L'Italia preromana. I siti etruschi: Capua
L’antica città di C. (gr. Καπύη; lat. Capua) si trovava nel sito della odierna Santa Maria Capua Vetere, nel centro della piana campana.
Il quadro che di essa si ha attraverso le parole di Livio, riferite all’epoca della prima guerra sannitica (VII, 30, 38; XXIII, 2) è valido per i secoli precedenti e lo sarà per quelli successivi (Pol., II, 17; III, 91; VII, 1; Cic., Leg. agr., I, 18; II, 76, 87), certamente fino al IV sec. d.C. quando C. viene annoverata da Ausonio (Ordo urbium nobilium, 45) tra le otto più importanti città dell’Impero e la terza in Italia. Fu abitata da popolazioni di stirpe ausonia che sin dall’età del Bronzo Antico (XIV sec. a.C.) ne avevano occupato il territorio con piccoli agglomerati sparsi, come sembrano indicare i rinvenimenti (1997-98) di fondi di capanne e di necropoli poco a nord del Volturno (all’interno dell’area del Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali, nel comune di C., località Strepparo e Centomogge); più vicini alla futura città furono gli insediamenti risalenti al X sec. a.C. attestati da una necropoli a incinerazione con ossuari globulari e biconici di tipo villanoviano (località Parisi), da correlare probabilmente ai resti di un abitato capannicolo (area Italtel, località Cappuccini) distante poco meno di 1 km.
Assai precoce è il contatto con le popolazioni dell’Etruria, attraverso le valli del Liri e del Sacco, che per tutta l’età preromana costituiranno il tramite per scambi commerciali e culturali con quella zona. Alle affinità linguistiche e toponomastiche presenti già nella tradizione storica (Serv., Aen., X, 145) che ricollegava il nome della città al bisnonno di Ascanio, Capys, figlio di Capetus, con il quale è da mettere in rapporto la regione falisca e il centro di Capena in particolare, si aggiungono le evidenze archeologiche come la presenza dell’olla ossuario, prevalente numericamente sul biconico nella ricordata necropoli di località Parisi (Nuovo Mattatoio) che ha gettato nuova luce sulla facies protovillanoviana (fase IA della classificazione Johannowsky) di C., attestata fino al 1986 dal rinvenimento isolato di una analoga sepoltura a incinerazione a Sant’Angelo in Formis. Con la prima età del Ferro si riscontra una precisa distinzione tra le aree di necropoli e l’area dell’abitato, che sembra già corrispondere a quella che sarà la città cinta da mura.
La tradizione storiografica antica riportata da Velleio Patercolo (I, 7) registrava, a proposito della fondazione della città, due diverse opinioni: l’una, attestata da Catone, sosteneva che essa sarebbe stata fondata 260 anni prima della conquista da parte di Roma, ossia nel 471 se ci si riferisce al 211 a.C. anno della caduta di C. durante la guerra annibalica; l’altra, preferita da Velleio imparentato con la gens capuana dei Magi, fa risalire la città all’epoca di Esiodo, ossia all’800 a.C. circa. Evidentemente le fonti dei due autori considerano due diversi momenti cruciali della storia urbana che, stando alle evidenze archeologiche, risale nella sua forma primitiva alla data più antica. Sono infatti state individuate, nella zona settentrionale della città e in quella immediatamente extraurbana a est, strutture di fondazione di abitazioni a pianta quadrangolare, in rozzi blocchi di tufo, databili alla fine del VII - inizi del VI sec. a.C., oltre che coevi impianti di fornaci per tegole piane, che già terrebbero conto di una regolare organizzazione astronomica dell’impianto urbano.
Dell’aspetto di quest’ultimo fino alla piena età imperiale si conosce molto poco per la sovrapposizione delle diverse fasi abitative, obliterate inoltre dalla città moderna. Al rito dell’incinerazione con corredi piuttosto semplici deposti in tombe a pozzetto, nella seconda metà del IX sec. a.C. si sostituisce l’inumazione in fosse terragne protette da ciottoli. Tra i materiali di corredo si trovano le tazze à chevrons importate per il tramite di Pithecusa e di Cuma; caratteristici della produzione locale sono gli impasti, in particolare le tazze carenate con alta ansa traforata, decorata da corna plastiche, e l’olla con costolature; lo skyphos e la kotyle imitano le analoghe forme di argilla figulina. Tra gli oggetti di ornamento personale spiccano tra l’VIII e il VII sec. a.C. le grandi fibule a disco con applicate figurine a tutto tondo di un uomo sulla barca, di uccelli acquatici e di bovini, accanto alle più consuete fibule con arco a sanguisuga rivestito di osso o di ambra. Il contatto con l’Etruria e con il mondo greco favorì la fioritura di un artigianato locale fortemente influenzato dalle esperienze culturali di quelle popolazioni: nell’architettura, documentata dalle terrecotte delle coperture, nella scultura, attestata da grandi statue fittili, nella produzione di bronzi e di ceramiche, presenti nelle necropoli e negli abitati. L’adesione agli ideali eroici greci è documentata dall’adozione, da parte del ceto aristocratico, dell’incinerazione per la quale si utilizzano come contenitori crateri ceramici importati da Corinto, o di bronzo, importati dalla Laconia, questi ultimi imitati anche nel bucchero in grande quantità. Altro contenitore per i resti della cremazione, deposto come i crateri in cubi di tufo, è il lebete di bronzo, la cui superficie esterna è talvolta decorata da raffinate incisioni, mentre il coperchio è decorato con figurine a tutto tondo di Sileni e Menadi, Sirene alate e Giganti, Amazzoni, guerrieri, ecc.
Al VI sec. a.C. risale la documentazione archeologica di uno dei grandi santuari capuani, quello del fondo Patturelli, all’immediata periferia orientale della città, scoperto occasionalmente nel 1845 e malamente esplorato a più riprese nei decenni successivi per recuperare i numerosissimi frammenti di terrecotte architettoniche e votive e soprattutto le singolari sculture di tufo raffiguranti una donna in trono che regge tra le braccia bambini in fasce. Non si conosce la divinità cui era dedicato, certamente una Dea Madre; né hanno fornito chiarimenti su tale argomento le iscrizioni in lingua osca su tufo o terracotta, note come iovila, recuperate nella sua area. La recente indagine (1995) di una piccola zona interna a esso ha permesso di stabilire la posizione del confine meridionale del santuario e la data della sua distruzione, entro il I sec. a.C. Lunghissima vita ebbe invece il tempio di Diana Tifatina, legato dalla tradizione ai miti di fondazione di C. L’edificio, eretto tra il IV e il III sec. a.C. nell’impianto di cui si conserva il podio al di sotto della basilica benedettina di Sant’Angelo in Formis, fu poi ampliato tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. e venne particolarmente venerato durante l’età romana, in special modo da Silla che assegnò ai suoi sacerdoti vasti possedimenti immobiliari e fonti termali; da Augusto e da Vespasiano ebbe riconosciuto l’accatastamento delle sue proprietà e ancora nel IV sec. d.C. era vitale luogo di devozione.
L’opulenza di C. è documentata dalla diffusione dei suoi prodotti in Daunia, in Lucania, nel Sannio, oltre che nel Lazio e in Etruria, regioni con le quali i contatti furono particolarmente intensi, e perdurò anche oltre il momento critico della fine del VI sec. a.C. Fino alla metà del V sec. a.C. continuarono le produzioni locali di coroplastica, bron- zo e ceramica, nell’ambito della quale si affermò in particolare quella a figure nere esportata anche nel Sannio, nel Molise e in Puglia. Nel corso del V sec. a.C. le popolazioni di lingua osca delle valli interne della Campania, attirate dalle attività produttive della pianura, vi si stabilirono come manovalanza servile, inizialmente sottomessa all’elemento etrusco dominante a C., che nel 438 a.C. concesse loro il diritto di cittadinanza. È a quell’anno che Diodoro Siculo fa risalire la formazione del popolo dei Campani nel cui ambito il gruppo sannitico si impadronisce del potere (nel 423, secondo la tradizione liviana), eliminando in una sola notte, in maniera cruenta, l’aristocrazia etrusca.
Dalla metà del IV sec. a.C., C. è coinvolta nel processo di espansione di Roma verso il Meridione e, sconfitta nel corso della prima guerra sannitica, nel 338 a.C., le si allea come civitas sine suffragio continuando a mantenere il proprio alto tenore di vita, con l’abbondante produzione di ceramiche a figure rosse (operarono a C. intorno al 370 a.C. il Pittore di Issione, quello di Cassandra, quello di Parrish) e a vernice nera. Si diffonde anche l’uso di dipingere le pareti interne delle tombe di tufo, a cassa o a camera, con elementi architettonici e con scene di ritorno del guerriero ridotte a una o due figure solo sulle lastre di testa. Nel corso del III sec. a.C. la città, ascritta alla tribù Falerna, era rimasta fedele alleata di Roma, cui dal 312 a.C. era direttamente collegata tramite la via Appia; aveva conservato le proprie istituzioni, lingua e costumi, ma dopo la sconfitta di Canne il partito popolare si dimostrò favorevole ad Annibale offrendo rifugio e rifornimenti alle sue truppe nel 213-211 a.C., anni delle estenuanti scorrerie in Campania e in Italia meridionale, che precedettero la conclusione della seconda guerra punica.
La punizione che Roma inflisse a C. fu tremenda: i senatori furono messi a morte, la città fu privata di tutti i diritti civili, il territorio le fu espropriato e divenne ager publicus per essere venduto a cittadini romani. Ma ben presto molti terreni tornarono ai precedenti proprietari, sì che a più riprese il Senato dovette mandare magistrati che ridefinissero i confini dei terreni pubblici e li dividessero in poderi da dare in affitto. Nel 130 a.C. una commissione formata dai tresviri agris iudicandis adsignandis Caio Gracco, Appio Claudio e Licinio Crasso provvide all’identificazione e alla delimitazione del territorio in centurie, appezzamenti di 20 actus di lato, la cui regolare articolazione, ancora sufficientemente evidente nella suddivisione degli appezzamenti agricoli, è documentata anche dal rinvenimento di cippi che confermano la particolare inversione di orientamento tra cardini e decumani, attestata dai gromatici Igino e Frontino per l’ager Campanus. Caio Gracco tentò invano di restituire i diritti civili alla città che per l’ordinaria amministrazione era retta da magistri sotto i quali l’economia continuò a prosperare soprattutto con la produzione di grano e di profumi (la denominazione del quartiere Seplasia in cui si commerciavano i profumi fu sinonimo di opulenza), con i commerci con l’Egeo, attraverso il porto franco di Delo.
Vennero costruiti edifici pubblici tra i quali un teatro su terrapieno, un collegium mercatorum, portici e il più antico anfiteatro, del quale rimangono modeste tracce poco più a sud di quello di età imperiale. Al II sec. a.C. sembrano risalire anche le strutture monumentali del tempio di Giove Tifatino, individuato nel 1996 grazie al ritrovamento di lastrine votive di bronzo iscritte su una delle vette collinari che dominano da nord la città. Uscita indenne dalla rivolta servile del 104 e dalla guerra sociale dell’89 a.C., C. fu il punto di partenza della rivolta guidata da Spartaco nel 73 a.C.; fu, inoltre, Colonia Iulia Felix nel 59, quando Cesare ne distribuì il territorio a 20.000 coloni, dandole in cambio rendite dal territorio di Creta. C. che Cicerone nomina più volte come città ricca e prospera, i cui abitanti ben pettinati e impomatati ebbe più occasioni di difendere, cade nell’oblio delle fonti durante l’intera età imperiale, anche se Augusto e Nerone vi deducono nuove colonie, e dopo la punizione inflittale da Vespasiano per aver parteggiato per Vitellio con la sottrazione del fertile territorio delle Leboriae, conosce un momento di nuovo fulgore agli inizi del II sec. d.C. quando Adriano provvede con statue, colonne e ornamenti di marmo al completamento dell’anfiteatro, che per dimensioni rimane secondo solo al Colosseo e oggi lo supera in quanto a conservazione dell’apparato decorativo di plutei e transenne.
Costantino, che la fa sede del Consularis Campaniae, elargisce generose donazioni per la Basilica Apostolorum (Lib. Pont., Vita Silvestri); nel 390 è sede di un sinodo presieduto da Ambrogio, vescovo di Milano, e capuano è il celebre giureconsulto Simmaco, appartenente a una delle famiglie di rango senatorio del Tardo Impero. Colpita, come gli altri centri della penisola, dalle invasioni visigote e vandaliche (Paul. Diac., Hist. Lang., XIV, 17), si riprende con l’arrivo degli Ostrogoti sotto il cui dominio il consolare Lampadio fece restaurare l’anfiteatro (CIL X, 3860), e con la riconquista bizantina dopo il 553. La sovrapposizione della città moderna all’antico impianto urbano, documentabile soprattutto per l’età romana, rende difficile un’indagine completa per quel che riguarda l’abitato, la cui ampiezza di circa 200 ha è desumibile dall’estensione delle necropoli, dalla posizione extraurbana degli anfiteatri e dalle curve che l’Appia effettuò per collegarsi in entrata e in uscita alla principale strada urbana, evidentemente preesistente alla sua costruzione.
Non si conosce l’andamento delle mura, individuate solo lungo il lato orientale a nord dell’Appia per circa 60 m e a sud-ovest per circa 30 m; il rinvenimento di altri tratti stradali interni ha consentito di riconoscere un impianto regolare con isolati rettangolari disposti con i lati lunghi in senso est-ovest. La zona del foro si trovava probabilmente nella parte occidentale della città, dove si conservano i resti di un criptoportico al di sotto dell’attuale sede della Facoltà di Lettere (già convento di S. Francesco e poi carcere mandamentale), del Capitolium, del teatro (all’interno della caserma Pica) e del Mitreo che ha la più antica raffigurazione ad affresco di Mitra tauroctono (II sec. d.C.). Nella parte settentrionale, nei pressi della basilica della Madonna delle Grazie, presso la quale si conservano i resti del cosiddetto Catabulum, identificato con il battistero della basilica costantiniana, sono stati scoperti i resti di due domus di tarda età repubblicana, trasformate in età imperiale e obliterate in età antonina dalla costruzione di un complesso pubblico con tabernae e latrina.
Nella parte orientale è stata rimessa in luce (via degli Orti) parte di una domus costruita nella prima età imperiale e in uso fino al V sec. d.C. come indicato da un interessante pavimento di opus sectile; i resti dei piloni di un acquedotto che andarono a sovrapporsi a una strada basolata, parallela all’Appia, e quelli del castellum aquae posto nelle immediate adiacenze della porta, dalla quale la consolare usciva in direzione di Calatia, e di un complesso termale di prima età imperiale. I numerosi materiali provenienti dalle indagini nel territorio dell’antica C., che comprende anche parte dei comuni di San Prisco, Curti, San Tammaro e C., sono custoditi presso il Museo Archeologico dell’Antica Capua in Santa Maria Capua Vetere, aperto al pubblico nel 1995, mentre i materiali recuperati nel XIX secolo si trovano a C. nel Museo Provinciale Campano.
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