L'Italia preromana. I siti laziali: Lavinium
Situata a sud di Roma, al XVII miglio dell’antica via Laurentina, sorge su un pianoro sopraelevato a circa 4 km dal mare, presso il fosso di Pratica di Mare (Numicus), che con il suo estuario, nell’antichità corrispondente a un bacino lagunare, forniva un luogo di approdo protetto.
La città è legata alla leggenda dell’arrivo in Italia di Enea che, sbarcato alla foce del Numicus, vi avrebbe sacrificato la scrofa con i 30 porcellini; traeva il nome da Lavinia, figlia di Latino re degli Aborigeni, andata sposa al principe troiano. La sua connotazione di civitas religiosa, con culti antichissimi legati alle origini di Roma, rimase viva fino alla tarda antichità, anche dopo il declino del centro urbano nel III sec. a.C. Consoli e pretori prima di assumere la carica sacrificavano a Vesta e ai Penati di L. che, secondo la tradizione, sarebbero stati gli stessi recati da Troia da Enea e il cui tempio, in forma di capanna circolare, è raffigurato su alcuni medaglioni dell’epoca di Antonino Pio. Non è possibile precisare quando si sia formata la leggenda che collegava il personaggio omerico alla fondazione della città, forse in concomitanza con la fine delle guerre latine. Sono attestati dalle fonti i culti di Indiges (nelle forme di Sol Indiges, con un santuario alla foce del Numicus, Pater Indiges, Aeneas Indiges, Iuppiter Indiges), di Venere, Minerva-Atena (un santuario di Atena Iliàs sarebbe stato fondato da Enea), Giunone, Giuturna, Giano, Liber, Pilumnus, Anna Perenna.
Il rinvenimento di una laminetta arcaica (VI-V sec. a.C. ) nel santuario delle XIII are, con dedica ai Dioscuri, attesta la precocità dell’assimilazione del culto dei gemelli divini dal mondo greco, accolto anche a Roma presso la fonte di Giuturna. Altre fonti epigrafiche testimoniano i culti di Cerere, del Numicus, della Magna Mater, di Iside, Fortuna, Fides. Nella città si sarebbero svolte varie vicende legate alla storia arcaica di Roma, non tutte degne di fede, ma è certa la sua menzione da parte di Polibio nel primo trattato romano-cartaginese del 509 a.C. Membro della Lega latina nel 338 a.C., L. fu coinvolta nelle guerre tra Latini e Volsci; alla fine della guerra latina, stipulò con Roma un foedus, che veniva rinnovato annualmente. Gli scavi sul sito, individuato già da Pirro Ligorio e da R. Lanciani, iniziarono nel 1955 a opera di F. Castagnoli e L. Cozza e continuano tuttora, condotti dalla sezione di topografia antica del Dipartimento di scienze storiche, archeologiche e antropologiche dell’antichità dell’Università di Roma “La Sapienza”. Le testimonianze più antiche di occupazione risalgono all’età del Bronzo, con 13 incinerazioni a pozzetto nell’area centrale della città (Bronzo Finale); dal X al VII sec. a.C. sono databili capanne ovali e tombe a fossa e nell’area nord-orientale del sito e nella necropoli a ovest, dove, accanto alle inumazioni, compaiono anche incinerazioni in pozzetto.
L’area urbana presentava un apparato difensivo costituito da un muro in opera quadrata di blocchi di cappellaccio, databile poco prima della metà del VI sec. a.C., che si impianta su strutture più antiche, del VII sec. a.C., con successivi interventi della fine del VI e del IV sec. a.C. La porta orientale si apriva in direzione dello scalo portuale e della via che conduceva ad Ardea, in prossimità della quale è probabilmente da localizzare la necropoli arcaica. La città in età arcaica aveva un impianto regolare (settore nord-ovest), con orientamento condizionato dall’orografia e da assi viari più antichi, edifici in muratura con copertura di tegole e un sistema di canali per il rifornimento idrico e lo smaltimento delle acque; il settore centrale era destinato a edifici probabilmente pubblici, che sono noti soprattutto per le fasi di età augustea (area forense con tempio a tre celle o ad alae, un porticato, un vano identificato come Augusteum dal rinvenimento di statue raffiguranti Augusto, Tiberio e Claudio e delle terme). Impianti per la lavorazione dell’argilla, di cui il sito è particolarmente ricco, e fornaci inseriti nel tessuto urbano si datano tra il IV sec. a.C. e nel corso della media età repubblicana.
Un grande deposito votivo nell’area nord-orientale della città, con materiali che vanno dal terzo venticinquennio del VII alla prima metà del VI sec. a.C., è da connettersi al culto di una vicina sorgente. L’organizzazione o la ristrutturazione dei principali santuari si colloca nella prima metà del VI sec. a.C. Sulla via che conduceva al porto, presso una sorgente, sorgeva il santuario delle XIII are, in un luogo precedentemente occupato da sepolture e da una abitazione. I 13 altari, di epoche diverse, orientati a est e allineati in direzione nordsud, sono di tufo dipinto di rosso e mostrano una commistione di spunti ellenici e italici; gli ultimi quattro si datano alla fine del IV sec. a.C., in coincidenza con la ristrutturazione del santuario; a poca distanza da essi sorge un edificio arcaico porticato. Depositi votivi rinvenuti nelle immediate adiacenze di alcuni degli altari hanno restituito ceramica laconica, attica, ionica, bucchero, ceramiche comuni, moltissimi krateriskoi e bronzetti. Si è variamente ipotizzato che nel santuario possa riconoscersi un Aphrodision, un santuario federale collegato al tempio dei Penates, al culto di Enea o di Indiges o a divinità greche.
Al santuario era connessa una tomba a tumulo di età orientalizzante in cui, alla metà del VI sec. a.C., vennero deposte offerte votive (un’oinochoe di bucchero, un’anfora da trasporto etrusca) e che nella seconda metà del IV sec. a.C., in coincidenza con la ristrutturazione del santuario, venne trasformata probabilmente in heroon di Enea (forse quello descritto in Dion. Hal., I, 64, 4-5), con la costruzione di una cella adiacente all’antica sepoltura e di una facciata monumentale ottenuta tagliando il tumulo, con una finta porta e un battuto pavimentale antistante. Lungo la laguna costiera, presso le foci del Numicus, sorgeva il santuario dedicato al Sol Indiges, nel luogo dello sbarco di Enea, che sarebbe successivamente scomparso nelle sue acque. La frequentazione del sito è attestata da materiale risalente al IX sec. a.C., mentre i materiali votivi si datano tra il V e il III sec. a.C. L’altro grande centro di culto della città, dedicato a Minerva, come attesta anche la dedica su un piccolo cippo di terracotta, va localizzato su un piccolo rilievo a est di L., caratterizzato nel V sec. a.C. da un’area sistemata a terrazze, con pozzi e probabilmente edificio di culto cui sono pertinenti alcune antefisse a testa di Iuno Sospita e Sileno.
Il luogo di culto è stato individuato grazie a uno scarico votivo con materiale che si data nelle due fasi di vita del santuario: la prima tra la fine del VII e la prima metà del VI sec. a.C. (a cui sono riportabili ceramiche italo-geometriche, di imitazione corinzia, bucchero e di produzione locale); alla seconda, tra la seconda metà del VI e il III sec. a.C., sono riferibili numerose statue della dea e di offerenti, soprattutto femminili, ex voto anatomici, thymiateria, bronzetti, pesi da telaio, oltre che statuine di bambini in fasce e di madri che caratterizzano la dea come kourotrophos, a cui le giovani al momento del matrimonio e le madri offrivano doni votivi; consistente è anche la presenza di ceramica greca, assente invece nella fase precedente. Il materiale rinvenuto nei depositi votivi permette di evidenziare significativi parallelismi con alcuni santuari di Roma, come quello dell’area sacra di S. Omobono; vasi di importazione sia dai santuari, sia dall’abitato (anfore commerciali) attestano gli stretti legami intrattenuti da L. con la Grecia (Attica e anche Grecia orientale) e, fino al III sec. a.C., con il mondo punico. Già all’inizio del III sec. a.C. è rilevabile un progressivo declino della città e dei santuari extraurbani, dovuto alla inadeguatezza dello scalo portuale e alle mutate condizioni economiche, e solo in età imperiale si ha una breve rinascita, testimoniata da alcuni interventi edilizi.
M. Fenelli, s.v. Lavinium, in BTCGI, VIII, 1990, pp. 461-518 (con bibl. prec.).
Ead., s.v. Lavinio, in EAA, II Suppl. 1971-1994, III, 1995, pp. 310-14 (con bibl. ult.).
D. Nonnis, Un patrono dei dendrofori di Lavinium. Onori e munificenza in un dossier epigrafico di età severiana, in RendPontAcc, 68 (1995-96), pp. 235-62.