L'Italia romana delle Regiones. Regio IX Liguria: Augusta Bagiennorum
Antica città, già sede della tribù ligure dei Bagienni sita presso il corso superiore del fiumeTanaro.
Subì una progressiva romanizzazione a partire dal III-II sec. a.C., dopo una precedente fase di assimilazione celto-ligure. Ricordata dalle fonti letterarie (Vell., I, 15; Plin., Nat. hist., III, 49; Ptol., III, 1, 35), fu colonia augustea, attribuita alla tribù Camilia, di deduzione anteriore al 4 a.C. Fu citata da Plinio tra i nobilissima oppida come Alba Pompeia e Pollentia.
È situata a 4 km a nord-est dell’attuale Benevagienna (Cuneo), sul pianoro denominato Roncaglia. La planimetria della città fu messa in evidenza dagli scavi di G. Assandria e di G. Vacchetta, che pubblicarono interessanti relazioni negli Atti della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti a partire dal 1894. Nel 1925 veniva pubblicata sempre nei citati atti la “planimetria generale degli scavi con cenni illustrativi”. Purtroppo dopo la campagna di scavo i ruderi emersi vennero ricoperti: dopo che fu eseguito accurato rilievo di ogni cosa ritrovata e che furono raccolti in un piccolo museo gli oggetti asportabili, lo sterro venne necessariamente colmato, cosicché nulla rimase visibile di quanto era stato scoperto. Attualmente sono visibili il teatro, in seguito riscoperto da C. Carducci e restaurato, e i resti di una basilica paleocristiana nell’area del quadriportico post scaenam, dove sono riconoscibili più fasi costruttive, sulla cui cronologia la discussione è tuttora aperta.
Dalla planimetria e dalle accurate relazioni di Assandria e Vacchetta si ricavano, comunque, interessanti dati. La città era racchiusa in una cinta muraria, creata non propriamente a scopo difensivo in quanto, come nel caso di Torino, sembra costruita in età augustea in un momento cioè lontano da eventi bellici successivo ai tempi burrascosi delle lotte tra Mario e Silla. Si rilevarono resti di quattro torri angolari quadrate e di altre che fiancheggiavano le due porte corrispondenti al decumanus maximus. Il perimetro doveva essere trapezoidale; infatti, considerando l’eventualità di una cinta rettangolare, si nota nella planimetria che il teatro risulterebbe per metà all’esterno della stessa. La rete urbana era ad assi ortogonali, con isolati rettangolari di dimensioni variabili; il decumano era orientato nord-est/sud-ovest; non pare esistesse un cardine massimo, ma due cardini delimitavano il complesso del foro. Questo era di forma piuttosto allungata (36 x 116 m), con una platea selciata; sul lato settentrionale si affacciava un portico che presentava una serie di locali retrostanti, probabilmente destinati a botteghe o tabernae.
Secondo Mansuelli “la presenza di tabernae indica che nel foro del capoluogo dei Bagienni si praticavano attività economiche, tuttavia il foro stesso conservava il carattere di area isolata che non consentiva di entrarvi se non a piedi”. L’autore sottolinea inoltre come sia evidente la ripartizione in due aree, una a nord-ovest di carattere sacro, come indicato dalla presenza del tempio, l’altra più ampia verso sud-est, con la basilica a destinazione civile politico-amministrativa. Il tempio, con notevole basamento, era pseudoperitero con probabile pronao e molto sviluppato in profondità; si ipotizzò che potesse essere dedicato a Giove o alla Triade Capitolina. Sembrerebbe possibile l’esistenza di due complessi termali, uno maggiore (82 x 32 m), con pianta rettangolare absidata e resti di ipocaustum, l’altro, di minori dimensioni, che gli scopritori ritennero un ambiente per bagni estivi, a causa della mancanza di ipocausto e della presenza di un ninfeo.
Un’adeguata rete fognaria serviva la città e il ritrovamento di alcuni tratti permise di ricostruire il tracciato stradale e delimitare alcuni isolati. Molto probabilmente era situato fuori delle mura l’anfiteatro, come in altri numerosi casi: in Piemonte si può citare l’esempio di Susa e probabilmente di Torino per la dislocazione extramuraria, di Pollenzo e Ivrea per la sistemazione in area decentrata. La cavea era costruita su terreno di riporto; nel rilievo incompleto che abbiamo del monumento si può notare la struttura a muri radiali con un possibile muro esterno ad anello. Le dimensioni sono uguali a quelle dell’anfiteatro di Pollenzo (corde di 118 x 92 m).
È invece tuttora visibile il teatro. La cavea ha un diametro di 58 m, posava su una serie di muri radiali in opera a secco con legamenti di mattoni (pedali); l’ambulacro che correva lungo la cavea era in origine coperto a volta, sostenuta dalla struttura a semicerchio che circonda i muri radiali e da una serie di pilastri lungo il perimetro esterno. Le parodoi introducevano nell’orchestra, divisa dalla scena da un muro rettilineo, con un avancorpo centrale. Nel muro di fondo del palcoscenico, situato tra due vani laterali, si notano tracce delle tre porte aperte nella frons scenae; a una di queste dovevano appartenere gli elementi architettonici decorati, provenienti dai vecchi scavi, che un tempo rivestivano gli stipiti e l’architrave. Si ritiene che la capienza della cavea fosse di 3000 posti. Una porticus post scaenam, a quattro lati, completava il teatro nella parte esterna della scena; nell’area centrale è tuttora visibile la basilica paleocristiana già menzionata.
Si deve ancora ricordare l’importanza dell’acquedotto, che fu possibile seguire per circa 2 km, in direzione sud-est, nonostante fosse a tratti interrato; la struttura consiste in un cunicolo inserito in una massicciata larga mediamente 1,5 m. Per meglio garantire la salvaguardia dell’area archeologica, recentemente la stessa è stata inserita in un ampio parco regionale, che dovrebbe tutelare l’ambiente agricolo e le essenze particolari della zona. Un piccolo museo nel centro storico della vicina cittadina di Benevagienna raccoglie reperti provenienti dai vecchi scavi e colà sistemati a cura dello stesso Assandria.
G. Assandria - G. Vacchetta, in AttiSocPiemonte, 7, 2 (1900), pp. 69-77; ibid., 7, 3 (1901), pp. 186-90, 236-40; ibid., 7, 4 (1904), pp. 241- 42; ibid., 7, 6 (1908), pp. 388-98; ibid., 10 (1925), pp. 183-91.
G.A. Mansuelli, Urbanistica e architettura della Cisalpina romana fino al III sec. e. n., Bruxelles 1971, pp. 87-88.
P. Gros - M. Torelli, Storia dell’Urbanistica. Il mondo romano, Roma - Bari 1988, p. 229.
M. Fessia (ed.), La memoria della cultura. Giuseppe Assandria a 150 anni dalla nascita. Atti del Convegno di Bene Vagienna (15-16 settembre 1990), Cuneo 1994.
R. Comba (ed.), I primi mille anni di Augusta Bagiennorum, Cuneo 2001.