L'Italia preromana. I siti etruschi: Spina
Fondazione etrusca di tipo coloniale del terzo quarto del VI sec. a.C., sita nei pressi di Comacchio, a pochi chilometri dalla foce di un antico ramo del Po.
In Strabone e nel Periplo dello Pseudo-Scilace S. è ricordata come città greca (πόλις Ἑλληνίς), cui la tradizione attribuiva un’origine pelasgica. Altre fonti ricollegavano la sua fondazione all’eroe greco Diomede, di ritorno da Troia. I suoi abitanti dedicarono un thesauròs nel santuario di Delfi. Il rinvenimento di iscrizioni greche e venetiche, oltre che etrusche, le dediche sacre – attestanti il culto di Apollo, Dioniso ed Hermes – e la coesistenza di rituali funerari attestano il carattere eterogeneo della società di S., tipico di un insediamento emporico, con una presenza greca rilevante, soprattutto tra il 475 e il 350 a.C. La città era un centro di raccolta, scambio e redistribuzione delle merci, tra cui oggetti di lusso, che venivano dalla Grecia e in particolare da Atene (vasi, vino), per le quali fungeva da tramite verso i centri dell’Etruria padana, le zone alpine e il mondo celtico d’Oltralpe, attraverso la rete navigabile del Po e dei suoi affluenti, che permettevano la penetrazione dei prodotti nell’entroterra. Si discute tuttora se fosse dotata di autonomia politica o sottoposta alla vicina Bologna. Sorto in un ambiente lagunare, l’abitato, che occupava un isolotto triangolare di soli 6 ha tra il Po, il fiume Sandalo a sud e la laguna a ovest, di fronte al litorale, aveva un impianto ad assi ortogonali, con isolati rettangolari prospettanti su canali o strade, risalente al secondo quarto del V sec. a.C.
Il rinvenimento di un ciottolo gromatico con iscrizione in etrusco MITULAR (“io [sono] il confine”) attesta l’articolazione degli spazi interni della città secondo uno schema preciso. L’abitato era circondato da una palizzata, che reggeva un argine di argilla, più robusto a est, dove confinava con il ramo principale del Po. Sono stati individuati strade, canali, aree libere e abitazioni, per la fondazione delle quali il terreno fu consolidato con palificazioni di rovere. Le opere di bonifica e canalizzazione dell’ambiente paludoso erano attribuite dalla tradizione al mitico Dedalo che, in fuga da Creta dove aveva costruito il famoso Labirinto per Minosse, era giunto nelle Isole Elettridi, alla foce dell’Eridano (Po). Si conosce la tecnica costruttiva delle case edificate in materiali leggeri (legno, frasche e argilla), che furono sostituite solo in età ellenistica da edifici più robusti, con tetti realizzati con tegole e coppi. Oltre alle numerose importazioni di ceramica attica figurata e di anfore greche da trasporto, sono documentate produzioni locali di ceramica, bronzistica e oreficeria. Un santuario extraurbano è stato localizzato a Cavallara, dove erano venerati Hercle, Tinia e altre divinità.
Le due necropoli (Valle Trebba e Valle Pega), dislocate lungo le dune sabbiose costiere, hanno restituito oltre 4000 tombe, che mostrano una grande varietà nei rituali funerari e nella tipologia. Si tratta per lo più di sepolture a inumazione, in fossa o in cassone, eccezionalmente in sarcofagi di marmo greco, talora segnalate da cippi esterni. Numerosi corredi testimoniano l’agiatezza economica raggiunta dalla popolazione e l’adesione all’ideologia greca del simposio, attraverso la selezione di specifiche forme di ceramica locale e di importazione e di vasi di bronzo. In particolare, le tombe di S. hanno restituito moltissimi vasi attici di V-IV sec. a.C., a vernice nera e figurati, sovente con temi dionisiaci, tra cui numerosi esemplari di elevata qualità, e bronzi fabbricati in Etruria meridionale. Il declino di S. cominciò nella seconda metà del IV sec. a.C., a causa dell’invasione dei Galli (come testimonia Dionigi di Alicarnasso) e dell’allontanamento dal mare. La fine della città è posta intorno al 225 a.C., anche se rimase come base per la pirateria, esercitata dall’area della laguna deltizia nell’Adriatico.
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