L'Italia preromana. I siti liguri: Chiavari
Cittadina costiera della Liguria di Levante. Scavi archeologici condotti da N. Lamboglia a seguito di una scoperta fortuita, a partire dal 1959, misero in luce la più estesa e articolata necropoli dell’età del Ferro della Liguria. Alla fine dell’età del Bronzo (XII-IX sec. a.C.) doveva sorgere nello stesso sito – ora a 400 m circa dal mare, tra la collina del Castello e il torrente Rupinaro – un abitato costiero, i cui resti, consistenti in migliaia di frammenti ceramici, furono spianati e ricoperti da uno strato di sabbia marina per l’impianto della necropoli. Lo studio dei materiali permette di collegare l’insediamento preistorico ad altri siti coevi della Liguria di Levante, caratterizzati da un’economia non di mera sussistenza. La necropoli dell’età del Ferro, durata in uso tra la fine dell’VIII e l’inizio del VI sec. a.C., ha restituito 125 tombe a cassetta costruite in lastre squadrate di argilloscisto locale, spesso con incavi per gli incastri, racchiuse entro 96 recinti rettangolari o quadrati (solo tre circolari) formati da lastre conficcate verticalmente nello strato di sabbia. I recinti, addossati gli uni agli altri per successive agglomerazioni, formavano tre complessi separati e costituivano ciascuno un monumento funerario autonomo, probabilmente indizio di unità famigliare.
Nello spazio libero tra due complessi si sono messi in luce i resti di ustrina funebri. Ciascuna tomba conteneva una o più olle cinerarie e altri oggetti di corredo relativi a deposizioni plurime, non necessariamente sincrone. L’analisi dei materiali pubblicati sinora in via preliminare denuncia la presenza a C. di un insediamento evoluto, coinvolto in un ampio sistema di traffici e di scambi con l’entroterra collegato ad altri scali e centri commerciali lungo le rotte alto-tirreniche. A rapporti con le aree hallstattiana occidentale e golasecchiana rimandano le armille di bronzo a capi aperti con terminazione a pomello, i fermagli da cintura e le falere di lamina bronzea, i pendaglisonagli a melagrana, i corredi da toilette, che insieme ad altri manufatti di bronzo di tradizione locale, come la ricca serie delle borchie-bottoni tipiche del costume ligure e gli anelli paradito, denunciano il possesso di una sviluppata tecnologia metallurgica, favorita dalla vicinanza delle miniere di rame di Libiola, sfruttate già nell’Eneolitico. Le ceramiche locali sono foggiate con terre di gabbro: tale produzione, almeno dal Bronzo Finale fino a tutta la seconda età del Ferro, si configura come specialistica dei Tigulli.
Un nutrito gruppo di materiali d’importazione, in prevalenza ceramiche, e la tipologia stessa di alcune forme d’impasto locale testimoniano per contro gli stretti contatti intercorsi almeno dalla metà del VII sec. a.C. con l’Etruria meridionale (di cui è ulteriore prova la presenza di lettere graffite in alfabeto etrusco meridionale) e l’omogeneità culturale con gli scali della Versilia e l’entroterra pisano. Si segnala la presenza di olle con decorazione plastica, buccheri, ceramiche italo-geometriche, una kylix d’imitazione protocorinzia. L’abbandono del sito sembra connesso al più generale riassetto dell’alto Tirreno dopo la fondazione di Marsiglia e la sconfitta etrusca ad Alalia. I livelli che ricoprivano la necropoli hanno restituito il muro di un’abitazione e un pozzo, nonché ceramiche databili tra il I-II e il IV sec. d.C. che, insieme allo scavo di fosse e alle tracce dell’impianto di un vigneto, testimoniano lo sfruttamento agricolo della fertile piana in età imperiale.
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