Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Novecento, la produzione operistica sviluppatasi in Italia e in Francia ha manifestato una profonda cesura rappresentata dal secondo conflitto mondiale. Se nella prima parte del secolo, soprattutto in Italia, prevale la continuità dello spettacolo melodrammatico concepito secondo stilemi tradizionali, nella seconda metà le direzioni stilistiche si moltiplicano con varianti innumerevoli. Alla conservazione nostalgica si affianca una sempre più esasperata ricerca del nuovo, fino ad arrivare al recupero neoromantico del linguaggio tradizionale.
Nell’Italia della prima metà del secolo si conserva a lungo la continuità del genere lirico, senza porsi problemi di linguaggio o di tecnica, rimanendo sostanzialmente legati alla lezione dei più illustri predecessori. Le glorie della tradizione musicale più recente, rappresentate dalla Giovane Scuola, dimostrano una durevole vitalità: il repertorio è dominato dai capolavori di Giacomo Puccini (1858-1924) e Pietro Mascagni (1863-1945), o da singole opere dei vari Francesco Cilea, Umberto Giordano, Ruggero Leoncavallo senza dare posto alle nuove composizioni per le quali il pubblico manifesta sempre minore disponibilità.
Il mondo dell’opera ha ormai da tempo assunto aspetti spiccatamente mercantili che spingono i teatri al conservatorismo nelle scelte culturali. Di conseguenza si manifestano fenomeni di protesta antiverista e antinaturalista fra cui il più incisivo da parte dei futuristi, capeggiati da Marinetti.
La prima metà del Novecento è segnata dunque da una profonda contraddizione fra l’intatto splendore dello spettacolo operistico, concepito secondo stilemi tradizionali e la ricerca del nuovo nella scrittura teatrale e musicale, nei programmi, nelle iniziative. La produzione operistica di questi anni appare quantitativamente cospicua ma di qualità variabile. Inoltre, risulta articolata secondo generi ben distinguibili fra loro.
In primo luogo, vi sono i tentativi dei sopravvissuti ed epigoni della Giovane Scuola il cui elenco sarebbe sterminato e inutile: le due sole opere che hanno una qualche presenza negli anni successivi sono Adriana Lecouvreur (1902) di Francesco Cilea e Madame Sans-Gêne (1915) di Umberto Giordano.
A un secondo gruppo appartengono i dannunziani, antirealisti e simbolisti: una corrente che ha avuto un antecedente italiano con la scapigliatura musicale e che vede molti compositori del primo Novecento eleggere il wagnerismo come propria cifra stilistica, adottandone, spesso acriticamente, alcune tecniche compositive. Su tale composito terreno si radicano le esperienze antinaturaliste della cosiddetta “generazione dell’Ottanta”.
Con elementi di continuità rispetto alla tradizione uniti alla ricerca di un rinnovamento, il genere comico non perde vitalità produttiva e, sebbene in calo di favore da parte del pubblico popolare, acquista l’interesse di chi lo ritiene un efficace antidoto al wagnerismo dilagante: le commedie musicali di Ermanno Wolf-Ferrari (1876-1948) rappresentano gli esiti di maggior successo (Le donne curiose, 1903; I quattro rusteghi, 1906; Il segreto di Susanna,1909).
Ai precedenti filoni si oppone la riflessione e l’opera di Ferruccio Busoni (1866-1924), spinta nella direzione di un nuovo e moderno teatro musicale in cui la radice profonda della commedia dell’arte incontra la classicità rinunciando al soggettivismo. Arlecchino (capriccio teatrale in 1 atto, 1917), Turandot (fiaba cinese in 2 atti, 1917) e l’incompiuto Doktor Faust rappresentano la testimonianza di un teatro dell’irrealtà che combina elementi quotidiani e fantasia esotica.
Anche in Francia si assiste agli inizi del Novecento alla salvaguardia delle caratteristiche vigenti del teatro d’opera senza nessuna significativa evoluzione prima dell’arrivo di Claude Debussy (1862-1918), che ha saputo rinnovare il genere lirico restando fedele allo spirito dei predecessori malgrado la notevole audacia delle sue soluzioni espressive. Altri due compositori nello stesso periodo hanno contribuito con stili differenti ad accrescere il patrimonio dell’arte lirica: Paul Dukas (1865-1935), autore di una sola opera, Ariane et Barbe Bleu (1907), e Gabriel Fauré (1845-1924) al quale si devono due lavori, la possente tragedia lirica Prométhée (1900) e il dramma Pénélope (1907-1913) di incomparabile raffinatezza.
Un caso a parte è costituito dalla presenza in Francia di Igor Stravinskij (1882-1971), personalità eccezionale che domina tutto il secolo. Le sue partiture di teatro lirico hanno spesso trasformato le componenti tradizionali dell’opera piegandole a una concezione musicale lontana da qualsiasi realismo o significato espressivo. Le rossignol (racconto lirico in 3 atti, 1914) e The Rake’s progress (opera in 3 atti, 1951) sono le sole vere opere di Stravinskij. Tra l’una e l’altra si trova una produzione lirica che si può definire genericamente teatro musicale, in cui sono mescolati tutti i generi drammatici combinati con musica e danza.
Molti compositori francesi hanno affrontato il genere lirico riservando maggiore attenzione alla voce o agli strumenti secondo la loro sensibilità e formazione. Fra queste figure emerge Darius Milhaud (1882-1974), capace di una sintesi equilibrata tra le due tendenze. Il suo linguaggio, impregnato di umanesimo e spiritualità, si conserva immune da mode passeggere collocando l’autore nella discendenza dei grandi maestri. La produzione lirica di Milhaud è influenzata dall’incontro con il poeta Paul Claudel, con il quale stabilisce una profonda amicizia e collaborazione iniziata con Agamennon (1913) e conclusasi con l’opera-oratorio Saint-Louis, Roi de France (1970).
Francis Poulenc (1899-1963) rappresenta al più alto grado la corrente di autori che hanno dato maggior rilievo all’espressività vocale; arrivato al teatro lirico solo in età matura, ha saputo offrire alcuni saggi di finezza psicologica, tra cui La voix humaine (1958), basato sul mimodramma di Jean Cocteau, è tuttora un vivido esempio.
Una forma operistica tipicamente francese, dal tono leggero e fantasioso, che trae origine dall’opéra-comique, si prolunga anche nel Novecento grazie ad alcuni cultori del genere, in primis André Messager (1853-1929): Béatrice (1914), L’amour masqué (1923) e Passionnément (1926) sono alcuni dei suoi maggiori successi.
Fra gli autori che hanno attribuito un’importanza particolare all’orchestra, Arthur Honegger (1891-1955) si distingue per avere prodotto lavori di notevole complessità polifonica, caratterizzati da una tensione comunicativa semplice e diretta. Le Roi David (1924), prima partitura drammatica di Honegger, è un momento di svolta per la musica lirica, perché modernizza il genere oratorio con un impiego sapiente dei cori alternati alle parti solistiche. Antigone (1927), su libretto di Cocteau adattato dalla tragedia di Sofocle, è il lavoro più completo e riuscito grazie all’intelligibilità del testo e alla drammatizzazione delle voci strumentali.
Il mondo lacerato quale si presenta ai compositori dopo il secondo conflitto mondiale modifica profondamente la loro immaginazione rendendo difficile far sopravvivere in un contesto sociale ferito e sofferente il teatro lirico con il suo bagaglio di convenzioni e fantasie. In un universo privo ormai di abitudini e punti di riferimento, le possibilità espressive si moltiplicano e ognuno attinge a fonti d’ispirazione disparate accontentandosi di scarso interesse da parte delle istituzioni, precarietà delle condizioni, economia dei mezzi. Si affaccia inoltre in maniera diffusa un approccio intellettualistico che rende la scena lirica luogo di analisi sul ruolo dell’arte nella vita piuttosto che riflessione sulla vita stessa. Risulta qui impossibile delineare un percorso logico nella formidabile proliferazione di tendenze e lavori del secondo dopoguerra, sebbene due direttrici principali si possano sicuramente segnalare: il tentativo di conservare un legame con il passato, la volontà di allontanarsene più o meno liberamente.
Nel panorama francese la prima tendenza può essere incarnata da Maurice Ohana (1913-1992) il cui operato si inscrive in un albero genealogico coscientemente accettato; il suo stile espressivo, essenzialmente vocale, si fa apprezzare per la capacità di coniugare rigore e chiarezza. Il percorso artistico di Georges Aperghis (1945-) rappresenta invece la negazione e l’attitudine derisoria rispetto alla tradizione. Il primo importante contributo da lui offerto, Pandemonium (1973), dimostra l’intenzione di integrare musica, testo, gesto, spazio rispetto al soggetto scelto; le sue creazioni successive conservano tale principio della confusione dei linguaggi (Je vous dis que je suis mort, 1979; Liebestod, 1982; De la nature de l’eau, 1974).
Alcuni autori conoscono nel corso del tempo una sorta di evoluzione: partiti da posizioni legate ai movimenti avanguardisti più dissacranti, approdano ad atteggiamenti decisamente meno aggressivi. Fra questi René Koering (1940-), Michéle Reverdy (1943-), Antoine Duhamel (1925-).
La molteplicità di direzioni caratterizza anche le produzioni dei compositori più giovani; i recenti lavori appartenenti al genere lirico in Francia compongono un immenso mosaico nel quale si accostano aspetti di provocazione a temi e modelli del passato. L’importanza della voce nel rapporto tra musica e testo preoccupa in modo particolare André Bon (1946-) e Michaël Levinas (1949-), mentre Pascal Dusapin (1955-), allievo di Iannis Xenakis, si caratterizza per l’ottima qualità dell’orchestrazione.
In area anglosassone l’autore che ha lasciato un segno più profondo è Benjamin Britten, il cui primo successo Peter Grimes (1945) è una fra le più originali espressioni del teatro musicale contemporaneo. In seguito, particolarmente riuscita è l’opera da camera Il giro di vite (1954), in cui emerge un eclettismo stilistico suggestivo e inquietante.
Nell’ambito operistico germanico la vasta produzione di Hans Werner Henze si caratterizza per la posizione distante dalle avanguardie alla ricerca di una franca comunicatività (Boulevard Solitude, 1952; Il re cervo, 1956; Il principe di Homburg, 1960), mentre i lavori di Mauricio Kagel (1931-) sono sviluppati confrontandosi con la tradizione in rapporto di aperta rottura nell’utilizzo di tutte le componenti visive e concettuali della scena (Sur scène, 1958-60; Antithèse, 1963; Phonophonie, 1965).
In Italia le spinte più vigorose al rinnovamento del genere operistico provengono da Luigi Dallapiccola (1904-1975) e Goffredo Petrassi (1904-2003) i cui esempi hanno avuto un certo peso nei decenni successivi: il primo applica per la prima volta con Volo di notte (1940) la tecnica dodecafonica e la riconferma con Il prigioniero (1949); l’altro con Il cordovano (1949) e Morte nell’aria (1950) approfondisce una visione critica della relazione fra musica e dramma.
A caratterizzare gli anni Cinquanta è il quasi totale disinteresse dei compositori per la produzione operistica, sentita come simbolo di obsolescenza e conformismo; nel decennio successivo invece il pregiudizio antiteatrale cade e gli autori ritrovano nel teatro in musica una concreta possibilità di impegno artistico e sociale.
Negli anni Settanta si assiste a ulteriori diversificazioni di orientamento e soluzioni scenico-musicali. In questa nuova fase del teatro italiano trovano posto numerose poetiche che sviluppano premesse fra loro diversissime e indipendenti. Un importante filone prevede la partecipazione politica attraverso una scrittura di impronta brechtiana: è questo l’esempio di Luigi Nono (Intolleranza 1960, 1961; Al gran sole carico d’amore, 1975) e Giacomo Manzoni (Atomtod, 1965; Per Massimiliano Robespierre, 1975). Un altro aspetto è dato dalla riflessione sui procedimenti drammaturgici dell’opera e la ricerca del loro ampliamento: Luciano Berio (Passaggio, 1963), Bruno Maderna (Hyperion,1964), Sylvano Bussotti (La passion selon Sade, 1965) rappresentano i più illustri esponenti di questa corrente. Numerosi altri musicisti contribuiscono all’esplorazione delle possibilità di un teatro d’opera contemporaneo, fra i quali possiamo segnalare i nomi di autori molto diversi fra loro per appartenenza generazionale e stilistica: Camillo Togni (1922-1993), Francesco Pennisi (1934-), Azio Corghi (1937-), Domenico Guaccero (1927-).
Negli anni Ottanta l’interesse verso il teatro resta vivo nei diversi ambiti dell’avanguardia e fra gli esperimenti più significativi spiccano Un re in ascolto (1984) di Berio, Prometeo (1984) di Nono, L’ispirazione (1986) e Fedra (1988) di Bussotti; Doktor Faustus (1988) di Manzoni, Lohengrin (1982-84) di Salvatore Sciarrino e Gargantua (1984) di Azio Corghi. Anche compositori distanti fino a quel momento dalla febbre del teatro si lasciano contagiare: è il caso di Aldo Clementi (Es, 1981) e Franco Donatoni (Atem, 1984).
Parallelamente si manifesta un’esigenza di rinnovato rapporto col pubblico: se per alcuni il bisogno di comunicazione non comporta l’abbandono di una ricerca strutturale e linguistica, per altri si innesca un processo di rivalutazione della pura gradevolezza con la messa al bando di ogni cerebralismo. Il cosiddetto neoromanticismo, incarnato da autori come Lorenzo Ferrero (1951-) e Marco Tutino (1954-), testimonia il desiderio di ritrovare un legame con la tradizione operistica e riavvicinare il grande pubblico alla produzione musicale colta.
In ogni caso, la vitalità intrinseca della scena lirica nostrana rende la conclusione del secolo una stagione ancora ricca di nuove diversificate proposte. Oltre ai nomi sopra citati, si possono segnalare le rivisitazioni della tradizione popolare compiute da Roberto De Simone (1933-), le sperimentazioni elettroniche di Luca Lombardi (1946-), la ricerca timbrica e la cantabilità di Fabio Vacchi (1949-), l’astratto simbolismo di Alessandro Solbiati (1956-), il sincretismo espressivo di Luca Francesconi (1956-).
Un posto particolare occupa la feconda attività di Giorgio Battistelli (1953-) caratterizzata allo stesso tempo da austerità stilistica e ampiezza di vedute. Fra le sue opere, diverse delle quali commissionate da teatri inglesi, francesi e tedeschi, hanno avuto particolare successo e circolazione Experimentum mundi, 1981; Auf den Marmorklippen, 1987; Il combattimento di Ettore e Achille, 1989; The Cenci, 1997; El otoño del patriarca, 2003; Richard III, 2004; Combattimento di Tancredi e Clorinda, 2005.