L'Italia preromana. I siti laziali: Alatri
Antica città ernica (lat. Aletrium) del Lazio meridionale di cui non restano tracce monumentali, come priva di documentazione è l’ipotesi di una fondazione ausonia.
La poderosa cinta muraria in opera poligonale calcarea di III maniera è da attribuire al momento in cui venne concessa la civitas sine suffragio, dopo la vittoria romana sulla confederazione ernica nel 306 a.C. Divenuta municipio con Anagni e Ferentino a seguito della lex Iulia del 90 a.C., A. rientra tra gli esempi di città attrezzate con complessi architettonici di rilievo nella fase dello sviluppo dell’imprenditoria legata al commercio con il Mediterraneo centro-orientale, con risvolti zonali innovativi su un piano sociale e urbanistico. La città si organizza su due alture, la minore delle quali, a nord, si raccorda ai retrostanti rilievi collinari. Sulla collina meridionale l’acropoli, articolata su un terrazzamento trapezoidale, è fortificata in modo autonomo: vi si aprono cinque porte, la più grande delle quali (Porta Civica) è attrezzata con architrave monolitico (lungo 5,13 m), mentre la Porta Minore è decorata da simboli fallici. È plausibile che questa cinta difensiva sia coerente cronologicamente a quella del resto della città, nonostante vi si notino differenze tecniche, tra cui la presenza di blocchi a superficie bombata.
All’ipotesi che vuol leggere sull’acropoli un precedente settoriale dell’intero impianto si contrappone il coordinamento tra il quadrilatero fortificato della collina maggiore e la pianificazione regolare del resto della città. L’interno urbano infatti presenta terrazzamenti organizzati su fasce parallele con criteri di regolarità metrologica (interdistanza 35 m = 1 actus) ed è scandito da una viabilità che conserva nelle persistenze attuali l’assetto originario. Il sistema dell’organizzazione viaria regolare era duplice e l’orientamento dell’area forense sulla collina settentrionale si diversifica da quello del comprensorio dell’acropoli per alcuni gradi di declinazione: originante è l’asse viario che sfocia in Porta S. Francesco e su cui si attestano isolati rettangolari. L’impianto coerente con l’orientamento del lato nord delle fortificazioni dell’acropoli è forse da porre in collegamento con la riorganizzazione urbana collegata all’evergetismo di una gens aletrina, quella dei Betilieni, un illustre rappresentante della quale è ricordato da un’epigrafe (ILLRP, 528) per aver fatto costruire, nell’ultimo quarto del II sec. a.C., numerosi monumenti di grande significato: dalle strade al mercato, all’acquedotto (di cui si è trovato il percorso extraurbano), alla basilica e infine alla porticus qua in arcem eitur, da identificare, secondo alcuni, con il complesso localizzato alle pendici della collina maggiore e coordinato con il muro dell’acropoli.
Scavato alla fine dell’Ottocento, il portico ad angolo conserva lo stilobate in blocchi di calcare con le sedi per i sostegni (pilastri e colonne) del tetto, al cui alzato già H. Winnefeld attribuì un frammento di fregio dorico recuperato in questa zona. I principali resti archeologici si riferiscono alla cinta urbana (con un perimetro di 4 km ca.) e ad alcuni ingressi antichi, tra cui risultano ancora identificabili le porte S. Pietro (con rilievi apotropaici), Portati, S. Nicola, Portaordini e S. Francesco, quest’ultima protetta da un bastione e formata da un sistema a camera. Dal territorio della città (contrada La Starza) provengono i materiali che hanno permesso la ricostruzione del tempio, di tipo tuscanico, ubicato nel giardino del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.
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