L'Italia romana delle Regiones. Regio I Latium et Campania. Sviluppi dell'indagine archeologica in Campania
L’ultimo decennio ha visto il dispiegarsi di un’intensa attività archeologica su tutta l’area corrispondente alla regio I (Campania) di epoca augustea, solo in parte coincidente con gli attuali limiti regionali, in anni di costante impegno sul territorio, indagato con un crescente ricorso alle nuove tecnologie e con una rinnovata attenzione a tutte le fasi cronologiche attestate. Le modifiche intervenute negli organi periferici dell’Amministrazione Centrale, poi, hanno visto l’esaurirsi del compito della Soprintendenza Generale agli Interventi Post-sismici in Campania e Basilicata e la progressiva ridefinizione dei rapporti fra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali con la creazione della Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali, mentre la Soprintendenza Archeologica di Pompei acquisiva una peculiare autonomia organizzativa, finanziaria, amministrativa e scientifica.
Negli ultimi anni hanno avuto particolare impulso le problematiche dell’assetto del territorio, interesse in parte legato alla sempre maggiore richiesta di carte archeologiche, dovuta alle necessità della programmazione degli interventi di ampliamento e ammodernamento dei tessuti urbani e alla realizzazione delle grandi opere pubbliche, e in parte legato all’esigenza di una più puntuale gestione e valorizzazione del territorio e delle sue risorse culturali. I numerosi cantieri di scavo aperti per gli interventi preventivi alla realizzazione di opere come il raddoppio del gasdotto transmediterraneo, la linea del treno ad alta velocità Roma-Napoli, le opere della grande viabilità come l’ampliamento dell’autostrada A3 Salerno/Reggio Calabria, gli interventi nei centri urbani resisi necessari per la cablatura di Napoli o per le metropolitane di Napoli e di Salerno, hanno modificato lo stato dell’archeologia campana non solo con un accrescimento della documentazione disponibile, ma anche con un rinnovamento delle figure professionali coinvolte. In questo contesto, gli interventi delle Soprintendenze hanno potuto assumere caratteri di sistematicità nella misura in cui sono stati inseriti nelle norme di pianificazione urbanistica e territoriale o sono stati stipulati accordi con le singole amministrazioni comunali.
Le necessità di garantire gli interventi di emergenza, poi, non hanno coartato le possibilità di intervento scientifico e di programmazione pluriennale, grazie a una serie di collaborazioni attivate tra le Soprintendenze e le principali istituzioni di ricerca della Campania. In questo panorama l’esperienza più notevole è stata offerta dagli interventi sul sito di Cuma, condotti a partire dal 1994 nell’ambito del Progetto Kyme dall’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, dall’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e dal Centre Jean Bérard. Vanno ricordate, inoltre, le indagini condotte a Calatia, nel territorio di Maddaloni, in collaborazione con la Seconda Università di Napoli, con cui è stato attivato anche un programma di ricerca per Forum Popili, presso Carinola, e le quattro campagne svolte tra il 1999 ed il 2002 a Suessula, tra i territori di Acerra e di San Felice a Cancello, con un progetto nato da una collaborazione con l’Università degli Studi di Salerno; in collaborazione con l’Università Statale di Tokyo, inoltre, è in corso lo scavo della villa di Starza della Regina, presso Somma Vesuviana. Le esigenze della valorizzazione e della pubblica fruizione dei Beni Archeologici sono state affrontate con una capillare diffusione del sistema museale nella regione, collegando così la catalogazione e lo studio dei rinvenimenti dai diversi comprensori con la presentazione al pubblico dei materiali.
All’ultimo quarto del V sec. a.C. la tradizione letteraria fa risalire la cosiddetta “sannitizzazione” della Campania, con la presa di Capua nel 423 e di Cuma nel 421 a.C. La situazione etnico-politica della regione in quest’epoca viene registrata nella tradizione storica confluita nel Periplo dello Pseudo-Scilace (Per., 11), databile quanto meno alla prima metà del IV sec. a.C., ma forse anche risalente alla fine del V sec. a.C., che descrive il succedersi lungo la costa di Campani e Sanniti, in cui la distinzione in due grandi comprensori situa i primi nel Golfo di Napoli e nell’ager Campanus e i Sanniti tra il promontorio di Sorrento e il fiume Sele, nell’ager Picentinus. Tuttavia, al quadro tradizionale impostato su una ricostruzione della sannitizzazione come un atto violento di invasione, la critica recente tende ad affiancare un’interpretazione più sfumata, dove l’emergere di entità territoriali e politiche organizzate su base etnica riflette il grado di maturazione e di autonomia raggiunto dalle comunità indigene campane alla fine del V sec. a.C., al termine di un lungo processo di sviluppo che si era avviato in età arcaica. Del resto molti dei presupposti interpretativi correntemente accettati sono stati ridiscussi in anni recenti, in particolare per quanto attiene alla stessa articolazione politico-territoriale, con i dubbi espressi sulla reale esistenza e cronologia di un’entità definibile come “lega nucerina”, ipotizzata per la prima volta da J. Beloch, e con la sostanziale critica di tutta la tradizione di studi storico archeologici che, a partire dall’Ottocento, riconosceva nel pagus una forma di organizzazione del territorio tradizionale per le popolazioni sannitiche.
Le indagini archeologiche condotte nell’ultimo decennio hanno arricchito molto il quadro delle conoscenze, mettendo in evidenza, in particolare, le diverse forme di occupazione del territorio nel corso del IV sec. a.C., segnalate dalle tante piccole necropoli diffuse nelle campagne e dai santuari rurali, nonché dalle forme di partizione agraria riconoscibili per quest’epoca, mentre nel contempo i centri urbani andavano modificandosi nelle strutture urbanistiche e dotandosi di cinte fortificate. A Napoli le numerose indagini condotte nel centro storico hanno permesso di acquisire un rilevante numero di dati sulle vicende urbanistiche della città. In tal modo sono state raggiunte nuove acquisizioni sulle fortificazioni, con saggi condotti in più punti della cinta muraria, che ne hanno evidenziato le successive fasi. Inoltre, sono stati ampliati i dati sulle produzioni napoletane con la scoperta nell’area di San Marcellino di fosse e pozzi connessi alla frequentazione di III sec. a.C., legata all’utilizzo della zona come quartiere artigianale per la produzione di ceramica a vernice nera del tipo Campana A, mentre nel territorio d’influenza neapolitana, a Mugnano di Napoli, è stata esplorata una necropoli di IV-III sec. a.C.
Nuovi dati sono stati acquisiti per Rufrae, già identificata presso Presenzano, con la localizzazione dell’acropoli nell’area del castello medievale, ai cui piedi sono stati rinvenuti i resti di un santuario, frequentato dal VI al III sec. a.C., e di una necropoli databile dalla prima metà del VI fino al IV sec. a.C. Anche presso Teano le nuove acquisizioni hanno riguardato un’area sacra, con lo scavo di una fossa votiva con materiali di IV sec. a.C. in località Masseria Cellarone, e le necropoli, con le sepolture di IV sec. a.C. in località Carrano-Masseria Ilei, quelle in località Settequerce di Teano, e soprattutto la necropoli di Orto Ceraso, a sud-ovest di Teano, dove lungo una strada di terra battuta con margines lapidei sono state rinvenute sepolture a fossa o a cassa di tufo con nicchie laterali per il corredo, databili tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. Nel comprensorio caleno è stata indagata la necropoli in località Il Migliario, mentre a Cales le nuove ricerche hanno evidenziato la presenza di un’area sacra, indicata da una stipe votiva, in una zona dove successivamente si estendono alcune strutture della colonia latina, ed è stato scavato il santuario presso il Ponte delle Monache, evidenziando parte del probabile muro del temenos, con all’interno un edificio e un pozzo ricolmo di votivi fittili, che datano la frequentazione dell’area sacra tra il IV e il II sec. a.C.; un’ulteriore area sacra databile all’età ellenistica è stata inoltre rinvenuta lungo il tracciato della via Appia, tra Cales e Capua, in località Nunziatella di Pastorano.
A Capua la fase urbana di epoca sannitica è stata almeno in parte chiarita dallo scavo in proprietà Merola, i cui dati sono correlabili a quelli già noti dell’alveo Marotta, evidenziando una rioccupazione dell’area posta in questo settore nord-orientale della città intorno alla metà del IV sec. a.C., con due settori nettamente distinti: nella parte che ricadeva ormai al di fuori della cinta muraria si venne sovrapponendo alle strutture arcaiche la necropoli sannitica, mentre all’interno delle mura si sviluppava l’abitato, riconosciuto in alcuni tronconi di muri di blocchi di tufo allineati su una strada in terra, dove la vocazione artigianale della zona sembra testimoniata da un lembo di piano di calpestio di una officina di bronzisti, databile fra la fine del II e il I sec. a.C., e da numerosi frammenti di forme di fusione. Sono stati condotti nuovi scavi anche nella necropoli di San Prisco, dove sono state rinvenute alcune tombe a cassa e una a camera, tutte databili fra IV e III sec. a.C. Presso San Felice a Cancello sono emersi sul Monte Sant’Angelo Palomba resti di una cinta fortificata e tracce di un insediamento con un’area pubblica, il cui abbandono appare ascrivibile a poco dopo il IV sec. a.C. Ad Acerra gli anni tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C. vedono l’inserimento della città nell’orbita di Roma come civitas sine suffragio, nel 332, segnando una svolta rispetto al precedente modello insediativo multifocale, con l’urbanizzazione del centro e la costruzione di una cinta muraria di blocchi di tufo a doppia cortina, e una necropoli contemporanea localizzata a nord-ovest del centro storico. I nuovi interventi si riflettono anche sul territorio, con l’obliterazione di alcuni vecchi fossati da parte di sepolture riferibili a fattorie, marcando così il definitivo abbandono del precedente sistema di partizione agraria, ma anche con il parziale ripristino di un fossato in rapporto alla persistenza di un impianto stradale abbandonato solo nel corso del I sec. a.C. La diffusione degli insediamenti sul territorio fra IV e III sec. a.C. emerge anche nel Nolano, con la scoperta di una piccola necropoli a Palma Campania, in località Pirucchi. Inoltre, nell’area della collina della Vigna presso San Paolo Belsito è stato individuato un santuario campestre, la cui frequentazione risale alla seconda metà del IV sec. a.C., con una fase di monumentalizzazione nella prima metà del III secolo, come risulta da alcuni frammenti di sculture fittili di grandi dimensioni, e con le ultime fasi di vita tra il periodo ellenistico e il II sec. a.C. Un’ulteriore area sacra, databile al IV sec. a.C. e distrutta probabilmente nel corso della guerra sociale, è stata documentata a Cimitile.
Nell’alta valle del Sabato, territorio degli Abellinates e poi di Abellinum, lungo una direttrice fluviale che costituiva un’importante via di comunicazione fra il Beneventano e il Salernitano, nel corso del IV sec. a.C. si moltiplicano le testimonianze di occupazione stabile di alcune aree collinari poste a controllo di importanti nodi della viabilità naturale e della piana sottostante. La presenza sannitica lungo le due rive del Sabato è documentata da sepolture databili fra il pieno IV e gli inizi del III sec. a.C., rinvenute a Santo Stefano del Sole, Serino e Cesinali, documentando l’organizzazione del paesaggio rurale con piccoli insediamenti a carattere vicano e fattorie. A partire dal III secolo, a fronte di un calo di presenze archeologiche sul territorio, si registra lo sviluppo della collina della Civita di Atripalda, che in questo sistema doveva rivestire una funzione privilegiata, come suggerisce la costruzione delle mura di difesa in opera quadrata; esse racchiudevano al loro interno un’area sacra, che fungeva da centro di aggregazione e di mercato di un sito posto alla confluenza del torrente Rigatore con il Sabato, con un processo di urbanizzazione che va accentuandosi anche nel corso del secolo successivo, con la presenza della colonizzazione graccana, epoca in cui si diffondono le ville rustiche, e a cui vengono riferite le tracce di centuriazione riconosciute nell’agro di San Michele di Serino, con un modulo ricorrente di 13 actus. Alle trasformazioni di quest’epoca riconduce anche il santuario presso Aiello del Sabato, in località Cresta del Telegrafo, che ha restituito ricchi depositi votivi, forse un santuario di confine posto allo sbocco del territorio degli Abellinates, abbandonato repentinamente tra la fine del III e i primi decenni del II sec. a.C.
Nuovi seppur limitati dati per quest’epoca vengono anche dal territorio nocerino dove presso il torrente Casarzano è parzialmente emerso un edificio in uso nella seconda metà del IV sec. a.C., successivamente obliterato da un battuto stradale rimasto in uso almeno fino al II sec. a.C. Nella Penisola Sorrentina un insediamento a probabile carattere vicano è stato rinvenuto presso Piano di Sorrento, in località Trinità San Massimo, restituendo diverse strutture la cui prima frequentazione sembra inquadrabile fra il V e il IV sec. a.C. e una necropoli contemporanea.
Anche nell’agro picentino il corso del IV secolo segna il mutamento delle forme di occupazione del territorio, con una diffusione di quei piccoli insediamenti che segnalano le trasformazioni sociali ed economiche del periodo, posti in posizioni favorevoli al controllo delle direttrici di traffico e di collegamento, trovando nel centro di Fratte, con la sua area santuariale, il coagulo per l’intero territorio. In seguito, con il progredire dell’influenza romana, questi insediamenti agricoli scompaiono mentre l’abitato di Fratte si andava trasformando, assumendo a partire dagli inizi del III sec. a.C. caratteristiche urbane. In questo quadro si inserisce la documentazione della fase di IV sec. a.C. di un santuario ai margini dell’abitato di Pontecagnano, costituito da un piccolo edificio, tre pozzi e una piccola stipe votiva.
A partire dall’ultimo trentennio del IV sec. a.C. Roma aveva stretto legami con il territorio campano e le sue aristocrazie attraverso la concessione della civitas sine suffragio per Capua, Cuma, Acerra, l’alleanza con Napoli e la costruzione della via Appia. Tuttavia, solo nel periodo successivo alla seconda guerra punica e fino alla guerra sociale il territorio campano poté svilupparsi con una certa sicurezza, senza devastazioni belliche, sia pur pesantemente condizionato dall’egemonia romana, la cui ingerenza poteva manifestarsi con continue acquisizioni territoriali, come nel caso riferito da Cicerone (Off., I, 33) dell’arbitrato sui confini fra Napoli e Nola, o con l’appalto di opere pubbliche in molte città, fra cui la campana Calatia, da parte dei censori del 174 (Liv., XLI, 27, 10-13). Nei suoi differenti comprensori quest’epoca andava segnando importanti trasformazioni per la Campania, su cui contribuiscono a gettar luce le indagini dell’ultimo decennio. Le città, sempre più accuratamente indagate, evidenziano le modificazioni del fenomeno urbano, quando la regione costiera fu investita dalle nuove colonie, con i centri di Volturno, Literno, Pozzuoli e Salerno, mentre nei centri già urbanizzati dell’interno cominciavano a delinearsi modificazioni urbanistiche e architettoniche sintomatiche di quei mutamenti economici e sociali che caratterizzano tutto l’arco del II secolo.
Inoltre, le ultime acquisizioni hanno permesso di confermare e di meglio chiarire soprattutto le dinamiche del rapporto con il territorio, dove le campagne venivano bonificate e irrigate con cisterne e infrastrutture idrauliche, testimoniate tra l’altro nei territori teanese, caleno e campano, mentre il territorio nel suo complesso veniva riorganizzato con grandi centuriazioni, talora imperniate anche su assi stradali preesistenti, come nell’agro etrusco-campano e in quello flegreo. Andava sviluppandosi un reticolo commerciale, con la costruzione delle grandi arterie delle vie Appia e Latina, con numerose strade minori e diverticoli, intersecantesi con le vie d’acqua, dove nel tempo venivano creati approdi funzionali al trasporto delle derrate sino agli sbocchi al mare, di cui un più tardo esempio potrebbe essere quello vicino al Volturno, a Orcoli presso Dugenta, dove sono stati documentati diversi resti di epoca romana fra cui un grande deposito di anfore; questi punti d’imbarco si accompagnano spesso, come a Raviscanina, Prata Sannita, Giano Vetusto, Treglia di Pontelatone e Capua, a fornaci e impianti per la fabbricazione di anfore destinate a contenere l’olio e il vino, prodotti di coltivazioni intensive a partire dalla media età repubblicana e sino agli inizi di quella imperiale. Lo sfruttamento agricolo del territorio appare imperniato su di un sistema di ville rusticoresidenziali, talvolta dotate di un elegante settore di rappresentanza, oltre che degli impianti produttivi, cui spesso si aggiungono fornaci per produzioni laterizie o ceramiche, come nel caso di Sparanise. Nel nuovo assetto territoriale rientrano anche santuari legati alla centuriazione, come quello di Gricignano, o insediamenti organizzati, come quello di Mignano Montelungo e la statio ad Novas presso Santa Maria a Vico.
Del resto, l’intenso sfruttamento dei terreni agricoli campani, di proverbiale feracità, veniva sancito anche letterariamente dal De agri cultura di Catone, dove si ritrovano indicazioni sulle produzioni artigianali dei centri campani: Cales e Minturno per cappucci e strumenti in ferro; Capua e Nola per le anfore e per il vasellame metallico; per i carri e le fiscinae Sessa Aurunca; per i frantoi Pompei, Nola e la Rufri maceria; per le funi di nuovo Capua; per tegole, pale e funi per torchi Venafrum (Cato, Agr., 135, 1-3). Fra le ceramiche a quest’epoca dominava i mercati del Mediterraneo occidentale la Campana A, di produzione napoletana, segno della floridezza di quel porto, mentre andavano allora sviluppandosi le potenzialità di Pozzuoli, colonia dal 194 a.C. Proprio i commerci transmarini segnavano un ulteriore momento di sviluppo per l’economia della regione e di evoluzione sociale delle gentes campane impegnate in queste attività, e testimoniate epigraficamente a Delo: negotiatores che provenivano da Capua, Cuma, Puteoli, Neapolis e Pompeii i cui guadagni erano all’origine dei reinvestimenti nel settore edilizio, costituendo la premessa delle trasformazioni urbanistiche nei centri d’origine.
Il cuore del territorio agricolo della regione, l’ager Campanus, un tempo appartenuto a Capua e confiscato da Roma nel 211-210 a.C., veniva concesso in affitto dai censori, costituendo una cospicua fonte di reddito per Roma. Non era sfuggito, però, a tentativi di occupazione illegale e nella prima metà del II sec. a.C. venne fatto oggetto di una operazione di recupero di terra pubblica, mentre un termine graccano da Sant’Angelo in Formis, documenta le operazioni successivamente fatte in esecuzione della legge Sempronia. Le indagini condotte hanno evidenziato una centuriazione di 20 ™ 20 actus, ben conservata nella regione moderna e di particolare evidenza nelle fotografie RAF del 1945, con un orientamento nord-sud, che potrebbe corrispondere proprio alle operazioni della metà del II secolo. La divisione agraria considerata, molto vasta, includeva oltre al territorio di Capua anche quello di Atella e Calatia, comprendeva in parte Casilinum e nonostante restino ancora incerti gli esatti confini della centuriazione, questa poteva forse oltrepassare il Volturno a nord, a sud superava Aversa giungendo fin oltre Giugliano in Campania, mentre a est arrivava fino a Maddaloni e a ovest fin oltre Villa Literno.
Tuttavia, è stata anche sottolineata una necessaria cautela nella meccanica trasposizione degli assi rilevati dalla fotografia aerea alla situazione di epoca romana, evidenziando la possibilità di traslazioni laterali e spostamenti avvenuti nel corso del tempo, che hanno potuto causare la non necessaria coincidenza degli antichi cardini e decumani con la maglia stradale che oggi li ripropone e che pertanto potrebbe solo restituire lo schema generale della divisione agraria. Le indagini preventive alle opere condotte sul territorio come la linea TAV o le aree CIRA hanno arricchito anche con rinvenimenti puntuali il quadro ricostruttivo dell’ager Campanus, facendo emergere parti degli assi glareati della centuriazione e una villa rustica in località Strepparo - Cento Mogge, presso Capua; un altro tratto di strada di brecciame calcareo corrispondente a una divisione interna della maglia centuriale è stato rinvenuto in contrada Leonetti di San Tammaro, mentre gli stessi orientamenti della centuriazione condizionano anche le strutture di una grande villa a corte porticata, rinvenuta presso Casilinum, in località Brezza. Inoltre, rinvenimenti di tracciati viari all’interno e nelle immediate vicinanze di Capua hanno confermato che i monti Tifatini con i due santuari di Diana e di Giove costituirono un punto di riferimento cardinale per lo stesso impianto urbano sin dalle sue fasi più antiche, rispetto a cui la successiva viabilità urbana, imperniata sul tracciato dell’Appia, si presenta divergente.
L’importanza del santuario di Diana è stata ribadita dalle indagini condotte nella basilica di S. Angelo in Formis, confermando l’identificazione delle strutture di tufo con il basamento del tempio, un edificio su podio, periptero sine postico, a cella unica, radicalmente ricostruito alla fine del II secolo o forse nel 74 a.C. Nell’area di Calatia le ricerche sistematiche intraprese a partire dal 1997 hanno permesso di chiarire fasi e modalità di occupazione dell’area urbana, di cui è stata indagata parte della cinta muraria e della viabilità, ricostruendo una struttura urbana regolare, con fasce orizzontali ampie circa 70 m e suddivise in isolati di forma quadrangolare, da far risalire alla fine del IV sec. a.C. Nel territorio calatino, inoltre, sono state individuate tracce della centuriazione e ne è stato indagato un cardine. Getta luce sulla sistemazione dell’ager Campanus anche il rinvenimento presso Gricignano di un grande fossato di età repubblicana, orientato secondo gli assi centuriali e con una sorta di gomito che sembra definire uno spazio chiuso, forse in collegamento con l’edificazione di un santuario nel territorio, come sembrerebbe indicare il riempimento del canale, fra cui due tegole con inscrizioni riferibili a Ercole e a Venere Ericina. Un asse viario di terra battuta e un altro tratto di strada orientato secondo la centuriazione dell’ager Campanus sono stati rinvenuti anche presso Atella, nel Comune di Frattaminore.
Presso Acerra le indagini sulla centuriazione hanno fatto emergere rispetto alla sistemazione precedente un importante riassetto del territorio, per cui sono state avanzate delle proposte interpretative leggermente divergenti, con una maglia di 16 actus per lato e datata in età augustea, secondo una tesi dell’équipe di Besançon, oppure con una differente ipotesi di 15 actus di lato. Saggi stratigrafici condotti all’interno dei battuti permettono di far risalire al II sec. a.C. la datazione iniziale di questa rete viaria, mentre fasi successive appaiono databili fra il I-II e il V sec. d.C. A un importante asse di collegamento fra Acerra e Suessula rimanda lo scavo di una strada con andamento nord-sud rinvenuta a nord-ovest del Casino Spinelli, sicuramente attiva almeno in età imperiale. A Suessula le recenti indagini hanno messo in luce una porzione della piazza del foro e alcuni edifici pubblici che vi si affacciano, tra cui la basilica, evidenziando come la città romana abbia raggiunto il suo momento di massima vitalità politica ed economica nel corso del II e del I sec. a.C., quando vi fu dedotta una colonia sillana.
Nel comprensorio posto tra il massiccio di Roccamonfina e Presenzano, di dubbia attribuzione territoriale fra Venafro e Teano, sono emersi interessanti dati sulle forme di occupazione di tipo vicano fra epoca repubblicana ed età imperiale. Uno dei rinvenimenti di maggiore interesse in quest’area è costituito dal monumentale e scenografico complesso santuariale individuato e parzialmente scavato fra il 2001 e il 2002 presso Pietravairano, sul monte San Nicola, dove era già nota da tempo una cinta fortificata preromana. Il complesso, che rappresenta un significativo e stringente confronto per il santuario di Pietrabbondante, è costituito da un tempio tuscanico a triplice cella, posto nel punto più elevato, al centro di una terrazza artificiale di forma grosso modo quadrata delimitata su tutti i lati da un possente muro di sostruzione, e sul medesimo asse dal sottostante teatro, di cui rimangono riconoscibili la cavea ricavata nel pendio naturale e l’edificio scenico, contraffortato sul lato aperto verso la pianura da quattro imponenti torrette a pianta semicircolare. Un insediamento fortificato a controllo della vallata, individuato in località Madonna di Costantinopoli nel Comune di Marzano Appio, presenta nella prima fase un aggere, probabilmente sormontato da una palizzata, e nella seconda alcuni muri con paramento di blocchi di tufo grigio. La zona costituiva un’importante cerniera viaria e tratti basolati della via Latina in buono stato di conservazione presenti nelle località Mulino, presso Caianello, e Castagneto, a Marzano Appio, sono affiancati da resti di necropoli.
Nuovi dati sono emersi a Teano, dove sono state indagate una cisterna di II-I sec. a.C. e i resti di un edificio a destinazione pubblica connesso con un culto salutifero delle acque posto al di sotto della chiesa romanica di S. Paride ad fontem, mentre mutamenti d’assetto si registrano tra la fine del III e il II sec. a.C. nella necropoli di Orto Ceraso. Fenomeni di monumentalizzazione emergono anche a Cales, dove si è potuto ricondurre l’impianto del teatro alla prima metà del II sec. a.C.; nel suo territorio, inoltre, è stato documentato lungo la via Latina un ninfeo di epoca tardoellenistica, con un prospetto con nicchie a semicolonne, false porte, fontane e girali a rilievo, forse connesso al santuario della Fortuna che sorgeva al confine con il territorio di Teanum. Se a Caiatia (Caiazzo) i risultati dello scavo del 1993- 94 hanno restituito il profilo di un centro urbano ben inserito nei rapporti commerciali anche extraregionali, come indicano fra l’altro le attività della gens Cornelia, le nuove forme dello sfruttamento del territorio in questo comprensorio sono testimoniate dalla villa in località Ceravecce di Pontelatone, con quattro fornaci per la produzione di tegole e ceramica attive a partire dal II sec. a.C.
Fenomeni differenziati emergono lungo la linea costiera della regione. Nella bassa valle del Volturno solo a partire dal III sec. a.C. si registra una maggiore occupazione del territorio, fenomeno acceleratosi con l’istituzione della colonia di Volturnum (Volturno), in un’area comunque caratterizzata dalla permanenza sino a età imperiale di aree umide, particolarmente nella fascia costiera. Nella Penisola Sorrentina i nuovi dati permettono di documentare le forme di sfruttamento territoriale con un complesso rustico, comprendente anche due fornaci, databile fra il II e il I sec. a.C., scoperto in località Trinità-San Massimo di Piano di Sorrento. Nell’agro picentino la metà del III sec. a.C. segna l’abbandono o la distruzione dell’abitato di Fratte, successivamente risistemato e rioccupato a opera dei Romani, culminando nella fondazione di Salernum (Salerno) nel 194 a.C. Nel corso del II sec. a.C. cominciano a diffondersi le ville rustiche, individuate dalla ricognizione di superficie in diverse aree della valle del Grancano, che perpetuerebbero forme di coltivazioni specializzate basate su uliveti e vigneti. Un sistema di parcellizzazione agraria basata sul modulo di 20 actus, inoltre, è stato individuato per il versante litoraneo a est del centro urbano, dalla riva sinistra dell’Irno a quella destra del Fuorni, con linee perpendicolari e parallele alla linea di costa, condizionate dalla morfologia del terreno, in funzione del naturale deflusso delle acque di superficie, centuriazione probabilmente estesa anche verso sud-est nel territorio dell’antica Picentia.
Una serrata attività di scavo e di ricerca ha molto arricchito il quadro conoscitivo per la Campania di età imperiale. Innanzitutto, le testimonianze del culto isiaco hanno suscitato negli ultimi anni un particolare interesse, stimolato anche dai nuovi rinvenimenti e da una complessiva riconsiderazione delle testimonianze raccolte, inserite nel più generale contesto dell’Italia nella mostra di Milano del 1997, permettendo di meglio valutare il particolare ruolo giocato dalla Campania rispetto alle altre regioni meridionali, dove il culto di Iside e Serapide appare precocemente, già nella seconda metà del II sec. a.C., introdotto dai negotiatores a Pozzuoli e Pompei, mediato dall’ambiente greco di Delo e pertanto senza accentuarne l’usuale corredo di esotismo egittizzante, esuberante per converso nella vicina città di Benevento. Fra i nuovi rinvenimenti si segnalano la statua di naoforo emersa in scavo a Pozzuoli nel 1994, quella ritrovata a Baia e il tempio isiaco localizzato nel 1992 sulla spiaggia di Cuma, a pianta rettangolare, affiancato da alcuni ambienti, fra cui uno absidato, e con un bacino per acqua circondato per tre lati da un portico dove sono state rinvenute tre sculture egizie: una di Iside, un’altra di un sacerdote naoforo e una sfinge. Il tempio era ancora in uso nel corso del III sec. d.C., per essere poi distrutto verso la fine del IV, quando furono decapitate anche le statue presenti. Un ruolo importante ha giocato anche la riconsiderazione di vecchi rinvenimenti puteolani, fra cui un frammento di statua-naoforo al Museo Nazionale di Napoli e una statua di bigio morato per cui è stata ora avanzata una proposta di riconoscimento come Iside Pelagia; da Napoli, inoltre, proviene una statuetta di basalto rinvenuta agli inizi del Novecento a Posillipo, che solo recentemente è stata donata al Museo Nazionale di Napoli. Infine, è stata avanzata la proposta di riconoscere come possibile tempio isiaco a Sorrento un edificio risalente a età ellenistica in opera quadrata di blocchi di tufo, di cui sono documentati almeno due rifacimenti in epoca romana.
Ai margini dell’ager Falernus è stato condotto un progetto di ricerca per indagare le modalità insediative e i modi di sfruttamento del territorio a Forum Popili, presso Carinola, dove una preliminare campagna di prospezione ha confermato il percorso delle mura, mentre all’interno del circuito la perlustrazione ha permesso di individuare aree di concentrazione di materiali ceramici e strutture, permettendo di definire un orientamento negli edifici dell’area urbana solo in parte coincidente con quanto sinora ipotizzato. Inoltre, già nella prima metà degli anni Novanta, rinvenimenti di superficie e uno scavo di emergenza avevano evidenziato la presenza di numerose fattorie indirizzate alla produzione vinicola e di impianti per la produzione delle anfore, fra cui la Dressel 2-4, lungo il diverticolo dell’Appia che collegava la costa con il passo di Cascano verso Suessa.
Nell’ultimo decennio i Campi Flegrei hanno restituito testimonianze antiche di particolare importanza, che sono andate ad arricchire un patrimonio archeologico già straordinariamente ampio e articolato. I grandi progetti di ricerca avviati dalla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, come Kyme I e II o il restauro del Rione Terra a Pozzuoli, hanno finalmente permesso di condurre indagini sistematiche in un’area interessata in passato da attività archeologica di carattere episodico e a lungo compromessa dal dilagante abusivismo edilizio.
Se non sussistono ormai dubbi circa l’identificazione del promontorio del Rione Terra come sede della colonia di Puteoli, del 194 a.C., ancora incerta resta invece l’ubicazione della più antica Dicearchia. Fino a oggi le uniche testimonianze di età arcaica erano rappresentate da un frammento di oinochoe subgeometrica di fabbrica cumana e da un frammento di coppa ionica databile intorno alla metà del VI sec. a.C. Gli scavi degli ultimi anni hanno restituito un terzo frammento, attribuibile a una oinochoe del Corinzio antico, rinvenuto a monte della moderna Pozzuoli, in un’area segnata da un antico percorso stradale, ripreso in età romana, che collegava Cuma con Partenope. Dal momento che nel corso delle recenti campagne di scavo non sono state riportate in luce strutture databili alla fase preromana e che tale assenza di testimonianze non può essere ascritta unicamente alle distruzioni operate al momento dell’impianto della colonia romana, sembra potersi escludere la presenza nell’area del Rione Terra di Dicearchia. Il più antico insediamento greco andrebbe invece ricercato nella zona poi occupata dall’emporium di Puteoli. L’impianto urbanistico regolare che caratterizza il Rione Terra va fatto dunque risalire alla pianificazione operata al momento della fondazione della colonia romana e non alla fase greca.
Le indagini condotte negli ultimi anni hanno restituito le prime significative evidenze attribuibili alla fase della fondazione del 194 a.C. Per quanto concerne il tracciato delle mura della colonia, dai tratti emergenti – due noti già in passato nel settore sud-occidentale della collina, a cui si aggiunge ora un terzo venuto in luce nel settore sudorientale – è possibile immaginare che la cinta non fosse strutturata secondo un sistema di assi ortogonali, ma che piuttosto seguisse l’andamento naturale del promontorio tufaceo. Importanti novità riguardano il sistema viario, anch’esso risalente alla fase del 194 a.C. I saggi eseguiti nelle attuali vie Ripa e Crocevia, corrispondenti al tracciato di quello che secondo un’ipotesi formulata in passato poteva essere identificato con il decumano maggiore della colonia, hanno permesso di escludere la presenza di strutture antiche al di sotto del piano stradale moderno. Gli scavi hanno invece riportato in luce a est del Capitolium un tratto di strada basolata, tangente al grande tempio di tufo, nella quale è più verosimile riconoscere il decumanus maximus risalente all’epoca della fondazione di Pozzuoli. Agli inizi del I sec. d.C. questo percorso stradale venne chiuso a ovest da un muro in reticolato e parzialmente ingombrato da una fontana, verosimilmente in connessione con la monumentalizzazione del tempio e dell’area circostante promossa sotto Augusto: è ipotizzabile, dunque, che solo da questo momento il decumano corrispondente alla attuale via Duomo, dal quale si raggiungeva il tempio attraverso il cardo di via del Vescovado, sia diventato il decumanus maximus.
Nel settore compreso tra i due decumani gli scavi hanno riportato in luce diverse strutture, nei cui livelli superiori è forse da riconoscere una funzione residenziale, sostruite da un articolato complesso di horrea e cisterne. Sul decumano del 194 si aprivano horrea e tabernae disposti in doppia fila, ricostruiti in età augustea. Nel settore occidentale della strada, sul lato sud, è stato indagato un complesso seminterrato, articolato in quattro grandi ambienti a pianta rettangolare con volta a botte, edificati in età repubblicana e collegati in età augustea con il decumano tramite un quinto ambiente a essi ortogonale. Il complesso, che era forse adibito a funzioni di servizio, sostruiva gli edifici che sorgevano sulla terrazza del tempio. Nel XVII secolo, al momento della costruzione del palazzo vescovile, in questi ambienti furono scaricati numerosi marmi, rinvenuti nel corso dei recenti scavi: oltre a frammenti di decorazione architettonica, è stato recuperato uno straordinario complesso statuario databile in età augustea e giulio-claudia, la cui collocazione originaria non è per ora precisabile, anche se è possibile ipotizzare una provenienza dagli edifici che sorgevano intorno al tempio.
In età neroniana le strutture che si trovavano lungo il decumano vennero raccordate alla strada con la costruzione, su di un precedente edificio di età augustea, di un porticato con pilastri in opera laterizia poggianti su dadi di base di calcare e piperno; nello stesso periodo è documentata una monumentalizzazione delle facciate delle tabernae lungo il cardo di via San Procolo. Tali trasformazioni, come suggerito da F. Zevi, sarebbero da mettere in relazione con gli interventi promossi in occasione della deduzione della colonia neroniana; più precisamente la costruzione di porticati potrebbe essere stata conseguente alla emanazione da parte di Nerone di una legge che, al fine di prevenire gli incendi, prescriveva la realizzazione di porticati davanti agli edifici. Tracce di crolli e incendi emerse nel corso degli scavi in molti degli edifici situati lungo il cardo di via San Procolo, ristrutturati intorno alla metà del I sec. d.C., suggeriscono l’ipotesi che gli effetti del terremoto del 62 d.C., ben noti per l’area vesuviana, abbiano raggiunto anche la zona flegrea.
Per quanto concerne le fasi di vita successive della città, alcuni interventi edilizi e i frammenti ceramici rinvenuti in una delle tabernae di via San Procolo testimoniano una continuità di frequentazione di questo settore almeno fino alla metà del II sec. d.C. I materiali venuti in luce nello scavo di un collettore fognario individuato al di sotto del decumano di via Duomo documentano l’abbandono nel corso del III sec. d.C. del settore nord-occidentale dell’abitato. Nello stesso arco cronologico si colloca la chiusura del cardo di via San Procolo, con la realizzazione di un muro in opera vittata mista. Tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C. il tratto del decumano del 194 a.C. che correva davanti ai grandi ambienti voltati venne obliterato e annesso a una struttura, il cui primo impianto risale a età augustea, utilizzata in epoca tardoantica come pistrinum.
Importanti novità sono anche emerse nel corso delle indagini condotte negli ultimi anni nell’area del foro augusteo di Pozzuoli, già individuato nel XIX secolo e obliterato negli anni Cinquanta del secolo scorso. Uno studio condotto sulla documentazione di scavo ha per- messo di posizionare con precisione un monumentale ninfeo che si affacciava sull’area forense e di chiarire che davanti a esso si estendeva un’area pavimentata con lastre di trachite, chiusa da un portico cui si addossavano delle botteghe. Queste ultime furono edificate in età tardoantica reimpiegando materiali asportati da edifici di età imperiale; in questa fase fu anche eretto un muro a sostegno della terrazza retrostante, utilizzando anche marmi di spoglio, forse pertinenti alla decorazione del foro, tra i quali emergono un frammento di clipeo con testa di Medusa e un altorilievo con la raffigurazione di un barbaro e di un trofeo d’armi.
Nell’ultimo decennio l’attività di scavo ha interessato in maniera sistematica alcuni tratti della rete viaria che collegava Pozzuoli con altri centri campani, come Cuma, Napoli e Capua, riportando in luce un numero considerevole di sepolcri, caratterizzati da grande varietà tipologica, che sono andati ad arricchire il panorama già vasto e articolato delle necropoli puteolane. In occasione della realizzazione di una strada a scorrimento veloce in una zona già in passato riconosciuta da Ch. Dubois come interessata dal passaggio della via Antiqua che conduceva a Napoli, la Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta ha disposto una serie di indagini che hanno portato, negli anni compresi tra il 1992 e il 1997, alla individuazione e allo scavo di un lungo tratto dell’antica via Puteolis-Neapolim. Questo percorso è risultato essere in uso già dalla fine del VII - inizi del VI sec. a.C. evidentemente per collegare Cuma con la subcolonia di Partenope. Particolarmente significative sono le evidenze riportate in luce per l’età ellenistica: sul lato settentrionale della strada è stato scavato un insediamento rurale del III-II sec. a.C., al di sotto del quale sono stati individuati i resti di un santuario edificato nel III sec. a.C., forse dedicato a Ercole, come sembrano suggerire gli ex voto rinvenuti. Il tracciato viario di età ellenistica, realizzato in terra battuta, venne obliterato nella prima metà del I sec. d.C., quando fu realizzata la nuova strada basolata. Il lato settentrionale della strada è segnato dalla presenza di due sepolcri gentilizi e di tre colombari nel settore orientale. Da questo lato del percorso si dipartivano dei diverticoli che conducevano ai praedia che si estendevano verso nord sulle alture circostanti. Il lato meridionale della strada è invece caratterizzato dalla presenza di oltre 30 edifici funerari, costruiti a partire dalla prima metà del I sec. a.C.: si tratta nella maggior parte dei casi di colombari, spesso dotati di cisterna, all’interno dei quali, in fasi di uso successive, vennero realizzate sepolture in fossa terragna e in cassa di muratura di tufo coperta da tegole.
Le ricerche negli ultimi anni hanno interessato anche la necropoli di via Celle ubicata nella prima parte del percorso dell’antica via consolare che collegava Puteoli con Capua, nel tratto da cui si dipartiva la via Puteolis-Neapolim: gli edifici funerari di questo complesso, anche in questo caso prevalentemente colombari, erano noti già nel XVIII secolo, ma furono interessati dai primi scavi solo negli anni Trenta del secolo scorso. Le indagini recenti si sono concentrate su un edificio a carattere non funerario, ubicato nel settore meridionale della necropoli, in passato interpretato come collegium funeraticium: la struttura, solo genericamente databile sulla base della tecnica costruttiva a età medio-imperiale, presenta una pianta rettangolare, sviluppata attorno a un cortile all’interno del quale si erge un mausoleo; alla parete di fondo, absidata, è addossato un podio. Nell’edificio sono state rinvenute alcune significative opere scultoree, tra le quali è da segnalare la sopramenzionata statua egiziana di naoforo, che conferma gli stretti legami, già noti da altre evidenze, tra la città flegrea e l’Egitto. Secondo una suggestiva ipotesi il complesso e l’aula absidata potrebbero essere identificati rispettivamente con il praetorium Falcidii e la basilica Sancti Stefani ricordati negli Atti dei Martiri Puteolani. Alcuni nuclei di necropoli, che vanno ad aggiungersi a quelli già noti nella zona, sono stati scavati negli ultimi anni lungo la via Campana moderna, all’incirca corrispondente all’antico percorso della via consolare Puteolis-Capuam, in occasione di interventi di riqualificazione della strada. Le strutture riportate in luce ancora una volta sono generalmente colombari, articolati in più livelli e spesso dotati di cisterna, ma anche recinti con sepolture in fossa terragna e inumazioni con copertura di tegole alla cappuccina o in anfora.
Scavi recenti eseguiti in occasione di lavori pubblici e privati hanno permesso anche di individuare e di esplorare parzialmente alcune ville situate nel suburbio di Pozzuoli, restituendo uno spaccato della vita rurale di quest’area e contribuendo a definire le trasformazioni che le attività produttive conobbero nei secoli. Significative sono anche le evidenze emerse su un altro aspetto caratterizzante del paesaggio flegreo, quello delle ville d’otium, impiantate in gran numero nel Golfo di Pozzuoli a partire dall’età repubblicana. Nel canale che taglia la collina situata a nord dell’area portuale di Pozzuoli, noto come Vallone Mandria, i lavori progettati per l’ammodernamento della ferrovia Cumana hanno offerto l’occasione di eseguire saggi archeologici: nel settore orientale del canale sono venuti in luce i resti di un complesso disposto su terrazze, edificato tra l’età sillana e la metà del I sec. a.C., ristrutturato una prima volta, forse a seguito di un incendio, agli inizi del I sec. d.C. e una seconda tra la fine del I e gli inizi del II sec. d.C., quando il piano inferiore viene trasformato in pistrinum et panificium con la costruzione di due grandi forni.
A nord del foro, nel suburbio orientale di Puteoli, è venuto in luce un grande complesso residenziale, articolato intorno a un ambiente rettangolare, chiuso su un lato da un’ampia esedra. Non lontano dalla villa, in un ambiente in opera vittata attribuibile a un complesso termale, è stato scoperto un grande mosaico a tessere bianche e nere con la raffigurazione di lottatori, databile nella prima metà del III sec. d.C. Nel suburbio occidentale è stata indagata una lussuosa villa articolata in terrazze affacciate in posizione panoramica sul golfo di Pozzuoli, nota già in passato per il rinvenimento di una statua di Livia ora a Copenhagen. La complessa articolazione architettonica e la ricchezza dell’arredo statuario, documentata dalle sculture rinvenute nel corso degli scavi, suggeriscono l’ipotesi che la villa appartenesse a una famiglia aristocratica dell’Urbe o a una delle famiglie in vista di Puteoli. Nei pressi del complesso residenziale sorge un monumento funerario, verosimilmente riferibile a uno dei proprietari della villa nelle sue ultime fasi di vita, all’interno del quale è venuto in luce un sarcofago marmoreo strigilato databile al III sec. d.C.
In località Monteruscello, in una zona attraversata da un diverticolo della via Puteolis-Capuam, è stata di recente scavata la pars fructuaria di una delle ville presenti nell’area, alcune note già da tempo, in quanto individuate, insieme con alcuni edifici funerari, durante i lavori di costruzione dell’insediamento moderno. Il complesso, il cui primo impianto risale agli inizi del II sec. a.C., venne ristrutturato nel corso del I sec. a.C. con l’aggiunta della pars rustica e della pars fructuaria alla pars urbana. Le evidenze archeologiche emerse nel corso degli scavi permettono di datare la fase di abbandono della villa tra la fine del I e gli inizi del II sec. d.C., anche se alcuni interventi di restauro alle strutture sono documentati per l’epoca tarda. Nei pressi del complesso è stata indagata un’area di necropoli, da cui proviene un sarcofago marmoreo con la raffigurazione di Dioniso e dei Geni delle Stagioni, databile tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C.
Nella zona di Quarto, tra le vie Casalanno e Saitolla, in occasione della costruzione di un deposito della ferrovia Circumflegrea, sono state condotte delle indagini archeologiche che hanno portato all’individuazione di un complesso identificabile con una villa rustica di piccole dimensioni, che conobbe almeno tre fasi costruttive collocabili in un arco cronologico compreso tra l’età repubblicana e il tardo IV-V sec. d.C. A qualche decina di metri a nord della villa sono stati riportati in luce un tratto della via consolare Campana e un mausoleo ipogeo costruito in opera reticolata, circondato da un recinto forse del tipo a schola. Lo studio della tecnica edilizia e dell’apparato decorativo del monumento funerario suggerisce una datazione agli inizi del I sec. d.C. Sulla base della testimonianza offerta da un’epigrafe rinvenuta all’interno dell’edificio si è ipotizzato che il mausoleo fosse pertinente alla villa e che i proprietari del fundus fossero i Vestorii.
Nell’ambito di un progetto di valorizzazione dell’area archeologica di Baia, la Soprintendenza Archeologica ha potuto intraprendere una campagna di scavo e di restauro del complesso archeologico situato sulla collina del Parco Monumentale, nell’ex proprietà Strigari. Nell’area, acquisita al demanio negli anni Trenta del Novecento, emergevano resti di strutture antiche da sempre in vista. Le indagini recenti, iniziate nel settore meridionale del complesso, hanno riportato in luce il nucleo più antico di una villa dalla complessa storia costruttiva, nell’ambito della quale sono state individuate quattro fasi edilizie principali, databili tra gli inizi del II sec. a.C. e il III sec. d.C. Alla prima fase sono attribuibili strutture murarie in opera pseudopoligonale, pertinenti a una basis villae databile almeno al II sec. a.C. Su questo edificio più antico, andato distrutto probabilmente a causa di un incendio, fu eretta una villa di grandi dimensioni con strutture murarie in opera quasi reticolata, articolata in terrazze disposte su diversi livelli. A una terza fase di interventi edilizi è attribuibile la trasformazione di alcuni ambienti e la realizzazione di diverse cisterne. La quarta fase, forse di età severiana, vede un ampliamento del complesso verso ovest. Alcune caratteristiche della villa, quali la posizione panoramica sui due golfi sottostanti, il ricco apparato decorativo e la cronologia intorno alla metà del I sec. a.C. hanno suggerito l’ipotesi che il complesso possa essere identificato con la villa di Giulio Cesare ricordata dagli autori antichi, che già J. Beloch aveva proposto di localizzare in questo settore della collina.
Nel 1999, preliminarmente a interventi di restauro, è stato effettuato uno scavo archeologico nel nucleo più antico del castello di Baia, noto come “padiglione Cavaliere”. Le indagini hanno permesso di definire l’estensione, l’articolazione e la storia edilizia di una villa già nota in alcune sue parti, inglobata nelle fortificazioni aragonesi. Nel livello superiore del padiglione sono state individuate due fasi di età romana. Della prima fase, risalente a età tardorepubblicana, si conservano due piani pavimentali sovrapposti, il più antico dei quali si data agli inizi del II sec. a.C. La villa si articolava in un grande ambiente centrale e in tre ambienti di dimensioni inferiori situati sui lati nord, est e ovest di quello principale. La seconda fase, inquadrabile tra l’età augustea e l’età flavia, è documentata da una ristrutturazione della villa repubblicana, con l’aggiunta di quattro ambienti agli angoli del complesso. Nel corso di un intervento successivo fu messa in opera una pavimentazione in opus sectile, i cui elementi marmorei furono asportati in epoca aragonese in occasione della costruzione del padiglione Cavaliere. Si è ipotizzato che questo intervento, databile in età flavia, sia stato conseguente al passaggio della villa al demanio imperiale all’epoca di Nerone.
Nuovi dati sulle vicende storiche e costruttive di Cuma in epoca romana sono emersi dalle indagini condotte nell’area forense e negli edifici adiacenti, situati nella città bassa e già parzialmente interessati da scavi archeologici nei decenni centrali del Novecento. Le ricerche hanno anche portato al recupero di importanti testimonianze relative alle tarde fasi di vita dell’area, del tutto trascurate nelle campagne di scavo condotte in passato. Dalle indagini è emerso che l’assetto della piazza pubblica venne definito già tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C.: in questa fase l’area forense, chiusa sul lato breve occidentale dalla imponente mole del tempio successivamente consacrato alla Triade Capitolina, era fiancheggiata sui lati settentrionale e meridionale da portici di tufo giallo. Il monumentale tempio, costruito in opera quadrata di blocchi di tufo giallo locale con elementi architettonici di tufo grigio, si presentava come un periptero esastilo su alto podio, dotato di una cella con due ambienti a est e a ovest.
L’orientamento dell’edificio, come hanno confermato le recenti indagini, era già in questa fase del tipo canonico verso est, contrariamente a quanto supposto in passato sulla base del rinvenimento nel pavimento dell’ambiente retrostante la cella della fase romana di una iscrizione dedicatoria in lingua osca che aveva fatto supporre un orientamento opposto. Il tempio sannitico venne ristrutturato intorno alla metà del I sec. a.C.: in occasione di questi interventi l’alzato fu demolito e i suoi resti furono scaricati nello spazio ricavato dallo svuotamento dell’emplekton originario del podio. Massicci interventi di restauro, preceduti dalla monumentalizzazione della fronte del tempio con la realizzazione di una terrazza frontale dotata di scala di accesso, sono ascrivibili alla fine del I sec. d.C.: una nuova cella tripartita con pronao dalla fronte esastila, realizzata in opera mista di reticolato e laterizio, fu edificata direttamente sulle fondazioni del tempio sannitico, obliterando del tutto i resti dell’edificio della fase tardorepubblicana. La cella, che subì ulteriori modifiche nel II sec. d.C., ospitava le statue di culto della triade, realizzate con la tecnica acrolitica, le cui parti restanti, rinvenute nel XVII e nel XX secolo, sono attualmente conservate nel Museo Archeologico di Napoli.
Tra il V e il VI sec. d.C. sono documentate attività di spoliazione nel Capitolium, mentre nel VII sec. d.C., nell’angolo sud-occidentale del podio del tempio, si insediò un impianto per la produzione di recipienti di ceramica rivestiti internamente di vetrina azzurra. Intorno alla metà del I sec. a.C. nel settore occidentale del foro vennero eretti porticati di tufo grigio, utilizzando le fondazioni delle strutture più antiche di tufo giallo. Lo studio dei frammenti attribuibili al portico settentrionale ha permesso di ricostruire una fronte a due ordini e di individuare la presenza di due fregi, l’uno decorato con cataste d’armi, tra le quali figurano prore, rostri e ancore che rimandano a battaglie navali, e l’altro, verosimilmente rivolto verso l’interno, decorato con girali vegetali. In età augustea la piazza venne pavimentata con lastre di calcare, per la maggior parte rimosse in epoca tardoantica, quando gli edifici che si affacciavano sul foro furono oggetto di una sistematica attività di spoliazione. Nel periodo della guerra greco-gotica, quando la piazza pubblica non era ormai più in funzione, venne realizzato un percorso stradale in terra battuta che attraversava l’area in senso est-ovest, collegando il settore orientale della città con la Crypta Romana. I cospicui rinvenimenti monetali permettono di collocare la fine di utilizzo di questo asse viario in concomitanza con la fine delle guerre greco-gotiche e con l’assedio mosso da Narsete che provocò il crollo della cripta stessa.
Le indagini recenti hanno interessato anche il cosiddetto “tempio con portico”, riportato in luce negli anni Settanta del Novecento. L’edificio, affacciato sul lato meridionale del foro, si articola in un’area porticata a pianta rettangolare, alla cui parete di fondo è addossato un tempio tetrastilo su alto podio. La costruzione del complesso, forse destinato al culto imperiale, si colloca agli inizi del I sec. d.C. Le novità emerse negli ultimi anni riguardano soprattutto le fasi che precedono la costruzione della struttura di epoca romana, ben evidenziate nella complessa stratigrafia venuta in luce nel corso degli scavi: le testimonianze più antiche sono rappresentate da una struttura di blocchi di tufo, demolita e sostituita da una nuova struttura ugualmente realizzata di blocchi di tufo, riferibile alla fase sannitica di Cuma, a sua volta obliterata intorno alla metà del III secolo a.C. Sul lato orientale del tempio con portico è stato indagato un edificio, noto come Aula Sillana, già interessato nel suo settore sud-occidentale da scavi condotti negli anni Cinquanta del Novecento. La struttura, a pianta rettangolare con uno dei lati lunghi aperto sulla piazza del foro attraverso una fronte a pilastri e un’ampia esedra sul lato lungo opposto, venne realizzata intorno alla metà del I sec. a.C. demolendo e in parte riutilizzando strutture più antiche, databili alla metà del IV e tra la fine del III e gli inizi del II sec. a.C. L’aula, che doveva svolgere la funzione di basilica, subì diversi interventi di restauro in età imperiale, fino a quando, tra il IV e il V sec. d.C., ormai priva di funzione, forse a causa di un evento tellurico, fu interessata da un’attività di spoliazione del ricco rivestimento marmoreo.
Gli scavi recenti hanno anche riportato in luce una grande calcara con sette forni di combustione, impiantata tra il VI e il VII sec. d.C. sul crollo della fronte settentrionale dell’edificio. Nell’ambito di un più generale programma di riassetto del foro, attuato nella seconda metà del I sec. d.C., rientra la costruzione sul lato orientale della piazza, in posizione decentrata rispetto al suo asse est-ovest, di un tempio pseudoperiptero su podio inserito in una struttura porticata. L’edificio fu inglobato nel XVII secolo in una casa colonica nota nella tradizione antiquaria con il nome di Masseria del Gigante, per la credenza che da essa provenisse il torso di Giove della triade divina anticamente collocato nella cella del Capitolium. Dagli scavi è emerso che anche quest’area fu interessata tra il V e il VII sec. d.C. da una sistematica attività di spoliazione dei materiali lapidei. Nel corso della campagna di scavo condotta dall’équipe dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” nel 2002 sono emerse nuove evidenze relative alla frequentazione in epoca romana dell’area extramuranea a nord delle fortificazioni. Nella zona è stato individuato un percorso pomeriale con orientamento est-ovest, realizzato in una fase successiva alle ristrutturazioni della cinta muraria operate in età ellenistica, tra la fine del II e la prima metà del I sec. a.C., forse contestualmente all’intervento di restauro di età sillana documentato nella porta mediana. Verso la fine del I sec. a.C. questo percorso stradale venne obliterato e la fortificazione settentrionale perse funzione con l’impianto di una necropoli. La strada che attraversava la porta continuò invece a essere in uso, come documenta la messa in opera del basolato in trachite della via Domitiana.
Per il II sec. d.C. un processo di urbanizzazione dell’area situata a ridosso della cortina interna delle fortificazioni risulta testimoniato dalla costruzione di alcuni ambienti di incerta funzione addossati alle mura; l’area esterna alla cinta, invece, continua per questa fase a essere impiegata a scopo funerario. Durante l’età tardoantica, in un periodo compreso tra il V e il VI sec. d.C., quest’area fu risistemata e vi fu nuovamente impiantata una necropoli. Il rinvenimento di una serie di battuti stradali sovrapposti al basolato della via Domitiana e l’assenza di tombe nel passaggio della porta testimoniano della continuità d’uso della strada ancora per questa fase: solo in età altomedievale il percorso sarà obliterato e nell’area verranno impiantate delle attività artigianali, quali la produzione di calce e quella di laterizi.
Nel 1994 è ripresa l’attività di scavo in un altro sito di grande rilevanza storica e archeologica, l’antica colonia di Liternum, fondata nel 194 a.C. sulla sponda sinistra del Lago Patria, nota dalle fonti antiche per essere stata il luogo dell’esilio volontario e della morte di Scipione l’Africano, già indagata negli anni Trenta del Novecento. Nel corso dei recenti scavi sono state riportate in luce, sulle sponde del canale che collega il Lago Patria con il mare, alcune strutture databili tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., pertinenti a un complesso termale, e verso nord i resti di un santuario di età repubblicana costituito da un tempio cui fu addossato in età imperiale un sacello. Nel settore meridionale della città antica è stata individuata ed esplorata una struttura di blocchi di tufo di età repubblicana, facente parte di un’insula, obliterata in età imperiale da un altro edificio all’interno del quale è stato recuperato uno scarico di materiali con numerosi frammenti di vetri e di ceramica invetriata. Nella stessa zona sono stati scavati alcuni tratti stradali e altri isolati databili tra l’età repubblicana e quella tardoimperiale. Le recenti indagini hanno interessato anche l’area dell’anfiteatro, edificato a sud della città in età repubblicana e restaurato nel II sec. d.C. Sono infine state esplorate due aree di necropoli, l’una a ovest e l’altra a est dell’anfiteatro, con sepolture prevalentemente a cappuccina e a enchytrismòs. Le evidenze emerse nel corso degli scavi documentano una frequentazione della città fino all’VIII sec. d.C.
La conoscenza delle forme di sfruttamento del territorio a nordovest di Pozzuoli è stata arricchita dallo scavo a Monteruscello della pars rustica di una villa che mostra una serie di fasi edilizie con trasformazioni e consolidamenti da collegare questi ultimi a fenomeni sismici; alla fase di età imperiale rimanda il lacus del torchio, abbandonato già nella prima metà del I sec. d.C., mentre la villa ha certamente continuato a essere occupata ancora in epoca tardoantica, come dimostrano i materiali rinvenuti e una piccola necropoli contigua, fra cui fa spicco la sepoltura entro un sarcofago di marmo di una fanciulla con un ricco corredo di gioielli, databile alla fine del III sec. d.C. Nella piana di Quarto il territorio appare occupato da un sistema di ville, cisterne, tabernae, mausolei e sepolture disposti lungo il tracciato della via Campana e dei suoi diverticoli. In particolare è stato indagato un abitato rurale la cui prima frequentazione risale a epoca tardorepubblicana, cui succede una fase di prima età imperiale incentrata attorno a un ampio cortile porticato e rifacimenti successivi, mentre l’ultima fase di occupazione rimanda alla fine del IV-inizi del V sec. d.C., epoca che ne segna l’abbandono; un altro insediamento simile è stato indagato in località Poggio Spinelli, documentando una piccola necropoli con un bustum pertinente a una villa di epoca tardorepubblicana-augustea.
A Napoli, nell’area del quartiere artigianale di San Marcellino si è potuta registrare la riconversione della zona a destinazione residenziale, come suggeriscono frammenti pavimentali e parietali databili agli inizi del I sec. a.C., e le ulteriori modifiche alla fine del I sec. d.C., quando vennero rialzati i livelli di età repubblicana con una riorganizzazione degli isolati e un più complesso sviluppo planimetrico degli edifici, marcati da una nuova tecnica edilizia in opera reticolata e laterizia. Anche gli interventi eseguiti nella chiesa di S. Aniello a Caponapoli hanno evidenziato le trasformazioni urbanistiche di epoca romana, con la colmatura dei dislivelli topografici che avevano caratterizzato l’acropoli greca, e la creazione di una grandiosa opera di terrazzamento sulla quale vennero impiantati vari edifici con murature in opera reticolata. I saggi stratigrafici compiuti sul teatro hanno permesso di datarne la costruzione a età flavia, recuperando dati sulla sua struttura e sul suo prospetto esterno, di cui si sono evidenziati un pilastro cui si appoggia una semicolonna, entrambi in opera laterizia, e mettendo in luce il muro perimetrale esterno e il piedritto meridionale di uno degli archi che attraversa via Anticaglia, realizzati nel IIIII sec. d.C. a sostegno dell’edificio; un saggio effettuato nella media cavea ha permesso di stabilire in 13 file di gradinate l’altezza di questo settore, mostrando i rivestimenti marmorei dei sedili.
Sulla costa gli scavi eseguiti presso Castel Nuovo hanno confermato l’esistenza di un vasto complesso, probabilmente a carattere residenziale e forse da identificare con il Lucullanum, sviluppato su diversi terrazzi di fronte al mare, con un arco di vita esteso a partire dagli inizi del II sec. a.C. e con evidenze di profonde ristrutturazioni tra il I e il II sec. d.C. Nel suburbio neapolitano sono stati condotti interventi presso il Pausilypon, la celebre villa di Vedio Pollione lasciata in eredità ad Augusto, documentando la particolare conformazione del teatro che al posto del consueto edificio scenico presentava un lungo bacino in opera reticolata perpendicolare alla cavea, in tutto simile a una natatio, munito sul fondo di incassi per pilastri che dovevano sorreggere una copertura lignea mobile; intorno al bacino era uno spazio di giardino recintato da un muro curvilineo e al disopra di quest’area era posto un altro giardino rettangolare, contribuendo a quella sistemazione scenografica delle diverse parti che componevano la villa.
A Presenzano i nuovi rinvenimenti chiariscono le forme di occupazione del territorio di un abitato di tipo vicano in cui, nell’ambito della più generale sistematizzazione del territorio di epoca triumvirale e augustea, doveva rientrare anche il complesso dell’anfiteatro, individuato in località Taverna San Felice, dedicato dai Rufrani vicani, insieme con una statua onoraria, ad Augusto. Nei pressi della struttura sono stati indagati anche resti di alcuni monumenti funerari e di un acquedotto.
Nell’incerta area di confine fra Casinate, Teanese e Venafrano, lungo il corso della via Latina, le indagini preliminari alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità, in località Fosso Camponi presso Mignano Monte Lungo, hanno condotto all’eccezionale scoperta di un centro paraurbano, un ignoto vicus posto a 4 km da Rufrae. L’indagine archeologica si è svolta su circa un quarto dell’estensione totale del centro antico e vi sono state evidenziate almeno sei fasi di occupazione, tra il IV sec. a.C. e il VI sec. d.C., documentando come sulle rovine di una villa di epoca repubblicana si sia sviluppato un intervento complessivo e programmato che portò all’insediamento di un vero e proprio impianto paraurbano in età augustea, successivamente interessato da una rilevante ristrutturazione documentata dalle fasi edilizie di epoca medio-imperiale. Sono stati indagati due isolati, di cui il primo è occupato da tre edifici pubblici, fra cui un impianto termale, e il secondo presenta su di un lato una domus e sull’altro alcune botteghe affacciate su una vasta area con portici, identificata con il foro. Gli interventi della media età imperiale riguardano un nuovo complesso termale e la realizzazione di un edificio a pianta ellittica che provocò lo sbarramento della strada originaria con paracarri e la creazione di una nuova sede stradale. Le nuove ricerche arricchiscono anche il quadro più generale degli insediamenti minori diffusi sul territorio, con il rinvenimento, in località Rio della Selva Boccatorta presso Marzano Appio, di una probabile cisterna sulla via Latina, databile nel I sec. a.C. e obliterata solo nel III sec. d.C.
Del resto, in tutta questa parte della Campania i nuovi rinvenimenti hanno permesso di articolare le diverse forme insediative, arricchendo notevolmente il quadro documentario. Nel comprensorio della valle del Savone, a Teano, sono stati rinvenuti in località Santa Trinità alcuni ambienti artigianali dotati di cisterne e canalizzazioni, databili fra l’epoca mediorepublicana e la prima età imperiale. Un tratto di cinta muraria è stato rinvenuto al di sotto della chiesa di S. Maria de Foris, mentre al di sotto dell’episcopio e dell’ospedale civile sono state indagate alcune cortine murarie, databili al II e alla prima metà del I sec. a.C., forse pertinenti a muri di sostruzione dell’arce di Teano. La vitalità della città durante l’età imperiale è testimoniata dalla ristrutturazione della Domus del Loggione, con interventi eseguiti tra il II e il III secolo. In ogni caso, l’intervento sicuramente più notevole di questi anni riguarda il teatro, costruito presso il foro e rinnovato in età augustea, che agli inizi del III secolo, sotto Settimio Severo, venne integralmente ristrutturato e decorato con straordinarie sculture e apparati architettonici con marmi pregiati, per essere poi completato con Alessandro Severo, Massimino il Trace e Gordiano III, come documentano le iscrizioni dedicatorie e le colossali statue ritratto dei membri della famiglia imperiale.
A sud-ovest della città la necropoli di Orto Ceraso registra la fase di massima espansione delle sepolture fra il II secolo e l’epoca tardorepubblicana, con sepolture per lo più a incinerazione entro caratteristiche olle, mentre a partire dall’età augustea gli spazi liberi del sepolcreto vengono occupati da tombe alla cappuccina, a inumazione o a incinerazione. A nord di Teano, in località Borgonuovo, lungo la diramazione della via Latina che la collegava con Alife, è stata rinvenuta un’area sepolcrale con povere tombe alla cappuccina, databili alla seconda metà del I sec. a.C., fra cui fa spicco una tomba di età augustea avente come segnacolo una colonna dorica sormontata da un cratere di tufo con anse applicate di piombo. Si è approfondita la conoscenza del territorio con l’indagine della villa rinvenuta in località Santa Giulianeta e delle notevoli strutture scoperte in località Santa Croce, con impianti termali facenti parte di un edificio di notevoli proporzioni, con terrazze digradanti lungo il pendio; l’occupazione del complesso appare dispiegarsi fra l’epoca tardoellenistica e quella tardoimperiale, e forse da riconnettere al balneum Clodianum noto epigraficamente.
Un importante contributo alla conoscenza del territorio rurale nella piana fra i centri di Teano e Cales è venuto dalle indagini preventive per la linea del treno ad alta velocità condotte in località Briccelle Sud di Sparanise, dove è stata indagata una villa impiantata nel II sec. a.C. su precedenti strutture di diverso orientamento e abitata sino al I-II sec. d.C.: l’edificio si sviluppa intorno a una corte centrale, con impianti termali nella parte settentrionale, magazzini e vani di servizio sui lati nord ed est, alloggi per la servitù sul lato nord; lungo un cortile scoperto, a nord del precedente e separato da un muro in ciottoli, si trovano delle fornaci per la produzione di laterizi e ceramica, straordinariamente ben conservate, insieme a una macina per il grano. A Vitulazio, in località Masseria San Vito, è stato individuato un vasto complesso rurale, in uso fra la tarda epoca repubblicana e la media e tarda età imperiale, costituito da due quartieri intorno ai quali sembra distribuirsi una serie di ambienti con, a occidente, un’ampia area di forma rettangolare allungata con al centro quattro pilastri quadrangolari, forse un atrio, e un probabile peristilio a oriente. A Cales lo scavo del teatro ha evidenziato gli interventi di ristrutturazione che hanno interessato la cavea, ricostruita nella prima metà del I sec. a.C., mentre un ninfeo monumentale di età augustea va a obliterare parte della precedente gradinata. L’arredo scultoreo, scarsamente documentato, sembra in gran parte ascrivibile a interventi di età giulioclaudia, mentre gli apparati architettonici risalgono alla fine del I o agli inizi del II sec. d.C. Nell’area urbana, inoltre, si sono evidenziati i rifacimenti delle vecchie strutture di III sec. a.C., trasformate in ambienti abitativi in opus reticulatum con pavimenti in signinum e a mosaico, successivamente tagliati, durante l’età imperiale, dalle canalizzazioni collegate a una cisterna.
La ricognizione condotta nella valle interna del Volturno ha permesso di evidenziare l’intenso sfruttamento agricolo del territorio, con 32 siti individuati, databili a partire dal III sec. a.C., con una maggiore concentrazione fra II sec. a.C. e II sec. d.C. Nel comprensorio dei monti Trebulani le caratteristiche delle attività produttive sono testimoniate a Giano Vetusto in località Marotta da un complesso di cisterna e vasche di epoca augustea con associata una fornace per tegole e anfore Dressel 2-4, per la conservazione del vino e la sua commercializzazione anche via fiume; il complesso, attivo soprattutto nel I sec. d.C., è stato abbandonato nel corso del II sec. d.C. In località Camerelle delle Fate, a Bellona, è stato esplorato un complesso di cisterne ipogeiche a servizio di una villa, dotata di una pars rustica con strutture per la produzione di vino e con fornaci ceramiche e di una pars urbana con impianto termale; la villa, risalente al II sec. a.C., presenta successivi rifacimenti fino al II sec. d.C. Nel territorio di Cubulteria un insediamento rustico-produttivo è stato individuato presso la chiesa di S. Ferdinando ad Alvignano, con resti di strutture di III sec. a.C. al di sopra delle quali sorge un complesso edilizio tardorepubblicano, con rifacimenti di età augustea. Presso Dragoni è stato rinvenuto un villaggio databile fra la tarda età repubblicana e la prima epoca imperiale, connesso a una divisione agraria di cui si è individuato un termine all’incrocio di due strade. A Caiazzo, antica Caiatia, in uno scavo a Palazzo Mazziotti è stata indagata un’abitazione romana, in uso tra il II sec. a.C. e la fine del II d.C.
Nell’ager Campanus le indagini condotte nella basilica di S. Angelo in Formis hanno fatto rilevare le radicali trasformazioni condotte alle strutture e all’apparato decorativo del tempio di Diana Tifatina in epoca tardorepubblicana, mentre sulla vetta del Monte Tifata è stato scavato il tempio di Giove Tifatino, testimoniato da tre laminette iscritte databili fra il I sec. a.C. e il II sec. d.C., mettendone in luce le strutture in opera incerta di calcare fondata direttamente sulla roccia; il tempio, in posizione dominante, con un raggio visivo di 360°, volgeva la sua fronte verso Capua ed era preceduto da una scalinata, cui si giungeva da una rampa d’accesso. Le nuove ricerche hanno restituito dati anche sulla stessa città di Capua, dove presso il foro è stato documentato un edificio pubblico allineato a una strada basolata e caratterizzato da un lungo muro di fondazione in blocchi di tufo, con un ingresso e un pavimento in signinum del II sec. a.C., sul quale venne a impiantarsi un’aula absidata di età imperiale con un ambiente ipogeo dov’era un’officina di bronzisti attiva fino alla fine del I o agli inizi del II sec. d.C. Inoltre, in via Madonna delle Grazie è stato indagato un complesso pubblico di età adrianea, rimasto in uso sino all’età costantiniana, costituito da un vestibolo, un’ampia latrina, una bottega e un corridoio forse porticato, che si sostituì a due abitazioni affiancate databili dal II sec. a.C. alla fine del I sec. d.C. Altre evidenze dell’edilizia privata, dall’età repubblicana all’età imperiale, sono inoltre emerse in più punti del tessuto urbano e nel quartiere suburbano presso l’anfiteatro. Le ricerche condotte hanno così consentito di meglio definire l’estensione dello spazio urbano delineandone le trasformazioni e di ricostruire un andamento altimetrico dell’abitato più differenziato di quanto si potesse sospettare, evidenziando i salti di quota fra le diverse strutture.
A Calatia (Maddaloni) le ricerche hanno evidenziato le trasformazioni degli spazi privati e monumentali condotte fra l’epoca tardorepubblicana, quando la città sembra accogliere una colonia in apparenza effimera, e la prima età imperiale. Alla fine del I sec. a.C. risale una monumentale porticus, in posizione centrale e affacciata sull’Appia, dotata di basamento a gradini, colonnato con capitelli corinzi e trabeazione di blocchi di tufo grigio, con lastre marmoree di rivestimento, decorazioni di stucco e terrecotte architettoniche. Le ricerche condotte a Suessula stanno facendo riemergere le strutture urbane, con l’area forense della città antica posta a ridosso della casina Spinelli, dove sono state documentate la pavimentazione della piazza, la basilica nelle sue successive fasi e una fontana, che hanno conservato le rispettive funzioni almeno fino alle ristrutturazioni di II-III sec. d.C., mentre nel territorio suessulano sono stati esplorati in località Carmiano, tra Maddaloni e Cervino, i resti di una villa tardorepubblicana terrazzata.
Ad Acerra è stata rinvenuta una necropoli della prima età imperiale, con sepolture talora contenute entro recinti; in alcuni casi il rinvenimento di elementi di ferro e borchie di avorio ha lasciato ipotizzare la presenza di un letto funebre su cui era deposto il corpo al momento dell’incinerazione. Nel territorio è stato documentato in proprietà Trombetta, a ovest del centro storico di Acerra, un insediamento agricolo frequentato dalla fine del IV sec. a.C. sino all’avanzata età imperiale, mentre nella parte sud-orientale dell’area cittadina è stata evidenziata un’interessante caratteristica: la sovrapposizione diretta dei livelli tardoantichi a quelli repubblicani, che marca con la mancanza assoluta di evidenze di epoca imperiale quella che appare una lunga fase di crisi di questa zona. Al contrario, nel settore nord-occidentale del territorio i lavori per la dorsale S.N.A.M. hanno permesso di individuare in prossimità dei Regi Lagni tre nuclei pertinenti a ville rustiche in opera reticolata e laterizia risalenti probabilmente al II sec. d.C. Nell’agro atellano spicca il recupero di almeno 86 tombe databili fra il I e il IV sec. d.C., in genere a cassa di tufo, alla cappuccina o a cassa lignea deposta in fossa, in molti casi preceduta da un dromos di accesso a gradini; in un solo caso è documentata anche una tomba a camera. Resti di una villa, databile dalla fine del II secolo agli inizi del IV sec. d.C., e di una fattoria, abbandonata nel IV sec. d.C., sono stati documentati presso Gricignano d’Aversa, mentre presso Caivano, in località Sant’Arcangelo, è stata scavata una villa, con un settore termale eretto nel corso della prima metà del II sec. d.C., ristrutturato in età postseveriana e ancora successivamente, giungendo sino all’Alto Medioevo.
A Nola alcuni interventi di scavo hanno permesso di gettare luce sulla storia urbana, con un intervento condotto nel cortile di palazzo Orsini, in un’area dove già in passato erano stati scoperti resti di un atrio colonnato e un cubicolo, documentando una struttura termale di II secolo fatta oggetto di rifacimenti e trasformazioni fino al V sec. d.C., e con lo scavo sotto la chiesa di S. Biagio, nei pressi del foro, dove a una prima fase segnata da strutture di età repubblicana succedono un impianto termale in opera vittata di tufo e laterizio, di età imperiale, e una domus tardoantica, di cui restano mosaici databili al III sec. d.C. Un altro edificio, costruito in età repubblicana e oggetto di grandi interventi di ristrutturazione nel corso del III sec. d.C., con la realizzazione di un impluvio rivestito da un mosaico policromo decorato a girali vegetali, è stato documentato in via Polveriera, permettendo il recupero di sculture risalenti ai secoli III e IV d.C. Tracce di altri edifici di età imperiale sono stati rinvenuti in via Foro Boario Vecchio e in via Mario De Sena. È stato dato inizio allo scavo sistematico dell’anfiteatro, permettendo di stabilirne le dimensioni, pari a circa 138 m sull’asse maggiore e 108 m sull’asse minore, e documentandone le diverse fasi dalla più antica, databile alla metà del I sec. a.C., a una prima ristrutturazione, avvenuta nel corso del I sec. d.C., e a una seconda, databile fra il II e il III sec. d.C. Nel territorio nolano, nel Vallo di Lauro, sono state individuate tracce di centuriazione forse risalenti a epoca sillana, mentre le forme di occupazione e sfruttamento agrario del territorio sono testimoniate dalle ville rustiche, generalmente poste in media o alta collina, legate alla coltura di oliveti e vigneti, cui si aggiunge lo scavo della villa rustica in località Monte Donico, presso Taurano, e la documentazione delle vicine ville in località Palombaio e Palazzo del Cavaliere. Se però alla ristrutturazione dell’agricoltura italica fra la fine del I e il II sec. d.C. sembra legato il declino di molte ville rustiche del Vallo di Lauro, l’impianto originario della villa di Monte Donico risale al I-II sec. d.C., permanendo in uso fino al periodo tardoantico; questa mostra una pars urbana, di cui è stata scavata la zona termale, e una pars rustica articolate intorno a un’ampia area centrale di raccordo. In un’altra zona del territorio, presso San Paolo Belsito, i saggi di scavo condotti sulla collina della Vigna hanno evidenziato le strutture murarie pertinenti alla pars rustica di una villa romana, con un articolato sistema di ambienti posti a terrazzo lungo il pendio del colle. Nel corso delle stesse indagini è stata individuata una serie di “pozzi di aerazione” di gallerie collegate a un sistema di cisterne. Anche a Cimitile sono state rinvenute strutture di un edificio di epoca imperiale con un porticato, evidenziando la presenza di un vasto complesso, forse una villa di prima età imperiale. Presso Visciano di Nola è stata trovata la pars rustica di una villa di età imperiale, abbandonata dopo un incendio probabilmente fra il II e il III sec. d.C.
Ad Avella è stata indagata la necropoli di epoca repubblicana, con il rinvenimento di una decina di ipogei, databili tra la fine del III e la metà del II sec. a.C., lungo i due limiti di una strada suburbana in battuto. Anche l’abitato di Avella è stato documentato archeologicamente con lo scavo di Palazzo Spinelli, dove muri di III sec. a.C. obliterano le precedenti strutture e sono a loro volta obliterati da strutture di II-I sec. a.C., e con lo scavo di via S. Croce, dove un complesso residenziale databile fra III e II sec. a.C. viene successivamente riorganizzato in età sillana con un ampio cortile porticato su due lati e occupato al centro da una grande vasca circolare, probabilmente nell’ambito del nuovo assetto urbanistico della città, mentre un’altra fase edilizia si registra per l’età imperiale. Anche in questo comprensorio il territorio cittadino fu oggetto della colonizzazione sillana e a quelle distribuzioni agrarie possono rimandare le tracce di centuriazione individuate. La conoscenza delle strutture agrarie è stata arricchita dallo scavo della villa di Tufino, in località Paenzano, di cui è stata indagata la pars rustica e il cui impianto si data al I sec. a.C., con una continuità d’uso almeno fino al II sec. d.C., e della villa in località Purgatorio, dove è stato scavato un vasto magazzino sotterraneo di epoca tardorepubblicana, divenuto nel corso del I e II sec. d.C. una sorta di discarica; nelle vicinanze un saggio di scavo ha evidenziato anche un battuto stradale e il piano di campagna con l’impianto di frutteto e vigneto. Ulteriori siti romani sono stati individuati in località Bosco di Castello e in località Le Capanne presso Visciano.
Ad Abellinum le indagini condotte fra il 1997 e il 2001 nella necropoli urbana hanno restituito diverse sepolture a cappuccina di epoca imperiale e un monumentale complesso funerario di epoca tardorepubblicana. Il definitivo strutturarsi della città come colonia nel corso dell’età giulio-claudia si riflette nella costruzione degli edifici pubblici e dell’acquedotto del Serino. Le forme dell’occupazione agricola del territorio vengono testimoniate dai recenti rinvenimenti, come la piccola necropoli intercettata dai lavori del metanodotto sulle pendici dei Monti Picentini, presso Santa Lucia di Serino, sicuramente in uso almeno tra la fine del I sec. a.C. e il I sec. d.C., che testimonia un piccolo insediamento rurale; la presenza di un inumato con gli arti inferiori bloccati da due grossi ceppi di ferro indica la subalternità del defunto, gettando luce sulle caratteristiche economiche e sociali dello sfruttamento agricolo. Le indagini di controllo agli interventi edilizi hanno permesso, inoltre, di individuare a Solofra un insediamento di età imperiale.
Nella valle del Sarno nell’ultimo decennio si sono notevolmente arricchite le testimonianze relative all’occupazione del territorio in età romana grazie sia ai nuovi rinvenimenti che a un riesame dei dati già disponibili. A Castellammare di Stabia sono state evidenziate nel 1992 le strutture della pars rustica di una villa sepolta dall’eruzione del 79 d.C. Nell’ager Stabianus sono stati acquisiti nuovi dati sulla villa rustica di Gragnano, la cosiddetta Villa ANAS, e inoltre una riconsiderazione delle passate esplorazioni della villa rustica di Messigno ha permesso di meglio contestualizzare le attività agrarie in un territorio, la piana del Sarno, che doveva essere largamente adibito a coltivazione, con una vocazione preferenziale per la viticoltura, ma con il contestuale sfruttamento di essenze arboree, come suggerisce il rinvenimento di un cipresseto. A Scafati, in località Bagni, è stata individuata una villa rustica di piccole dimensioni, con grande corte rettangolare porticata e resti lignei ben conservati. In località Ceraso di Poggiomarino sono state scavate le strutture di un insediamento rustico databile a partire dal III-II sec. a.C. sino a età imperiale, con diverse fasi edilizie e una necropoli che ne testimoniano l’uso anche successivamente all’eruzione del 79 d.C. A Terzigno, in località Boccia al Mauro, è stata scavata a partire dal 1993 la cosiddetta Villa 6, il cui impianto risale al II sec. a.C. con successive fasi edilizie e trasformazioni, fra cui meritano menzione la ristrutturazione architettonica e decorativa del secondo quarto del I sec. a.C., con un importante apparato decorativo in secondo stile pompeiano, e le trasformazioni di età augustea, con il progressivo abbandono della pars urbana e lo sviluppo crescente del settore produttivo, culminate nel periodo seguente al terremoto del 62 d.C. con l’esclusiva concentrazione delle attività nel quartiere rustico, funzionale a un’azienda vinicola a carattere industriale. Ulteriori dati vengono anche da Ottaviano, dove è stata scavata una villa con pavimentazioni a mosaico. A Sarno, in località Foce, è stato documentato in un’area non lontana dal teatro ellenistico un complesso di imponenti dimensioni, già in abbandono al momento dell’eruzione vesuviana del 79 d.C., che in questa zona appare preceduta da una consistente alluvione che ha invaso e sepolto l’edificio.
Nell’agro nocerino si sono evidenziate le tracce della centuriazione, per cui è stata proposta una ricostruzione complessiva del suo schema, e si registra il ritrovamento di altre quattro ville rustiche, fra cui fa spicco lo scavo della Villa Prete di Scafati, già parzialmente esplorata da M. Della Corte nel 1934 ma portata interamente alla luce fra il 1993 e il 1994. Questa villa rustica, di medie dimensioni, presenta una pianta rettangolare, con una corte centrale e due ingressi contrapposti; il suo impianto originale risale al I sec. a.C., per terminare la sua vita nel secolo successivo, con i danni del terremoto del 62 d.C. e la definitiva distruzione per l’eruzione vesuviana del 79. Presso il torrente Casarzano è stato individuato un piano di campagna con solchi arativi disposti regolarmente, frequentato fra il II sec. a.C. e il I sec. d.C. e sigillato dall’eruzione vesuviana del 79 d.C. Infine, a Nocera Superiore è stato esplorato un tratto di strada fiancheggiato da monumenti funerari, almeno in parte risalenti alla seconda metà del I sec. a.C. La strada era stata utilizzata a lungo, come suggerisce una serie di battuti sovrapposti, ma si presentava in corso di rifacimento nel 79 d.C., quando venne ricoperta da uno spesso strato di lapilli. Alle spalle dei mausolei monumentali sono disposti piccoli nuclei di sepolture a bauletto, databili fra I e II sec. d.C., e sepolture in semplice sarcofago di tufo, ancora più tarde.
A Surrentum (Sorrento), scavi hanno permesso di precisarne la topografia e di scandirne i mutamenti. Si è potuta così verificare la realtà antica dei decumani superiore e inferiore e identificare uno dei cardini, mentre lo scavo in proprietà Cancellieri ha documentato le diverse fasi del centro con il rinvenimento di strutture dell’età arcaica, di piani di calpestio databili tra VI e V sec. a.C. e ancora di strutture di età ellenistica, di età tardorepubblicana, infine di età flavia con un grosso edificio crollato in seguito all’eruzione del 79 d.C. Resti di una domus di I sec. a.C., inoltre, sono stati rinvenuti a Villa Fiorentino, dove si sono anche recuperati numerosi scarti di fornace pertinenti ad anfore Dressel 2-4. Dall’insieme dei saggi eseguiti, pertanto, si è potuto ricostruire come la città romana fosse stata insediata sullo stesso sito dell’abitato di età arcaica, ma con un diverso orientamento, che risale verosimilmente a età sannitica, fra IV e III sec. a.C.; in età augustea l’impianto venne solo parzialmente modificato dal grande rinnovamento edilizio, soprattutto dal lato del mare, con la costruzione di grandi edifici pubblici e di lussuose dimore; successivamente larghe parti della città soprattutto dal lato verso monte vennero abbandonate in seguito all’eruzione del 79 d.C., a differenza dei quartieri verso il porto, rapidamente rioccupati. Dati interessanti sono venuti anche dallo scavo della necropoli romana di via degli Aranci, con almeno tre fasi di utilizzo, dal I sec. a.C. al III sec. d.C., fra cui un colombario obliterato dall’eruzione del 79 d.C. ma tornato in uso successivamente per sepolture a inumazione, come anche il resto dell’area funeraria, utilizzato ancora fra II e III secolo. L’archeologia della Penisola Sorrentina si arricchisce, inoltre, con gli scavi di Vico Equense dove si è identificata una sequenza di abitazioni con strutture di blocchi di tufo di età ellenistica, sostituite da un edificio di età augustea, poi abbandonato in seguito all’eruzione del 79 d.C.
A Salerno, dove la ricostruzione della forma della città antica costituisce ancora un problema aperto, le indagini nel centro storico vanno arricchendo il quadro documentario. Una platea di blocchi di tufo, con podio sagomato relativo a uno degli edifici sacri della colonia e databile tra l’ultimo quarto del II sec. a.C. e i primi decenni del I sec. a.C., è stata indagata su di un’altura posta fra l’attuale via Tasso e le vie Genovesi e Duomo. Terme pubbliche, presso l’estuario del Fusandola, furono edificate, tra la fine del I e il II sec. d.C., nei pressi di un punto di approdo installatovi dopo l’abbandono dello scalo alle foci dell’Irno nel corso del I sec. d.C. Nell’ambito dei lavori per la metropolitana, presso la stazione di Mercatello, è stata documentata una necropoli databile tra I e III sec. d.C., posta a margine di un grande asse stradale costiero e a ridosso dell’antica spiaggia, con una cinquantina di sepolture a inumazione o a incinerazione, a fossa semplice, alla cappuccina, a cassa di tegole o in anfora. Nel territorio l’economia fondiaria rimane basata sulle ville rustiche, fra cui quella di Pastorano, individuata nella valle del Granciano, che sembrerebbe dimostrare un arco di vita almeno dal I sec. a.C. al III sec. d.C.
Le recenti sintesi condotte sulla Campania tardoantica mostrano un panorama regionale non favorevole, con una buona tenuta del fenomeno urbano nel corso del IV sec. d.C. e una serie di adattamenti nel corso del V secolo, mentre il VI secolo si manifesta come un periodo di crisi generalizzata. La situazione appare caratterizzata dalla prevalenza della media e piccola proprietà fondiaria, che alimenta l’economia delle ancora numerose città della provincia, ma che restano generalmente al livello di piccoli centri senza grandi possibilità economiche. Sono rare, difatti, le grandi massae private che caratterizzano invece altre province della diocesi italiciana e che fungono da volano per una produzione volta all’esportazione. In Campania, al contrario, nonostante una ancora relativa vitalità commerciale, ora testimoniata anche dai rinvenimenti archeologici, le dimensioni complessive di queste attività appaiono piuttosto limitate. Nell’analisi vanno tenute presenti, inoltre, le modificazioni apportate alla geografia amministrativa della provincia, che a quest’epoca giunge a comprendere anche Benevento, ma senza comprendere più Salerno, ora parte della Lucania, e le variazioni apportate intorno alla metà del IV secolo dalla creazione della nuova provincia del Samnium, che arriva a includere i centri di Venafro, Alife e Telesia. In ogni caso, le indagini condotte negli ultimi anni permettono di mettere meglio a fuoco le dinamiche e i tempi delle modificazioni intervenute nei diversi comprensori della regione.
Nell’area flegrea si sono potuti documentare fenomeni di continuità nelle attività produttive e commerciali, sia pure in forme diverse. Le nuove indagini condotte sui materiali misenati provenienti dal Sacello degli Augustali, da Grotta Dragonara, dalle terme in proprietà Cudemo e da alcuni rinvenimenti a mare, hanno portato a rivedere l’opinione diffusa che il porto e l’area fossero stati destrutturati già nel corso del IV sec. d.C. per la decadenza dell’area, su cui sarebbero poi intervenute le distruzioni dei moti bradisismici. Se la fine del IV secolo segna il momento di rottura nelle funzioni militari del porto, questo continua però a essere menzionato, insieme a un vicino monastero, nell’epistolario di Gregorio Magno, a conferma della sua funzionalità, mentre la frequentazione della zona viene confermata dai depositi di ceramica tardoantica e altomedievale. Del resto, proprio la documentazione archeologica suggerisce la continuità d’uso del porto, in cui ancora nel V e VI secolo giungono merci soprattutto dall’Africa e in misura minore dall’Oriente. La continuità d’uso delle strutture viene ribadita alla fine del VI sec. d.C. con un castrum edificato con funzioni di difesa e controllo delle attività portuali. Nei pressi del porto, inoltre, erano disposte delle fornaci evidentemente installate per esportare i frutti dell’attività vitivinicola dell’entroterra e il committente di questo intervento potrebbe essere stata la Chiesa, nel cui patrimonio rientrava l’insulam Meseno cum possessiones omnes.
Il fitto tessuto urbano della provincia andava adattandosi ai mutamenti, mostrando segni di continuità almeno fino al VI secolo, come dimostrano le nuove indagini condotte anche nei centri minori della regione. A Trebula Balliensis (Treglia) la vitalità del centro nel corso del IV sec. d.C. appare indicata dalle strutture tardoimperiali presenti e dai restauri alle terme costantiniane testimoniati epigraficamente. Per la non lontana Caiatia lo scavo di Palazzo Mazziotti ha permesso di documentare la continuità d’uso e le trasformazioni tardoantiche, con le fasi di riutilizzo delle strutture nel corso del IV e V secolo. Nella piana campana, gli scavi condotti nel foro di Suessula hanno evidenziato la destrutturazione del tessuto urbano, con il progressivo abbandono dell’area pubblica nel corso del V-VI secolo, ferma restando una certa continuità di vita nell’insediamento, destinato a nuova vitalità come sede gastaldale fra VII e IX secolo. A Nola gli scavi eseguiti nell’area urbana presso via T. Vitale hanno portato alla luce un bacino di fontana pertinente a una domus già in disuso e parzialmente spogliata del rivestimento marmoreo alla fine del V secolo, mentre un panorama simile appare anche per l’anfiteatro, dove era iniziato lo spoglio degli elementi decorativi, interrotto però dalla cosiddetta “eruzione di Pollena”. Ad Avella lo scavo di via S. Croce documenta l’abbandono fra IV e V sec. d.C. delle strutture abitative indagate. Ad Abellinum ancora nel corso del IV sec. d.C. si registrano interventi edilizi e l’esplorazione di una ricca domus e di un impianto termale documenta il perdurare dell’insediamento fino alla guerra greco-gotica, pur attraverso la destrutturazione del centro urbano e una serie di adattamenti e modifiche, mentre la presenza cristiana è ampiamente documentata nella necropoli di Capo La Torre, che tra V e VI secolo si distribuisce intorno alla basilica. A Calatia, invece, già nel corso del IV secolo prende avvio una precoce destrutturazione della compagine urbana, culminata nel corso del secolo successivo nell’abbandono di alcune dimore urbane, sostituite da spazi aperti, tenuti forse a orto.
Nuovi dati sono disponibili anche per Capua, eletta a sede del governatore provinciale, dove scavi recenti documentano la costruzione di nuovi edifici ancora agli inizi del V secolo, quando si datano una struttura absidata con una bottega per la lavorazione dell’osso nel settore urbano sud-orientale e un non meglio precisabile ambiente nel settore nord-orientale, quest’ultimo presto rasato fino al livello delle fondazioni, quando quest’area periferica dovette essere riconvertita all’agricoltura attraverso un’opera di demolizione dei ruderi e di riporto di terreno pulito. Nuovi dati, infine, consentono di chiarire le sorti di Salerno, a quest’epoca lucana, dove le indagini condotte nel centro storico hanno permesso di documentare la rifunzionalizzazione delle aree cittadine, con un nuovo assetto dato allo spazio urbano gravitante su via Duomo in collegamento con la costruzione della prima ecclesia e con la vitalità dell’area a monte del duomo, presso via Trotula de Ruggiero, dove una sistemazione a terrazze viene fatta oggetto di accurata manutenzione per essere obliterata nel corso del VI-VII secolo, mentre l’estendersi a partire dalla metà circa del VII secolo di sepolcreti su aree precedentemente edificate potrebbe essere il segno di un’ulteriore destrutturazione all’interno della rinnovata organizzazione urbanistica. Per quanto riguarda il litorale, un fenomeno alluvionale causa entro la prima metà del V secolo l’abbandono di un punto d’approdo vicino all’estuario del Fusandola.
In tutta la regione la viabilità rimaneva fra gli interessi primari del governo imperiale, come dimostrano la manutenzione della rete viaria principale, indicata da miliari come quello di età tetrarchica recentemente recuperato lungo l’Appia in località Torre degli Schiavi, e gli adattamenti alla rete minore, testimoniata ancora nel corso del V secolo. Le modifiche rispetto alla situazione precedente evidenziano le diverse forme organizzative e religiose. In tal modo, lungo il percorso della via Latina il vicus di Mignano Monte Lungo mostra segni di destrutturazione, mentre la continuità di vita nel sito è documentata dalla costruzione di un edificio di culto cristiano, a navata unica e con abside al fondo, con cortile e un piccolo cimitero. Nei ruderi di epoca imperiale dovette sorgere un piccolo villaggio, abbandonato definitivamente in epoca altomedievale.
Le indagini connesse ai grandi interventi sul territorio hanno permesso di documentare ulteriormente l’evoluzione delle forme di occupazione agricola fino alle soglie dell’Alto Medioevo. Se nel Vallo di Lauro, nel territorio nolano, la villa rustica presso Taurano appare già parzialmente abbandonata al momento dell’eruzione del Vesuvio nel 472 d.C., ma con tracce di possibile utilizzo e di frequentazione sporadica ancora fino al VII sec. d.C., nell’alta valle del Sabato presso Santa Lucia di Serino, nel territorio di Abellinum, è stata documentata una villa rustica con ambienti disposti su quote diverse, frequentata fra III e VI sec. d.C. e con possibili funzioni artigianali, ipotizzate sulla base di un pozzo con vaschetta e di una fornace.
Viene evidenziato dalle nuove ricerche, inoltre, il ruolo delle catastrofi naturali che hanno tormentato la regione in epoca tardoantica, dai terremoti del 346 e del 375 all’eruzione vesuviana del 472 (identificata con quella del 505 secondo nuove proposte), al generale dissesto idrogeologico di epoca tardoantica e altomedievale, evidenziato dallo studio geoarcheologico delle sedimentazioni. Del resto, le conseguenze sul territorio campano dell’eruzione vesuviana di Pollena sono state riconosciute anche negli sconvolgimenti indotti sul reticolo idrografico del Clanis, con frane e processi di sovralluvionamento della piana, testimoniati, ad esempio, dallo scavo dell’acquedotto romano in località Caulicelle di Avella, o dallo strato compatto di limo depositatosi sui campi arati di V - inizi VI secolo rinvenuti lungo il tracciato della Circumvesuviana nel tratto Acerra-Pomigliano d’Arco. Questi fenomeni nel bacino del Clanis andavano a innestarsi in una situazione già compromessa, di cui si è recentemente proposto di riconoscere un’evoluzione almeno a partire dal I sec. d.C., con uno sconvolgimento idrogeologico che sarebbe il riflesso dei fenomeni bradisismici dell’area costiera puteolana e liternina e di cui espressione a più riprese sarebbero i fenomeni alluvionali testimoniati in epoca tardoantica nel centro di Suessula e nella villa rustica in località Boscorotto di Maddaloni.
Aggiornamenti sull’archeologia della Campania nell’ultimo decennio sono comparsi regolarmente sia nelle relazioni che nelle rassegne presenti in CMGr e inoltre in BA e, per quanto riguarda le attività della Soprintendenza Archeologica di Pompei, in RStPomp e CronErcol; studi e ricerche sul Salernitano sono frequentemente presenti in Apollo.
Opere generali sulla Campania:
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I culti della Campania antica. Atti del Convegno Internazionale di studi in ricordo di Nazarena Valenza Mele (Napoli, 15-17 maggio 1995), Roma 1998.
La Campania antica dal Pleistocene all’età romana. Ritrovamenti archeologici lungo il gasdotto transmediterraneo, Napoli 1998.
Quadri di sintesi geografici e topografico-archeologici:
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Mercati permanenti e mercati periodici nel mondo romano. Atti degli Incontri Capresi di Storia dell’Economia Antica (Capri, 13-15 ottobre 1997), Bari - S. Spirito 2000.
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Reimpiego e memoria dell’antico:
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P. Pensabene, Nota sul reimpiego e il recupero dell’antico in Puglia e Campania tra V e IX secolo, in M. Rotili (ed.), Incontri di popoli e culture tra V e IX secolo. Atti delle V Giornate di studio sull’età romanobarbarica (Benevento, 9-11 giugno 1997), Napoli 1998, pp. 181-231.
A.M. Gemelli, Due vasche antiche in marmo della Cattedrale di Capua, in XeniaAnt, 10 (2001), pp. 35-42.
A. Gallottini, I Campi Flegrei. Iconografia storica, Napoli in c.s.
Per aree e singoli siti, si veda, alle singole voci, BTCGI; inoltre:
– Venafro:
R. De Simone, Epigrafi romane di Capriati a Volturno, in D. Caiazza (ed.), Il territorio tra Matese e Volturno. Atti del I Convegno di studi sulla storia delle foranie della diocesi di Isernia-Venafro, La forania di Capriati (Capriati a Volturno, 18 giugno 1994), Capriati a Volturno 1997, pp. 105-21.
S. Capini, Venafrum, Campobasso 1999.
– Teano:
Da Sidicini a Romani. La necropoli di Orto Ceraso a Teano. Mostra di materiali archeologici dai nuovi scavi (Catalogo della mostra), Castellammare di Stabia 1996.
– Trebula Balliensis, Caiatia e Cubulteria:
H. Solin, Le iscrizioni antiche di Trebula, Caiatia e Cubulteria, Caserta 1993.
G. Cera, Note sulla topografia di Trebula Balliensis, in Architettura e pianificazione urbana nell’Italia antica, Roma 1998, pp. 51-62.
– Cales:
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V. Moesch ha redatto la sezione rigardante l’area dei Campi Flegrei, I. Iasiello la restante sezione. La bibliografia è a cura di entrambi gli Autori.