L'Italia preromana. I siti dell'area medio-adriatica: un panorama esemplificativo
di Franca Parise Badoni
Antica città (gr. Αὐφιδήνα; lat. Aufidena) situata nella valle del Sangro, nel territorio dell’odierna provincia de L’Aquila.
Il sito è stato oggetto di vaste e sistematiche ricerche condotte tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, che hanno riguardato in particolare la necropoli in località Campo Consolino, a est dell’attuale paese. Nel 1876, durante la costruzione della strada comunale tra A. e Scontrone, vennero infatti in luce numerose tombe. Le ricerche, effettuate in modo non continuativo, furono dirette da A. De Nino, mentre a L. Mariani si deve la pubblicazione completa della necropoli. Tra il 1974 e il 1979 sono state scavate altre 132 tombe distinte in tre gruppi. Il primo è costituito da 55 sepolture con orientamento variabile da nord-est a sud-ovest. Tre sepolture centrali con ripostiglio e altre tombe dai corredi più rappresentativi costituiscono il nucleo intorno al quale si raccolgono le restanti sepolture, disposte ai margini su più file parallele in una sorta di circolo irregolare. Le deposizioni femminili presentano collane d’ambra, oggetti di ornamento personale, fibule con arco a nastro; quelle maschili cinturoni di bronzo e fibule con arco di verga. Nessuna differenza rilevante è invece osservabile nei tipi di vasi, in buona parte d’importazione, presenti nelle tombe di adulto dei due sessi. Tra i recipienti sono state anche rinvenute due bacinelle di bronzo. Un secondo e un terzo gruppo di tombe, composti rispettivamente da 32 e da 17 sepolture, sono stati individuati a circa 20 m di distanza.
La presenza di armi, concentrate in tre sole sepolture con ripostiglio e in posizione centrale, caratterizza e distingue il secondo gruppo, così come la preponderanza di deposizioni maschili rispetto a quelle femminili può essere indice di condizioni e di funzioni sociali diverse. Un ulteriore elemento di differenziazione è rappresentato dalle placche, dai ganci di cintura e dai bracciali di bronzo delle tombe maschili; inoltre qui prevale la ceramica d’impasto locale. Anche nel terzo gruppo occupano una posizione centrale le deposizioni maschili e quelle più rappresentative, con ripostiglio e armi o solo con ripostiglio, tra le quali anche una femminile. Il secondo e il terzo gruppo rivelano numerosi legami, tanto da potere essere considerati come un insieme unitario costituito da due cerchi incompleti compenetrantisi l’uno nell’altro. Lo studio dei materiali evidenzia tre fasi senza nette cesure, comprese fra la fine del VI e la fine del V sec. a.C. È possibile indicare come limiti per la prima fase la fine del VI e il primo decennio del V sec. a.C., mentre alla metà del V sec. a.C. si data la seconda e alla fine del medesimo secolo la terza. Sopra le lastre di copertura delle tombe è stata rilevata la presenza di un tumulo di protezione; l’area al centro del secondo e del terzo gruppo era probabilmente lasciata libera per poter svolgere le operazioni connesse con il rito funerario.
Il rapporto tra abitato e necropoli è stato chiarito dalle indagini condotte sull’insediamento della vicina valletta del Curino. Cinto da mura e in posizione più elevata rispetto alla necropoli, quest’ultimo conobbe un particolare sviluppo edilizio in corrispondenza con l’ultima e più povera fase della necropoli stessa. A L. Mariani si deve lo scavo degli edifici pubblici e religiosi, nel settore centrale dell’abitato. Un’ampia struttura rettangolare (27 x 9 m) ha la parte inferiore di pietra, l’elevato con nervature lignee e pareti di argilla, il tetto con tegole, mentre le colonne lignee sono su basi appena sbozzate e incassate nel suolo. Due grandi cisterne a tholos, un podio frontale semicircolare e affacciato su un’area libera e la presenza di un sacello indicano che la costruzione, definita “basilica” da Mariani, aveva funzione pubblica. L’edificio fu verosimilmente distrutto alla fine del III sec a.C.
Di fase successiva è il tempietto a esso adiacente, entro un temenos quadrato. La cella era chiusa da muri di pietra, mentre poco chiara è la situazione del pronao. Il pavimento della cella era sigillato da un battuto di calce, sotto il quale sono state rinvenute numerose monete che, per la presenza di denari d’argento, datano la costruzione dell’edificio non anteriormente all’ultimo decennio del III sec. a.C. La tecnica costruttiva è più evoluta: colonne di pietra prendono il posto di quelle lignee, mentre sopravvivono elementi tradizionali come le basi sbozzate e interrate. Lo stilobate è formato da blocchi di pietra perfettamente regolari e combacianti. Tra il 1985 e il 1989 sono riprese le indagini sul Curino, in particolare presso le porte nord ed est. Presso la porta nord sono stati localizzati resti di un settore dell’abitato e quelli relativi al crollo di un forno, originariamente con cupola di mattoni; entrambi si trovano sotto uno strato di bruciato ricco di pietrisco e di ceramica a vernice nera. Lo strato ha restituito due semiassi anonimi del tipo Saturno- Prora databili alla fine del III sec. a.C., che avvalorano l’ipotesi che la distruzione sia da porre in relazione con la guerra annibalica. La seconda fase dell’abitato del Curino si estende, senza ulteriori interventi edilizi, fino a epoca imperiale. Il luogo conobbe una decadenza costante successivamente alla creazione del municipio di A. nel sito della odierna Castel di Sangro.
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di Alessandra Caravale
Centro pretuzio nel quale è stata individuata una necropoli, che ha rivelato a oggi oltre 100 tombe, utilizzata in un ampio periodo diviso in tre fasi principali.
Alla fase più antica, databile tra l’XI e l’VIII sec. a.C., sono attribuibili pochi contesti funerari e alcuni rinvenimenti sporadici. Durante la seconda fase, compresa tra VII e V sec. a.C., la necropoli conobbe il momento di massimo sviluppo con tombe a inumazione a fossa rettangolare, generalmente orientate in senso est-ovest. Gruppi di fosse si trovano racchiusi da circoli di pietre, in alcuni casi doppi e concentrici. Si tratta, verosimilmente, di basi di tumuli di terra, in cui erano riunite deposizioni appartenenti allo stesso nucleo familiare. Sono note anche sepolture singole all’interno di uno stesso tumulo relative a individui morti in giovane età. I corredi sono costituiti generalmente da un grande dolio di impasto rosso, da vasellame di terracotta e di bronzo, da armi e ornamenti. In particolare, la ceramica comprende vasellame a impasto buccheroide prodotto con forme sia originali sia simili alla produzione capenate-falisca, mentre tra il vasellame bronzeo sono presenti molte forme importate dall’Etruria. L’ultima fase della necropoli, compresa tra IV e II sec. a.C., si caratterizza per sepolture a fossa terragna, disposte ai lati di una strada acciottolata. I corredi, più poveri rispetto a quelli della fase precedente, comprendono vasellame di argilla figulina e manufatti molto spesso legati alla cura personale o alla sfera atletica. Non sono noti i resti dell’abitato a cui la necropoli era legata, forse da localizzare nei pressi del moderno centro di Campli. Un tempio romano doveva trovarsi presso il margine nord-occidentale del sepolcreto, al di sotto della chiesa romanica di S. Pietro; da questa zona provengono i resti di un sarcofago e di un’epigrafe con dedica al Divo Giulio.
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di Adele Campanelli
Centro marrucino (lat. Teate Marrucinorum), poi ascritto alla IV regione augustea Sabina et Samnium.
La collina di C. era sicuramente abitata sin dall’età eneolitica, come documentano i materiali rinvenuti a più riprese in scavi urbani. Tombe dell’età del Ferro localizzate in vari siti anche all’interno del perimetro urbano fanno pensare ad agglomerati sparsi sulle pendici del sistema collinare. In un momento storico imprecisato questi villaggi devono avere originato un unico insediamento. La prima e sola citazione nelle fonti antiche, fatti salvi gli itinerari e le descrizioni corografiche, si deve a Silio Italico (VII, 521) e riguarda la partecipazione di Teate alle guerre puniche. Dopo la guerra sociale, C. divenne l’unico municipium marrucino, centro egemone della porzione di territorio caratterizzata dalla presenza della Maiella e del fiume Aternus (Pescara) nel suo tratto vicino alla foce sul Mar Adriatico. Ci sono pervenute poche notizie storiche dalle quali rileviamo che i primi contatti del popolo marrucino con Roma risalgono al 304 a.C. (Liv., IX, 45) quando fu stipulato il trattato di alleanza.
I due nuclei monumentali della Civitella (acropoli), nel punto più alto della collina, e del complesso sacro, connesso con un pozzo nella piccola sella poi occupata dal foro, erano nel II sec. a.C. i due poli religiosi di un insediamento organizzato su un asse obliterato dalla ristrutturazione della prima metà del I sec. d.C., di cui ancora ignoriamo le consistenze archeologiche. Alle strutture edilizie in opera quadrata di travertino locale, pertinenti a edifici templari e a porticati, vanno riferite le lastre di decorazione architettonica e le statue frontonali di notevolissimo significato artistico rinvenute negli anni Trenta del Novecento nell’area dei cosiddetti Tempietti e nel 1965 nello scarico votivo della Civitella. La notevole area di dispersione dei materiali fittili di età ellenistica e la loro omogeneità cronologica e tipologica documentano l’alto valore monumentale delle due aree sacre esistenti nel sito del futuro municipium, la cui committenza non può che essere considerata univocamente interessata allo sviluppo dell’intero sistema di aree sacre.
A un analogo interesse si deve, nell’ambito della prima metà del I sec. a.C., l’opera di rinnovamento edilizio eseguita nella tipica opera reticolata in elementi di pietra e laterizio, con ricorsi di grandi laterizi, che interessò la zona centrale della città con la ristrutturazione dell’area forense, delimitata su tre lati dai nuovi edifici pubblici tra cui i più noti sono i due templi gemelli su alto podio. Alle spalle di questo complesso, al quale era pertinente un terzo edificio di minori dimensioni, il terreno naturale era sostruito da muraglioni – con cui si integravano le infrastrutture urbane – realizzati nella stessa tecnica muraria. L’angolo sud-occidentale dell’area era contenuto da una struttura ipogea, probabilmente da interpretare come horreum. A una quota inferiore agli edifici templari e identificabile come il livello della piazza antica sono conservate altre strutture pure coinvolte nell’opera di ristrutturazione giulio-claudia, delle quali non si conosce la destinazione d’uso.
A uno dei membri dell’illustre e antica famiglia degli Asinii, Asinio Gallo, si deve la sistemazione delle opere idriche della città di cui rimangono notevoli resti nei livelli interrati del centro storico. Di essi il più interessante è la via conservata nelle cantine del palazzo de Maio. L’opera era sicuramente relativa al passaggio e al controllo dell’acquedotto il cui tracciato corre al di sotto del livello pavimentale. Con certezza riferibile a un edificio pubblico è il complesso (cisterne?) conservato sotto l’ex Palazzo del Governo che si attestava con uno dei lati lunghi sull’asse urbano principale, la cui permanenza nel tracciato viario attuale è riconoscibile nel corso Marrucino. Secondo gli studi tradizionali nei pressi di questa grande struttura era il limite urbano, che suggerirebbe una destinazione mercantile del complesso. Sul versante orientale della collina, destinato all’edilizia residenziale, sono visibili i resti delle terme costruite in età successiva al resto dei principali monumenti di C. A una quota superiore al complesso termale – a cui sono funzionalmente collegate – sono localizzate le cisterne costruite con un articolato sistema a nove corpi in serie contro terra. Caratteristici i due lati lunghi a nicchioni costruiti per contenere la spinta dell’acqua. L’uso dell’opera laterizia e la decorazione musiva degli ambienti collocano il complesso nell’ambito del I sec. d.C., momento in cui molte città dell’Abruzzo adriatico furono dotate di impianti termali con caratteristiche planimetriche e decorative del tutto analoghe. Le strutture per spettacolo trovarono posto sulla fascia collinare di risulta, immediatamente adiacente al pianoro abitato.
Il progetto urbanistico di rinnovamento edilizio di Teate fu unitario nella concezione, tuttavia, andando oltre la macroscopica evidenza dell’omogenea tecnica costruttiva, è possibile distinguere all’interno del processo di realizzazione dei singoli monumenti, e soprattutto del teatro, modifiche e ripensamenti progettuali realizzati nel corso di varie fasi edilizie. L’anfiteatro scoperto nel sito dello stadio comunale nel 1983 fu realizzato nella sella naturale alle pendici dell’acropoli in diretta connessione con l’ingresso in città della via Valeria proveniente da Roma. L’altro ingresso verso nord era articolato in una serie di ambienti che fungevano da raccordo con la viabilità urbana proveniente dall’area forense. La costruzione fu realizzata scavando e sostruendo il pendio naturale sul quale in età mediorepubblicana erano localizzati gli edifici sacri a cui vanno riferite le lastre fittili qui rinvenute. Le strutture della summa cavea erano realizzate con sistemi lignei. La costruzione è stata riferita all’opera di evergetismo di Sesto Pedione Lusiano, magistrato nel vicus di Interpromium appartenente al territorio marrucino. La quasi completa assenza di materiali di finitura – pavimentazioni, fodere murarie ed elementi architettonici – va riferita alla fase di spoglio di età postclassica; già nel VII sec. d.C. l’area era utilizzata per sepolture. Dopo questo momento, probabilmente a causa di un cedimento del fondo, tutto il sistema degli ambienti relativo all’ingresso settentrionale crollò, provocando la completa cancellazione dell’edificio dalla memoria storica del sito.
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