L'Italia preromana. I siti liguri: Genova
I resti del nucleo urbano più antico (gr. Γενόα, Γένουα; lat. Genua, Genava), emersi dagli scavi del colle di Castello, sono databili al V sec. a.C., periodo in cui la città viene organizzata e fortificata con la forma di un oppidum, ubicato in una posizione strategica capace di controllare l’approdo delle imbarcazioni nel sottostante bacino portuale.
L’utilizzo dell’altura a ridosso del porto può tuttavia essere datato a qualche decennio prima (fine VI - inizi V sec. a.C), anche se con forme abitative alquanto povere e un’intensità demografica forse ridotta. I lavori di edificazione dell’oppidum comportarono un radicale spianamento della sommità del colle e dei suoi margini, che furono terrazzati con una poderosa cinta muraria costruita su altimetrie diverse, all’interno della quale si disponevano in prevalenza le case. La tecnica costruttiva della cinta e delle abitazioni utilizza la pietra locale (calcare marnoso), i cui conci, lavorati talora soltanto in modo sommario, sono posti in opera in filari tendenzialmente regolari e legati con argilla. Le case, sopra questo zoccolo di muratura, avevano alzati in materiale deperibile, mentre le superfici interne erano rivestite da intonaco argilloso. Importanti scoperte effettuate nell’oppidum preromano di G., quali un consistente gruppo di iscrizioni etrusche (per onomastica, lingua e alfabeto), un’evidente familiarità dei primi abitanti con l’intero ciclo della metallurgia del ferro e un utilizzo davvero consistente di vasellame etrusco anche puramente funzionale hanno indicato un cospicuo contributo etnico etrusco all’atto della fondazione della città.
L’elemento etrusco dovette comunque confrontarsi e fondersi con la componente locale ligure, secondo un processo di assimilazione etnica noto anche in altri luoghi dell’espansione etrusca nell’area tirrenica. Le stratigrafie dell’oppidum documentano che il legame con l’Etruria si mantenne vivace per tutto il V sec. a.C., mentre in seguito la nota crisi etrusca aprì spazi al commercio della vicina colonia greca di Marsiglia, la cui economia stava attraversando un momento particolarmente felice, motivo per cui le caratteristiche anfore prodotte nella regione di Marsiglia circolarono ampiamente a G. nel IV sec. a.C. Le necropoli preromane della città erano ubicate, in posizione vicina e contrapposta alla collina dell’oppidum, sui colli di Sant’Andrea e di Santo Stefano. Le sepolture si presentano con la forma di un pozzetto scavato nelle marne plioceniche e risultano pertanto differenti dalle coeve sepolture indigene liguri “a cassetta”: i corredi hanno restituito beni di prestigio, quali ceramica attica, bronzi, vasellame di pasta vitrea, che solo eccezionalmente si rinvengono nella corrispondente area urbana dell’oppidum.
L’alleanza che G. strinse con Roma determinò, nel corso della seconda guerra punica (205 a.C.), la distruzione della città, che venne punita dal cartaginese Magone per aver ospitato, all’inizio del conflitto, le navi romane nel proprio porto. Dopo il sacco cartaginese dell’oppidum, secondo la tradizione G. fu oggetto di un immediato intervento di ricostruzione predisposto da Roma, intervento di cui sfuggono ancora le prove archeologiche, al di là dei chiari lavori di sistemazione delle rovine dell’oppidum preromano. Certo è che la posizione strategica della città, di rilievo per il controllo di un ampio areale alto-tirrenico e per la penetrazione al di là degli Appennini, nonché la sua provata affidabilità sul piano politico, dovettero rafforzare un legame privilegiato già da tempo esistente con Roma. Dal punto di vista topografico, la città romana abbandona la posizione arroccata dell’oppidum, che diventa area marginale nel contesto urbanistico complessivo e ospita rare abitazioni piuttosto povere, discariche di rifiuti e piccoli orti. Il nuovo sviluppo urbanistico si attua quindi nella zona sottostante il colle di Castello, in una situazione certamente più favorevole per quanto riguarda l’aspetto geomorfologico, fino all’area di Serravalle, interessata dall’odierna piazza Matteotti e dall’arteria di via S. Lorenzo, collocate su una bassa dorsale (appena 20 m s.l.m.) in prossimità del porto.
Il tessuto urbano romano almeno in parte dovette seguire criteri di assialità, come suggerisce l’orientamento di alcune domus tardorepubblicane con pavimenti a mosaico, rinvenute presso la cattedrale di S. Lorenzo e nella citata area di piazza Matteotti. Il problema dell’assialità dell’urbanistica di G. romana si scontra tuttavia con la mancanza di resti di una vera viabilità urbana, che non si riesce a cogliere né nei pur numerosi scavi condotti nell’area della città romana dal dopoguerra a oggi, né dalla lettura topografica attuale, il cui impianto appare interamente riferibile a epoca medievale. Per l’epoca tardoantica è necessario richiamare almeno il problema della cattedrale paleocristiana, che recenti studi ritengono di avere individuato nell’area della cattedrale di S. Lorenzo, sulla base di alcune strutture murarie datate al V sec. d.C. Alcuni ritrovamenti archeologici effettuati nell’area della città romana (piazza Matteotti) sono da riferire a età altomedievale e documentano strutture con un’edilizia tecnicamente povera, essenzialmente basata sull’utilizzo di materiale costruttivo di recupero dagli edifici romani in rovina, ormai obliterati. Altri resti murari, rinvenuti nei pressi della vicina chiesa di S. Ambrogio, sono stati attribuiti all’insediamento del vescovo di Milano, che si rifugiò a G. nel 569, in seguito alla calata dei Longobardi: la zona di Serravalle si consolida comunque come centro del potere politico e religioso a partire dall’Alto Medioevo e manterrà queste caratteristiche fino al pieno Medioevo.
Le ricerche archeologiche, mentre non hanno sinora dato contributi risolutivi sul problema delle mura altomedievali della città, hanno invece evidenziato elementi di grande interesse topografico per lo studio di G. medievale, come i resti di un grande dongione di pietra datato tra la fine del XII e la prima metà del XIII secolo, emerso nell’area del Palazzo Ducale (sede del comune di G. dalla fine del XIII secolo e anch’esso oggetto di uno scavo d’emergenza), forse da attribuirsi a iniziativa vescovile. Almeno dal X secolo e per tutto il Medioevo il vescovo di G. disponeva, oltre che di un palazzo urbano vero e proprio, anche di una residenza fortificata, ubicata sul colle di Castello, i cui resti sono stati oggetto di scavo. In particolare, sono stati portati in luce, oltre al palazzo, inglobato entro le strutture di un più tardo monastero, i resti di una cinta muraria, varie torri, una chiesa monoaulata con annesso cimitero, cisterne, le cucine e gli orti, nel cui terreno sono stati rinvenuti migliaia di reperti (ceramiche importate dal mondo islamico e da quello bizantino), che descrivono in modo eloquente il benessere economico del vescovo.
Monumentali resti del porto medievale della città, costituiti dalla banchina portuale (la “ripa”), da numerosi moli e dalla darsena, un grande bacino di carenaggio dove venivano ospitate le navi della Repubblica di G., sono venuti alla luce nella zona corrispondente alle odierne piazza Caricamento e via Gramsci. Queste strutture, generalmente di epoca bassomedievale, costruite in conci di pietra di notevoli dimensioni, sono risultate poggianti su palafitte lignee. Per l’età postmedievale sono stati oggetto di scavi sistematici alcuni monasteri urbani, aree produttive di manufatti ceramici, nonché discariche, con il recupero di migliaia di reperti che hanno aperto finestre di notevole interesse sulla storia socio-economica della città.
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