L’opera apologetica di Eusebio di Cesarea
Eusebio è in primo luogo un erudito cristiano e un apologista. La sua opera – composta mentre si giungeva a un punto di svolta nella storia del cristianesimo, tra la Grande persecuzione e il riconoscimento ufficiale della religione cristiana – riflette tanto le preoccupazioni degli autori dei secoli precedenti – in particolare la polemica contro l’ellenismo – quanto le aspettative di una nuova era segnata dal trionfo del cristianesimo. Gli imperativi della polemica antipagana si mescolano, in Eusebio, con l’ambizione più serena di esporre nel modo più ampio possibile ciò che è il cristianesimo sia sotto il profilo storico sia sotto quello dottrinale. Erede degli apologisti del II secolo insieme a Origene, Eusebio partecipa, in maniera simile al suo contemporaneo Lattanzio, ma in un genere diverso, all’emergere di un nuovo stile apologetico, che predilige l’insegnamento positivo rispetto alla polemica propriamente detta1.
Si è spesso pensato che l’impresa apologetica di Eusebio avesse preso le mosse, in primo luogo, dagli attacchi del filosofo Porfirio contro il cristianesimo. Questa posizione è ancora sostenuta da alcuni studiosi2, sebbene ora paia molto problematica. È attribuita a Eusebio un Contro Porfirio, testo di cui non sono noti né la data di composizione né il contenuto. E se Eusebio ‘a volte’ sembra polemizzare con Porfirio – questo, del resto, egli afferma all’inizio della ‘Cronaca’, ed è ciò che, dopotutto, fa nel libro VI (capitolo 19) della Storia Ecclesiastica per difendere Origene –, non si può dire che la sua opera tradisca un’intenzione chiaramente ed esclusivamente antiporfiriana. Questo è vero anche nel caso della Preparazione evangelica e della Dimostrazione evangelica3?, che talvolta si è voluto identificare come risposte agli attacchi del filosofo, per quanto Eusebio non presenti mai in tale veste quest’opera doppia che, peraltro, contiene soltanto due piccoli frammenti del trattato contro i cristiani (p.e. I 9,21; V 1,10)4. Del resto, dopo Platone, Porfirio è il filosofo più citato (36 volte), sebbene venga utilizzato principalmente come fonte sulla prassi religiosa ‘pagana’ o per porlo in contraddizione con sé stesso – confutando così la difesa degli oracoli rappresentata dal De philosophia ex oraculis con brani del De abstinentia. Le Questioni evangeliche sono state considerate da alcuni come una risposta a Porfirio, ma Claudio Zamagni ha dimostrato che la connessione tra quest’opera e ciò che si sa della polemica eusebiana con il filosofo è debole5. Si può comunque ritenere che alcune ‘questioni’ mirino, direttamente o meno, a Porfirio.
Lo scopo per così dire pedagogico di Eusebio si lega fortemente al suo intento polemico, a tal punto che spesso è difficile distinguere tra i due. Mentre la maggior parte delle opere eusebiane a sfondo polemico ha un aspetto ‘pedagogico’, o catechetico, più o meno marcato – e particolarmente notevole nella p.e. e nella d.e. –, le altre opere di Eusebio di solito presentano una dimensione polemica rilevante. Si pensi, ad esempio, alla Cronaca, che, sebbene sia generalmente una summa di conoscenze cronografiche e una difesa del ruolo della Chiesa nella storia universale, ha chiare ambizioni polemiche e, nello specifico, quella di dimostrare l’antichità di Mosè. Eusebio ricorda tale intenzione polemica anche all’inizio degli Estratti profetici, probabilmente scritti verso la fine della Grande persecuzione6. Quest’opera, che in origine costituiva i libri VI-IX dell’Introduzione generale elementare, di cui peraltro rimangono soltanto pochi frammenti, rappresenta la sezione profetica di un libro in primo luogo ‘pedagogico’ – benché sia impossibile sapere se fosse un manuale vero e proprio. Qui Eusebio cerca innanzitutto di dimostrare che Gesù è il Cristo annunciato dai profeti. Questo sarà l’oggetto della d.e., che riprenderà e svilupperà le osservazioni solitamente più brevi delle Eclogae propheticae. Gli argomenti trattati sono gli stessi: da una selezione di testimonia – vale a dire di passi dell’Antico Testamento con relativi commenti – Eusebio si propone di dimostrare che Gesù è il Cristo e che i profeti hanno annunciato la ‘vocazione delle nazioni’ e il ‘rifiuto dei giudei’. Il libro I è dedicato agli scritti veterotestamentari in prosa (da Eusebio chiamati ‘Scritti storici’), il libro II ai Salmi, il libro III alle altre Scritture poetiche e il libro IV al solo profeta Isaia.
Probabilmente un po’ più tardi, Eusebio compone le Questioni evangeliche, di cui rimangono soltanto una ekloge greca e pochi frammenti, greci e siriaci7. Le due serie di questioni, indirizzate a Stefano e a Marino, si concentrano esclusivamente sui problemi sollevati dai racconti evangelici sulla nascita e la Passione del Cristo. Si è tentato di considerare l’opera un testo apologetico. Il recente studio di Claudio Zamagni mostra che in realtà l’intento apologetico di Eusebio, sebbene non trascurabile, rimane comunque secondario, perché il vescovo di Cesarea qui cerca essenzialmente di far emergere tutti i problemi che possano essere rilevati a proposito di un testo – questioni che per lo più erano già emerse prima di lui in vari ambiti ecclesiali, indipendentemente dalle critiche rivolte ai cristiani.
Si potrebbe verosimilmente dire altrettanto del suo trattato sulla poligamia dei patriarchi, menzionato sia in p.e.8? che in d.e.9, se il testo non fosse andato completamente perduto. La questione messa a tema da questo testo è parzialmente affrontata in d.e. (I 9) nei termini in cui a sua volta se ne parla nella Genesi – cioè a proposito della poligamia dei giusti –, racconto su cui si basano i pur monogami cristiani. Eusebio risponde affermando che va rilevato un cambiamento interno all’economia della storia: all’inizio del mondo Dio ha permesso la poligamia per consentire alla stirpe dei giusti di moltiplicarsi. Questo problema, in ambito ecclesiale, era stato sollevato da Giustino; non c’è traccia di una sua declinazione pagana. Anche la Storia Ecclesiastica, la cui ultima redazione, in greco, risale al 325, presenta una considerevole dimensione apologetica. Eusebio intende mostrare lo straordinario sviluppo della Chiesa – ottenuto grazie alla Provvidenza – nonché la sua intima unità e la chiarezza del pensiero e degli scritti di coloro che egli chiama gli «scrittori della Chiesa». Vuole anche dimostrare la superiorità della Chiesa rispetto ai pagani, le cui persecuzioni non hanno avuto successo e non hanno impedito il trionfo dei cristiani al tempo di Costantino. Eusebio si basa in particolare sull’esempio dei martiri per illustrare il coraggio dei perseguitati. Infine, egli intende denunciare l’eresia e mostrare il fallimento storico del giudaismo – uno dei suoi grandi temi apologetici. Il settimo capitolo del III libro utilizza probabilmente una raccolta di profezie di Gesù composta dal vescovo di Cesarea, che è andata perduta ma è menzionata in p.e.10? Il quarto capitolo del X libro riproduce il discorso pronunciato da Eusebio (prima dello scoppio della crisi ariana) in occasione della dedicazione della basilica di Tiro: un testo che contiene un elogio del Logos e intrattiene alcuni rapporti letterari con la d.e.
Il vescovo di Cesarea è peraltro autore di due commentari biblici, su Isaia e sui Salmi, probabilmente scritti nell’ultimo periodo della sua vita (dopo il 325), in cui il testo della Settanta è spesso interpretato ricorrendo ai temi che costituiscono la spina dorsale del discorso polemico di Eusebio in p.e. e d.e. (chiamata delle nazioni, rifiuto dei giudei, etc.).
Se ci si limita ora alla produzione apologetica del vescovo di Cesarea in senso stretto, si deve innanzitutto parlare delle opere che si presentano come confutazioni: Contro Ierocle, Contro Porfirio e Contro Marcello. Le prime due sono apologie in senso proprio: sono cioè risposte a obiezioni rivolte contro i cristiani. Contro Ierocle, scritto probabilmente fra il 311 e il 313, intende essere una risposta al Filalete scritto da Ierocle, governatore della Bitinia, all’inizio della Grande persecuzione11. Ritenendo che Origene abbia già risposto in anticipo alla maggior parte degli attacchi del filosofo, Eusebio dedica questa piccola opera a quello che è, a suo avviso, l’unico elemento originale del Filalete: il confronto tra Cristo e Apollonio di Tiana: «Solo le storie che riguardano Apollonio occuperanno la nostra attenzione per il momento, e giustamente, perché, solo tra tutti gli scrittori che ci abbiano attaccato, Ierocle ha recentemente posto in primo piano il paragone e il confronto tra quell’uomo e il nostro Salvatore»12.
Contro Ierocle, il quale riteneva che Apollonio fosse più divino di Gesù, Eusebio cerca di stabilire l’indubitabile superiorità del Cristo. Per quanto concerne invece il Contro Porfirio, esso è noto solo grazie ad alcune testimonianze e ad alcuni frammenti13. Si tratta di un’opera di 25 (o 30) libri, in cui Eusebio ci presenta Porfirio come un cristiano che rinnega la sua comunità di origine. Un frammento evoca la sua difesa del capitolo 15 degli Atti degli apostoli. Girolamo attesta che nei libri XVIII-XX si trova la difesa del libro di Daniele dagli attacchi del filosofo. Contro Porfirio, che sosteneva che questo libro contenesse una profezia ex eventu, composta al tempo di Antioco Epifane, Eusebio cerca di dimostrarne l’autenticità e la veridicità. Non è possibile identificare il Contro Porfirio con una delle opere perdute di Eusebio, né con la Confutazione e apologia citata da Fozio14, né con la Preparazione e la Dimostrazione ecclesiastica15? menzionate dallo stesso autore, che alcuni critici vogliono assimilare – probabilmente a torto – con l’Introduzione generale elementare. Il dittico evocato da Fozio, il cui titolo richiama fin troppo chiaramente quello della p.e. e della d.e., con ogni probabilità è un fantasma. Il Contro Marcello, scritto probabilmente nel 337 o poco più tardi, era diretto contro la teologia del vescovo di Ancira, Marcello. Si tratta di un’opera polemica, alla quale Eusebio aggiungerà poco dopo i tre libri della Teologia ecclesiastica, pensata per porre in buona luce la fede ortodossa della Chiesa16. Questo dittico contiene una dimensione ‘apologetica’, nel senso che Eusebio cerca anche di difendere il suo partito (filoariano, per semplificare) contro le critiche che Marcello indirizza contro Paolino di Tiro, Eusebio di Nicomedia, Asterio il Sofista, Eusebio stesso.
Le altre opere apologetiche di Eusebio non si presentano come opere polemiche: per quanto l’autore vi riformuli – ovviamente – risposte ad accuse ricevute, il suo discorso è complessivamente positivo, poiché il vescovo di Cesarea desidera in primo luogo esporre la propria fede. Tra il 307 e il 310, collabora con il suo maestro Panfilo all’Apologia per Origene, alla quale aggiunge, interamente di suo pugno, un sesto libro17. Ma si può dire che la sua opera principale sia costituita da p.e. e d.e. È in questa sorta di grande apologia che Eusebio espone più ampiamente le sue concezioni teologiche e la sua visione delle relazioni, storiche o dottrinali, tra cristianesimo, ellenismo e giudaismo. Si tratta di un’opera monumentale (trentacinque libri in totale), che pare quasi il punto culminante della produzione letteraria di Eusebio, preparata da scritti quali il Contro Ierocle e gli Estratti profetici, e spesso semplicemente riassunta da scritti successivi, come la Teofania18? e il De Laudibus Constantini19?
L’originalità della ‘grande apologia’ costituita da d.e. e p.e. risiede nell’intenzione pedagogica e universalista, che ne contratta la struttura letteraria. Fin dall’inizio della p.e., l’apologista afferma il suo desiderio di «insegnare che cos’è il cristianesimo a coloro che non lo sanno». Eusebio presenta l’opera come una tappa preliminare destinata ai principianti: coloro che avranno acquisito la disposizione necessaria potranno quindi accedere ai misteri rivelati nella d.e. Eusebio propone dunque un percorso al termine del quale si ottiene, come risultato, l’esposizione della dottrina cristiana nel suo insieme. Per giustificare la costruzione di un dittico, il vescovo di Cesarea riproduce, all’inizio della p.e., due serie di accuse che attribuisce prima ai greci, poi ai giudei (I 2,1-8). I greci accusano i cristiani di essere apostati sia dell’ellenismo sia del giudaismo. I giudei, a loro volta, rimproverano ai cristiani – che ritenevano che Dio avesse respinto i giudei in favore delle nazioni – di essersi appropriati delle Scritture che, in realtà, non avevano nulla a che fare con loro, e di aver violato la Legge. Questi due capi d’accusa richiedono a Eusebio una risposta in due momenti. Prima egli dimostra nella p.e. il motivo per cui i cristiani abbiano avuto ragione nel lasciare l’ellenismo per abbracciare le tradizioni dei giudei; nella d.e., invece, Eusebio spiega che solo i cristiani hanno capito le Scritture. Se da un lato la p.e. può apparire a prima vista come la componente antipagana dell’apologia e la d.e. come quella antigiudaica – cosa non del tutto falsa –, dall’altro queste due opere devono essere considerate soprattutto come due momenti diversi di una formazione offerta al lettore. La d.e., del resto, contiene anche due libri (il terzo e il quarto) che, a detta dello stesso Eusebio, trattano temi più specificamente antipagani (i miracoli di Cristo, la storicità dei Vangeli, l’Incarnazione). La p.e. è intessuta di un’esposizione di natura prettamente etnografica20. A tal proposito si consideri che Eusebio affronta innanzitutto il tema della religione dei primi uomini; poi quello della religione dei fenici e degli egiziani; infine tratta di quella dei greci, considerata conforme alla tradizionale divisione tripartita della teologia (teologia mitica, fisica e civile). Nel libro VII, poi, il vescovo di Cesarea espone le tradizioni di coloro che egli chiama gli ‘ebrei’ prima di presentare le dottrine dei ‘giudei’ (libri VIII-IX). Il X libro è una dimostrazione di quanto i greci e soprattutto i filosofi dipendano dagli ebrei. I libri XI-XIII contengono un confronto delle opinioni di Platone – e della tradizione platonica – con alcuni brani delle Scritture, tendente a confermare la tesi del X libro; la seconda parte del XIII libro è invece rivolta a porre in evidenza gli errori di Platone. Nei libri XIV e XV, ispirati soprattutto dallo Pseudo Plutarco, Eusebio cerca infine di mostrare la contraddizione tra le diverse correnti filosofiche. Questa divisione mostra dunque due movimenti argomentativi principali: i libri I-VI sono una confutazione del politeismo, i libri VII-XV una difesa della tradizione ebraica rispetto alla sapienza filosofica.
La d.e., cuore dell’impresa apologetica eusebiana, si compone di tre movimenti: il primo libro difende lo stile di vita dei cristiani rispetto a quello giudaico. Il secondo è un trattato sulle promesse di Dio, in cui Eusebio cerca di dimostrare che le nazioni sono state chiamate, a differenza dei giudei che vengono invece respinti. Con il terzo libro la Dimostrazione di Eusebio si avvia verso la conclusione, interamente dedicata a Cristo, che il vescovo di Cesarea, nel complesso della d.e., approccia da due prospettive: dapprima, nei libri terzo e quarto, si rivolge ai pagani, e nello specifico nel terzo libro valuta l’azione di Gesù come uomo, difendendo i suoi miracoli e la storicità dei Vangeli; nel quarto libro lo considera invece come un essere divino: giustifica dunque l’esistenza del Figlio, spiega i motivi della sua, pur tarda, incarnazione e cerca di dimostrare che essa non contraddice la divinità di Cristo. Dal quinto libro, Eusebio riprende la dimostrazione da una prospettiva molto diversa: come fanno in linea generale quelli che scrivono contro il giudaismo nell’antichità, egli fonda la sua polemica sull’uso dei testimonia, ai quali aggiunge commenti talvolta copiosi. Tutte le profezie sono classificate secondo un’organizzazione tematica: il quinto libro è dedicato alla divinità di Cristo; il sesto agli annunci della sua incarnazione; il settimo alle circostanze della sua venuta (‘modalità’, luogo di nascita e genos); l’ottavo al momento della sua venuta; il nono alle azioni di Gesù durante la sua vita terrena; il decimo alle circostanze della sua passione. Gli ultimi dieci libri sono andati perduti. La dimostrazione cristologica eusebiana avrebbe dovuto concludersi con la trattazione della morte di Gesù, della sua risurrezione, della sua ascensione e della seconda parousia. L’ultimo movimento argomentativo avrebbe dovuto trattare del rifiuto dei giudei e della vocazione delle nazioni, temi già in parte toccati nel corso del secondo libro.
La grande operazione apologetica di Eusebio è stata riassunta nella Teofania, un’opera composta probabilmente prima del 333. Costituita principalmente da p.e. e d.e., essa riprende probabilmente, nel quarto libro, anche parte del contenuto della raccolta delle profezie di Gesù. Il libro è una confutazione del politeismo e una dimostrazione dell’esistenza e della potenza del Cristo. La Teofania è stata riassunta a sua volta nel De laudibus Constantini. Sotto questo titolo, si intendono in realtà due discorsi distinti: uno per i tricennalia di Costantino, pronunciato il 25 luglio 335 o 336 (secondo Pierre Maraval), e un altro pronunciato in occasione della consacrazione della chiesa del Santo Sepolcro nel mese di settembre 335 (secondo Harold A. Drake21 e Timothy D. Barnes22), o forse, come pensa Maraval, pronunciato almeno a inizio novembre 335 a Costantinopoli e in presenza dell’imperatore e riguardante la tomba del Cristo23. È in questo secondo discorso che Eusebio riprende propriamente i temi della Teofania.
La polemica di Eusebio contro l’ellenismo si presenta spesso come una ripresa amplificata dei temi della tradizione precedente, aggiornati con l’inclusione di obiezioni più recenti, ispirate da Ierocle, Porfirio, o dai misteriosi Hypomnemata diffusi contro i cristiani, secondo il vescovo di Cesarea, al tempo della Grande persecuzione24. Sebbene conosca Giustino, Eusebio è soprattutto un grande lettore del Contro Celso di Origene25. Questo libro costituisce una delle sue fonti principali sulle obiezioni pagane e gli ha anche fornito diverse risposte, che talvolta egli presenta come sue. La p.e. sviluppa, così, i grandi topoi della polemica. Eusebio denuncia infatti il politeismo come una religione falsa, ispirata dai demoni; difende l’idea di una dipendenza dei filosofi dalla Rivelazione, ma insiste anche, come già gli apologisti del II secolo, sulle contraddizioni dei filosofi. Sempre in linea con gli apologisti, inoltre, come Giustino, Eusebio mostra una predilezione particolare per Platone, che fu a suo avviso il miglior filosofo greco, pur essendosi a volte ingannato. Nei libri XI-XIII, espone dunque la filosofia greca a partire da Platone «poiché sembra che a lui solo, il cui pensiero ha superato quello di chiunque altro, essa [...] basti per accertare ciò che è in questione»26. In questo contesto, Eusebio intraprende un confronto sistematico tra Platone e la Scrittura, che presuppone che Platone abbia conosciuto quest’ultima:
Vedi allora come Platone s’è adattato, non solo al pensiero, ma anche alle espressioni e alle formulazioni della Scrittura degli Ebrei per fare sua la loro dottrina, lui che la chiarisce piuttosto esplicitamente all’incirca con queste parole: «Qual è l’essere che è sempre e non ha alcuna nascita (Ti. 27D)? [...]». Non è proprio di quell’uomo ammirevole mostrare chiaramente di avere trasposto l’oracolo che in Mosè affermava: «Io sono Colui che sono» (Es 3,14)?27
Eusebio tuttavia non si limita a riprendere e sviluppare tradizioni precedenti, ma mette anche a punto un metodo esegetico originale, che consiste nello spiegare costantemente il discorso di Platone con l’aiuto dei platonici posteriori: «A volte, però, per chiarire il pensiero del nostro uomo, userò la testimonianza dei seguaci ferventi della sua filosofia»28.
L’originalità della polemica di Eusebio risiede principalmente, da un lato, nel suo interesse per il platonismo posteriore a Platone e, dall’altro, nella questione degli oracoli, a cui sono dedicati tre libri della p.e. (IV-VI). È riconoscibile in questi due interessi l’influenza dell’opera di Porfirio e più in generale del neoplatonismo emergente, anche se Eusebio, primo lettore certo delle Enneadi di Plotino – vede nelle tre «ipostasi» del quinto trattato un’eco della Trinità29 –, non sembra aver colto a pieno gli aspetti più originali del neoplatonismo. Il platonismo che egli conosce è piuttosto il platonismo cosiddetto medio, quello di Attico o di Numenio, di cui cita numerosi passi. È bene ribadire che non c’è ragione per vedere in questo interesse di Eusebio per il platonismo e per i platonici un qualsiasi rapporto con il trattato di Porfirio contro i cristiani: egli conosceva quest’opera al momento in cui scrisse p.e. – ne cita almeno due passi –, ma non sembra animato dal desiderio di reagire a essa. Ci sembra impossibile identificare il trattato contro i cristiani con la Filosofia desunta dagli oracoli (come proposto da Pier F. Beatrice30), opera su cui si concentra principalmente la critica del vescovo di Cesarea. Oltre ai suoi attacchi contro la «teosofia» – un termine apparentemente coniato da Porfirio nella Filosofia –, si trovano in Eusebio alcuni passi che sembrano diretti contro la teurgia, presentata come una distorsione della vera pietà sviluppatasi notevolmente nel corso del IV secolo31. È probabilmente in questo contesto polemico che va collocato l’attacco di Eusebio contro gli oracoli: «Loro non sono dei, che passano in città per fornire oracoli; non sono neppure demoni buoni. Sono piuttosto ciarlatani, ingannatori, maestri di errore, che hanno diffuso tra gli uomini, per ottenere perdita e perversione della vera pietà, tutti i tipi di inganni e in particolare quello relativo al Fato»32.
La visione generale di Eusebio sull’ellenismo si pone storicamente a metà strada tra le riflessioni di Origene e quelle dei Cappadoci. Se l’ellenismo gli appare cioè come una religione falsa, essa presenta anche per lui, sotto i suoi aspetti più brillanti – la filosofia, in particolare, ma anche le leggi, alle quali attribuisce una certa importanza33 –, rapporti significativi con il cristianesimo. I libri XI-XIII di p.e., forse in parte ispirati dagli Stromati di Origene, contengono così il confronto di testi greci e biblici più importante mai registrato nell’Antichità. Sul piano storico, Eusebio ricorda all’inizio della Historia Ecclesiastica che la filosofia e le leggi, ispirate dalla Legge giudaica, hanno costituito una preparazione spirituale per l’umanità, finalizzata a renderla in grado di ricevere il Cristo. Il IV libro di d.e. presenta una visione più pessimista della storia universale: per giustificare il ritardo dell’Incarnazione, Eusebio suppone che l’umanità, dal peccato di Adamo fino al tempo di Augusto, non abbia fatto altro che deteriorarsi. Certo, Dio ha cercato di salvare la sua creazione – con l’invio della Legge e poi dei profeti –, ma niente poteva fermare questa inevitabile decadenza. È per questo motivo che è dovuto intervenire personalmente per salvare gli uomini.
La polemica di Eusebio contro il giudaismo presenta una miscela simile di continuità e di originalità rispetto alla tradizione precedente34. I tre temi principali di d.e. – la Legge, le promesse, il Cristo – corrispondono ai problemi principali della polemica antigiudaica nell’Antichità, ma, nel dettaglio, Eusebio sviluppa una serie di idee originali. Per confutare la pratica giudaica della Legge (libro I), Eusebio cerca di mostrarne il carattere triplicemente relativo. In primo luogo, sul piano storico, la Legge non è sempre esistita, poiché la Genesi attesta che c’erano, prima di Mosè, uomini giusti che non conoscevano la Legge e che sono comunque detti «Ebrei» da Eusebio per distinguerli dai giudei. Questi «Ebrei», nonostante il loro legame filiale con i giudei, sono gli antenati spirituali dei cristiani. Inoltre i profeti, che annunciano una «nuova Legge», una «nuova Alleanza» o, ancora, un «canto nuovo», mostrano che la Legge, intesa alla maniera dei giudei, dovevano un giorno cessare. In secondo luogo, sul piano geografico, la Legge, che richiede che i precetti siano realizzati in Gerusalemme, è in contraddizione con la vocazione delle nazioni che si esprime nei profeti. E dal momento che il Levitico35 e il Deuteronomio36 richiedono che i riti vengano eseguiti nel tempio, il giudaismo non è più possibile dopo che, nel 70 d.C., esso è stato annientato. Mosè, autore presunto del Pentateuco, non poteva ignorarlo e, a detta di Eusebio, avrebbe preso tali disposizioni in previsione del giorno in cui il giudaismo sarebbe scomparso. In terzo luogo, sul piano spirituale, il vescovo di Cesarea ricorda il topos della Legge come pedagogo: presa alla lettera, doveva riportare i giudei a Dio; ma dal momento che fu Mosè il suo autore, e Mosè era un profeta, la Legge istruiva anche sugli avvenimenti futuri. I giudei, accusati di essere letteralisti, non sono riusciti a capirlo.
Per quanto riguarda le promesse, Eusebio riprende i due argomenti tradizionali secondo cui i profeti annunciano la chiamata delle nazioni e il rifiuto dei giudei. La sua originalità consiste nel mostrare che le profezie a favore di «Israele» non concernono i giudei, ma solo il «resto d’Israele», vale a dire i pochi giudei che hanno creduto. A proposito del Cristo, la dimostrazione di Eusebio è sostenuta dai grandi principi della polemica adversus Iudaeos. L’apologista cerca di mostrare non solo che le profezie messianiche riguardano unicamente Gesù, ma anche che diversi aspetti della sua vita, non corrispondenti alle aspettative messianiche dei giudei, erano stati annunciati dai profeti (e cioè la sua divinità, la sua Passione, il suo ritorno). Eusebio affronta a volte alcune obiezioni mossegli, consistenti nell’accostare il testo citato a un personaggio della storia giudaica o a un Messia che deve ancora venire: la risposta di Eusebio, in questi casi, è che i giudei attentano alle profezie insinuando il sospetto che gli annunci profetici non ancora realizzatisi possano essere totalmente fuorvianti.
In generale, l’opera di Eusebio riguarda direttamente la storia dei rapporti tra giudei e cristiani, evocando talvolta i dibattiti che potevano ostacolare gli avversari durante discussioni più o meno informali37. Eusebio stesso manifesta regolarmente la preoccupazione di rispondere a ciò che i giudei potrebbero opporre all’esegesi cristiana della Bibbia, ma spesso è difficile sapere se tali conoscenze derivino principalmente dalle sue letture (Origene) o da contatti diretti e regolari con giudei. Il punto di vista di Eusebio sul giudaismo è in ogni caso misurato. Non si trova alcuna offesa contro i giudei nei suoi scritti: il loro tono in proposito è sempre sereno, anche se spesso ispirato dal desiderio di replicare opponendo alle dottrine e alle polemiche giudaiche ciò che egli ritiene essere vero. Il suo giudizio generale non è comunque del tutto negativo, e sarebbe errato fare di Eusebio un antisemita, o un teologo ispirato meramente da odio. Sebbene insista in tutta la sua opera sulla rovina attuale del giudaismo, conseguenza delle due guerre giudaiche e in particolare della caduta del tempio, egli riflette anche un certo fascino per il giudaismo, che eredita probabilmente da Origene e che si esprime soprattutto nei libri VIII e IX di p.e., quando si tratta della difesa delle tradizioni giudaiche di fronte all’ellenismo.
L’ultimo aspetto dell’apologetica di Eusebio riguarda la difesa dell’ortodossia38. Dell’attività polemica che il vescovo di Cesarea svolse dopo il concilio di Nicea, di cui accettò il simbolo seppur con qualche esitazione, è sopravvissuto solo il dittico composto dal Contra Marcellum e dalla teologia ecclesiastica, scritto per confermare le decisioni del concilio di Costantinopoli, che, nel 336, aveva deposto il vescovo di Ancira, Marcello. Difensore di una teologia delle tre ipostasi, Eusebio si schierò con Ario e i suoi sostenitori. Nel Contra Marcellum, Eusebio tenta di dimostrare la sostanzialità del Figlio e denuncia la teologia del suo avversario come sabelliana (cioè per semplificare, come una dottrina teologica che confonde le persone della Trinità). A margine di tutto ciò si segnala che nel Contro Marcello e, poi, nel De Ecclesiastica Theologia, Eusebio usa, per la prima volta, l’espressione «Padri della Chiesa»39. Le opere anteriori a queste già tradiscono l’interesse eusebiano per la lotta contro l’eterodossia. Il X libro dell’Introduzione generale elementare era dedicato a confutare le «eresie atee». Negli Estratti profetici, che ne costituiscono i libri VI-IX, Eusebio prende più volte posizione contro Marcione e «tutti coloro che vogliono recidere la comune ispirazione dell’Antico e del Nuovo Testamento». Forse il vescovo di Cesarea ha in mente anche alcuni gnostici e i manichei – della cui esistenza nell’Impero romano egli è peraltro il primo testimone cristiano40. Nella stessa opera Eusebio polemizza talvolta contro gli ‘adozionisti’ (vale a dire gli ebioniti, Artemone, Paolo di Samosata). Si ritrova la stessa polemica in d.e., ma, a differenza di quanto avviene negli Estratti, Eusebio non vi nomina i suoi avversari. La squalifica dell’eresia in tutte le sue forme è infine uno degli assi principali della Historia Ecclesiastica, nella quale diverse voci sono dedicate a eresiarchi. Eusebio sembra ispirarsi, in primo luogo, a Giustino e Ireneo e, nello specifico, riprende da Ireneo l’idea – probabilmente già formulata nel Syntagma contro le eresie di Giustino – secondo cui Simone di Samaria, che egli chiama «il Mago», sarebbe la fonte di tutte le eresie41.
La caratteristica principale del metodo apologetico di Eusebio è l’uso strutturale che egli fa della citazione. La tradizione anteriore lo incoraggiava a ciò, sia contro i pagani sia contro i giudei. Dal II secolo, fu chiaro che non ci si potesse confrontare con i pagani se non basando l’argomentazione sulle fonti loro proprie. Nella tradizione adversus Iudaeos, a partire da Giustino, si impone al contrario l’uso dei testimonia, vale a dire della sola Scrittura42. Tuttavia Eusebio fa un impiego molto più esteso della citazione rispetto ai suoi predecessori. Le sue citazioni sono spesso molto lunghe e, nel complesso, assai numerose. Di più: la citazione ha, in Eusebio, un ruolo di primaria importanza, poiché la voce dell’apologista si riduce spesso a connettere passi riportati o ad avanzare osservazioni. In p.e., ad esempio, il vescovo di Cesarea esprime più volte il desiderio di basare la sua argomentazione sulla parola dei pagani43. Nel Contro Marcello intende confutare le idee del vescovo di Ancira soprattutto attraverso i suoi scritti44. Questo uso della citazione quindi non è, in realtà, particolarmente legato alla tradizione apologetica precedente; ricorda piuttosto la composizione a partire da estratti – una tecnica comune nell’Antichità e di cui Eusebio fa una delle caratteristiche del suo stile letterario – e il genere del commento biblico, che gli era familiare grazie alla lettura di Origene. La tecnica che ritroviamo in p.e., d.e. e nel Contra Marcellum è quella già impiegata da Panfilo nell’Apologia per Origene, dove il maestro di Eusebio aveva scelto di difendere le idee di Origene con le sue stesse parole.
Inoltre la tecnica di Eusebio presenta una dimensione dotta che la distingue nettamente da quella dei suoi predecessori. In d.e., per esempio, essa è attestata dall’importanza scientifica del commento esegetico, dalla presenza di domande-risposte elaborate all’interno del commento e dal ruolo cruciale svolto dagli argomenti filologici (riferimenti a lezioni concorrenti, analisi grammaticale, allusioni alla lingua ebraica o alle revisioni giudaiche della Settanta). Dall’erudizione proposta da Eusebio emerge infine l’uso ripetuto che egli fa del motivo della storia come testimone al servizio della dimostrazione cristiana, in particolare attraverso Flavio Giuseppe: Eusebio è il primo autore a citare la testimonianza di Giuseppe relativa al Cristo (il cosiddetto Testimonium Flavianum). Per questo motivo, alcuni critici ritengono che tale testo sia un falso di Eusebio45. Oggi l’opinione dei più è che questo brano, presente in tutti i manoscritti delle Antichità Giudaiche, abbia poche possibilità di essere un’invenzione dell’apologista di Cesarea, anche se quest’ultimo può essere ritenuto responsabile di alcune alterazioni testuali46.
È molto difficile sapere in quale misura l’opera apologetica di Eusebio abbia avuto una relazione con la politica religiosa di Costantino. A questa domanda si accompagna il problema più generale dei rapporti tra il vescovo di Cesarea e l’imperatore47. A quanto si sa, nulla permette di affermare con certezza che una qualsiasi opera di Eusebio sia stata ‘ordinata’ per accompagnare una particolare misura imperiale48, nonostante esistano determinate relazioni tra alcune opere di Eusebio e la politica di Costantino. Quindi un passo di p.e. che menziona distruzioni di statue49 potrebbe fare riferimento a due leggi, riportate nella Vita Constantini50?, in cui è attestata la disposizione imperiale per la quale non doveva venire eretta alcuna statua51. In questa prospettiva si può pensare di rapportare il Contro Porfirio a un testo imperiale del 332/333, che assimila il destino degli ariani a quello di Porfirio52 – si tenga presente che questo testo, a differenza di quanto comunemente inteso, non menziona specificamente un’azione intrapresa dall’imperatore per mandare al rogo le opere del filosofo. All’incirca nello stesso periodo (330), il neoplatonico Sopatro viene messo a morte. La confutazione eusebiana potrebbe essere stata scritta in questo stesso contesto, sia che essa abbia sensibilizzato Costantino alla polemica porfiriana sia che, al contrario, Eusebio sia sceso in campo per prendere posizione contro i filosofi. Queste, tuttavia, rimangono ipotesi53.
In relazione all’antigiudaismo, è ancora più difficile accostare l’opera di Eusebio alle misure adottate da Costantino per limitare il giudaismo. Tutto quel che si può dire è che d.e. è un’opera scritta nella cornice storica e politica segnata da un regime che, nel corso del secolo, si mostrerà sempre più sfavorevole ai giudei. Nel 321, Costantino li costringe infatti a entrare nelle curie. Nel 329 o nel 339, viene emanata una legge che protegge i giudei convertiti al cristianesimo. Costantino vieta per la prima volta ai giudei di avere schiavi cristiani e di sposare donne cristiane. Nel 336 ai giudei si proibisce di circoncidere schiavi cristiani54. Non c’è eco di queste misure nelle pagine antigiudaiche di Eusebio. Che il vescovo di Cesarea abbia potuto ispirare una qualche legge rimane possibile, ma è indimostrabile.
Un’altra questione che ci si può legittimamente porre, sebbene con scarso successo, è se gli scritti di Costantino – nello specifico l’Oratio ad sanctorum coetum55?, di spirito apologetico, riportata dai manoscritti di v.C.56? – siano stati influenzati da Eusebio. La sola cosa che si può affermare con certezza al riguardo è che l’opera di Eusebio è globalmente anche una celebrazione dell’operato di Costantino, sul piano religioso o semplicemente politico – è difficile distinguere queste due dimensioni, così strettamente legate tra loro secondo il vescovo di Cesarea.
Questo entusiasmo è dovuto al fatto che il regno dell’imperatore, segnato peraltro dalla fine delle persecuzioni e dalla ‘vittoria’ del cristianesimo, per Eusebio realizza soprattutto quell’ideale di ‘monarchia’ (a partire dal 324), che è la forma migliore di Stato in quanto ne fa un’immagine del regno celeste57. Questa celebrazione dell’impero cristiano si iscrive essa stessa nella più ampia giustificazione teologica dell’Impero romano in sé, dal momento che Eusebio insiste frequentemente sul tema – già classico – della contemporaneità della sua nascita e di quella di Cristo, ma anche sul tema della pace romana come realizzazione di quella messianica annunciata dai profeti – la pace che pone fine alle «poliarchie»58 e che è intervento provvidenziale propedeutico alla diffusione del Vangelo:
E poi, chi non si stupirebbe riflettendo e pensando che non è possibile attribuire al genere umano il fatto che la maggior parte della terra abitata è passata sotto il potere unico dei romani proprio con l’avvento di Cristo? Perché, assieme alla sua splendida venuta tra gli uomini, è accaduto che il potere romano toccasse il suo apice, quando Augusto per primo ha stabilito la sua monarchia sulla maggior parte delle nazioni, nel momento in cui, mentre Cleopatra era prigioniera, la dinastia tolemaica in Egitto si era estinta. Da allora e fino ad oggi l’impero egiziano, stabilito da secoli e, per così dire, dalle origini del genere umano, è stato distrutto. Sempre da allora, inoltre, la nazione dei giudei diventò schiava dei romani, così come quella dei siriani, dei cappadoci, dei macedoni, dei bitini e dei greci, e in breve tutte le nazioni che sono sotto il controllo dei romani. Ma chi negherebbe che questi eventi hanno accompagnato l’insegnamento del nostro Salvatore per intervento divino, ritenendo che non fosse facile per i suoi seguaci procedere in terra straniera, all’epoca in cui le nazioni erano tra loro separate, senza alcuna possibilità di comunicazione a causa delle numerose etnarchie? Tuttavia, dopo che queste furono distrutte, giungeranno a compimento ora senza timore e in modo del tutto sicuro, perché il Dio supremo prepara per loro la via e contiene il furore di quei superstiziosi che sono diffusi in tutte le città inspirando in loro il timore del potere superiore59.
Il vescovo di Cesarea, inoltre, presenta spesso Roma come ‘braccio armato di Dio’, sicché, a proposito della profezia di Is 8,4 («prima che il bambino sappia dire ‘padre’ e ‘madre’, la potenza di Damasco e le spoglie di Samaria saranno portate innanzi al re degli Assiri»), egli risulta il primo autore a riconoscere una premonizione scritturistica della Prima guerra giudaica60. Fino a Costantino, tuttavia, Roma non sarebbe mai stata consapevole del suo vero destino. Se lo Spirito, del resto, avesse parlato troppo apertamente dei romani, questi si sarebbero risentiti della diffusione del cristianesimo, ed ecco una delle spiegazioni avanzate da Eusebio per giustificare l’oscurità dei messaggi profetici61.
L’influenza di Eusebio nella tradizione apologetica è una questione che merita ancor oggi una ricerca specifica. Ci accontenteremo di ricordare che la sua opera fu imitata e ripresa da autori come Atanasio, nel Contra Gentes e nel De Incarnatione, o Teodoreto di Ciro, nella Graecorum affectionum curatio. Eusebio, con p.e. e d.e., ha rappresentato l’esempio di una summa apologetica da cui la Città di Dio agostiniana non è molto lontana nel suo spirito. Analogamente d.e. ha influenzato un certo numero di opere contro il giudaismo. Sebbene sia andato perduto, si può supporre che l’eusebiano Contro Porfirio abbia potuto giocare un ruolo importante nella trasmissione – certo, molto frammentaria – delle obiezioni del filosofo contro i cristiani.
1 Sugli sviluppi del genere apologetico nel IV secolo, si vedano J.-C. Fredouille, L’apologétique chrétienne antique: naissance d’un genre littéraire, in Revue des études augustiniennes, 38 (1992), pp. 219-234; Id., L’apologétique chrétienne antique: métamorphoses d’un genre polymorphe, in Revue des études augustiniennes, 41 (1995), pp. 201-216, e S. Morlet, La Démonstration évangélique d’Eusèbe de Césarée. Étude sur l’apologétique chrétienne à l’époque de Constantin, Paris 2009, pp. 27-147.
2 M.B. Simmons, Porphyrian Universalism: A Tripartite Soteriology and Eusebius’ Response, in Harvard Theological Review, 102 (2009), pp. 169-192; Id., Universalism in the Demonstratio evangelica of Eusebius of Caesarea, in Studia Patristica, 46 (2010), pp. 319-324.
3 Preparazione evangelica: Die Praeparatio Evangelica, hrsg. von K. Mras (GCS, 43.1; 43.2), Berlin 1954-1956; Eusèbe de Césarée, La Préparation évangélique, éd. par É. des Places, G. Schroeder, G. Favrelle (SC, 206; 215; 228; 262; 266; 292; 307; 338; 369), Paris 1974-1991; Eusebius of Caesarea, Preparation for the Gospel, 2 voll., ed. by E.H. Gifford, Grand Rapids 19812; Eusebio di Cesarea, La preparazione evangelica, I, Libri I-II, a cura di G. Di Nola, Città del Vaticano 2001. Dimostrazione evangelica: Die Demonstratio Evangelica, hrsg. von I.A. Heikel (GCS, 23), Leipzig 1913; Démonstrations évangéliques, éd. par J.-P. Migne, II, Paris 1842, pp. 6-370; W.J. Ferrar, The Proof of the Gospel, Grand Rapids 20012; Eusebio di Cesarea, Dimostrazione evangelica, a cura di P. Carrara, Milano 2000; Eusebio di Cesarea, Dimostrazione evangelica, a cura di F. Migliore, 3 voll., Roma 2008.
4 Si è a lungo ritenuto, senza particolari discussioni, che il frammento 1 Harnack, estratto da p.e. (I 2,1-4), contenesse una traccia porfiriana. Ma S. Morlet, La Démonstration évangélique, cit., pp. 41-48, e A.P. Johnson, Rethinking the Authenticity of Porphyry, c. Christ. fr. 1, in Studia Patristica, 46 (2010), pp. 53-58, hanno messo in dubbio questa attribuzione. Per una rivalutazione globale del ruolo di Porfirio in Eusebio, si vedano: S. Morlet, La Démonstration évangélique d’Eusèbe de Césarée contient-elle des fragments du Contra Christianos de Porphyre? À propos du fr. 73 Harnack, in Studia Patristica, 46 (2010), pp. 59-64; Id., Eusebius’ Polemic Against Porphyry: A Reassessment, in Reconsidering Eusebius. Collected Papers on Literary, Historical, and Theological Issues, ed. by S. Inowlocki, C. Zamagni, Leiden-Boston 2011, pp. 119-150.
5 C. Zamagni, Porphyre est-il la cible principale des ‘questions’ chrétiennes des IVe et Ve siècles?, in Le traité de Porphyre contre les chrétiens. Un siècle de recherches, nouvelles questions, Actes du colloque international (Paris 8-9 septembre 2009), éd. par S. Morlet, Paris 2011, pp. 357-370.
6 Dipendiamo ancora dall’edizione di T. Gaisford, Eusebii Pamphili Eclogae propheticae, Oxford 1842 = PG 22, cc. 1021-1262. Si segnala tuttavia, ancora in corso di preparazione, una nuova edizione per la collana Sources Chrétiennes.
7 Per i frammenti greci, cfr. PG 22, cc. 957-1016; una loro edizione e traduzione è stata pubblicata in Eusèbe de Césarée, Questions évangéliques, Paris 2008 (SC, 523). Ekloge: PG 22, cc. 880-957 (per una nuova edizione corredata da traduzione cfr. C. Zamagni, Les Questions et réponses sur les Évangiles d’Eusèbe de Césarée. Étude et édition du résumé grec, diss., Université de Lausanne-École Pratique des Hautes Études, Paris 2003). Per i frammenti siriaci, cfr. G. Beyer, Die evangelischen Fragen und Lösungen des Eusebius in jakobitischer Überlieferung und deren nestorianische Parallelen. Syrische Texte, herausgegeben, übersetzt und untersucht, in Oriens Christianus, n.s., 12-14 (1925), pp. 30-70; s. 3, 1 (1927), pp. 80-97; s. 3, 2 (1927), pp. 57-69. Per tutti i testimoni cfr. Eusebius of Caesarea, Gospel Problems and Solutions. Quaestiones ad Stephanum et Marinum (CPG 3470), ed. by R. Pearse, Ipswich 2011.
8 Cfr. Eus., p.e. VII 8,29.
9 Cfr. Eus., d.e. I 9,20.
10 Cfr. Eus., p.e. I 3,12.
11 Edito e tradotto in: Eusèbe de Césarée, Contre Hiéroclès, éd. par É. Des Places, M. Forrat, Paris 1986 (SC 333); C.P. Jones, Eusebius’s Reply to Hierocles, in Philostratus, Apollonius of Tyana, Letters of Apollonius. Ancient Testimonia. Eusebius’s Reply to Hierocles, Cambridge (MA)-London 2006, pp. 147-257. Tradotto in A. Traverso, Contro Ierocle, Roma 1997.
12 Hierocl. 1.
13 Cfr. S. Morlet, Que savons-nous du Contre Porphyre d’Eusèbe?, in Revue des études greques, 125 (2012), pp. 473-514
14 Phot., cod. 13.
15 Phot., cod. 11-12.
16 Contro Marcello: Gegen Marcell. Über die kirchliche Theologie, hrsg. von E. Klostermann, (GCS, 14), Leipzig 1906 (19722; 19913), pp. 1-58. Teologia ecclesiastica: ivi, pp. 60-182.
17 Si è conservato solo il primo libro, nella traduzione latina di Rufino: Pamphile, Eusèbe de Césarée, Apologie pour Origène suivi de Rufin d’Aquilée: Sur la falsification des livres d’Origène, éd. par R. Amacker, É. Junod, Paris 2002 (SC, 464).
18 Cfr. Die Theophanie. Die griechischen Bruchstücke und Übersetzung der syrischen Überlieferungen, hrsg. von H. Gressmann (GCS 11,2), Leipzig 1904 (19922). Per l’edizione del testo siriaco, si veda Eusebius, Bishop of Caesarea, On the Theophania, or Divine Manifestation of our Lord and Saviour Jesus Christ, ed. by S. Lee, London 1842 (tradotto in Eusebius, On the Theophania or Divine Manifestation of our Lord and Saviour Jesus Christ, ed. by S. Lee, Cambridge 1843).
19 Cfr. Über das Leben Constantins, Constantins Rede an die heilige Versammlung, Tricennatsrede an Constantin, hrsg. von I.A. Heikel (GCS 7), Leipzig 1902, pp. 195-259; P. Maraval, La théologie politique de l’Empire chrétien. Louanges de Constantin (Triakontaétérikos), Paris 2001; Miroirs de prince de l’Empire romain au IVe siècles?, éd. par D. O’Meara, J. Schamp, Fribourg-Paris 2006, pp. 80-171; Church History, Life of Constantine the Great, Oration in Praise of Constantine, ed. by E.C. Richardson, A.C. McGiffert, Oxford-New York 1890; H.A. Drake, In Praise of Constantine. A Historical Study and New Translation of Eusebius’ Tricennial Orations, Berkeley-Los Angeles-London 1976; Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, a cura di M. Amerise, Milano 2005.
20 Cfr. Eus., d.e. I 6,5.
21 H.A. Drake, When was the De Laudibus Constantini Delivered?, in Historia, 24 (1975), pp. 345-356.
22 T.D. Barnes, Two Speeches by Eusebius, in Greek Roman and Byzantine Studies, 18 (1977), pp. 341-345.
23 Si veda, su questo tema, il contributo di D. Dainese, La Vita e le Laudes Constantini, in questa stessa opera.
24 Eus., h.e. I 9,3; I 11,9; IX 5,1; IX 7,1. Questi hypomnemata sono stati tradizionalmente collegati con la problematica degli Atti di Pilato: J.-D. Dubois, Les ‘Actes de Pilate’ au quatrième siècle, in Apocrypha, 2 (1991), pp. 85-98; X. Levieils, La polémique anti-chrétienne des ‘Actes de Pilate’, in Revue d’histoire et de philosophie religieuses, 79 (1999), pp. 291-314. Sulla polemica di Eusebio contro l’ellenismo, si possono consultare: H. Cancik, Wahrnehmung, Vermeidung, Entheiligung, Aneignung: Fremde Religionen bei Tertullian, im Talmud (AZ) und bei Eusebios, in Texte als Medium und Reflexion von Religion im römischen Reich, hrsg. von D. Elm von der Osten, J. Rüpke, K. Waldner, Stuttgart 2006, pp. 225-232; É. des Places, Eusèbe de Césarée commentateur. Platonisme et Écriture Sainte, Paris 1982; G. Dorival, L’apologétique chrétienne et la culture grecque, in Les apologistes chrétiens et la culture grecque, éd. par B. Pouderon, J. Doré, Paris 1998, pp. 423-465; Id., L’argument de la réussite historique du christianisme, in L’historiographie de l’Église des premiers siècles, IIe Colloque international d’études patristiques d’expression française (Tours 11-13 septembre 2000), éd. par Y.-M. Duval, B. Pouderon, Paris 2001, pp. 37-56; M. Faulhaber, Die griechischen Apologeten der klassischen Väterzeit, I, Eusebius von Cäsarea, Würzburg 1896; M. Frede, Eusebius’ Apologetic Writings, in Apologetics in the Roman Empire: Pagans, Jews and Christians, ed. by M. Edwards, M. Goodman, S. Price, Oxford 1999, pp. 223-250; E.V. Gallagher, Piety and Polity: Eusebius’ Defense of the Gospel, in Religious Writings and Religious Systems. Systemic Analysis of Holy Books in Christianity, Islam, Buddhism, Greco-Roman Religions, Ancient Israel, and Judaism, ed. by J. Neusner, E.S. Frerichs, A.J. Levine, II, Atlanta 1989, pp. 139-155; Id., Eusebius the Apologist: The Evidence of the Preparation and the Proof, in Studia Patristica, 26 (1993), pp. 251-260; J.-N. Guinot, Foi et raison dans la démarche apologétique d’Eusèbe et de Théodoret, in Les apologistes chrétiens, cit., pp. 383-402; S. Inowlocki, Eusebius’ Construction of a Christian Culture in an Apologetic Context: Reading the Praeparatio evangelica as a Library, in Reconsidering Eusebius, cit., pp. 199-224; E. Iricinschi, “Good Hebrew, Bad Hebrew”: Christians as Triton Genos in Eusebius’ Apologetic Writings, ivi, pp. 69-86; Three Greek Apologists. Drei griechische Apologeten: Origen, Eusebius, and Athanasius. Origenes, Eusebius und Athanasius, hrsg. von A.-C. Jacobsen, J. Ulrich, Frankfurt a.M. 2007; A.P. Johnson, Ancestors as Icons: The Lives of Hebrew Saints in Eusebius’ Praeparatio Evangelica, in Greek Roman and Byzantine Studies, 44 (2004), pp. 245-264; Id., Identity, Descent and Polemic: Ethnic Argumentation in Eusebius’ Praeparatio Evangelica, in Journal of Early Christian Studies, 12 (2004), pp. 23-56; Id., Ethnicity and Argument in Eusebius’ Praeparatio Evangelica, Oxford-New York 2006; Id., Eusebius’ Praeparatio Evangelica as Literary Experiment, in Greek Literature in Late Antiquity: Dynamism, Didacticism, Classicism, ed. by S.F. Johnson, Aldershot 2006, p. 67-89; Id., Philonic Allusions in Eusebius, PE 7. 7-8, in Classical Quarterly, 56 (2006), pp. 239-248; Id., Greek Ethnicity in Eusebius’ Praeparatio evangelica, in American Journal of Philology, 128 (2007), pp. 95-118; A. Kofsky, Eusebius of Caesarea against Paganism, Leiden-Boston-Köln, 2000; J.-R. Laurin, Orientations maîtresses des apologistes chrétiens de 270 à 361, Romae 1954; S. Morlet, Plutarque et l’apologétique chrétienne: la place de la ‘Préparation évangélique’ d’Eusèbe de Césarée, in Pallas, 67 (2005), pp. 115-138; Id., Eusèbe de Césarée a-t-il utilisé les Stromates d’Origène dans la Préparation évangélique?, in Revue de Philologie, 78 (2004), pp. 127-140; A. Pinzone, Eusebio e la storiografia profana: il caso della ‘Praeparatio Evangelica’, in Salesianum, 67 (2005), pp. 645-669; J. Sirinelli, Les vues historiques d’Eusèbe de Césarée durant la période pré-nicéenne, Dakar 1961; J. Ulrich, Wie verteidigte Euseb das Christentum? Eine Übersicht über die apologetischen Schriften und die apologetische Methode Eusebs von Caesarea, in Three Greek Apologists. Drei griechische Apologeten, cit., pp. 49-74; Id., Eusebius von Caesarea: Praeparatio evangelica/Demonstratio evangelica, in Kanon der Theologie. 45 Schlüsseltexte im Portrait, hrsg. von C. Danz, Darmstadt 2009, pp. 30-36.
25 Si vedano C.T.H.R. Ehrhardt, Eusebius and Celsus, in Jahrbuch für antikes Christentum, 22 (1979), pp. 40-49 e S. Morlet, La Démonstration évangélique, cit., passim.
26 Eus., p.e. XI prol., 3.
27 Eus., p.e. XI 9,4-5.
28 Eus., p.e. XI prol., 4.
29 Eus., p.e. XI 20.
30 P.F. Beatrice, Un oracle antichrétien chez Arnobe, in Mémorial Dom Jean Gribomont, Roma 1988, pp. 107-129; Id., Towards a New Edition of Porphyry’s Fragments Against the Christians, in Σοφίης Μαιήτορες. Chercheurs de sagesse. Hommage à Jean Pépin, éd. par M.-O. Goulet-Cazé, G. Madec, D. O’Brien, Paris 1992, pp. 347-355; Id., Antistes philosophiae: ein christenfeindlicher Propagandist am Hofe Diokletians nach dem Zeugnis des Laktanz, in Augustinianum, 33 (1993), pp. 31-47; Id., On the Title of Porphyry’s Treatise Against the Christians, in ᾿Αγαθὴ ἐλπίς. Studi storico-religiosi in onore di Ugo Bianchi, a cura di G. Sfameni-Gasparro, Roma 1994, pp. 221-235; Id., Didyme l’Aveugle et la tradition de l’allégorie, in Origeniana sexta. Origène et la Bible, éd. par G. Dorival, A. Le Boulluec, Leuven 1995, pp. 579-590. Se si intende rifiutare l’identificazione del Contra Christianos con la Filosofia desunta dagli oracoli, si seguono in realtà le analisi di R. Goulet, Hypothèses récentes sur le traité de Porphyre, Contre les chrétiens, in Hellénisme et christianisme, éd. par M. Narcy, É. Rébillard, Villeneuve d’Ascq 2004, pp. 61-109; si veda S. Morlet, Comment le problème du Contre Christianos peut-il se poser aujourd’hui?, in Le traité de Porphyre contre les chrétiens, cit., pp. 11-49.
31 Cfr. Eus., d.e. V prol., 16, ad esempio.
32 Cfr. Eus., p.e. VI 11,82.
33 Cfr. Eus., h.e. I 2,23.
34 Sulla polemica eusebiana antigiudaica si vedano R.M. Grant, Eusebius, Josephus and the Fate of the Jews, in Society of Biblical Literature Papers, 2 (1979), pp. 69-86; A. Gregerman, “Have You Despised Jerusalem and Zion After You Had Chosen Them?”: The Destruction of Jerusalem and the Temple in Jewish and Christian Writings from the Land of Israel in Late Antiquity, diss., Columbia University, New York 2007; O. Irshai, Jews and Judaism in Early Church Historiography: The Case of Eusebius of Caesarea (Preliminary Observations and Examples), in Jews in Byzantium. Dialectics of Minority and Majority Cultures, ed. by R. Bonfil, O. Irshai, G.G. Stroumsa et al., Leiden 2011, pp. 799-828; A. Kofsky, Prophecy in the Service of Polemics in Eusebius of Caesarea, in Cristianesimo nella Storia, 19 (1998), pp. 1-29; S. Morlet, Le reste d’Israël selon Eusèbe de Césarée: théologie, exégèse et histoire d’une catégorie frontalière; Id., Enjeux, méthodes et arguments de la polémique chrétienne antique contre le judaïsme, in L’apologétique chrétienne. Expressions de la pensée religieuse, de l’Antiquité à nos jours, éd. par E. Pinto-Mathieu, D. Boisson, Rennes 2012, pp. 35-59; La croisée des chemins revisitée. Quand l’Église et la Synagogne se sont-elles distinguées? Actes du colloque de Tours, 18-19 juin 2010, éd. par S.C. Mimouni, B. Pouderon, Paris 2012, pp. 275-297; H. Schreckenberg, Die christlichen Adversus-Judaeos-Texte und ihr literarisches und historisches Umfeld (1.-11. Jh.), Frankfurt a.M. 1994, pp. 262-268; M. Simon, Verus Israël. Étude sur les relations entre chrétiens et juifs dans l’Empire romain, 135-425, Paris 1948; J. Ulrich, Euseb und die Juden: Der origineische Hintergrund, in Origeniana septima: Origenes in den Auseinandersetzungen des 4. Jahrhunderts, hrsg. von W.A. Bienert, U. Kühneweg, Leuven 1999, pp. 135-140; Id., Euseb von Caesarea und die Juden. Studien zur Rolle der Juden in der Theologie des Eusebius von Caesarea, Berlin-New York 1999.
35 Eus., d.e. I 5.
36 Eus., d.e. I 12.
37 Cfr. Eus., p.e. I 3,2 (un testo che riguarda anche discussioni con pagani).
38 Sulla polemica di Eusebio contro l’‘eresia’, si veda É. Junod, Les hérétiques et l’hérésie dans le ‘programme’ de l’Histoire ecclésiastique d’Eusèbe de Césarée, in Rivista di Storia del Cristianesimo, 6 (2009), pp. 417-434; M. Willing, Eusebius von Cäsarea als Häreseograph, Berlin-New York 2008.
39 S. Morlet, Aux origines de l’argument patristique? Citation et autorité dans le Contre Marcel d’Eusèbe de Césarée, in corso di stampa.
40 Cfr. Eus., h.e. VII 31.
41 Cfr. Eus., h.e. II 13,6.
42 Sull’uso eusebiano dei testimonia, si veda S. Morlet, Eusebius and the Testimonia. Tradition and Originality, in Three Greek Apologists. Drei griechische Apologeten, cit., pp. 93-157; La Démonstration évangélique, cit., pp. 311-417.
43 Eus., p.e. I 5,14; I 9,14.
44 Eus., p.e. I 1,4-6.
45 Cfr. K.A. Olson, Eusebius and the Testimonium Flavianum, in Catholic Biblical Quarterly, 61 (1999), pp. 305-322.
46 Si veda la sintesi di S. Bardet, Le Testimonium Flavianum. Examen historique. Considérations historiographiques, Paris 2002.
47 Non è possibile dubitare dell’esistenza di contatti reali, anche intimi, tra Eusebio e Costantino. Nella Vita di Costantino, Eusebio ricorda che ha appreso dall’imperatore in persona ciò che sa della visione del ponte Milvio (v.C. I 28). Secondo Socrate, Costantino avrebbe scritto a Eusebio per rimproverarlo per il fatto che alcuni culti pagani continuavano a progredire a Mamre (h.e., I 18,6). Intorno al 330, Eusebio dovette, su richiesta dell’imperatore, fornire a Costantinopoli cinquanta copie della Bibbia per il servizio liturgico della capitale (v.C., IV 36-37).
48 Il trattato di Eusebio sulla Pasqua, di cui rimane probabilmente un lungo frammento (PG 24, cc. 693-706), è stato recentemente considerato da Mark Del Cogliano un’opera destinata ad accompagnare la decisione costantiniana di imporre a tutto l’Impero una data unica per la celebrazione della festa (The Promotion of the Constantinian Agenda in Eusebius of Caesarea’s On the Feast of Pascha, in Reconsidering Eusebius, cit., pp. 39-68). L’ipotesi sembra in linea di principio molto probabile, ma l’opera non era tra i testi ‘apologetici’ di Eusebio e pertanto non verrà trattata nel presente contributo.
49 Cfr. Eus., p.e. IV 4,1.
50 Cfr. Eus., v.C. II 45.
51 Cfr. S. Morlet, La Démonstration évangélique, cit., pp. 91-93.
52 Cfr. Socr., h.e. I 9,30-31.
53 Cfr. S. Morlet, Que savons-nous du Contre Porphyre d’Eusèbe?, cit.
54 Per queste leggi, si veda Cod. Theod. XVI 8,3; 8,1; 9,2; 8,6; 8,5; 9,1.
55 Oltre alla traduzione francese di Maraval, si potrà consultare quella inglese di M.J. Edwards, Constantine and Christendom. The Oration to the Saints. The Greek and Latin Accounts of the Discovery of the Cross. The Donation of Constantine to Pope Silvester, Liverpool 2003.
56 In passato si è cercato di vedervi un’opera di Eusebio o per lo meno uno scritto a cui Eusebio collaborò (cfr. J.-P. Rossignol, Virgile et Constantin le Grand, première partie, Paris 1845), ma Pierre Maraval (cfr. Constantin, Lettres et discours, éd. par P. Maraval, Paris 2010), di recente, ha assunto una posizione contraria a quest’ipotesi e la questione, di fatto, rimane aperta.
57 Cfr. Eus., l.C. 3,6.
58 Cfr. Eus., d.e. VII 2,21-22.
59 Eus., d.e. III 7,30-33.
60 Eus., d.e. VII 1,102. Si veda S. Morlet, Le commentaire d’Eusèbe de Césarée sur Is 8,4 dans la Démonstration évangélique (VII, 1, 95-113): ses sources et son originalité, in Adamantius, 13 (2007), pp. 52-63.
61 Cfr. Eus., d.e. VII 1,71.