L'Istituto Universitario di Architettura
L’Istituto Universitario di Architettura (I.U.A.V.)
È opinione diffusa che la Scuola di Architettura di Venezia abbia lontane origini, risalenti agli insegnamenti eccellentissimi di Palladio o di Sansovino. Suscita perciò un certo stupore il sapere che si tratti, in realtà, di un’istituzione nata negli anni Venti del Novecento. Più da lontano era però iniziata la discussione attorno all’opportunità di dare vita a Venezia a una Scuola Superiore di Architettura; l’operazione sarebbe stata possibile soltanto nel quadro della riforma Gentile e di un riordino generale dei profili professionali.
Alla sua fondazione concorrono, come vedremo, due distinte vicende: una di origine locale, l’altra di carattere nazionale che si lega alla lunga querelle attorno alla figura dell’architetto e alla sua formazione. Risale all’ultimo quarto dell’Ottocento l’ipotesi di delineare uno specifico iter didattico che sia da collocarsi in posizione mediana tra l’ingegnere civile e l’artista di matrice «Beaux-Arts». È di allora la proposta di fondare a Venezia un Istituto Superiore di Architettura: Camillo Boito(1) lo pensa come polo didattico di indirizzo medievalista, contrapposto a una scuola di orientamento classicista da stabilirsi a Roma.
Nel definire un iter didattico a scala locale è stato determinante il ruolo dell’ingegnere Giovanni Bordiga(2); a suo avviso, la formazione dell’architetto deve basarsi su solidi contenuti tecnico-scientifici, quegli stessi di cui egli, laureato in Ingegneria, è portatore. A lui, insegnante di Matematica, divenuto presidente dell’Accademia di Belle Arti nel 1910, si deve il primo, organico Progetto per l’istituzione in Venezia di una scuola superiore(3); nella prospettiva di annetterla al corso speciale di Architettura già esistente presso l’Accademia stessa, egli formula nel 1913 uno schema completo(4) secondo una sequenza di insegnamenti che coprono un ventaglio molto vasto di competenze (dalle fisiche e dalle matematiche nel corso inferiore, fino alle «composizioni d’insiemi» nel corso superiore). Ne dovrebbe emergere una figura di tecnico-artista, abile «nella composizione, direzione e costruzione di opere architettoniche, e nella conservazione e restauro dei monumenti d’arte antica»(5).
Nell’autunno del 1916 si aprono le iscrizioni e si attiva il primo corso, in attesa che venga approvato il disegno di legge per l’istituzione di Scuole Superiori di Architettura a Roma, Firenze e Venezia(6). Il riconoscimento giungerà nel 1919 e soltanto per Roma. Qui, nel 1919-1920, viene attivato un corso per architetti, anch’esso improntato a una sintesi di insegnamenti tecnico-scientifici e di materie artistiche.
Bordiga cerca di avvalersi di questo precedente, ma la mancanza di fondi e di risorse didattiche non permette di avviare il corso prima del 1923, quando la Scuola Superiore prende il via in forma semiufficiale. Sono 8 gli studenti che risultano allora iscritti: 3 di questi (Mario Guiotto, Angelo Scattolin e Virgilio Vallot) contribuiranno in seguito all’organizzazione didattica della Scuola.
La Scuola Superiore di Architettura risulterà pienamente riconosciuta nel gennaio del 1926(7), quando andrà a sostituire il corso speciale in Architettura istituito settant’anni prima presso l’Accademia di Belle Arti. La convenzione che dà vita alla Scuola Superiore prevede un onere di gestione ripartito tra lo Stato e gli enti locali; determinante risulterà il supporto finanziario della Cassa di Risparmio e di un gruppo di industriali locali, tra i quali spiccano i nomi della S.A.D.E. (Società Adriatica di Elettricità) e di Giuseppe Volpi(8).
L’anno accademico 1925-1926 può essere considerato a pieno titolo come il primo di carattere ufficiale. Ed è a questo punto che la vicenda locale e quella nazionale confluiscono in un unico disegno. Grazie alla lunga fase di incubazione che ne ha preceduto l’avvio, la Scuola di Architettura in Venezia risulta essere la seconda istituita e riconosciuta in Italia, dopo quella di Roma che ha fatto da battistrada al nuovo indirizzo didattico(9). Sulle rive della laguna, la nascita di una Scuola Superiore si connette anche a un certo clima di effervescenza culturale che vede, nei secondi anni Venti, sorgere nuove iniziative come le Biennali di architettura e il tentativo di fondare una sezione locale del M.I.A.R. (Movimento Italiano per l’Architettura Razionale).
Alcune disposizioni legislative, tra il 1930 e il 1933, tendono a inglobare il corpo insegnante, poi la stessa struttura didattica, nel sistema universitario nazionale(10). Se altrove le scuole per architetti assumono il nome di facoltà, a Venezia la Regia Scuola si trasforma in Regio Istituto Superiore di Architettura, all’inizio del 1934(11). A differenza di Torino e di Milano, avviate negli anni successivi, Venezia nasce da una costola dell’Accademia di Belle Arti e resta a essa strettamente legata; diversamente da altre facoltà, l’Istituto lagunare non potrà contare su sinergie didattiche all’interno di uno stesso Ateneo. Vi opera un ristretto gruppo di insegnanti, dei quali soltanto alcuni risultano stabilmente incaricati: vi è un unico ordinario, Guido Cirilli, che nel novembre 1929 succederà a Bordiga nella direzione dell’Istituto. Risalgono ad allora lo statuto e l’ordinamento didattico della Scuola(12).
In assenza di qualsiasi tipo di relazione con Ca’ Foscari, è l’Università di Padova a fornire personale didattico, specie nei settori tecnico-scientifici. A docenti patavini è affidata la quasi totalità degli insegnamenti in quest’area, anche di quelli fondamentali, come Analisi matematica e Scienza delle costruzioni. In altri settori, a fornire la gran parte del corpo insegnante sono soprattutto due componenti, entrambi di origine locale: il mondo dei professionisti e, ovviamente, l’Accademia stessa. Tra i primi figurano Costante Sullam (Decorazione), Giuseppe Torres (Restauro), Brenno Del Giudice (Disegno e rilievo). Tra i secondi, oltre a Cirilli (Composizione), troviamo Pietro Paoletti (Storia dell’arte) e Augusto Sezanne (Decorazione).
La Scuola si insedia in palazzo Giustiniani a S. Trovaso, a poche centinaia di metri dalla casa madre. Nella sua struttura di palazzo patrizio, i tavoli da disegno trovano posto nel «salone» centrale, mentre le aule sono situate nelle due «torreselle» laterali: al piano terreno è collocata la stanza dei modelli in gesso; vi sono poi gli uffici e la biblioteca ai piani superiori.
Al di là dei riconoscimenti ufficiali, la Scuola conduce un’esistenza grama. Nel 1930-1931(13) vi risultano iscritti 36 studenti(14), pochi di più di quei 29 che figuravano nel 1925-1926, al momento dell’avvio ufficiale. Soltanto nell’anno 1937-1938 si raggiunge la cifra di 100, per superare quota 400 alla fine della guerra. Nello stesso periodo il corpo docente passa da 17 (nel 1932-1933) a 25 unità (1940-1941). Nel 1933-1934 si iscrive la prima studentessa, Giorgia Scattolin, la quale farà poi parte del corpo docente: è il primo segnale di una presenza femminile che diverrà sempre più consistente all’interno dello I.U.A.V. e che, in tempi recenti, raggiungerà una percentuale quasi equivalente alla componente maschile(15).
Nel corso degli anni Trenta, l’Istituto sembra collocarsi in posizione appartata rispetto alla discussione sul futuro assetto della città e sulla configurazione di alcuni nodi essenziali: la stazione ferroviaria, piazzale Roma, i ponti sul Canal Grande. Tutto ciò a dispetto di una partecipazione personale a concorsi e a progetti pubblici da parte di alcuni architetti-docenti, come Angelo Scattolin e Duilio Torres.
Nel 1937 giunge il secondo ordinario, Carlo Minelli, esperto in costruzioni aeronautiche. La sua nomina costituisce il primo tentativo di consolidare, almeno parzialmente, la presenza di docenti in materie fisico-matematiche, per lo più provenienti da Padova; in forma discontinua e parziale, essi hanno ricoperto e continuano a ricoprire incarichi di insegnamento spesso fondamentali negli organigrammi didattici dell’Istituto. A Minelli e a Cirilli si aggiunge nei secondi anni Trenta Giuseppe Samonà. Con il suo arrivo si pongono le premesse per una nuova fase, nella quale il Regio Istituto Superiore di Architettura assumerà i connotati di un polo universitario, completamente separato dall’Accademia di Belle Arti.
Direttore per oltre quattordici anni dell’Istituto, fino al 1943, Cirilli lascerà il suo archivio all’Accademia quasi a sottolineare il legame ‘ombelicale’ tra la Scuola di Architettura e l’istituzione madre. Eppure è Cirilli a firmare nel 1937 il primo progetto per la trasformazione dell’ex convento dei Tolentini, dove l’Istituto si trasferirà nel 1963-1964, sancendo il distacco, anche fisico, dalla Scuola d’origine. In quegli stessi anni Cirilli disegna anche una nuova sede secondo due diverse varianti e due diverse localizzazioni: l’una lungo il rio Novo, a poca distanza dai Tolentini, l’altra lungo la riva dell’Impero, allora in corso di realizzazione. Si parla anche in quel periodo di un trasferimento al Fondaco dei Turchi(16).
Siciliano, laureato in Ingegneria, Samonà testimonia, anche nella sua biografia, la totale estraneità alla scuola veneziana di Belle Arti. Alla cattedra di Composizione architettonica è chiamato alla fine del 1936(17); per un certo tempo però dividerà il suo impegno didattico con Padova, dove insegna presso la facoltà di Ingegneria (in alcuni profili risulterà come proveniente a Venezia dall’Ateneo patavino)(18). Carlo Scarpa è un’altra figura di rilievo che appare fin dall’inizio della vicenda, ma la sua posizione accademica si stabilizza tardi. Incaricato di Decorazione nel 1936-1937, egli appartiene alla schiera dei docenti cresciuti in casa; nessuno degli altri ‘interni’ raggiungerà la fama da lui ottenuta su scala nazionale e internazionale.
Nell’ottobre del 1940(19), quasi a indicare una nuova fase che si preannuncia, la Scuola assume l’attuale denominazione di Istituto Universitario di Architettura di Venezia.
Giuseppe Samonà era stato nominato direttore una prima volta nel 1943. Rimosso l’anno dopo a favore di Minelli, egli viene poi reinsediato nella sua carica dal comando militare alleato, nel maggio del 1945. Comincia allora, sotto la direzione di Samonà, un capitolo completamente nuovo durante il quale l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia raggiungerà una posizione preminente in campo nazionale. Grazie anche all’attivismo e all’audacia del suo timoniere, lo I.U.A.V. saprà trasformare endemiche debolezze in punti di forza: l’isolamento, l’assenza di raccordi con altre facoltà gli consentono ora margini di autonomia finanziaria e un’agilità decisionale impensabili in altre Scuole di Architettura. Se nei Politecnici la contiguità con gli ingegneri ne ha tradizionalmente limitato la capacità di manovra, negli altri Atenei il peso di facoltà più potenti e agguerrite — come quelle di Medicina — ne ha ridotto la capacità di spesa.
A Venezia, sfruttando anche il richiamo della città, Samonà può impostare una politica di reclutamento a vasto raggio, ingaggiando alcuni tra i personaggi emergenti che ancora non hanno trovato un’adeguata collocazione nella macchinosa struttura dell’accademia italiana. Così Giancarlo De Carlo descriverà Samonà in un’inedita memoria del 1993: «Occhi di azzurro intenso, molto mobili, sensibili a ogni bagliore di luce e a ogni suono di parola, mutevoli in una gamma assai ampia: dall’allegria al rammarico, dal riso (tutto negli occhi appunto) alle lacrime»; possedeva quattro doti spiccate, «l’audacia, l’agilità, la perspicacia, l’energia […]. L’invenzione e la realizzazione della Scuola di Venezia coincidono con l’invenzione e la realizzazione di se stesso; e ciascuna delle due traiettorie è stata audace»(20).
In questo modo, sotto l’impulso da lui impresso nel dopoguerra, lo I.U.A.V. si avvia a diventare un ‘polo di eccellenza’, capace di attrarre alcune figure di spicco nazionale. Lo spartiacque può essere individuato nella lettera-questionario che Samonà invia nel luglio 1948 a Nikolaus Pevsner, allora direttore di «The Architectural Review»(21). Dopo avere lamentato una serie di carenze che riguardano le strutture e il corpo insegnante, il direttore indica obiettivi e soluzioni: «Considero scopo della mia scuola preparare degli abili e ardenti professionisti che abbiano precise cognizioni tecniche, vasta cultura e il massimo affinamento del gusto e spiccato senso critico»(22). A suo parere, per formare una figura tanto ricca di attributi, occorre da una parte restringere gli accessi, dall’altra garantire maggiore autonomia alla «sua» Scuola (si noti l’uso dell’aggettivo possessivo).
La politica di arruolamento inizia nei secondi anni Quaranta. Nel 1948, a ricoprire un incarico appannaggio fino ad allora di personalità locali, giunge nel nuovo I.U.A.V. un architetto romano dal brillante futuro: Bruno Zevi, docente di Storia dell’arte e degli stili architettonici. Poi nel 1950 è la volta di Saverio Muratori, anch’egli romano. A questi si aggiungono due eccellenti figure di progettisti, i milanesi Ignazio Gardella e Franco Albini (il suo iniziale incarico si trasformerà in cattedra cinque anni dopo, occupando il posto di Muratori trasferitosi a Roma nel frattempo). Riconosciuto come uno dei massimi esperti in quel settore, Luigi Piccinato terrà la cattedra di Urbanistica dal 1950 al 1963(23). Alle ‘chiamate a cattedra’, si affianca una politica mirata di incarichi: questi sono attribuiti «a personaggi che mai avrebbero trovato posto in una facoltà normale», come afferma De Carlo, lui stesso incaricato presso lo I.U.A.V. a partire dal 1956 (vi resterà fino al 1983, coprendo la cattedra dal 1970).
Tra il 1948 e il 1956 si configura una fase di promettente collaborazione tra l’Istituto e la città. Samonà coordina la realizzazione del Villaggio S. Marco, nell’ambito del Piano Fanfani per l’edilizia economica e popolare: la sua ambizione è quella di coinvolgere docenti e studenti nella progettazione di un quartiere chiamato a svolgere un ruolo decisivo nella configurazione della Venezia futura, ovvero il congiungimento di Mestre al bordo lagunare. Scattolin, Trincanato, Piccinato, Calabi (chiamato nel 1957 a ricoprire l’insegnamento di Elementi costruttivi) sono tra i docenti che partecipano all’iniziativa negli anni tra il 1953 e il 1959; prima di allora però sono gli studenti del corso di Samonà a presentare, alla Triennale di Milano, il primo schema planivolumetrico del nuovo quartiere. Samonà aspira a stabilire un legame di continuità tra l’analisi del patrimonio storico e i progetti per la nuova città: non si tratta di replicarne bifore o altri motivi stilistici, ma di comprendere l’orditura edilizia e di distillarne una serie di leggi.
Gli studi di Egle R. Trincanato su Venezia minore(24) offrono una base certa per definire tipi e forme aggregative, come quelle riprodotte in parte nelle corti del Villaggio S. Marco. Lo I.U.A.V. dovrebbe dunque rappresentare il motore di un’auspicabile sinergia tra architetti, in veste sia di studiosi, sia di progettisti, e amministrazioni locali, in veste di committenti. Queste sono le finalità dello Studio urbanistico sulla città di Venezia, formulato da Samonà e da altri docenti dell’Istituto nel 1954(25); di questo spirito è intrisa la prolusione all’anno accademico 1953-1954(26).
A consolidare un rapporto di collaborazione vi sono gli incarchi professionali affidati a figure eminenti dello I.U.A.V.: Gardella disegna casa Cicogna alle Zattere, Scarpa il negozio Olivetti a S. Marco, Samonà la sede I.N.A.I.L.(Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) a S. Simeone piccolo, ovvero i tre più significativi insediamenti di nuova architettura nella scena veneziana di allora.
Un altro episodio testimonia dei legami che si consolidano allora con la città e, nel contempo, con un contesto internazionale. Tra il 1953 e il 1958, presso la sua sede di S. Trovaso, lo I.U.A.V. ospita e organizza la scuola estiva del C.I.A.M. (Congrès Internationaux d’Architecture Moderne)(27): sotto la direzione di Albini, Gardella, Rogers e Samonà, gli studenti sono invitati a sviluppare un tema di progetto «inerente a un problema reale della città di Venezia»(28). È un importante riconoscimento ufficiale che lo I.U.A.V. contende vittoriosamente a Milano: la città lagunare e le forze economiche locali ne sembrano conscie al punto che dopo il 1955, quando la scuola non avrà luogo per mancanza di fondi, imprese e istituzioni provvederanno a finanziare generosamente l’edizione dell’estate successiva(29).
Nel clima di relazioni internazionali, lo I.U.A.V. si proporrà come intermediario tra la città e alcuni grandi architetti di fama internazionale. Frank Lloyd Wright nel 1952, Le Corbusier nel 1965 saranno invitati a redigere un progetto di cui lo I.U.A.V. è sponsor e mallevadore: la risistemazione di casa Masieri a collegio studentesco (o «Masieri Memorial») nel primo caso, il disegno del nuovo ospedale a S. Giobbe nel secondo. Entrambi sono destinati a un nulla di fatto, ma è da segnalare che un giovane assistente di Storia dell’arte, Giuseppe Mazzariol, vi abbia agito da tramite. Per quanto abortito sul nascere nel 1954(30), un secondo episodio testimonia del prestigio goduto dall’Istituto di Samonà su scala nazionale: l’attivazione a Lecce di una Scuola di aggiornamento in architettura, interamente finanziata dalle amministrazioni locali, ma diretta e gestita dai docenti dello I.U.A.V.
A Venezia nel 1956-1957, presso la Scuola d’Arte nei locali dell’ex convento ai Carmini, prende il via il corso in Disegno industriale, condotto da Franco Albini e Carlo Scarpa: diviso in tre settori di specializzazzione (legno, vetro e metalli), il corso è il primo del genere in Italia(31).
Una seconda generazione di insegnanti si affaccia, nel frattempo, sulla scena e delinea la futura fisionomia didattica dello I.U.A.V.: prima Carlo Aymonino, poi Aldo Rossi, Vittorio Gregotti e infine, negli anni Sessanta, Manfredo Tafuri. Provengono da Roma e da Milano, sono nati tutti (tranne Aymonino) negli anni Trenta e appartengono alla schiera dei giovani giudicati più promettenti su scala nazionale. A differenza dei loro predecessori sono indirizzati a Venezia non tanto dall’ostracismo delle loro facoltà di provenienza, quanto dalla fama di eccellenza che l’Istituto sta ormai acquisendo in Italia. A questi si aggiunge una leva di coetanei cresciuti all’interno dello I.U.A.V., tra cui Luciano Semerani, Francesco Tentori e Valeriano Pastor.
Nel corso dell’anno 1963-1964, la facoltà si sposta definitivamente nella nuova sede dei Tolentini, non lontano dal terminal automobilistico di piazzale Roma: il convento cinquecentesco è stato adibito alla nuova destinazione, secondo un accurato progetto di restauro stilato dal docente di Elementi costruttivi, Daniele Calabi(32). Rispetto ai 500 studenti di dieci anni prima, gli iscritti sono raddoppiati e nel 1964 hanno superato le 1.000 unità: la componente femminile ha raggiunto una percentuale consistente(33), mentre il numero dei laureati in un anno ha superato quota 70. La crescita netta è sancita dal trasferimento nella nuova sede, ben più grande della precedente, il «cupo palazzo di San Trovaso»(34). In questo nuovo contesto, nella primavera del 1964, ha luogo la prima «occupazione autogestita». Vi era stato, a dire il vero, un precedente che risaliva al 1959, ma non aveva avuto il peso, la partecipazione, la durata e la risonanza dell’occupazione organizzata ai Tolentini. A prima vista, le rivendicazioni appaiono vaghe e l’azione sembra, più che altro, replicare ciò che è avvenuto a Roma e Milano, sull’onda di una protesta contro gli «insegnanti reazionari»; a differenza di altre sedi, qui però non ci sono particolari rimostranze nei confronti del corpo docente.
In realtà, a partire dal 1955, un gruppo di studenti aveva avviato una discussione a largo raggio sui compiti dell’architetto, nell’idea che finalità di carattere collettivo dovessero sostituire il tradizionale legame con la committenza: questa figura di «architetto sociale» aveva preso corpo tra gli organismi rappresentativi, soprattutto nelle sue componenti di sinistra. Per dieci anni, tra il 1955 e il 1965, la rivista «Venezia Architettura»(35) ha registrato questo sforzo di elaborazione: vi si auspicava un rapporto più stretto con la città e con i suoi problemi, secondo una linea di collaborazione già indicata dalla gestione Samonà negli anni Quaranta e Cinquanta.
Nei secondi anni Sessanta, la dissoluzione degli organismi rappresentativi e la radicalizzazione dello scontro sembrano cancellare l’originalità di questa esperienza. Soprattutto all’esterno lo I.U.A.V. appare come un «polo rivoluzionario», ancora una volta collegato all’Ateneo padovano più che alla vicina Ca’ Foscari. Allora, da parte dei leaders del movimento, si parlava soprattutto di legami da ricercarsi «al di là del ponte», con Porto Marghera e con le battaglie operaie del Petrolchimico. Alla fine la vicenda del movimento studentesco si confonde con quella più generale così come si configura alle soglie degli anni Settanta. Volendo individuare tratti di originalità, dobbiamo riconoscere che in realtà, dietro parole d’ordine incendiarie, un filo rosso sembra collegare parte del nuovo scenario alle considerazioni svolte a suo tempo sulle finalità civili dell’architettura e sulla dimensione necessariamente urbana del progetto.
Attorno al problema di ripensare le metodologie del progetto, nasce nel 1967 il Gruppo architettura, che in parte raccoglie l’eredità della rivista studentesca, in parte richiama dall’esterno alcune personalità di spicco nel campo della Composizione architettonica: accanto a Carlo Aymonino, leader del Gruppo, troviamo tra gli altri Aldo Rossi e Guido Canella. Attorno alla figura di Manfredo Tafuri, in quello stesso controverso periodo, si coagula un consistente gruppo di storici dell’architettura, in parte provenienti da Roma, in parte cresciuti nella facoltà di Venezia. L’Istituto di Analisi critica e storica diventa il perno di una scuola che, nel rivendicare autonomia alla propria disciplina, si afferma come una delle più reputate in campo internazionale.
Dall’altro grande settore in espansione, l’urbanistica, emerge proprio allora un progetto pilota che punta, per la prima volta, a uno sdoppiamento dello I.U.A.V. Nel 1970 viene infatti attivato un corso di laurea di Urbanistica, presso la sede di Preganziol, nella previsione di realizzare una vera e propria facoltà. Nella sua istituzione ha giocato un ruolo decisivo la Provincia di Treviso che ha ceduto in uso la villa Franchetti-Albrizzi, quella stessa dove Ugo Foscolo recitava i suoi poemi amorosi alla contessina Teotochi-Albrizzi. Qui, lungo il Terraglio, tra i platani e gli alberi secolari del parco patrizio, si consuma il primo tentativo di decentramento territoriale. Promotore e coordinatore dell’iniziativa, Giovanni Astengo è una specie di cavaliere solitario che muove all’attacco degli ordini professionali e di quanti si oppongono all’idea di un titolo di «urbanista» separato da quello di architetto e da quello di ingegnere: si delinea così un conflitto, destinato a ripetersi, tra le proposte dello I.U.A.V. per nuovi indirizzi formativi e le posizioni di chi non ammette di ridimensionare la figura del «professionista tutto-fare». In assenza di un titolo legalmente riconosciuto, la scuola di Urbanistica dovrà compiere un’azione di ripiegamento territoriale: all’indomani della riforma universitaria del 1981, la sede del corso di laurea si sposterà dalla villa veneta al palazzo sul Canal Grande. Da quel momento Ca’ Tron a S. Stae ospiterà i dipartimenti urbanistici e lo stesso corso di laurea.
Nel 1971 Samonà lascia la direzione dello I.U.A.V. per diventare, l’anno successivo, senatore eletto nelle liste della Sinistra Indipendente. Nell’ultimo periodo della sua gestione, episodi come l’attivazione di una facoltà di Urbanistica hanno mostrato la distanza che separa lo I.U.A.V. da Venezia. Già nei tardi anni Sessanta, e ancor più negli anni Settanta, si consuma una lunga sequenza di incomprensioni alimentate da ‘fughe in avanti’, da progetti velleitari e da tentativi di riforma andati in fumo. In questo senso c’è da dire che la cosiddetta «stagione rivoluzionaria» non ha aiutato a rimuovere gli equivoci. Sembra quasi che sia venuto il momento di regolare i conti con una scuola deliberatamente costruita con risorse umane provenienti dai più svariati luoghi d’Italia. Una parte consistente dell’opinione pubblica locale e in particolare la componente ‘insulare’ tende allora a percepire la facoltà di Architettura come un ‘corpo estraneo’ nella vita della città. «Il Gazzettino» di quegli anni definisce lo I.U.A.V. come una fabbrica di esami a buon mercato, gestito da mestatori venuti per lo più da fuori. Sullo sfondo si staglia l’immagine cruda di un covo di rivoluzionari, impiantato nel cuore di una città tradizionalmente misurata, se non moderata.
Negli anni delle turbolenze studentesche, lo I.U.A.V. deve fare i conti con una mutazione della sua ragion d’essere legata alla crescita di tipo esponenziale: il numero di iscritti è passato da poco più di 1.000 nel 1965 a 2.307 nel 1970, per raggiungere quota 6.300 nel 1978. Il processo di normalizzazione didattica e organizzativa deve confrontarsi con questi dati impressionanti: vari direttori si succedono in quel periodo. Dopo Samonà, è la volta di Carlo Scarpa, poi dal 1973 subentra Carlo Aymonino e nel 1979 Valeriano Pastor.
Eppure, nonostante gli sconvolgimenti epocali, gli ordinamenti e i profili didattici restano immutati ancora per molto tempo; paradossalmente si ribadisce la formazione di un’unica figura di architetto libero professionista in grado di cimentarsi con tutti i problemi e con tutte le scale di progettazione («dal cucchiaio alla città», recitava uno slogan degli anni Venti). La questione riguarda tutte le facoltà di Architettura italiane che vedono moltiplicarsi i propri iscritti fino al punto di superare il numero di tutti quelli presenti nel resto dell’Unione Europea. Il problema dell’ampliamento quantitativo trova però a Venezia una risposta originale che muterà, nel corso dell’ultimo ventennio, i rapporti con il contesto.
La politica immobiliare innanzitutto, la quale differenzia nettamente la vicenda dello I.U.A.V. da quella di Ca’ Foscari e delle altre facoltà di Architettura italiane, costrette a fare i conti con strutture e spazi spesso inadeguati. La stessa agilità finanziaria e decisionale, impiegata da Samonà nella politica di reclutamento, sembra ora indirizzarsi verso una strategia di espansione delle sedi. È merito degli ultimi rettori quello di avere avviato e alimentato un flusso di finanziamenti che aveva origine nella legge speciale per la salvaguardia di Venezia: nella sua seconda versione la legge ha permesso di acquisire e di restaurare un certo numero di edifici, a partire dall’ex Cotonificio Veneziano a S. Marta. Destinato a diventare il maggiore contenitore didattico dello I.U.A.V., il grande complesso di mattoni a vista viene acquistato nel 1979, sotto il rettorato di Valeriano Pastor: a molti sembrò una follia, date le dimensioni e l’impegno finanziario che si intravedevano nella prospettiva di riadattarlo. L’incarico progettuale è affidato a Gino Valle, dopo un concorso interno tra i docenti dello I.U.A.V.; è il primo di una serie di concorsi che riguarderanno altre sedi: l’ex Macello a Mestre, destinato a divenire «città universitaria» in condominio con Ca’ Foscari, e infine gli ex Magazzini frigoriferi al porto, concepiti come futura sede di auditorium e biblioteca. Il relativo concorso, bandito nel 1997, è stato vinto dall’architetto catalano Enric Miralles.
Già dagli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, alcuni dipartimenti avevano trovato posto in palazzi separati: Storia dell’architettura a Ca’ Badoer presso i Frari, Urbanistica a Ca’ Tron presso S. Stae. La corte quadrata dei Tolentini, che per circa quindici anni ha contenuto tutta la facoltà, si avvia a diventare il centro di un sistema articolato di sedi: esso assumerà una forma quasi definitiva con la realizzazione del nuovo complesso mestrino di cui abbiamo detto e inoltre con il ripristino di altri due complessi situati nella Venezia insulare: l’ex convento delle Terese a S. Marta (acquisito già nel dopoguerra) e l’ex Ufficio di igiene presso i Tolentini. Alla fine la costellazione di sedi, per quanto discontinua e legata alle opportunità di acquisizione, assumerà connotati topografici riconoscibili: incentrato sulla sede dei Tolentini (nel quale resteranno il rettorato e la biblioteca centrale), il réseau si sviluppa tra i Frari e le aree marginali situate tra il porto e il Canal Grande, con un significativo prolungamento in direzione di Mestre.
A spingere lo I.U.A.V. verso un’ambiziosa strategia di espansione fu anche la legge di riforma del 1981, la quale riorganizzava l’università in dipartimenti, per altro già da tempo attivati a Venezia; contemporaneamente, istituendo gli atenei come aggregati di più facolta, la legge impose all’Istituto di Architettura una riflessione sul proprio futuro di ateneo «monofacoltà». La prospettiva di essere assorbito da Ca’ Foscari si faceva reale e rischiava di annullare quell’autonomia su cui, a partire da Samonà, erano andate costruendosi le fortune della Scuola veneziana di Architettura. La reputazione dell’Istituto nel frattempo cresce, soprattutto fuori da Venezia: nel 1985 la rivista inglese «Architectural Design» dedica un numero monografico a The School of Venice(36), indicandola come una delle migliori facoltà di Architettura in campo internazionale; nel 1989 un’inchiesta del quotidiano francese «Libération» gli consegna la palma di migliore scuola europea(37).
In un clima di ritrovata euforia, durante gli ultimi due rettorati (Ceccarelli dal 1982, Folin dal 1991) lo I.U.A.V. cercherà di moltiplicare i corsi di laurea e proverà, senza riuscirci, ad attivare nuove facoltà. Da un lato c’è la scuola di Urbanistica, ritornata nel frattempo a Venezia e ridimensionata al rango di corso di laurea; dall’altro c’è Storia e conservazione dei beni architettonici, nata nel 1991, quasi in contemporanea con l’analogo corso di laurea avviato presso Ca’ Foscari. Il corso di laurea, l’unico in Italia insieme a Reggio Calabria, dovrebbe formare il personale destinato alle Sovrintendenze ai monumenti: la sua attivazione utilizza il capitale di prestigio che Manfredo Tafuri ha saputo creare attorno a un gruppo di storici dell’architettura, a partire dai tardi anni Sessanta. L’attivazione di un corso in Storia e conservazione non è che il prodotto finale che fa seguito a una serie di ipotesi: tra queste l’idea di una «struttura trasversale» che coinvolgesse i docenti di più Atenei (nell’ordine Padova, Ca’ Foscari e Verona).
Naufraga invece la prospettiva di istituire una scuola politecnica condivisa con gli ingegneri padovani: a metà degli anni Ottanta, l’ipotesi arriva a configurarsi in un V.I.T. (Venice Institute of Technology) con sede a Marghera e con un indirizzo legato soprattutto alle opere di salvaguardia idraulica. Alla ricerca di nuove articolazioni che ne rompano la struttura di ateneo «monofacoltà», lo I.U.A.V. farà decollare nuovi corsi a partire dalla metà degli anni Novanta.
Grazie al contributo finanziario degli enti locali, dell’Unione Europea, delle Camere di commercio nascono «lauree brevi» che moltiplicano la presenza dell’Istituto nel territorio circostante: Edilizia a S. Donà e a Portogruaro, Disegno industriale a Treviso, oltre a Sistemi informativi territoriali a Venezia. A differenza di altre scuole, la crescita di iscritti sembra inarrestabile: nel 1990 si oltrepassa quota 10.000 e nel 1993, prima dell’istituzione del numero chiuso, si raggiunge la cifra record di 12.112. L’impressionante aumento quantitativo di una facoltà che ha decuplicato il numero di studenti nell’arco di venti anni sembra avere trovato uno sbocco, per quanto parziale, in un’articolazione didattica e territoriale molto più complessa.
Alla fine del 2000, con la riforma degli ordinamenti universitari, lo I.U.A.V. ha completamente ridefinito il suo assetto articolandosi in tre facoltà: Architettura, Pianificazione territoriale, Design e linguaggi delle arti. Ora l’Ateneo non coincide più con una sola facoltà e scompare così un’anomalia che si è perpetuata negli oltre settant’anni di vita.
Il fenomeno I.U.A.V. sembra essersi ricollocato, negli ultimi quindici anni, in un quadro di ritrovata collaborazione con Venezia. Sarebbe fin troppo facile vederne un clamoroso riscontro nell’elezione a sindaco di un docente I.U.A.V., Massimo Cacciari: «Il Gazzettino» si ostinava a nominarlo freudianamente come «docente di Ca’ Foscari», a riprova della difficoltà di una parte consistente dell’opinione pubblica a riconoscere un ruolo paritario al secondo Ateneo veneziano.
1. Cf. Lorenzo De Stefani, Le scuole di architettura in Italia. Il dibattito dal 1860 al 1933, Milano 1992, pp. 88 ss.
2. Novarese, diplomato alla Scuola di Applicazioni per Ingegneri di Torino, Bordiga aveva ottenuto la libera docenza nel 1890, svolgendo incarichi didattici sia presso l’Università di Ca’ Foscari, sia presso l’Ateneo di Padova. Consigliere comunale, poi assessore nella giunta di Riccardo Selvatico (1890-1895), Bordiga partecipa attivamente alla vita pubblica della sua città d’adozione; su questi aspetti, cf. Mario Isnenghi, La cultura, in Venezia, a cura di Emilio Franzina, Roma-Bari 1986, pp. 381-482.
3. È la denominazione esatta attribuita allo schema didattico. Una copia manoscritta, datata 15 settembre 1915, è in Venezia, Archivio I.U.A.V., sc. 34, b. 4.
4. Presentata con il titolo Contributi, la proposta configura il rafforzamento del corso speciale di Architettura con l’immissione di insegnamenti di natura tecnico-scientifica, ibid.
5. Progetto per l’istituzione in Venezia di una scuola superiore, ibid., p. 2.
6. Presso il già citato fondo, in Venezia, Archivio I.U.A.V., sc. 34, b. 4, si trovano una copia dello statuto, un elenco di iscritti e una distinta degli insegnamenti attivati.
7. Cf. il r.d. nr. 15, del 7 gennaio 1926. La convenzione tra Stato, Comune, Provincia e Accademia di Belle Arti è sottoscritta il 25 novembre 1926 e tradotta nel r.d. nr. 2358, del 2 dicembre 1926; cf. «Gazzetta Ufficiale», nr. 22, 28 gennaio 1927.
8. Essi sottoscrivono una specie di dote iniziale di 200.000 lire, indispensabile per l’avvio; oltre alla Cassa di Risparmio e alla S.A.D.E. vi contribuiscono tra gli altri la C.I.G.A. (Compagnia Italiana Grandi Alberghi), il Cotonificio Veneziano e lo stesso Bordiga con un’offerta di 20.000 lire. Cf. il già citato r.d. nr. 2358.
9. Cf. Paolo Nicoloso, Gli architetti di Mussolini, Milano 1999, pp. 99 ss.
10. Cf. il r.d. nr. 107, del 7 febbraio 1930, grazie al quale i docenti sono inquadrati nel sistema universitario.
11. Cf. il r.d. nr. 3123, del 31 dicembre 1933. La definitiva trasformazione in struttura universitaria è legata alla riforma De Vecchi (r.d. del 20 giugno 1935).
12. In forma di bozza a stampa sono entrambi in Venezia, Archivio I.U.A.V., sc. 24, b. 1.
13. Per i dati relativi alla fase iniziale, citati qui e di seguito, cf. Statistica degli alunni dell’ultimo triennio, 1931, dattiloscritto inedito, ivi, sc. 1, b. 2.
14. Rappresenta l’8% sul totale di 445 studenti complessivamente iscritti nelle 5 facoltà italiane (Roma, Firenze, Torino e Napoli, oltre a Venezia).
15. Nell’a.a. 1999-2000 la componente femminile ha raggiunto la percentuale del 45%, con significativi balzi anche negli ultimi decenni; ancora nel 1985 le studentesse rappresentavano il 30% e nel 1965 il 15%.
16. Cf. Richieste e relazioni sull’assetto del nuovo edificio del Regio Istituto di Architettura, 1937; Trasferimento da Palazzo Giustinian al Fontego dei Turchi e relativa relazione, dattiloscritti entrambi inediti, in Venezia, Archivio I.U.A.V., sc. 29, b. 1. I progetti per la nuova sede secondo le due varianti sono ivi, Archivio Accademia di Belle Arti, Fondo Cirilli. Le tavole non catalogate recano la dicitura «Nuova sede del Regio Istituto di Architettura di Venezia» e «Nuova sede del Regio Istituto di Architettura da costruirsi lungo la Riviera di Venezia».
17. Samonà era risultato secondo ‘ternato’ nel concorso per la cattedra di Disegno architettonico e rilievo architettonico, bandito a Roma nel 1936; sarà ‘chiamato’ dal Regio Istituto di Architettura di Venezia nell’autunno dello stesso anno. Cf. P. Nicoloso, Gli architetti di Mussolini, pp. 175 ss. Cf. anche Francesco Infussi, Giuseppe Samonà. Una cultura per conciliare tradizione e innovazione, in Urbanisti italiani. Piccinato, Marconi, Samonà, Quaroni, De Carlo, Astengo, Campos Venuti, a cura di Paola Di Biagi-Patrizia Gabellini, Roma-Bari 1992, pp. 153 ss., 168-169 e n. 32 (pp. 153-254).
18. Cf., per un panorama generale, Giuseppe Samonà, 1923-1973. Cinquant’anni di architetture, catalogo della mostra, Roma 1975; v. in partic. i saggi di Giorgio Ciucci e di Francesco Dal Co.
19. In seguito a una disposizione ministeriale del 2 ottobre 1940: cf. circolare nr. 3345, in Venezia, Archivio I.U.A.V., sc. 34, b. 4, la quale completa la trasformazione dell’Istituto in struttura universitaria.
20. Giancarlo De Carlo, Racconto non agiografico su Giuseppe Samonà (1993), dattiloscritto inedito, pp. 1 ss.
21. Cf. Risposte al questionario (questionnaire), dattiloscritto inedito, s.d. [ma agosto 1948?], in Venezia, Archivio I.U.A.V., sc. 1, b. 2.
22. Ibid.
23. Cf. Paolo Nicoloso, Le vicende del concorso per la cattedra di urbanistica all’Istituto universitario di architettura di Venezia, 1947-49, in Tra guerra e pace. Società, cultura e architettura nel secondo dopoguerra, a cura di Patrizia Bonifazio-Sergio Pace-Michela Rosso-Paolo Scrivano, Milano 1998, pp. 59 ss. (pp. 59-66). Cf. anche Chiara Merlini, Luigi Piccinato. Una professione per la città e la società, in Urbanisti italiani. Piccinato, Marconi, Samonà, Quaroni, De Carlo, Astengo, Campos Venuti, a cura di Paola Di Biagi-Patrizia Gabellini, Roma-Bari 1992, pp. 23 ss. (pp. 23-95).
24. È il titolo del volume pubblicato a Milano nel 1948, con un saggio introduttivo, Sapor di Venezia, di Agnoldomenico Pica. Sulla figura e l’opera di Egle R. Trincanato, cf. la recente raccolta di saggi Su Venezia e la Laguna veneta, a cura di Francesco Tentori, Roma 1997.
25. Lo studio è conservato in Venezia, Archivio I.U.A.V., sc. 15, b. 5.
26. Giuseppe Samonà, Necessità di uno studio di Venezia per la pianificazione urbanistica delle sue esigenze moderne, prolusione all’a.a. 1953-1954, novembre 1953, riportata in Id., L’unità architettura urbanistica. Scritti e progetti 1929-1973, a cura di Pasquale Lovero, Milano 1975, pp. 240-249.
27. Dalla brochure illustrativa Scuola estiva CIAM 1953, in Venezia, Archivio I.U.A.V., sc. 4, b. 3. Si terranno cinque edizioni, nel 1953, 1954, 1956, 1957 e 1958; cesseranno per ragioni esterne, ovvero per la fine dei C.I.A.M. Dalle corrispondenze con il Ministero si comprende che Samonà vorrebbe farne il primo nucleo di un’istituenda scuola di specializzazione, tagliata sui problemi di Venezia. Cf. lettera di Giuseppe Samonà alla Direzione generale del Ministero della Pubblica istruzione, Divisione II, dell’11 luglio 1956, ibid.
28. In Scuola estiva CIAM 1953.
29. In parte vi contribuiscono gli stessi soggetti che hanno permesso la nascita dell’Istituto nel 1926. In ordine decrescente, i contributi provengono dal Comune di Venezia, dalla Olivetti, dalla S.A.D.E., dal Banco Ambrosiano, dalla Federcasse e dalle Assicurazioni Generali, per un totale di 1.070.000 lire. Cf. lettera di Giuseppe Samonà a Mario Mainardis, direttore S.A.D.E., del 12 marzo 1956, in Venezia, Archivio I.U.A.V., sc. 4, b. 3.
30. In assenza di riconoscimenti ministeriali, Samonà sarà diffidato dall’attivare la Scuola. Cf. lettera di Giuseppe Samonà al presidente dell’amministrazione provinciale di Lecce, del 22 gennaio 1954, ivi, sc. 5, b. 2. Sull’organizzazione della Scuola, che avrebbe dovuto essere diretta da Bruno Zevi, cf. Scuola di aggiornamento in architettura, bando d’iscrizione, ibid.
31. Nasce in collaborazione con l’Istituto Veneto del Lavoro. La dizione esatta dell’iniziativa, che durerà fino alla partenza di Albini, è «Corso sperimentale di progettazione per disegnatori industriali e per artigiani».
32. Il progetto è descritto e documentato nel volume Daniele Calabi, architetture e progetti 1932-1964, a cura di Guido Zucconi, Venezia 1992, cf., in partic., pp. 145-146.
33. Si tratta di 180 studentesse su un totale di 1.086 iscritti, nell’a.a. 1964-1965. Questi ed altri dati provengono dall’Area servizi alla didattica. Ufficio rilevazioni e banche dati, I.U.A.V., Venezia.
34. La definizione è di Bruno Zevi, che allude alla vecchia sede di palazzo Giustiniani. Cf. Bruno Zevi, Zevi su Zevi, Venezia 1993, p. 65. Cf. in generale la sua testimonianza sul periodo 1948-1963 da lui trascorso presso lo I.U.A.V.
35. La rivista è l’organo rappresentativo degli studenti della facoltà di Architettura di Venezia. A dirigerla troviamo alcuni dei futuri docenti, come Antonio Foscari, Raffaele Panella e Gianni Fabbri.
36. Il numero («Architectural Design», 55, 1985) è curato da Luciano Semerani e riporta soprattutto le testimonianze dei docenti dello I.U.A.V.
37. In Guide de 100 Universités, «Libération», 1° dicembre 1989.