell’arte, della religione, le quali sole definiscono e dimostrano quegli umani ideali e fini e valori, dei quali lo storico è chiamato a intendere e narrare la storia» (p. 37). Le vie che si sarebbero seguite erano indicate dal fine stesso che l’Istituto si proponeva; le forme e le modalità attraverso le quali avrebbe realizzato quel programma, sarebbero state ogni volta determinate e disciplinate dal Consiglio direttivo con il direttore: lezioni, esercitazioni e conferenze, indagini e ricerche in archivi pubblici e privati, pubblicazioni di atti e documenti, di studi e monografie, borse di studio e premi di ricerca.
In questi diversi settori si è sviluppata l’attività dell’Istituto, costituendo quel patrimonio di studi, insegnamenti e opere che ne hanno caratterizzato la vita e la storia, dalla fondazione a oggi. Nell’atto costitutivo e ai sensi dello statuto, Croce fu nominato presidente a vita dell’Istituto; furono eletti nel Consiglio direttivo: Alessandro Casati, Arnaldo Momigliano, Luigi Einaudi, Alda Croce; e in rappresentanza del mondo accademico: Luigi Russo, direttore della Scuola Normale di Pisa, ed Ernesto Pontieri, presidente della Società napoletana di storia patria e rettore dell’Università di Napoli. Entrarono poi a far parte del Consiglio negli anni della presidenza di Croce: Raffaele Mattioli, Dante Petaccia, Donato Menichella, Giuseppe Lapreta (in seguito alla scomparsa di Petaccia, e alle dimissioni di Einaudi e Russo).
Con il regolamento del 1947 per l’ammissione degli allievi, si avviò il primo anno di attività e Croce assunse in via provvisoria la direzione. La solenne cerimonia del 16 febbraio 1947, alla presenza del ministro della Pubblica Istruzione Guido Gonella, e i discorsi pronunciati da Croce e da Casati inaugurarono l’istituzione che Croce e Mattioli vollero offrire al Paese e che – per riprendere le parole del fondatore – «nasce in Napoli ma si protende verso l’Italia e verso tutta la cultura europea, della quale noi siamo figli e di cui ci pare di avere interpretato in questa parte le presenti necessità e i bisogni e le richieste» con l’auspicio «che la fortuna sia benigna ai propositi che abbiamo formati con l’unico intento della pubblica e comune utilità» (Il concetto moderno della storia, in L’Istituto italiano, cit., pp. 154-55).
Primo direttore, nominato quello stesso 16 febbraio, fu Federico Chabod: all’impronta, lo spirito, il carattere e le linee di svolgimento della sua direzione, l’Istituto italiano per gli studi storici è rimasto sempre fedele. Nel Consiglio direttivo del 14 giugno, Croce trasse un bilancio estremamente positivo del primo anno di attività dell’Istituto («una cosa viva, che non potrà non migliorare nel futuro») e un particolare merito lo attribuì all’opera svolta da Chabod, «che ha portato all’insegnamento l’ardore e l’esperienza necessaria e ha dato tutta l’anima all’Istituto» (AI, Verbali Consiglio direttivo, 1947). Croce fu assiduo ascoltatore delle lezioni di Chabod, delle quali – come testimonia la figlia Alda – era entusiasta. Come scrisse nella nota del 10 marzo 1950 indirizzata a Mattioli:
Il Direttore dell’Istituto ha qualità singolari per legare a sé gli alunni con l’interesse dell’insegnamento. Ha inoltre reso grandi servigi all’Istituto nei rapporti con la Rockefeller, e si deve a lui la buona riuscita del rifornimento di libri stranieri per la nostra biblioteca. È uomo d’ingegno, quantunque non sia da pretendere da lui un formale impegno per l’aspetto filosofico del compito dell’Istituto (AI).
Indubbiamente Chabod concepì l’Istituto come una missione che gli aveva dato l’opportunità «di lavorare e far lavorare per la ricerca storica», «un centro vivo e operoso di cultura, di quella cultura che dobbiamo difendere e riprendere dal nostro passato di grande nazione» (lettere rispettivamente ad Alessandro Passerin d’Entrèves, 10 giugno 1947, e a Giorgio Bombassei, 14 aprile 1947, in F. Chabod, Corrispondenza e Relazioni, 1947-48, AI). La peculiare fisionomia che l’Istituto assunse con la sua direzione si può ricostruire attraverso diverse testimonianze, in particolare le sue lettere del 1947 e la sua relazione del 1948 per il ministero della Pubblica Istruzione:
L’Istituto si presenta come una scuola di perfezionamento di speciale carattere e tipo che ospiterà sempre una cerchia ristretta di giovani, soltanto coloro che non vanno in caccia di diplomi formali, ma vogliono studiare, e arricchire culturalmente se stessi. Gli allievi conducono lavori su temi da loro stessi scelti: che dopo essere stati discussi e giudicati dal Direttore e dai docenti, possono essere pubblicati. Qui lo scopo principale dell’Istituto: completare e affinare la preparazione metodologica dei giovani mediante le lezioni, promuovendo al contempo le loro ricerche scientifiche, in cui quell’affinamento e completamento di pensiero storico abbia modo di esprimersi concretamente (in F. Chabod, Corrispondenza e Relazioni, 1947-48, AI).
Oggetto delle lezioni dovevano essere: «la metodologia storica, la storia della storiografia, la storia antica, medievale e moderna, la storia della filosofia, della letteratura e dell’arte». All’impegno didattico, caratterizzato dall’alternanza fra i corsi e i cicli di lezioni tenuti da studiosi italiani e stranieri, si affiancavano le ricerche condotte dai borsisti, i cui risultati venivano esposti in apposite ore di lezione che costituivano parte essenziale dell’insegnamento e che avrebbero formato oggetto di pubblicazione. A partire dai primi tre volumi della collana delle monografie, pubblicati nel 1950 (Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento di Lino Marini, Francesco Guicciardini di Vittorio De Caprariis, Il Risorgimento in Sicilia di Rosario Romeo), con la direzione di Chabod vennero alla luce le ‘opere prime’ della generazione dei più illustri storici italiani del secondo dopoguerra: Cinzio Violante, Ottavio Barié, Ettore Lepore, Giuseppe Giarrizzo, Franco Gaeta, Nicola Matteucci, Gennaro Sasso, Hanno Helbling, Sergio Bertelli, Emilio Cristiani, Silvano Borsari, Guido Verucci, Valdo Zilli, Giovanni Ferrara, Patrick Chorley, Roberto Vivarelli.
Gli allievi e uditori che furono ammessi poterono ascoltare l’alto magistero di Croce nelle lezioni e conversazioni su ‘verità e storia’, ‘poesia e verità’, ‘letteratura e civiltà’, ‘universalità e individualità nella storia’, sulla ‘parità degli uomini nella libertà’, poi raccolte nel già citato volume Storiografia e idealità morale. Così come «memorabili per coloro che ebbero occasione di ascoltarli» (V. De Caprariis, Chabod direttore dell’Istituto italiano per gli studi storici, «Rivista storica italiana», 1960, 72, p. 667, poi in L’Istituto italiano, cit., p. 209) furono i corsi tenuti da Chabod sui grandi temi del dibattito storiografico: il tramonto del mondo antico e gli inizi del Medioevo nella storiografia europea, Riforma e Controriforma nella storiografia contemporanea, la storiografia sulla Rivoluzione francese, il Rinascimento italiano, la politica estera dello Stato italiano, l’idea di Europa e l’idea di nazione. Accanto a quelli di Chabod, i corsi furono affidati a Giovanni Pugliese Carratelli e Alfredo Parente; seminari ed esercitazioni per i borsisti furono tenuti da De Caprariis (vicedirettore dal 1949 al 1953), Romeo (segretario dal 1953 al 1957), Giuseppe Galasso (segretario dal 1958 al 1960). Lezioni e conferenze furono tenute da Riccardo Bacchelli, Giampiero Bognetti, Fernand Braudel, Augusto Campana, Nino Cortese, Mario Fubini, Achille Geremicca, Henry Lepeyre, Walter Maturi, Fausto Nicolini, Roberto Pane, Gabriele Pepe, Ernesto Pontieri, Yves Renouard, Ernesto Sestan, Adam Wandruszka.
Fin dal 1947-48 fu possibile ottenere fondi per l’istituzione di borse di studio che avrebbero consentito all’Istituto di essere aperto ai giovani di ogni parte d’Italia, oltre che di Napoli. In tal modo – si legge nel testo di un appello rivolto da Chabod a istituzioni italiane e straniere – l’Istituto avrebbe contribuito a costituire
una scuola veramente nazionale; mentre trattative allacciate con enti e governi esteri danno la fondata speranza che, sin dall’anno prossimo, siano presenti giovani laureati stranieri, dotati di borse di studio dei rispettivi paesi. Con ciò l’Istituto coopererà validamente alla riaffermazione culturale dell’Italia nel mondo (in F. Chabod, Corrispondenza e Relazioni, 1947-48, AI).
Le borse per studenti stranieri furono finanziate dall’Istituto nazionale per le relazioni culturali con l’estero, per l’impegno di Antoni che ne era commissario straordinario, dal programma di scambi culturali della legge Fulbright, da istituti bancari francesi e svizzeri legati alla Banca commerciale italiana e dalla Fondazione Rockefeller (1949-60). In questo modo, per Chabod, l’Istituto avrebbe affermato il suo carattere di «centro di studi storici non solo nazionale, ma internazionale», come scrisse nella già citata lettera del 10 giugno 1947 a Passerin D’Entrèves:
accogliendo alunni italiani e non italiani; e invitando per corsi di lezioni, alcuni dei maggiori rappresentanti della storiografia inglese, francese, americana ecc., e inviando all’estero i migliori tra gli alunni italiani; promuovendo ricerche su fatti e problemi di storia non italiana sì che a poco a poco ci sia una corrente circolatoria continua fra noi e gli altri, si dia sempre più fiato europeo, anzi mondiale agli studi storici italiani, e per converso si facciano considerare con più vivo interesse dai non italiani fatti e problemi di casa nostra. Metodi diversi, uomini diversi: quale arricchimento interiore per un giovane che dalle varie e diverse esperienze trae succoso frutto per sé! (in F. Chabod, Corrispondenza e Relazioni, 1947-48, AI).
È evidente che l’istituzione fondata da Croce consentì a molti laureati incerti del loro avvenire di perseverare nella via degli studi, che non era la più facile nel contesto dell’immediato dopoguerra. I dati numerici e soprattutto i nomi degli allievi – un albo d’oro – rivelano chiaramente quale fosse l’intento di Croce e Mattioli: raccogliere e sostenere le energie migliori dalle università italiane e contribuire a formare la nuova classe dirigente. L’Istituto rappresentò un vivaio importante del mondo intellettuale e accademico, dove si ritrovarono coloro che si possono considerare protagonisti del dibattito culturale, testimoniato tra l’altro dalle riviste che nacquero e si alimentarono nell’ambiente di palazzo Filomarino: «Lo spettatore italiano», «Nord e Sud» e «Il Mulino». Fra le testimonianze degli allievi raccolte nel volume di Elsa Romeo, La scuola di Croce. Testimonianze sull’Istituto italiano per gli studi storici (1992), valga – come esempio di quella che va ricordata per quegli anni come «la scuola di Croce, di Raffaele Mattioli e di Federico Chabod» – la testimonianza di Gaetano Arfè. Fu borsista fra il 1948 e il 1950: anni che rappresentarono il ritorno agli studi per riprendere il filo di un percorso che era stato interrotto dalla guerra, dall’attività clandestina e dalla resistenza, in un ambiente in cui si «respirava aria europea» e si ritrovava «uno spirito di vissuta liberalità» al quale «sono rimasti fedeli quanti di noi si sono impegnati nell’azione civile e politica» nell’Italia repubblicana (pp. 137-45).
Con la scomparsa di Croce, il 20 novembre 1952, il passaggio di testimone fu raccolto da Mattioli, che meditò l’alto compito di guidare l’Istituto nello spirito e lungo la via tracciata dal fondatore. Le sue riflessioni, gli interrogativi e gli orientamenti li condivise in uno scambio epistolare del febbraio 1953 con Chabod: testimonianza della responsabilità che entrambi si assunsero nel condurre l’Istituto verso una pagina nuova della sua storia (R. Mattioli, F. Chabod, Carteggio 9-28 febbraio 1953, AI).
Ai principi ispiratori, intenti e finalità conferiti dal suo fondatore, l’Istituto è rimasto fedele e li ha proseguiti e interpretati, con i presidenti che dopo Croce ne hanno assunto la guida – Raffaele Mattioli (1952-73), Maurizio Mattioli (1973-86), Giovanni Pugliese Carratelli (1986-90), Giovanni Spadolini (1990-94), Sergio Siglienti (1994-2002) – e con i direttori che al magistero di Croce si sono ispirati – Chabod (1947-60), Pugliese Carratelli (1960-86), Sasso (1986-2011).
Sotto la presidenza di Natalino Irti, dal 2002, si è attuata la riforma dello statuto: dal 2011 l’Istituto è retto e amministrato dal Consiglio direttivo, composto attualmente da Piero Craveri, Giulio De Caprariis, Carmela Decaro Bonella, Paola Franchomme, Giuseppe Galasso, Maurizio Mattioli, Alberto Quadrio Curzio, Gennaro Sasso, Fulvio Tessitore; amministratore delegato è Roberto Giordano e segretario generale è Marta Herling. Le rinnovate risorse economiche pubbliche e private e il rilievo fra le istituzioni culturali italiane e internazionali sono testimoniati nel già citato volume L’Istituto italiano per gli studi storici dal 1997 al 2012. E le illustrano: l’attività scientifica e di formazione, con le venti borse di studio annuali per laureati e dottori di ricerca, i corsi e i seminari, le pubblicazioni; la sede oggi estesa su tre piani del palazzo Filomarino, che adempie alla funzione pubblica che l’Istituto svolge; l’imponente patrimonio bibliotecario (130.000 volumi e 700 periodici correnti catalogati nel Servizio bibliotecario nazionale) che, insieme agli archivi, si sviluppa fra tradizione e innovazione tecnologica; e, infine, l’albo d’oro dei 1250 borsisti – con profili e carriere scientifiche, accademiche e professionali – che verrà valorizzato dalla costituzione dell’Associazione degli allievi dell’Istituto italiano per gli studi storici.
Con la sua storia e il suo presente, l’Istituto si rivolge alla città in cui è nato, alla nazione per la quale è stato fondato, cercando di interpretarne (come ricordò Croce nel citato discorso del 16 febbraio 1947) «le necessità, i bisogni e le richieste»; e volge lo sguardo all’Europa, dove affondano le radici dell’eredità morale e ideale che custodisce, rinnovandola e riformulandola nella sua quotidiana opera.
E. Romeo, La Scuola di Croce. Testimonianze sull’Istituto italiano per gli studi storici, Bologna 1992.
G. Sasso, Discorsi di Palazzo Filomarino, raccolti da M. Herling, premessa di N. Irti, Napoli 2008.
F. Attal, L’Institut Croce, la revue «Nord e Sud» et la diplomatie culturelle des fondations américaines (1946-1964). Histoire, sciences sociales et ‘guerre froide culturelle’ dans le Mezzogiorno italien, «Storiografia», 2010, 14, pp. 9-178.
L’Istituto italiano per gli studi storici dal 1997 al 2012, a cura di M. Herling, Napoli 2012 (in partic. G. Sasso, C. Violante, M. Gigante, G. Arnaldi, H. Helbling, P. Lanzalaco, O. Capitani, Per i cinquant’anni dell’Istituto. Riflessioni e testimonianze [1997], pp. 77-105; N. Irti, G. Sasso, O. Capitani, C. Cesa, M. Herling, G. Inglese, Per i sessant’anni dell’Istituto. Riflessioni e testimonianze [2007], pp. 109-42; G. Sasso, L’Istituto e la sua storia [2008], pp. 143-56; Convenzione con la Banca Commerciale Italiana [1945], pp. 247-54; Atto costitutivo [1946], pp. 255-60; Statuto [2011], pp. 261-71).
Istituto italiano per gli studi storici, Per l’inaugurazione dell’anno accademico: 65° dalla fondazione dell’Istituto, 60° dalla morte di Benedetto Croce; con il discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Napoli 2012.
M. Herling, Raffaele Mattioli e l’Istituto italiano per gli studi storici, «Paragone. Letteratura», 2013, 105-107, pp. 61-72.