L'Italia romana delle Regiones. Regio I Latium et Campania: Latium
Il territorio del Latium, che si estende dal Tevere fino alla Campania e ai monti del Sannio, bagnato a ovest dal Mar Tirreno, nel tratto compreso tra Ostia e Sinuessa (Strab., V, 3, 4 e 6; Plin., Nat. hist., III, 59), e delimitato verso l’interno dai monti della Sabina (Strab., V, 2, 1), in origine comprendeva solo il territorio chiuso tra il basso corso del Tevere e il promontorio del Circeo (Plin., Nat. hist., III, 56). Ne facevano parte le piccole isole di Pandataria e Ponza (Strab., V, 3, 6; Plin., Nat. hist., III, 81-82).
Estremamente dettagliate sono le informazioni delle fonti sulla regione, nonostante alcune omissioni (ad es., Arpino, Verulae, Atina, Fabrateria Nova lungo la via Latina e Norba, in prossimità della via Appia, in Strabone), incerte attribuzioni (ad es., Tibur e Nomentum, riferiti ora alla I: Plin., Nat. hist., III, 64, ora alla IV regio: Plin., Nat. hist., III, 107) ed errori (ad es., Osimo e Cingoli, in Plin., Nat. hist., III, 63-64), fornite soprattutto da Strabone e in misura minore da Plinio il Vecchio, le quali spaziano dalle notizie sui popoli e sulle loro origini a quelle di geografia fisica, a quelle relative alla città esistenti (poleografia; spesso, con computo delle distanze) e ai centri scomparsi (Strab., V, 3, 12 e in particolare Plin., Nat. hist., III, 68-70), a quelle sui grandi assi stradali sui quali è incardinata la viabilità non solo regionale ma anche interregionale. La descrizione delle favorevoli caratteristiche fisiche del territorio, tranne alcuni settori malsani (non però completamente improduttivi) e paludosi del litorale, quali il tratto tra Antium (Anzio) e Lanuvium (Lanuvio) e la pianura pontina, certe parti del territorio di Setia (Sezze), Tarracina (Terracina), Circeo e tutte le aree rocciose di montagna (Strab., V, 3, 5), precede l’elenco delle città, partendo da quelle latine in posizione litoranea.
In qualche maniera funzionali alla descrizione dei centri, che in molti casi si trovano compresi tra esse, sono le strade più famose del territorio latino: la via Appia (Strab., V, 3, 6) e la Valeria (V, 3, 11), le quali delimitano rispettivamente una zona marittima della regione fino a Sinuessa, un’altra adiacente alla Sabina, che si estende fino al territorio dei Marsi; la Latina (V, 3, 9) che passa tra le prime due e raggiunge l’Appia a circa 3,5 km da Casilinum; e infine la Labicana e la Prenestina (V, 3, 9). Connesse alla lista dei centri e alle possibilità di approdo sono le informazioni sulla idrografia dei grandi corsi d’acqua e di quelli di più modesta portata: è il caso del Tevere, ricordato a proposito del porto di Ostia, dello Storas, tra Anzio e il Circeo, del fiume Uffente, del Liri, dell’Aniene già navigabile a Tivoli, oltre ai laghi delle Albulae e delle Labanae (presso Bagni di Tivoli) e di quello di Fondi (Plin., Nat. hist., III, 59), e sull’orografia è il caso di Praeneste (Strab., V, 3, 11).
Ricerche e scavi realizzati negli ultimi decenni del Novecento hanno notevolmente accresciuto le conoscenze sugli aspetti storico-epigrafici, topografici, architettonici, urbanistici e artistici della regione. In particolare, un significativo incremento si è registrato per gli aspetti correlati alla ricerca topografica. Fondamentali risultano ancora per ampi settori della regione (suburbium e Colli Albani), soprattutto per la distruzione di molti resti, pubblicazioni e appunti (spesso con schizzi misurati) elaborati tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e il primo Novecento da Th. Asbhy e R. Lanciani, ma anche da H. Stevenson e G. Lugli. Su questo plafond conoscitivo, si è sviluppata in maniera sistematica, a partire dal secondo decennio del Novecento, per merito di Lugli (con i volumi su Anxur -Tarracina, 1926 e su Circei, 1928), oltre a contributi sui centri urbani (Tellene, Aquino, Cori, Arpino, Anagni, Fondi), pubblicati nei Quaderni dell’Istituto di Topografia Antica dell’Università di Roma, una serie di ricerche topografiche che ha trovato sede di pubblicazione nella collana Latium Vetus e, nella gran parte dei casi, nella Forma Italiae.
A queste ricerche va aggiunta l’attività di scavo, praticata con l’ausilio di università e di istituti italiani e stranieri, tra l’altro a Tivoli (Villa Adriana); alla villa di Traiano sugli altipiani di Arcinazzo; nel settore litoraneo a Lavinium; sui Colli Albani, il tempio di Diana e la villa di Caligola presso il lago di Nemi. Più recentemente risultati di estremo interesse sono rilevabili nella ricerca topografica, anche in virtù di una codificazione dei metodi di indagine. Diversi contributi hanno interessato numerosi centri urbani e settori più o meno estesi dei loro territori, nei Colli Albani (Tuscolo, Ariccia, parte meridionale dell’ager di Lanuvium, Velletri), nell’area meridionale (Norba/Norma, Forum Appii, Priverno) e nella valle del Liri (Ferentino, Veroli).
La progressiva romanizzazione della regione, avviata secondo le fonti in alcuni casi nel corso del periodo regio, da un lato con l’acquisizione di nuovi territori verso il Lazio meridionale, dall’altro con l’assimilazione dei centri del cosiddetto Latium Vetus e di quelli di tradizione ernico-volsca verso sud-est, ha nella data del 338 a.C., con la quale dopo il definitivo arretramento sannitico i Romani ebbero ragione dei Latini, un importante riferimento cronologico. Dopo che la Lega latina fu disciolta, le singole città furono unite a Roma con separati trattati di alleanza e con differenti formule giuridiche. Un ruolo fondamentale rivestono il processo di urbanizzazione del territorio acquisito, attuato attraverso la deduzione di colonie (è il caso di Fregellae, posta quasi allo sbocco della valle del Liri, che nel 328 a.C. costituisce la causa della seconda guerra sannitica), e la realizzazione del sistema viario.
Nella Valle dell’Aniene un ruolo di primo piano svolsero Tibur (Tivoli) e Praeneste (Palestrina). La prima, entrata nell’orbita romana nel corso del IV sec. a.C., nel 338 a.C., al pari di Praeneste, fu privata di parte del territorio (Liv., VIII, 14, 9), divenendo civitas foederata fino alla guerra sociale, quando venne ascritta alla tribù Camilia come municipium. Più che le fasi prima della guerra sociale e quindi delle guerre civili, appaiono perniciose per la città le vicende della guerra gotica (Proc., Bell. Goth., II, 4, 7; III, 10,19; 24). Praeneste, a parte le incertezze sull’abbandono della Lega latina e quindi il suo passaggio ai Romani nei primi anni del V sec. a.C. (Liv., II, 19, 2; Dion. Hal., V, 61), nel 380 a.C. fu conquistata da Cincinnato (Liv., VI, 27-29), mentre nel 358 si alleò con i Galli (Liv.,VII, 12, 8). Dopo la guerra sociale la città ricevette la cittadinanza romana e lo status di municipio (Flor., II, 9, 27). Lo schieramento a favore di Mario dovette costargli la terribile repressione di Silla (App., Bell. civ., I, 397-439) con la deduzione di una colonia militare. Tiberio restituì poi alla città la qualità di municipio (Gell., XVI, 13).
Nel comprensorio dei Colli Albani, se la precoce scomparsa di Alba Longa, intorno alla metà del VII sec. a.C., favorì la nascita di alcune città (ad es., Ariccia e Tuscolo) che assumeranno una completa connotazione urbana nel corso dell’età arcaica, è con il IV sec. a.C. che la romanizzazione può dirsi in gran parte compiuta, attraverso una politica urbana ben definita. Nella vallata del Liri le fasi precedenti al 338 a.C. sono contraddistinte dagli scontri con gli Ernici, gli Aurunci e, soprattutto, i Volsci, che dalle vallate del Liri e del Sacco tentavano di penetrare la pianura pontina. I primi, insediati a sud di Praeneste, con i centri di Anagni, Capitulum Hernicum, Alatri, Ferentino e Veroli, dopo gli scontri iniziali rimasero a lungo fedeli alleati dei Romani. Dopo il conflitto a fianco dei Latini nel 380 a.C., terminato l’anno successivo con la sconfitta della Lega, nel 362 gli Ernici subirono una nuova sconfitta e nel 358 a.C. sui loro territori fu creata la tribù Publilia. Nel 306 a.C. la rivolta di Anagni e di altri centri collegati, punita con l’annessione e la civitas sine suffragio, non fu seguita da Ferentino, Alatri e Veroli, che mantennero l’indipendenza.
I Volsci, che ebbero centri a Frusino (Frosinone), Fregellae, Arpinum (Arpino), Sora, Aquinum (Aquino) e Casinum (Cassino), dopo le numerose lotte contro Roma nel corso del V sec. a.C., dovettero nel secolo successivo fronteggiare l’intervento da est dei Sanniti. Nonostante le alleanze con Latini, Campani, Sidicini e Aurunci, essi subirono la sconfitta decisiva nel 338 a.C. Il processo di conquista del territorio volsco si concluse con la seconda guerra sannitica (326-304 a.C.): nel 303 a.C. Arpinum e Frusino sono annessi allo stato romano, a Sora viene dedotta una colonia latina. Da ultimi vennero assoggettati gli Aurunci e sul loro territorio dedotte le colonie latine di Suessa (313 a.C.) e di Interamna Lirenas (312 a.C.). Le trasformazioni economiche e sociali, emerse nei decenni successivi alla guerra annibalica, andarono accentuandosi tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C., favorendo la realizzazione di importanti opere pubbliche e santuari in molte città (ad es., Alatri, Ferentino).
Nel Lazio meridionale, la regione pontina – a sud-est del Latium Vetus, compresa tra i monti Lepini e Ausoni e il mare – nonostante l’esistenza di aree paludose dovette precocemente essere interessata dalla romanizzazione, come sembra indicare la fondazione di colonie latine nel corso del regno dei Tarquini, Signia (Segni) e Circei (Circeo) e in età repubblicana Norba (Norma, 492 a.C.) e Velitrae (494 a.C.), posta ai margini meridionali dei Colli Albani, in rapporto con i centri della pianura pontina. Le numerose guerre con i Volsci, che provocarono l’occupazione della maggior parte delle città della regione, fatta eccezione per Cori (Cora, colonia latina dalla metà del V sec. a.C.) e Norba, si concentrarono su Pometia, Velitrae e Antium. Soltanto dopo la vittoria sui Volsci e con la successiva creazione della tribù Pomptina, nel 359 a.C., i Romani poterono iniziare un effettivo controllo sulla regione. Placata la successiva ribellione latina (341-338 a.C.), alla quale i Volsci diedero un contributo determinante, riprende la fondazione di colonie: rifondata Antium nel 338 a.C., Tarracina nel 329 a.C., quindi Ponza nel 312 a.C., contemporaneamente alla creazione della via Appia, e infine Minturnae (Minturno) nel 295 a.C. Dopo le guerre sannitiche, il periodo tra la fine del II sec. a.C. e l’inizio del successivo è caratterizzato da un’intensa attività edilizia sia all’interno che all’esterno delle città (ricostruzione di santuari; ville maritimae della fascia tra Anzio e Terracina), in relazione con l’arricchimento delle aristocrazie locali. La regione fu interessata dalle vicende della guerra civile: nell’87 a.C. Anzio fu saccheggiata da Mario (App., Bell. civ., I, 69) e uguale sorte toccò presumibilmente a Sezze, mentre Norba fu rasa al suolo (App., Bell. civ., I, 94). Nel corso dell’età giulio-claudia, forse in relazione con il passaggio nel demanio imperiale della fascia costiera, si verifica la ricolonizzazione di alcuni centri (come Velitrae, colonia di età claudia, e Antium, colonia neroniana). Nel settore meridionale del Lazio, entrato nel raggio dell’espansione romana al termine della guerra latina, ottennero la civitas sine suffragio sia Fondi che Formia nel 334 a.C.
Questo settore, appartenente al cosiddetto Latium Vetus e posto al margine nord-orientale del territorio della regione, rivestì a lungo caratteristiche di cerniera tra l’area laziale e quella interna, abitata da genti di ceppo sabellico. Lo collegavano a Roma importanti vie, alcune percorse sin da età preromana, quali la Salaria, la Nomentana, la Tiburtina e la Prenestina.
In particolare Tivoli, insieme a Palestrina centro principale dell’area, ebbe da sempre un particolare ruolo confermato dalla presenza del culto dedicato a Ercole. I rinvenimenti degli ultimi decenni del Novecento hanno permesso di arricchire la carta archeologica della città. Tra le più recenti scoperte si segnalano: i resti di un edificio di età repubblicana in opera quasi reticolata riferibili presumibilmente alle cosiddette Terme di Tivoli; l’ambiente quadrangolare in opera reticolata di tufo con pavimento di opus sectile (I - prima metà del II sec. d.C.) in piazza del Governo; un tratto delle mura in opera quadrata con blocchi parallelepipedi disposti di taglio, appartenenti al circuito repubblicano (via Campitelli). La realizzazione dello scavo della zona sud-orientale e della superficie dell’arena dell’anfiteatro ha contribuito ad accrescerne la conoscenza. L’anfiteatro è in opera mista, con muri curvilinei che ne definiscono i perimetri esterno e interno verso l’arena collegati da setti murari radiali all’ellisse. Un ambulacro di servizio correva al di sotto del podio tutt’intorno all’arena, con la quale comunicava per mezzo di porte e finestre. Gli ingressi principali, a eccezione di quello breve orientale, si trovavano ai vertici dei due assi dell’edificio. Indagini di scavo (complesso occidentale e area meridionale) hanno riguardato anche il celebre santuario di Ercole Vincitore, costruito a breve distanza dalle mura della città, a cavallo della via Tiburtina Valeria che lo attraversava in una monumentale galleria in muratura, e ristrutturato in età repubblicana. Non poche ricerche e approfondimenti hanno riguardato sia i singoli monumenti che l’intero complesso di Villa Adriana: è il caso, ad esempio, del sistema ipogeo del cosiddetto Vestibolo, del Criptoportico e della galleria di servizio delle Grandi Terme. Studi particolareggiati hanno interessato i pavimenti musivi del complesso e l’analisi delle varie fasi costruttive e progettuali. Numerosissimi sono i rinvenimenti di strutture e di materiali mobili (è il caso del frammento dei Fasti Consolari, rinvenuto tra Villa Adriana e la via Maremmana Inferiore) nell’area tiburtina.
La bellezza naturale dei luoghi e la relativa vicinanza a Roma ne facevano, al pari del tuscolano e dei Colli Albani, una delle aree più intensamente popolate: vi ebbero ville, tra gli altri, Metello Numidico (Cic., De orat., 65, 263; 68, 275), Cesare (ps.-Cic., In Sall., 7) e Bruto (Cic., De orat., II, 55, 224; Cluent., 51, 141). Tra i più notevoli resti individuati di recente si segnalano quelli di una villa lungo le propaggini meridionali di colle Lungo, nel territorio di Sant’Angelo Romano; una cisterna rettangolare in opera incerta, riferibile a una villa (II-I sec. a.C.), nel territorio di San Polo dei Cavalieri; una piccola cisterna rettangolare e resti di un sepolcro (a blocchi del tipo a corpo parallelepipedo o a dado) sulle pendici sud di colle Mortal; una grande cisterna a quattro navate in opera cementizia, sul pendio di colle Selva di Risi a sud/sud-est di casale Fraschetti; una cisterna rettangolare a due navate in opera cementizia sul versante sud del colle fra monte Papese e colle Monitola, presumibilmente in funzione di un fundus nel territorio di Castelmadama; sulle pendici di colle Monitola, fra una grande cisterna quadrata, a quattro navate, in opera cementizia, riferibile a una villa; i resti del condotto dell’Aqua Marcia all’altezza del km 53 della via Tiburtina Valeria e ancora a Stazzano Nuovo resti di strutture in opera incerta e una piscina circolare riferibili a una villa. Nuovi dati o riconsiderazioni relativi a monumenti già noti hanno riguardato diversi complessi: tra questi la villa di Quintilio Varo, alle falde del gruppo montuoso dello Sterparo-Lecinone; la villa degli Arcinelli, circa 1 km a sud dell’inizio di via di Pomata; la villa dei Virbii Vari, sulla spianata più alta dei colli di Santo Stefano; la villa cosiddetta di Cinzia, lungo via della Montanara; la villa rustica alle pendici meridionali di colle Colubro.
Se Tivoli costituiva il passaggio obbligato per l’accesso all’area del Latium Vetus, di non minore importanza strategica godeva la città di Palestrina, posta quasi all’ingresso della valle del Sacco-Liri. Il centro è noto per il santuario della Fortuna Primigenia, pervenutoci nella forma monumentale attribuita ormai concordemente alla fine del II sec. a.C. Tra le ville più imponenti, quella di Traiano, in località Altipiani di Arcinazzo sulla via Valeria Sublacense, è stata oggetto di indagini che hanno permesso di conoscerne meglio articolazione planimetrica e caratteristiche costruttive. La villa, databile tra fine I e inizio II sec. d.C., con fase flavia e ristrutturazione traianea, si articola in vaste platee per un’estensione totale di circa 5 ha. La campagna di prospezioni elettromagnetiche realizzata nella platea superiore ne ha restituito la pianta, con ambienti contigui distribuiti intorno a una sala centrale, caratteristica del palatium privato. La maggiore articolazione di questo settore del complesso, che differenziandosi anche progettualmente da quello inferiore (tardo-flavia) sembra riferibile alle innovazioni di età adrianea, ha fatto avanzare l’ipotesi di identificare in Apollodoro di Damasco l’ideatore della villa.
A Vicovaro è stato compiuto uno studio sistematico dei due acquedotti antichi (Aqua Marcia e Aqua Claudia) che attraversano la rupe di San Cosimato. In particolare è stato possibile identificare l’esistenza di un terzo condotto, di poco più basso dell’Aqua Marcia e a essa praticamente parallelo (Aqua Marcia inferior), che proviene da più a monte: presumibilmente il condotto originario, sostituito in epoca imperiale. Non lontano dal moderno paese di Zagarolo è stato riesaminato l’edificio in opera reticolata, sulla sommità di Colle del Pero (il cd. Tondo), già rilevato dal Palladio. La probabile appartenenza di Colle del Pero a possedimenti imperiali già da epoca cesariana e la testimonianza di Tacito di una caserma gladiatoria presso Praeneste inducono a supporre che l’edificio fosse parte di una caserma gladiatoria, posta entro una villa imperiale nel I sec. d.C.
Particolarmente ravvivato nell’ultimo decennio è l’interesse verso quest’area strettamente legata alla vita dell’Urbe e della sua aristocrazia. La via Appia, principale arteria che da Roma ne attraversava l’intero territorio toccando tutti i centri dell’area, costituisce un elemento di forte richiamo per studi e approfondimenti, spesso finalizzati alla musealizzazione del percorso per la cui realizzazione è stato creato il Parco Archeologico dell’Appia antica.
A Tuscolo sono state intraprese ricerche su singoli complessi monumentali. Contrariamente a quanto affermato a partire da L. Canina, la città non presentava in età antica una doppia cerchia di mura, ma una fortificazione distinta della rocca, nel punto in cui questa prospettava l’area urbana, con diverse tecniche edilizie e diverse fasi costruttive (dal V al I sec. a.C.). Della grandiosa costruzione subito fuori la porta occidentale della città è stata confermata la funzione di santuario, già avanzata da Th. Ashby, e proposta una lettura delle fasi edilizie (metà II - I sec. a.C.). Il teatro, situato in uno dei lati minori del foro, è formato da una cavea in parte scavata nel terreno e presenta diversi rifacimenti dopo la costruzione del primo edificio nella prima metà del I sec. a.C. Relativamente al foro, la prima pavimentazione di tufo sembra databile a dopo il III sec. a.C. Importanti contributi si segnalano anche per le ville del Tuscolano. Recenti studi hanno interessato la villa dei Centroni su un diverticolo della via Latina. Approfondite ricerche hanno consentito di recuperare elementi per la ricostruzione delle fasi di vita della villa sita nell’area dove si sviluppò successivamente Frascati.
Ad Albano, la carta archeologica della città si è arricchita di nuovi elementi, a seguito dei rinvenimenti negli ultimi decenni del Novecento. Lavori di consolidamento hanno messo in luce l’area antistante la porta e la parte inferiore delle mura dei castra, permettendo di rilevare come la porta fosse costituita da due o forse tre fornici e da una posterula. Scavi occasionali hanno consentito il rinvenimento dei resti di due cisterne: una riferita alla vicina villa in proprietà Marconi (II e III sec. d.C.); un’altra, in opera reticolata lungo viale Risorgimento, presso villa Ferrajoli. Ugualmente fortuito è il rinvenimento di una stipe votiva databile tra il IV e il II sec. a.C., nel centro della città. Significativa risulta la sua ubicazione, sulle falde occidentali dell’attuale Colle dei Cappuccini, non lontano dall’incrocio della via Appia con l’antica via proveniente da Lavinium. Il riesame di vecchi rinvenimenti (viale Europa, via Vascarelle, via Rossini, via Miramare) riferibili a un unico complesso, presumibilmente realizzato nella tarda repubblica, ha evidenziato una ristrutturazione risalente al III sec. d.C., connessa all’apertura di un nuovo diverticolo che venne a tagliare alcuni ambienti del primitivo impianto, mentre nell’area soprastante (tra via Vascarelle e viale Europa) si sviluppò una necropoli. Presso il fosso di Valle Caia nel territorio albano sono stati recuperati numerosi votivi fittili e frammenti ceramici che devono riferirsi a un luogo di culto di campagna, analogo a quelli vicini di Santa Palomba e Pescarella, inquadrabile tra la fine del IV il II sec. a.C.
Una nuova analisi approfondita dei monumenti di Ariccia e delle aree prossime alla città ha restituito importanti informazioni sulla forma urbana e sull’assetto del territorio. La città, sorta in posizione elevata fin dal periodo compreso tra la fine del IX e l’inizio dell’VIII sec. a.C., dotata di un importante edificio di culto (cd. Capitolium in piazza S. Nicola), presumibilmente nel corso del III sec. a.C. si espande verso valle, come mostra il nuovo recinto in opera quadrata che include il tracciato dell’Appia, con la realizzazione di un’area forense nelle immediate vicinanze dell’antico tempio cosiddetto “di Diana” in Valle Ariccia. Relativamente a Genzano le ricerche hanno interessato resti tipologicamente e cronologicamente differenti: Monte Due Torri, casale S. Martino, Castello di S. Gennaro. È stato indagato il settore dell’impianto termale della cosiddetta “villa degli Antonini”, presso il XVIII miglio della via Appia, dove si rinvennero nel XVIII secolo numerosi ritratti della famiglia imperiale. Di Lanuvio è stato perlustrato l’acquedotto, quasi interamente sotterraneo, che presenta tratti con rivestimento in opera quasi reticolata e più di rado in opera reticolata, oltre che in opera incerta e quadrata. Sulla base della tecnica costruttiva più utilizzata (opera reticolata irregolare) e di un’iscrizione che ricorda un intervento sull’acquedotto (CIL XIV, 2121 = ILS, 5683), se ne è proposta la datazione tra il 62 a.C. e il I sec. d.C. Ricerche hanno riguardato l’ager Lanuvinus, documentando la presenza di tombe e impianti residenziali.
Dissesti statici verificatisi nel centro storico di Castel Gandolfo, che occupa l’estremità ovest della terrazza sulla quale si articolava l’Albanum Caesarum, hanno permesso di rilevare nel sottosuolo numerose cavità, disposte su tre livelli, riferibili a impianti idraulici. Nuovi elementi sono disponibili anche per il santuario di Diana, sulla riva settentrionale del Lago di Nemi. Il santuario, di particolare importanza nell’ambito dei luoghi di culto della regione, fu sede della Lega latina tra il VI e il V sec. a.C., mentre è visibile nell’impianto attribuibile all’età tardorepubblicana con restauri di età imperiale. Le indagini presso l’angolo nord-orientale del tempio hanno messo in luce un secondo recinto realizzato in opera incerta e provvisto di aperture che permettevano l’accesso dal corridoio costituito dal muro a nicchioni e da quello di opera incerta all’antistante colonnato. Del portico con colonne in opera incerta e mista rivestite di intonaco rosso si è rinvenuta la trabeazione dorica di peperino.
Ricerche e scavi hanno interessato i due laghi albani e le aree a essi liminari. Relativamente al Lago di Albano, all’elenco dei porti fornito da G. Lugli e allo scalo rettangolare presso l’area sacra a sud-est del lago si aggiunge quello situato nell’angolo nord. In opera quadrata, lo scalo è costituito da due grandi bracci forniti di tre ormeggi e da una sporgenza a guisa di testata del molo e dalla banchina a terra. Nell’area nord-occidentale del lago (via della Spiaggia del Lago) sono state indagate strutture, alcune di età repubblicana, successivamente inglobate nell’Albanum, e resti della banchina di arginatura. Del ninfeo Bergantino riferito alla villa di Domiziano e di quello Dorico a nord del precedente riferito alla villa di Clodio sono stati rintracciati disegni e incisioni databili al XVII, XVIII e XIX sec. d.C. Preziosi elementi sono disponibili anche per il Lago di Nemi, che ospitava lungo la riva la villa di Caligola.
Nuovo vigore hanno avuto gli studi sull’area veliterna. A Velletri, all’interno della città, uno scavo è stato realizzato nel seminario arcivescovile di S. Clemente rilevando l’esistenza di una stipe votiva di età repubblicana, costituita prevalentemente da votivi e da ceramica a vernice nera. Scavi e ricerche hanno riguardato il territorio: nelle località Colle del Vescovo, sul Monte Artemisio e Ponte della Regina. Delle ville esistenti nel territorio a partire dall’immediato suburbio, sono state prese in esame quella del Mètabo, di Troncavia (dalla quale proviene la Pallade del Louvre), alla Civitana, di Rioli e di San Cesareo, oltre a quella sulla sommità di Monte Secco, e quella compresa tra il fosso di S. Martinella a ovest e quello della Pilara a est (cd. Villa Magna). Della villa alla Civitana, forse quella meglio conservata, a sud del XXIII miglio della via Appia, rimangono i muri perimetrali della cisterna rettangolare, con contrafforti in opera mista, alcune strutture in opera reticolata riferibili ad ambienti connessi con la villa e tratti delle sostruzioni del colle. Di quella di Rioli l’elemento più imponente è costituito da una cisterna rettangolare in opera cementizia. Poco rimane visibile della villa sulla collina di San Cesareo, identificata con quella, ricordata dalle fonti, della gens Octavia.
Nuove indagini di scavo accompagnate da un attento riesame dei dati già noti hanno arricchito la conoscenza di alcuni dei maggiori centri costieri, in particolare modo a Ostia che, posta alla foce del Tevere, costituisce il più antico sbocco a mare della città di Roma. Oltre a una serie di vie trasversali, che dall’interno raggiungevano il litorale (come, ad es., la via di Astura proveniente dall’area dei Colli Albani), la principale arteria costiera è rappresentata ovviamente dalla via consolare per la Campania.
Se il grande rilievo di Ostia in età imperiale ha prodotto numerosi importanti contributi sulla storia del suo sviluppo urbanistico, anche per le fasi antiche si è di recente nuovamente acceso l’interesse, in particolare riguardo l’età della formazione del castrum (la cronologia tradizionale è intorno alla prima metà del IV sec. a.C., ma non mancano datazioni più alte). A Portus le ricerche si sono concentrate sui due grandi complessi di magazzini noti come Traianei e Severiani. Ormai accertata l’unitarietà del progetto magazzini - darsena - bacino esagonale, si sono potuti raccogliere dati sulle modalità di esecuzione e sulle fasi principali della vita del complesso. Per quanto riguarda i Magazzini Traianei, è emerso che la loro costruzione venne effettuata per blocchi modulari, presumibilmente in momenti differenti. Circa i Magazzini Severiani (in realtà di impianto antonino), caratterizzati da una struttura a C, correlata con l’ampio spiazzo per lo scarico delle merci sulla banchina di sinistra del canale d’ingresso al bacino traianeo, sono numerosi i chiarimenti sulle procedure costruttive a partire dall’utilizzo dei piani terreni (in realtà seminterrati) come intercapedini per garantire l’isolamento dei vani dall’umidità.
Saggi realizzati sia all’interno che all’esterno della casa rurale, che insiste sull’area archeologica, hanno fornito preziose indicazioni sulle sottostanti strutture appartenenti al molo costruito a protezione del canale di ingresso al porto esagonale. Nel territorio portuense le ricerche hanno riguardato sia il riesame di monumenti già noti (villa di Plinio a Castel Fusano), sia soprattutto l’analisi di nuovi. In località Quartaccio, presso Ponte Galeria, gli scavi hanno individuato un edificio a pianta rettangolare, orientato nord-sud/est-ovest, identificato in un impianto rurale (fine IV - fine III sec. a.C.), in connessione con il quale vi era un’area sepolcrale, e un tratto dell’acquedotto portuense orientato nord-est/sud-ovest.
Importanti acquisizioni si hanno per la località di Malafede-Fralana (Acilia), dove le ricerche hanno rilevato l’esistenza di una villa rustica databile alla media età imperiale, di un’area di frammenti fittili relativa a un edificio medio repubblicano, di un sepolcreto e di una struttura per la delimitazione di un bacino d’acqua a pianta semi-elissoidale in opera incerta, i quali, originariamente, dovevano fare parte di un unico comprensorio rustico. Nell’ambito delle ricognizioni effettuate nel territorio costiero sono state individuate due linee di acquedotto contigue in località Malafede-Infermeria (Acilia), databili alla prima età imperiale.
A Pratica di Mare le indagini nel settore centrale di Lavinium, compreso nell’impianto esagonale dell’ottocentesca Vigna Nuova, sono concentrate sul complesso di età imperiale, che ha tagliato e distrutto impianti precedenti ed è costituito da vani con fronte su un portico a pilastri e pilastri con semicolonne. L’apertura di un secondo settore di scavo ha consentito di trovare conferma all’ipotesi di R. Lanciani e di G. Tomassetti sulla presenza del foro in quest’area e di definirne l’estensione. Al suo interno gli edifici più importanti sono il tempio (monumentalizzato in età augustea), che doveva occupare una posizione dominante, e il cosiddetto Edificio B, a pianta quadrata, con scala d’accesso sul lato sud-ovest, in opera quadrata di tufo.
Il bacino del Sacco-Liri, intorno a cui gravita l’area grosso modo corrispondente all’attuale provincia di Frosinone, nel settore appenninico della regione, costituì una zona su cui confluirono diverse vie di comunicazione: da quelle relative alle transumanze interne a quelle che mettevano in comunicazione l’Etruria con la Campania. L’asse viario di maggiore importanza, che impegnava i principali centri dell’area (da Artena fino a Venafro), fu la via Latina.
Non poche sono le acquisizioni riguardo a Cassino, a partire dall’acquedotto. È stato inoltre proposto di ubicare il foro della città nell’area a nord di quella centrale, sulla base del rinvenimento di un breve tratto di un’area pavimentata con lastre di calcare bianco. A documentare la fase di riqualificazione urbana dell’antica Casinum, nell’ambito della seconda metà del I sec. a.C., contribuisce anche l’analisi del cosiddetto Ninfeo Ponari. La recente indagine sulla forma urbana di Ferentino ha permesso di verificare la conservazione di ampi tratti delle mura antiche, in diversi punti riprese da rifacimenti medievali e moderni. Le mura, condotte per tratti a rettifilo e fondate dove possibile sulla roccia del monte, sono costruite in opera poligonale (IV maniera, più di rado III maniera) nel tratto inferiore e alzato in opera quadrata di blocchi di travertino. Lungo il percorso si aprono sette porte e alcune posterule. All’interno delle mura, sulla terrazza nella parte superiore dell’abitato (cd. “acropoli”), si conservano i resti del Mercato Coperto, mentre nella zona compresa tra via delle Antiche Terme e via delle Torri di Porta Sanguinaria rimangono cospicui avanzi del teatro. Impianti residenziali sono stati indagati nel territorio, lungo le pendici sud-occidentali di Colle Barano e sul pianoro alle pendici meridionali del Monte di Noé.
A Veroli, posta sulle due cime di San Leucio (a nord) e di Castello (al centro di quella meridionale), rimangono ampi resti delle fortificazioni antiche in opera poligonale, riferite a un’età compresa tra la fine del IV e l’inizio del III sec. a.C., in gran parte ricalcate dalle successive mura medievali; in particolare è stato notato come esse mancassero del tutto sul lato occidentale, naturalmente munito dal precipizio delle rupi. A differenza delle porte limitate alla semplicità della difesa, di tipo sceo, maggiori indicazioni sembra offrire lo scaglionamento sistematico delle posterule ben conservate lungo il percorso più settentrionale delle mura. Resti notevoli, inquadrabili nell’ambito del II sec. a.C., si riferiscono al foro o a edifici che dovevano sostenere altre costruzioni delimitanti la piazza pubblica (area tra il palazzo Comunale, il duomo e il vescovado): il poderoso terrazzamento in opera poligonale che sostruisce l’attuale palazzo comunale, la lunga cisterna che corre da quello alla cattedrale, il muraglione in opera poligonale sottostante il campanile. All’ultima età repubblicana, intorno ai primi decenni del I sec. a.C., deve riferirsi la realizzazione delle mura in opera reticolata che delimitano l’intera collina meridionale sul versante nord-est.
A Frosinone lo scavo dell’area presso il versante collinare (via Roma) ha permesso la scoperta di un quartiere residenziale suburbano, probabilmente sviluppatosi fin da età tardorepubblicana. Di Aquinum è stata realizzata una cartografia archeologica di dettaglio: per quanto riguarda il tracciato delle mura a sud di porta S. Lorenzo, è stato ricostruito un perimetro più ampio e più razionale per le esigenze difensive della città. È stata anche proposta la lettura di una struttura modulare dell’impianto urbano, con isolati più grandi, ulteriormente divisi in fasce più strette, con le ultime due fasce nel settore settentrionale condizionate presumibilmente dalla presenza di un santuario. Secondo ipotesi recenti, in corrispondenza dell’incrocio tra il tratto urbano della via Latina e l’asse stradale principale nord-ovest/sud-est potrebbe essere ubicato il foro.
Benché insalubre e tendenzialmente paludosa, l’area della pianura conobbe un intenso sviluppo e un’occupazione, soprattutto agricola, protratta nei secoli. L’attivazione nel 312 a.C. del percorso della via Appia prossimo alla costa accrebbe l’importanza dei centri costieri (Anzio, Terracina), accelerando il processo di romanizzazione dell’area e portando a un progressivo isolamento gli antichi centri arroccati sui Monti Lepini (Norba, Cora, Privernum e Setia).
Indagini di scavo sono state intraprese nell’area urbana settentrionale di Privernum, nella quale in passato erano stati parzialmente scavati i resti di una domus repubblicana (Domus dell’Emblema Figurato), di un edificio termale di età imperiale e di un tratto delle mura. Accanto alla domus, della quale sono stati scavati l’ingresso, un settore del peristilio e altri ambienti, sono stati evidenziati la strada di accesso a essa, i resti di un’abitazione signorile (Domus della Soglia Nilotica) e un tratto delle mura. Per queste ultime sono emerse indicazioni significative sia per la tecnica costruttiva (opera incerta di pietra locale) sia per la definizione del complesso difensivo. A Cori è stato studiato il circuito delle mura, delle quali si conservano parti dell’originario perimetro in opera poligonale (di I maniera), e di alcuni ammodernamenti e restauri nella medesima tecnica (di III maniera), compreso un bastione di protezione a uno degli accessi (Porta Romana) e quindi di ulteriori risarciture nonché delle torri in opera incerta.
Dell’impianto urbano di Segni sono stati oggetto d’indagine i resti delle mura e del criptoportico, mentre nell’area extraurbana si è posta attenzione al settore meridionale. Il criptoportico, che doveva sostruire una platea occupata da giardini prospettante sul principale asse stradale, è costituito da due bracci a doppia navata realizzati in opera reticolata di calcare, in alcuni punti tendente al quasi reticolato. Sulla scorta dell’iscrizione (CIL X, 5971 = CIL I2, 1505) che ricorda il dono de sua pequnia da parte dei IIIIviri iure dicundo C. Volumnio Flacco e Q. Volumnio Marso della cruptam, del locum ubi crupta est e di una aream ubi viridia sunt, il complesso è stato datato agli ultimi anni della repubblica - prima età augustea. Il recupero di dediche a Ercole, databili tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C., ha suggerito di concentrare le ricerche nel settore meridionale del suburbio di Segni. In questa zona è ancora oggi visibile un complesso di strutture che sembrano testimoniare la presenza di un’area pubblica suburbana attrezzata, legata al tempio di Ercole.
Del circuito orientale delle mura di Sezze, di età mediorepubblicana e inglobato da quello medievale, rimangono tratti realizzati in opera poligonale di II maniera (a parte due in I maniera), una porta a nord-est e una posterula sul versante meridionale. Di quello occidentale, tardorepubblicano, rimangono resti di notevoli dimensioni in opera poligonale di III e IV maniera e in opera incerta, con un’unica porta di accesso a una via tecta. A Norba le mura che delimitano la città, con un percorso condizionato dall’esigenza di utilizzare al meglio le difese naturali, sono realizzate con grandi blocchi calcarei a secco e montati a costituire terrazzamento terragno alle spalle; non di rado si fondano direttamente sulla roccia viva del monte. I tratti più imponenti (settori settentrionale, orientale compresa porta Maggiore, gran parte di quello nord, a nord-ovest e a sud-est della torre detta La Loggia, nella torre stessa, a sud-est dell’acropoli Minore e al centro del lato nord-ovest) sono in perfetta opera poligonale (III-IV maniera), databili a partire dalla prima metà del III sec. a.C. In una tecnica più rozza (I maniera) sono invece altri pochi tratti (settori sud-orientale, meridionale e sud-occidentale), riferibili alla prima metà o seconda metà del IV sec. a.C. Forse a una tecnica ancora differente (II-III maniera) devono riferirsi le mura sui punzoni rocciosi meridionali, con datazione intermedia tra quelle delle due fasi principali.
Lungo l’asse viario che attraversava la città da est a ovest sono stati indagati i resti di un grandioso complesso costituito da un’articolata serie di vani e sul lato a monte da un vastissimo bacino a pianta ovale. L’analisi di dettaglio ne ha stabilito una datazione a partire dal terzo decennio del II sec. a.C. (o al più tardi nei primi anni del I sec. a.C.) e l’identificazione con un edificio termale. Delle due acropoli che caratterizzavano la città sono stati analizzati i resti dell’acropoli Maggiore, la balza che delimitava da nord l’abitato. Del tempio di Diana rimangono un nucleo in opera cementizia di calcare con avanzi di paramento in opera incerta, a pianta rettangolare con unica cella e profondo pronao: è possibile la ricostruzione di un tempio tetrastilo, con il pronao parzialmente chiuso da lunghe ante, di cronologia inquadrabile tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. Oltre alle caratteristiche dimensionali e costruttive della piazza, che era costituita da un terrazzo rettangolare cinto da portici dietro e sui due lati del tempio, è stata osservata la piazza quadrata, posta a occidente del recinto porticato del tempio, avanzando l’ipotesi che potesse trattarsi di un’area consacrata.
A Terracina è stato ispezionato l’acquedotto utilizzato nella media età imperiale che, con un percorso di circa 63 km dalla località Fontanelle a nord-est di Amaseno e con un tracciato perlopiù sotterraneo, terminava nel castellum aquae presso la città alta. Anche per quanto riguarda Circei gli studi più recenti riguardano l’acquedotto sotterraneo, ancora in parte conservato, e nel territorio è stata riesaminata la cosiddetta “villa dei Quattro Venti”, sulla propaggine nord-orientale del Monte Circeo, lungo il pendio tra le località San Rocco e “il Morrone”. Relativamente a Formia, oltre ai numerosi elementi architettonici conservati o variamente riutilizzati, sono state indagate alcune delle numerose villae maritimae, tra cui quella sul promontorio di Gianola e quella cosiddetta “di Cicerone”. Nuove indagini hanno interessato anche, lungo il litorale di Sperlonga, la villa Prato e quella di Tiberio. In particolare la prima, situata a qualche centinaio di metri dal mare, viene realizzata nella seconda metà del II sec. a.C. e abbandonata verso la metà del I sec. a.C. Delle due terrazze nelle quali si articola, la prima comprende un giardino, la seconda, elevata su un podio con cisterne, è suddivisa in due parti: una agricola, organizzata attorno a una corte e a due torchi, e un’altra residenziale, riccamente decorata.
Notevolmente accresciute sono le conoscenze sull’arcipelago delle isole pontine, specialmente per quanto riguarda Ponza e Ventotene, a seguito di ricerche e scavi, in alcuni casi grazie anche all’impulso dato di recente dall’archeologia subacquea. A Ventotene sono stati indagati i resti della villa (alla quale appartengono i frammenti di lastre Campana e per la cui datazione si oscilla tra i primissimi anni del regno di Augusto e il primo trentennio del I sec. d.C.) e le infrastrutture che, almeno a partire dal 2 a.C. (anno nel quale vi fu relegata Giulia, la figlia di Augusto), ne resero possibile la trasformazione in residenza per accogliere esiliati di rango imperiale, quali il porto artificiale e il sistema di raccolta e distribuzione delle acque. Per la realizzazione di quest’ultimo articolato sistema, in mancanza di una fonte sorgiva, si fece ricorso a cisterne, per lo più a cielo aperto, nel padiglione principale della villa a Punta Eolo e, soprattutto, a due enormi serbatoi scavati nel banco tufaceo. Da queste due cisterne si diramavano i condotti che raggiungevano con un primo ramo cala Rossano, da dove l’acquedotto arrivava al bacino portuale; con un secondo, il promontorio di Punta Eolo, dove si trovavano gli ambienti termali della villa; un terzo condotto raggiungeva il padiglione con peschiera e il sovrastante solarium della villa.
A Ponza le ricerche più recenti hanno riguardato il porto romano, databile a partire dall’età augustea, e il complesso noto come Grotte di Pilato. Del porto antico che si trova nell’insenatura dove è ubicato il porto moderno, e in particolare del molo antico, coincidente con l’attuale molo Mario Musco, sono stati rintracciati sia documenti di archivio che resti. Del molo è stato osservato un tratto, probabilmente quello terminale, di conglomerato cementizio con cortina in opera reticolata di tufelli. L’analisi di dettaglio degli ambienti scavati alla base del promontorio di Punta della Madonna (Grotte di Pilato) ha infine permesso di rilevare il loro ruolo prioritario di grotte-ninfeo con allestimento tricliniare.
L’area laziale, caratterizzata da una fitta rete viaria non solo interregionale ma anche locale, offre notevoli spunti alla ricerca in questo ambito specifico. Numerosi sono infatti gli studi avviati sulla viabilità della regione volti non solo alla ricostruzione dei tracciati, attraverso l’analisi sia dei resti ancora visibili, sia di quelli documentati in passato e riferibili direttamente a essi o topograficamente liminari, ma anche all’analisi delle infrastrutture connesse al passaggio delle vie (sostruzioni, stationes e ponti soprattutto). I frequenti scavi (particolarmente numerosi nel suburbio di Roma, dove scoperte di estrema importanza si sono avute, ad es., per le vie Tiburtina, Ardeatina, Portuense e soprattutto per la via Latina, all’altezza di Tor Fiscale) hanno non di rado permesso di rilevare la presenza di viabilità secondarie e anche di accrescere la conoscenza delle grandi arterie.
Un numero cospicuo di ricerche e studi ha interessato la via Appia nel rettifilo che, partendo subito al di là della valle dell’Almone, fuori porta S. Sebastiano, attraverso i Colli Albani, passando per la distesa acquitrinosa della pianura pontina, termina sotto la rupe di Leano. Oltre a essere stato esaminato il progetto di tracciato, sono state analizzate le caratteristiche struttive desumendo, ad esempio, che nel tratto fino alla base dei Colli Albani la larghezza della sede carrabile lastricata risulta di 4,1 m, con marciapiedi comunemente di 3,1 m per parte. Per quanto riguarda il tratto che percorre i Colli Albani, importanti acquisizioni si hanno per quello da Ariccia a Velletri. Qui infatti l’analisi dei resti visibili, integrata dalla ricognizione archivistica su quanto andato perduto, ha permesso una migliore conoscenza del viadotto di Collepardo e del tratto di strada immediatamente a nord e a sud di esso. Nel tratto veliterno dell’Appia sono stati analizzati diversi ponti. La ricognizione dei terreni limitrofi ha inoltre arricchito le conoscenze sia sulla presenza di impianti residenziali nelle immediate vicinanze dell’arteria consolare, sia sul rapporto tra questa e alcune viabilità locali minori.
Scavi sono stati intrapresi nel tratto compreso tra il confine con il comune di Roma e via delle Capanne di Marino e, più recentemente, in quello attraverso le gole di Itri, tra Fondi e Formia. Nel primo caso il sondaggio, all’altezza del sepolcro che si trova a Santa Maria delle Mole, ha verificato la larghezza della strada (4,2 m) e quella dei marciapiedi, anch’essi basolati (3,5 m), e la presenza sul lato orientale di almeno cinque sepolcri e di altri due su quello opposto. Nel caso del tratto attraverso la gola di Itri si è verificato che la strada, condotta per tratti a rettifilo, incisa a gradino sulla scarpata del monte e terrazzata verso valle, presenta una larghezza complessiva di 7,5/9 m. La sede carrabile misura presumibilmente 4,1 m in larghezza, mentre i marciapiedi oscillano tra 1,1 m e, soprattutto, 2,2 m. I terrazzamenti sul lato verso valle, riferiti nell’ambito del II sec. a.C. o alla prima metà del successivo, sono in opera quadrata.
Sul margine destro della S.S. 7 Appia, all’altezza del km 58,100, è stato scoperto un asse stradale secondario perpendicolare all’Appia e i resti di alcuni edifici. La strada, costituita da basoli di calcare e solo più raramente di selce, presenta una larghezza ridotta (2,2 m ca.): a circa metà della parte scoperta si trova un piccolo slargo, utile probabilmente alla manovra e alla sosta dei carri. Ricerche specifiche hanno interessato il cosiddetto Ponte Diritto databile al IV se. a.C., sulla via Appia nelle vicinanze del ben più noto Ponte Maggiore.
Tra le strutture liminari alle vie, particolare attenzione è rivolta anche all’analisi dei diversi monumenti funerari. Numerosi ovviamente quelli lungo l’Appia, anche recentemente analizzati: è il caso di quello al XIII miglio, del quale si conservano camera funeraria e due piani, esternamente a pianta quadrata, realizzato in opera cementizia; di quello cosiddetto “degli Orazi e Curiazi” nel territorio di Albano, costituito da un alto basamento a pianta quadrata sopra al quale sono quattro torrioni tronco-conici in corrispondenza degli angoli e un quinto, di dimensioni maggiori, al centro; di quello, a pianta quadrata, in opera laterizia posto lungo il tratto in discesa che uscendo dal territorio di Albano si dirige verso il centro di Ariccia; di quelli posti immediatamente prima e lungo il viadotto di Collepardo, i quali presentano differenze sostanziali sia relativamente alle caratteristiche costruttive che planimetriche; di quello nel territorio di Cisterna di Latina. Al monumento funerario alla posta di Mesa, al km 85,300 della via Appia, che occupa lo stesso luogo della mansio Ad Medias, studi compiuti di recente hanno riferito l’iscrizione di Clesip(us) Geganius (CIL III, 1004 = X, 6488 = ILLRP, 696).
Per la via Setina, uno studio particolareggiato è stato dedicato ai cosiddetti Archi di S. Lidano. Del ponte in opera quadrata di calcare, che permetteva alla strada che si dipartiva poco oltre il XLI della via Appia il superamento di un corso d’acqua, si conservano due delle tre arcate originarie. Sulla base delle caratteristiche tecniche e degli elementi forniti dall’analisi delle fonti storiche e archivistiche la datazione si è orientata al II sec. a.C. Novità sono emerse anche per quanto riguarda le vie Portuense e Ostiense. Si è rinvenuto un tratto della via Portuense, che va ad aggiungersi a quello individuato in precedenza tra il lato sinistro della moderna via Portuense e il fiume. Il tratto di carreggiata individuato (larghezza 5,15 m), compreso tra due muri di contenimento, offre un contributo decisivo alla definizione del suo percorso tra la località di Ponte Galeria e Porto.
Relativamente alla via Ostiense sono stati esaminati alcuni ponti che dovevano caratterizzare il suo percorso. È il caso del ponte sul fosso dell’Almone, altrimenti detto dell’Acquataccio o della Moletta; del ponticello sul fosso di Grotta Perfetta o ponticello di S. Paolo, immediatamente prima del bivio dell’Ostiense con l’attuale via Laurentina, riferito a età augustea; del ponte Fratta sul fosso delle Tre Fontane; del ponte di Mezzocamino sul fosso di Spinaceto, riferito a età augustea; del Ponte Lungo sul fosso del Fontanile; del ponticello dei Monti di S. Paolo, riferito ai primi decenni del II sec. a.C. (tutti a una sola arcata); del ponte di Malafede o del Risaro (a due archi), riferito a età sillana; del ponte Ladrone o della Rifolta (a 11 archi scanditi da contrafforti), riferito al 174 a.C. e del viadotto delle Saline, riferito a età sillana. A questi vanno poi aggiunti il viadotto di Guardapasso riferito ai primi decenni del II sec. a.C. e il ponte di Tor di Valle o della Valchetta o dell’Arca, l’unico ancora visibile, riferito a età sillana.
Nuovi dati sono disponibili anche per Tivoli (clivus Tiburtinus) e la Valle dell’Aniene (via Tiburtina). L’analisi del clivus Tiburtinus, la viabilità che sottopassando in galleria il santuario di Ercole Vincitore saliva per il pendio servendosi di sostruzioni a valle e a monte correva in quota, ha portato a supporre che la sua costruzione sia legata non soltanto alla costruzione o meglio all’ampliamento del santuario ma alla sistemazione urbana generale della fine della repubblica. I lavori di cava per l’estrazione del travertino, sezionando ulteriormente un tratto della via Tiburtina, a nord-est del casale del Barco hanno permesso alcune puntualizzazioni dimensionali e tecniche a partire dalla larghezza complessiva, alla sostruzione sud, in blocchi di diverse dimensioni e fondata su una struttura in opera cementizia.
Tra le viabilità minori è stata tentata la ricostruzione della via Herculanea, che staccandosi da Interamna Lirenas, corrispondente all’attuale Pignataro Interamna, raggiungeva la via Appia al km 34,5, presso il ponte S. Croce: da qui la strada da un lato si diramava verso Minturnae e dall’altro verso Formiae. In qualche modo connessa alla viabilità è una serie di opere realizzate nell’area dei Colli Albani e nel settore meridionale della regione, sulla cui funzione di regolazione dei corsi d’acqua secondari e di bonifica non sussistono dubbi: da un lato il sistema di cunicoli, rintracciati nel territorio tra Velletri e Cisterna per la cui datazione, oltre che per il suo rapporto con il tracciato della via Appia, si oscilla tra l’età arcaica e gli anni successivi al 338 a.C. in connessione con l’invio di nuovi coloni; dall’altro la cosiddetta “fossa neroniana”, il canale navigabile che dalle foci del Tevere, raggiungeva il Golfo di Pozzuoli, collegandosi quindi all’interno del settore campano della regione.
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