L'Italia preromana. I siti laziali: Castel di Decima
Località a circa 18 km da Roma che deriva il nome dalla sua ubicazione presso il X miglio dell’antica via Laurentina, nei cui pressi è stato individuato un centro arcaico.
Nel quadro dell’intricata questione dell’esistenza di una Laurentum distinta da Lavinium,alcuni studiosi hanno proposto di identificarvi Laurento. Più ampio consenso riscuote tuttavia l’identificazione con uno dei centri che la tradizione vuole distrutti da Anco Marcio nel quadro dell’espansione romana verso il litorale, Tellenae o, soprattutto, Politorium – un’ipotesi alla quale non fa necessariamente ostacolo la prosecuzione della vita nell’abitato anche dopo i tempi di Anco. In occasione di imponenti lavori stradali la Soprintendenza di Ostia e poi quella di Roma avviarono un’esplorazione sistematica, che tra il 1971 e 1976 (con qualche ripresa successiva) mise in luce circa 300 tombe. Contemporaneamente, ricognizioni topografiche individuavano in località Monte dell’Oro l’abitato, i cui inizi sembrano cronologicamente coincidere con quelli della necropoli, ma dove, come hanno mostrato saggi di scavo, la vita continua senza soluzione di continuità e si interrompe solo agli inizi del V sec. a.C. (espansione dei Volsci?); più tardi, una modesta stipe con i tipici votivi fittili ellenistici evidenzia una caratterizzazione paganico-rurale risultante dalla destrutturazione definitiva della località.
Conformemente a tipologie consuete in età arcaica nella regione etrusco-laziale, l’abitato si dispone su un pianoro tufaceo parallelo a un piccolo affluente del Tevere (fosso di Malafede); una strozzatura naturale ne isola l’estremità, provvista di una propria cinta difensiva a mo’ di acropoli; una seconda strozzatura più esterna venne fortificata come limite dell’abitato, non è certo se fin dall’inizio o in seguito a un ampliamento a partire dal nucleo primitivo. Saggi accurati hanno indagato, per una limitata estensione, l’imponente aggere dell’acropoli, forse creato già tra la fine del IX e gli inizi dell’VIII sec. a.C., con fossato esterno e, all’interno, un muraglione di contenimento di scaglioni di tufo; il riempimento conteneva anche materiali della seconda metà del IX sec. a.C. provenienti da capanne bruciate. Un irrobustimento dell’aggere, con creazione più a valle di un fossato più profondo e raddoppiamento del muraglione di contenimento, sopravvenne entro la fine dell’VIII sec. a.C., mentre un secolo più tardi un ampliamento del terrapieno, sostenuto da un muro di controscarpa di blocchi di tufo tenero locale, si sovrappose a livelli di abitazione di VIII-VII sec. a.C.
Infine, a metà del VI sec. a.C. si ha un rifacimento delle mura in opera quadrata, vera fase “serviana” del piccolo abitato. I resti di abitazioni, esplorati all’interno e sotto l’opera difensiva, consistono in battuti di capanne con struttura di pali e, nella fase più tarda e meglio esplorata, di costruzioni con basamento a blocchi e alzato forse a telaio ligneo con riempimento di pietrame, pavimenti di ciottoli costipati e cementati con argilla, e, fin dal tardo VII sec. a.C., coperti con tegole. C.d.D. appare dunque uno di quei centri protourbani minori in cui si organizza la popolazione laziale nel IX sec. a.C. avanzato, talora rioccupando siti frequentati nel Bronzo Finale. La presenza di oggetti importati sin dal periodo Laziale II B (coppa bronzea di ispirazione orientale della tomba 132, con confronti a Francavilla Marittima, Populonia, Bologna), e, nel periodo successivo, le ceramiche di imitazione euboica (coppe à chevrons: tombe 133, 144, 232, di probabile importazione veiente) e altre forme di argilla figulina dipinta, il ricco dispiego di oggetti di bronzo laminato e sbalzato (scudi di tipo villanoviano dalla tomba 21 e dal tumulo, ambedue del 730 a.C. ca.; tripodi a fascia di lamina bronzea, patere baccellate, ecc.) rivelano a C.d.D. e nei centri limitrofi (Ficana e soprattutto Acqua Acetosa Laurentina) una società che va progressivamente articolandosi in diversi livelli di ricchezza, cui corrisponde un artigianato specializzato e in grado di corrispondere alla richiesta di beni di prestigio, largamente aperto a influenze esterne.
Ornamenti di metalli preziosi (fermatrecce, fibule), pur rari, appaiono sin da questa fase. Un ruolo culturalmente preponderante sembra esercitare Veio, con cui, infatti, appaiono strettissime le affinità anche nella tipologia delle tombe e nel rituale funerario. Il passaggio all’Orientalizzante antico (periodo Laziale IV A) si segnala per cambiamenti sostanziali nell’ideologia funeraria cui si debbono ritenere sottesi mutati rapporti di produzione, collegati a diverse modalità di sfruttamento delle risorse agricole: alla connotazione “militare” e individuale delle grandi tombe nella fase finale del III periodo Laziale (interpretabili come emergenza di capi guerrieri nell’età “romulea”), si sostituisce un’aristocrazia che si esprime nella pratica paritaria e collettiva del banchetto. Tali pratiche appaiono ormai standardizzate nell’Orientalizzante medio, segnando una raggiunta stabilità sociale con pochi caratteri innovativi, in cui si continuano a evidenziare alcune sepolture “principesche”, con carro e corredi segnalati per quantità più che qualità. Il repertorio dei bronzi permane senza rilevanti novità tipologiche.
Il bucchero, precocemente presente con pochi esemplari di qualità importati da Caere, si fa via via più abbondante divenendo la ceramica fine per eccellenza, così come la ceramica dipinta di ispirazione greca, in parte sembra di provenienza etrusca; l’impasto bruno è invece in declino, tranne per alcune forme chiuse conservate per tradizionalismo. A tale relativa stagnazione subentra, nel periodo IV B, una fase marcata dall’abbandono di molte manifestazioni tipiche dell’artigianato locale, generando l’impressione, reale o meno che sia, di un effettivo impoverimento: cessano i segni più vistosi di differenziazione sociale, i corredi tendono a uniformarsi alle produzioni etrusche standardizzate per l’esportazione. Con l’Orientalizzante recente, a C.d.D., come altrove nel Lazio, si interrompono le sepolture con cor- redo, per ragioni che sono state plausibilmente ricondotte a una normativa suntuaria promanante da un forte potere centrale, in cui si è, certamente a ragione, ravvisato un segno del ruolo dominante ormai assunto da Roma.
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