L'istruzione e i nuovi centri di cultura
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
A fare da contraltare alla crisi delle scuole monastiche, inserite in un ambiente nel quale l’insegnamento viene ormai visto in più occasioni come un turbamento rispetto alla vita monastica, si assiste all’ascesa delle scholae cittadine, luoghi nei quali la formazione ideologica rispecchia il contrasto fra il potere spirituale e quello temporale. In questo contesto nasceranno nel XII secolo le prime università, formatisi agli esordi come libere associazioni di maestri e studenti.
Nell’epoca immediatamente successiva all’età carolingia l’assetto delle strutture educative non subisce sostanziali mutazioni. Il problema dell’istruzione sembra attraversare una fase recessiva nella lunga crisi politica e istituzionale che sconvolge l’Europa nel X secolo: neppure la restaurazione imperiale avviatasi con l’età ottoniana introduce cambiamenti nell’organizzazione delle scuole. Sarà invece il papato, negli anni centrali dell’XI secolo, a riprendere l’iniziativa potenziando gli strumenti formativi idonei a supportare, sul piano culturale, la riforma dei costumi del clero secolare. È nel quadro della riflessione ecclesiologica affermatasi con forza in questo periodo che muta anche la visione che il monachesimo – attore principale dei fermenti riformatori affermati dall’età gregoriana – ha del proprio ruolo pedagogico nella promozione della vita spirituale. Si viene così accentuando la cesura che lo statuto religioso contemplativo si propone rispetto a quello attivo e pastorale del clero chiamato ad amministrare, nel secolo, la cura delle anime.
In questa mutazione prospettica cambia anche l’atteggiamento verso l’insegnamento che comincia a essere considerato occasione di turbamento rispetto alla ratio profonda della vita “separata” claustrale. Riprendendo l’autorità di san Gerolamo, per il quale esclusivo dovere del monaco è la preghiera, negli ambienti regolari più coinvolti nella renovatio ecclesiologica dell’XI secolo si avvia un progressivo depotenziamento della scolarizzazione il cui esito primario è l’obliterazione dalle strutture claustrali di ogni “corpo estraneo” di tipo educativo. Se la soddisfazione espressa da Pier Damiani per l’assenza di scuole a Montecassino si spiega entro la spoglia severità del suo ideale ascetico, anche in Bernardo di Chiaravalle si coglie il fastidio della contaminazione con i “non monaci” che la prassi scolastica impone. Lo statuto generale cistercense (1134) vieta nelle case l’ammissione a scopo educativo di fanciulli che non siano già monaci o novizi, imponendo nei monasteri dell’ordine la soppressione delle scuole esistenti. Allievi della sola schola Christi, come vuole Aelredo di Rievaulx, i monaci tornano a esaltare il valore mistico dell’esegesi scritturale al quale è subordinata la conoscenza della cultura profana. Attiene a questa fase una riscoperta della letteratura patristica che spesso confligge con il canone di quella “scolastica”: l’insieme dei testi e delle auctoritates in uso, appunto, nelle scuole urbane dove il clero secolare perpetua l’impostazione educativa tradizionale. È quest’ultima che nella sua immobilità conservativa non recepisce l’aggiornamento spirituale e “fondamentalista” della riflessione monastica, aprendo tra la cultura dei regolari e quella dei secolari uno iato destinato ad aggravarsi nel tempo e che esprimerà tutta la sua inconciliabilità nel conflitto personale tra Bernardo di Chiaravalle e Abelardo.
La simplicitas dei monaci (e dopo di loro quella delle religiones novae del XIII secolo) e la loro ostentata humilitas antisapienziale, fondata sull’esclusiva santità della parola scritturale, esprime dunque il rifiuto di quella parificazione tra conoscenza sacra e cultura profana che i magistri della retorica scolastica continuano a favorire “contaminando” la teologia con arti liberali, ora sollecitate, sul fronte degli studi filosofici, dalla riscoperta, mediata dalla cultura araba, dei testi di Aristotele.
Nelle grandi e animate città vescovili le scuole dei canonici regolari – il cui ruolo è stato esaltato nel contesto della riforma gregoriana dell’XI secolo –, hanno ormai compiutamente catalizzato la domanda educativa del clero, affermandosi in maniera competitiva rispetto alle antagoniste strutture scolastiche dei monasteri. L’organizzazione degli studi si è venuta coordinando e congregazioni specializzate – come a Parigi quella di Sainte-Geneviève dei Vittorini – vantano maestri illustri quali Guglielmo di Champeaux, Ugo di San Vittore, o, più tardi, Stefano di Tournai. Alcune scuole cittadine hanno perfezionato la loro immagine culturale ospitando affollate disputationes e concitate assemblee di studenti e magistri impegnati a dibattere questioni filosofiche, specializzandosi, infine, in saperi scientifici particolari: come a Salerno, la cui schola medica, caratterizzata da un’antica e accreditata pratica sperimentale in campo terapeutico, è rinomata fino dall’alto Medioevo. Negli anni Settanta dell’XI secolo essa acquisisce ulteriore fama per la presenza del medico cartaginese Costantino Africano (traduttore in latino dei classici della medicina greca ma anche delle moderne acquisizioni scientifiche arabe) che vi esercita la sua arte prima di farsi monaco benedettino a Montecassino, al tempo di Desiderio.
Le scuole ecclesiastiche urbane diventano centri di formazione ideologica e strutture di aggregazione politica nelle quali si precisa quel contrasto tra sacerdotium e regnum che ormai da tempo dilania il rapporto tra le istituzioni universali. Lo si è visto bene in età gregoriana, quando dai quei contesti sono uscite molte della argomentazioni polemiche che hanno animato il conflitto tra papato e impero. È anche questo carattere che spinge Federico Barbarossa a inaugurare una nuova politica scolastica cui affidare la realizzazione dell’imponente progetto di restaurazione giuridica del potere regio che gli sta a cuore. Sorgono in questo clima, come a Bologna alla metà del XII secolo, le prime associazioni (universitates) di studenti e magistri che la protezione imperiale svincola dai condizionamenti dei poteri locali e che attraggono, in ragione della fama dei docenti, una folta e disparata popolazione di discenti.
La nascita dell’università partecipa, come fenomeno sociale, a un più ampio processo di aggregazione che caratterizza molti aspetti del costume civile del XII secolo, configurandosi essenzialmente, ai suoi esordi, come libera associazione di maestri e di studenti. I due esempi più significativi di questo secolo, Bologna (universitas scholarum) e Parigi (universitas magistrorum), evidenziano, nei loro differenti progetti istituzionali, la pluralità delle scelte organizzative e dei modelli culturali adottati dalle nuove aggregazioni educative che inevitabilmente si rifanno allo specifico pregresso del sistema scolastico locale.
Sempre a Parigi, ad esempio, l’università si sviluppa dalla schola presente nella cattedrale di Notre-Dame e forse si origina proprio da un conflitto interno con il suo cancelliere, cui spetta il conferimento, con la licentia docendi, della funzione magistrale. Spesso è difficile identificare il momento esatto nel quale si matura questa nuova dinamica organizzativa che lentamente riuscirà ad affrancare l’organizzazione degli studi dal monopolio della struttura ecclesiastica ma che in ogni caso al sedimento di quel background inevitabilmente si riferisce. I nuovi organismi universitari, nella differenziata casistica delle loro origini e sviluppi, normeranno nel tempo, con specifici statuti, le proprie forme di autogoverno ottenendo per esse conferme dalla autorità pubblica e speciali concessioni che sanzioneranno la loro legittimità istituzionale oltre al valore legale dei titoli di studio. Nella seconda metà del XII secolo l’aggregazione delle universitates studiorum si moltiplica, protetta e incoraggiata dalle monarchie nazionali europee: nel 1176 Enrico II Plantageneto richiama da Parigi un gruppo di studenti e docenti per dar vita, ad Oxford, alla prima università inglese. Negli anni Ottanta papa Alessandro III emana due decreti che consentono la formazione del primo nucleo dello studio parigino e di lì a non molto, ai primi del Duecento, il fenomeno si estende anche alla Spagna, con la creazione di uno studium a Salamanca. Agli “studi particolari” autorizzati e certificati dalle scholae tradizionali e dai loro referenti istituzionali subentreranno, per lo più nel corso dei due secoli successivi, gli studia generalia riconosciuti a livello nazionale e internazionale nei quali si consolida una richiesta formativa ormai sollecitata anche dal mondo laico dove il rifiorire della vita cittadina esige competenze giuridiche e saperi professionali.