L'Italia romana delle Regiones. Regio VI Umbria: Fano
La città di F. (lat. Fanum Fortunae) è ricordata da Cesare, Strabone, Tacito, Plinio, Mela, Tolemeo, Claudiano, Procopio, oltre che dagli Itinerari e fu compreso nella VI regio della divisione augustea.
La deduzione della colonia è in genere riferita agli anni tra il 31 e il 27 a.C., ma i reperti archeologici testimoniano che sul terrazzo poco a nord della foce del fiume Metauro esisteva già un insediamento di epoca romana di una certa consistenza, probabilmente sorto all’epoca della prima romanizzazione e dell’apertura della via Flaminia (220 a.C.) attorno al fanum della dea Fortuna, in un’area di più antica frequentazione.
Cesare stesso riferisce che la città nel 49 a.C. venne occupata da una coorte nel corso del bellum civile, insieme ad altri centri di significato strategico lungo la costa medioadriatica, quali Pesaro e Ancona. È all’epoca della deduzione coloniale che in ogni caso va fatta risalire la ristrutturazione urbana secondo un preciso piano programmatico e la costruzione della cinta muraria; essa venne terminata nel 9/10 d.C. per volontà dell’imperatore Augusto, come ricorda l’iscrizione nella trabeazione della porta monumentale (murum dedit). La cinta muraria urbica non presenta un andamento regolare, ma segue i limiti del terrazzo naturale su cui è sorta la città; essa ha un tracciato pressoché rettangolare, parallelo alla costa, ma con i due angoli verso l’interno smussati.
L’impianto urbanistico era a maglia regolare, con vie parallele che si incrociavano ad angolo retto, ed è ben riconoscibile ancor oggi nella pianta del centro storico. La rete fognaria romana, per altro ancora in uso, è costituita da una serie di lunghi collettori ad altezza d’uomo; essi risultano disposti in asse con le più importanti antiche vie e ne ripropongono il disegno a maglia regolare. Numerosi tratti di pavimentazione stradale romana sono stati rinvenuti in vari punti del centro di F. e risultano costituiti da grossi basoli di trachite, caratterizzati dal peculiare consumo a solchi paralleli determinato dalle ruote dei carri. Questo lastricato omogeneo è presente a circa un metro al di sopra dell’estradosso dei cunicoli fognari. Queste infrastrutture urbane di pubblica utilità, riferibili al periodo della colonia, fanno comprendere il particolare spessore dell’intervento di età augustea.
Il foro sorgeva con probabilità all’incrocio dei due assi viari principali. Monumento celebre era la basilica, descritta e costruita da Vitruvio, come l’architetto attesta nel suo De architectura. Un acquedotto realizzato in galleria a partire dalle vicine colline di Monte Giove giungeva fino alla città. Le mura risultano costruite con blocchetti di calcare giallo in opus vittatum, con 24 torri a pianta circolare riconoscibili nei lati verso l’interno e altre 4 in origine ubicate sul versante verso il mare. Ai lati della Porta di Augusto erano presenti inoltre due torri più grandi con pianta a ferro di cavallo, che garantivano la difesa dell’accesso principale della città, nel punto di arrivo della Flaminia alla costa adriatica.
La monumentale porta è costituita da tre fornici, di cui quello centrale risulta di maggiori dimensioni, essendo i due laterali riservati al transito pedonale. La sola facciata esterna è rivestita da blocchi di calcare bianco, disposti in filari regolari: si tratta di un monumento di prestigio, con il prospetto di colore simile al marmo, come già la porta realizzata a Rimini nel 27 a.C. dallo stesso imperatore. L’arco è in seguito divenuto onorario, con l’aggiunta sul fregio dell’attico della dedica a Costantino divinizzato. Una seconda iscrizione è stata incisa nello stesso periodo, al di sotto di quella relativa alla dedica di età augustea e con lettere più piccole a ricordo di L. Turcius Secundus Asterius, praefectus Urbis nel 339 d.C.
La Porta di Augusto si è conservata integra attraverso i secoli, fino al 1463, quando la parte superiore ha subito gravi danni nel corso di un assedio; per tale motivo essa è stata rappresentata per intero, a ricordo della precedente dignità, in un rilievo inciso agli inizi del Cinquecento sulla facciata dell’attigua chiesa di S. Michele. Almeno dal Duecento è presente sui sigilli del Comune di F., in quanto considerata il monumento simbolo della gloriosa storia della città. Agli inizi del Quattrocento avviene la riscoperta umanistica del monumento con la trascrizione delle iscrizioni da parte di Ciriaco di Ancona. In seguito esso è stato ripetutamente oggetto di interesse da parte di architetti e di artisti, che lo hanno più volte riprodotto a stampa e in opere pittoriche, determinandone una vasta fama.
Nel Museo Archeologico sono esposti diversi rilievi e statue, oltre ad alcuni ritratti e a due mosaici figurati, rispettivamente con amorino su pantera e con Nettuno su quadriga trainata da cavalli marini. Sono presenti corredi funerari con suppellettili di vetro e ceramica, rinvenuti in tombe lungo la Flaminia. Tra le numerose iscrizioni si segnala un cippo che fa riferimento alla legge agraria del 133 a.C. per la distribuzione dell’ager publicus. Dall’area extraurbana e dal territorio di F. in genere proviene il consistente materiale preistorico e protostorico esposto.
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